Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 44940 Anno 2024
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 44940 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/11/2024
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sui ricorsi proposti nell’interesse di COGNOME NOMECOGNOME nato a Cernusco sul Naviglio il 28/06/1966 NOMECOGNOME nato a Caltanissetta il 05/07/1964 Lecce NOMECOGNOME nato a Manduria il 17/09/1969 COGNOME NOMECOGNOME nato a Milano il 20/03/1993
avverso la sentenza del 22/01/2024 della Corte di appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che tutti i ricorsi siano dichiarati inammissibili;
lette le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME per la parte civile NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi o, in subordine, il loro rigetto, con vittoria di spese, come da nota spese allegata;
letta la memoria di replica degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME per il ricorrente NOME COGNOME che hanno concluso per l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia emessa in data 15 settembre 2022 dal Tribunale di Milano, per quanto qui rileva, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in relazione al delitto di cui al capo 1 (art. 416 cod. pen.), con conseguente rideterminazione della pena, confermando nel resto la condanna del suddetto COGNOME per il reato di cui al capo 26 (artt. 110-629 cod. pen.), di NOME COGNOME per i reati di cui ai capi 12, 31, 37 e 41 (artt. 110-629 cod. pen.), di NOME COGNOME e di NOME COGNOME entrambi per il reato di cui al capo 30 (artt. 110-629 cod. pen.).
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i suddetti imputati, formulando i motivi di censura di seguito sinteticamente esposti, nei termini di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Ricorso di NOME COGNOME
3.1. Violazione di legge in relazione all’art. 525 cod. proc. pen., poichØ il collegio giudicante sarebbe mutato nell’ultima udienza di discussione, secondo quanto evincibile dal relativo verbale, poi corretto a mano, senza però «sigla di conferma».
3.2. Travisamento della prova avente ad oggetto la valutazione degli elementi posti a fondamento alla ribadita sussistenza del vincolo associativo, laddove i giudici di merito ritengono il ricorrente ideatore e fondatore del sistema delittuoso, senza tener conto delle ampie risultanze procedimentali di segno contrario (dichiarazioni di COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e Lecce), ove si collega l’introduzione del nuovo – illecito – metodo di lavoro al passaggio da New Call Center a MAEC, con interruzione nel 2013 dei rapporti tra COGNOME e COGNOME il quale solo successivamente organizzò le telefonate truffaldine ed estorsive.
3.3. Travisamento della prova avente ad oggetto la valutazione della Corte di appello in merito alla cessazione della collaborazione tra COGNOME e COGNOME in senso affatto contrario alle deduzioni espresse nell’atto di gravame, in particolare, per quel che concerne le dichiarazioni rese dal suddetto COGNOME.
3.4. Travisamento della prova avente ad oggetto, per quanto attiene all’estorsione contestata al capo 26, il ruolo asseritamente ricoperto da COGNOME nella formazione dei telefonisti, in relazione alla gestione dei clienti che non intendessero acquistare le riviste.
3.5. Travisamento della prova avente ad oggetto, per quanto attiene all’estorsione contestata al capo 26, in merito alla ribadita affermazione che il denaro versato dalla persona offesa COGNOME fosse confluito nelle casse di RAGIONE_SOCIALE e non delle società che effettuarono le telefonate.
3.6. Travisamento della prova avente ad oggetto, per quanto attiene