Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18385 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18385 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 24/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a LUCERA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/11/2022 della CORTE APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO dato atto che il ricorso viene trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell’a 23, comma 8, D.L. n.137/2020;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 4/11/2022 La Corte di appello di Bari, in parziale riforma della sentenza emessa il 28/03/2018 dal Tribunale di Foggia, condannava l’appellante NOME COGNOME, previa esclusione della ritenuta aggravante di cui all’art. 61 n. 2 cod. pen., alla pena di anni due e giorni 10 di reclusione ed eurci 2.050,00 di multa, per i reati di tentata estorsione e di lesioni volontarie nei confronti del pad NOME COGNOME.
Avverso la citata decisione NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, propone ricorso per cassazione, deducendo a tal fine cinque distinti motivi con i quali chiede l’annullamento della sentenza impugnata senza o con rinvio ad altro giudice.
2.1 Con il primo motivo eccepisce la violazione dell’articolo 606, comma 1, lett. B) – C) ed E) cod. proc. pen., relativamente all’inosservanza ed errata applicazione degli artt. 521 cod. proc. pen. e 649, comma primo n.2, cod. pen., per la mancata corrispondenza tra l’imputazione di tentata estorsione mediante la sola minaccia nei confronti di NOME COGNOME, padre dell’imputato, e le motivazioni delle sentenze di merito con cui l’imputato è stato condannato per il reato di tentata estorsione compiuta anche a mezzo di violenza fisica, in realtà non contestata nell’imputazione di cui al capo A) ma indicata nel capo B) quale autonoma condotta ex art. 582 cod. pen., sempre in danno della stessa vittima, rilevando peraltro che in quest’ultima imputazione non si fa cenno alcuno all’eventuale connessione teleologica con il reato di estorsione. Ne consegue che, in assenza di una contestazione di violenza fisica in danno del padre dell’imputato, era applicabile la causa di non punibilità di cui all’art. 649 cod. pen., che non trova, invece, applicazione solo nei casi di delitti previsti dagli artt. 628, 629, 630 cod. pen. e ogni altro delitto contro il patrimonio commesso con violenza alle persone.
2.2. Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’articolo 606, comma 1, lett. B) – E) cod. proc. pen., relativamente all’inosservanza ed errata applicazione degli artt. 56 e 629, cod. pen., rilevando che il giudizio di idoneità della condotta tentat debba essere svolto con valutazione ex ante, e nel caso di specie esso avrebbe condotto ad una valutazione di inidoneità della condotta contestata, stante la presenza di più persone che avrebbero facilmente impedito qualsivoglia tipo di possibile conseguenza in capo alla vittima.
2.3 Con il terzo motivo deduca la violazione di legge in relazione all’art. 192 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione. In particolare, eviden2:ia che la sentenza impugnata non offre alcuna specifica risposta rispetto all’eccezione relativa al vaglio di credibilità dell’unico testimone escusso, tale NOME COGNOME, che in dibattimento ha reso dichiarazioni del tutto in contraddizione rispetto a quanto dichiarato in sede di S.I.T..
2.4 Con il quarto motivo deduca la violazione di legge in relazione all’art. 495, comma 4 bis, cod. proc. pen., in quanto, nonostante la difesa dell’imputato non abbia mai prestato il consenso all’udienza del 22/11/2017 in ordine alla rinuncia operata dal P.M. all’audizione della teste NOME COGNOME (sorella dell’imputato è figlia della persona offesa, nonché testimone oculare di ogni accadimento), il primo giudice revocava l’ordinanza ammissiva della predetta prova dibattimentale reputandola paradossalmente “superflua e ridondante”. Tale decisione appare, perciò, in evidente contrasto con quanto prevede il comma 4 bis dell’articolo 495 cod. proc. pen., secondo cui “nel corso dell’istruzione dibattimentale ciascuna delle parti può rinunziare, con il consenso dell’altra parte, all’assunzione delle prove ammesse a sua richiesta”.
2.5 Con il quinto motivo eccepisce la violazione dell’articolo 606, comma 1, lett. B) – E) cod. proc. pen. per l’omessa considerazione della remissione ed accettazione di querela relativa al capo B) dell’imputazione, rilevando che tale atto era già presente nel fascicolo all’attenzione della Corte di appello. In ogni caso si allega al presente ricorso il verbale di remissione ed accettazione della querela sottoscritto rispettivamente da NOME COGNOME e dal ricorrente in data 03/09/2016 presso i Carabinieri di Lucera. Di conseguenza la sentenza impugnata va sicuramente annullata in relazione alla condanna per il delitto di lesioni volontarie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente al quinto motivo, mentre gli altri motivi sono ritenuti infondati o inammissibili, come di seguito verrà esposto.
Con riferimento al primo motivo di ricorso si ritiene che esso sia infondato. Sul punto va evidenziato che effettivamente il capo A) di imputazione, ai fini della tentata estorsione, descrive solo la condotta minacciosa di NOME COGNOME nei confronti della persona offesa e non anche la condotta violenta contestata al capo B), ma tale omissione non integra l’eccepita violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. in relazione alla condanna per tentata estorsione commessa con violenza e minaccia in danno del padre NOME COGNOME. Al riguardo va richiamata la costante giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio intende ribadire, secondo cui:” In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi
essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa, sicché l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’uiter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione” (si veda per ultima Sez. 3, n.24932 del 10/02/2023, Rv. 28484604). In altre parole, ciò che rileva è l’effettiva violazione del diritto di d derivante dalla discordanza tra contestazione e decisione, che va valutata di volta in volta, al di là del dato meramente formale.
Nel caso di specie, si rileva che le due imputazioni, tentata estorsione e lesioni personali, seppure non formalmente connesse in assenza della contestazione dell’aggravante di cui all’art. 61, n.2, cod. pen. come rilevato dalla Corte di appello, risultano in ogni caso legate dall’unica indicazione del luogo e data degli illecit contenuta nella parte finale dell’imputazione, ove si contesta che si tratta di “Fatti commessi in Lucera il 28.03.2016”. Del resto, la denuncia/querela presentata dalla persona offesa non lasciava dubbio alcuno in ordine al fatto che le lesioni di cui al capo B) erano state cagionate nell’ambito della condotta estorsiva di cui al capo A), e non certo in altro ed autonomo evento. Risulta, inoltre, inconfutabile che il dibattimento nel contradditorio delle parti ebbe ad oggetto la tentata estorsione commessa con violenza fisica e minaccia nei confronti della persona offesa (che poi si recò al pronto soccorso di Lucera), come risulta dalle testimonianze di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, anch’egli presente ai fatti. Ne consegue che nessuna lesione al diritto di difesa è configurabile in concreto, dato che l’imputato ben conosceva, già dalla lettura della denuncia, quali fossero le accuse a suo carico. Ulteriore riprova di tale conclusione si ricava anche dall’atto di appello, nel quale non si menziona l’eventuale violazione dell’art. 521 cod. pen. con riferimento alla condanna emessa dal giudice di primo grado per la tentata estorsione con violenza e minaccia; tale eccezione, che avrebbe dovuto assumere rilevanza primaria nell’atto di impugnazione, è stata, invece, introdotta nel giudizio di appello solo con i motivi aggiunti.
L’affermazione che la condotta estorsiva fu consumata anche con violenza fisica in danno del padre, rende inoperante la causa di non punibilità prevista dall’art. 649
cod. pen.. In un caso del tutto analogo, la Suprema Corte ha, infatti, di recente affermato in massima, il seguente principio: “La disposizione di cui all’ultimo comma dell’art. 649 cod. pen., che esclude l’operatività della causa di non punibilità prevista per i reati contro il patrimonio commessi fra determinate categorie di familiari quando vi sia stato impiego di violenza alla persona, si applica anche ai delitti tentati e non solo a quelli consumati. (Fattispecie in tema di tentat estorsione ai danni del padre dell’imputato)” (cfr. Sez.2, n.43066 del 19.09.2023, Rv. 285147-01; in precedenza Sez. 2, n.53631 del 17.11.2016, Rv.268712-01). Questo Collegio intende conformarsi a tali consolidati principi, ragion per cui, anche con riferimento a questa deduzione, il motivo di ricorso va respinto.
3. Con riguardo invece ai motivi due e tre, si afferma la loro inammissibilità. Deve essere preliminarmente evidenziato che la sentenza di appello oggetto di ricorso in relazione al reato di truffa costituisce una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d’appello a quella del Giudice per le indagini preliminari, sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 2, n.33588 del 13.07.2023, COGNOME, n.m.; Sez. 2, n. 6560 del 8/10/2020, COGNOME, Rv. 280654 – 01). Va, altresì, evidenziato che la modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge n. 46 del 200 non consente alla Corte di legittimità di sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni processuali possa essere dedotta sotto lo stigma del cosiddetto travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti e sempre che la contraddittorietà dell motivazione rispetto ad essi sia percepibile ictu °culi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze (Sez. 3, n. 18521 dei 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217 – 01; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099 – 01; Sez. 4, n. 35683 del 10/07/2007, Rv. 237652). Questa Corte, infatti, con orientamento (Sez. 2, n. 5336 del 9/1/2018 Rv. 272018; Sez. 6, n. :19710 del 3/2/2009, Rv. 243636) che il Collegio condivide e ribadisce, ritiene che, in presenza della c.d. “doppia conforme”, ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l’affermazione di responsabilità per la tentata estorsione), il vizio di travisamento dei fatti o della prova possa essere rilevato i Corte di Cassazione – copia non ufficiale
sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specific deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato sia stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Invero, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del “devolutum” con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice). Tanto premesso, rileva il Collegio come nel caso in esame non si versi in ipotesi di travisamento dei fatti o della prova nei termini sopra specificati e che, peraltro, la Corte di appello ha fornito adeguate risposte ai motivi di ricorso, enucleando con chiarezza le condotte estorsive dell’imputato. In conclusione, la difesa – più che del travisamento dei fatti e delle prove – si duole del percorso motivazionale seguito dai giudici di merito, che in modo congruo ed esaustivo hanno ritenuto la configurabilità del delitto tentato di cui all’art.629, cod. pen., dichiarando di non condividerlo. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha avuto cura di precisare che nel giudizio di cassazione sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatt posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 2, n. 9106 del 12/2/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01; Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, COGNOME, Rv. 280601 – 01; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4. Il quarto motivo va rigettato richiamando la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui: “In tema di diritto alla prova, ove alla rinuncia di un testimone segua l’opposizione della parte non rinunciante, il giudice è tenuto a valutare la perdurante necessità della audizione del teste già ammesso, tenuto conto dell’efficacia dimostrativa delle prove già assunte, sicché l’eventuale revoca deve essere disposta con ordinanza motivata ai sensi dell’art. 495, comma 4, cod. proc. pen.” (così Sez.2, n.28915 del 24.09.2020, Rv. 279674-01). Nel caso di specie, si evidenzia in primo luogo che la difesa dell’imputato non si oppose
formalmente alla rinuncia dell’audizione della teste NOME COGNOME da parte del P.M., ma si limitò a non “prestare il consenso all’udienza del 22.11.2017 circa la rinuncia operata dal P.M.”come si afferma nel ricorso stesso. In ogni caso, anche a voler interpretare la condotta della difesa come una formale opposizione, l’effetto di tale atto difensivo è solo quello di rimettere al giudice, che deve motivare specificamente sul punto, la valutazione della perdurante necessità dell’audizione del testimone già ammesso. Nel caso di specie i giudici di merito hanno puntualmente motivato, evidenziando che le prove assunte in dibattimento erano certamente idonee ad assumere la decisione sui fatti contestati, e l’ulteriore audizione testimoniale, peraltro della sorella dell’imputato, non presentava profili di necessità. Si tratta di una valutazione spettante ai giudici di merito, che non è sindacabile in sede di legittimità, ove adeguatamente sorretta da motivazione non viziata da manifesta illogicità o contraddittorietà, vizi non riscontrabili in ques procedimento.
Fondato è, invece, il quinto motivo relativo all’avvenuta remissione di querela e successiva accettazione, il cui verbale è stato allegato al ricorso, con conseguente effetto estintivo relativamente al reato di cui all’art. 582 cod. pen. (capo B) dell’imputazione). Per l’effetto, si annulla in parte qua la sentenza impugnata con l’eliminazione della relativa pena di mesi uno di reclusione ed euro 200,00 di multa, confermando per il resto la decisione della Corte di appello di Bari.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato di lesioni di cui al capo B) è estinto per remissione di querela e, per l’effetto, elimina la relativa pena di mesi uno di reclusione ed euro 200,00 di multa; rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma il 24 gennaio 2024
Il Consigliere estensore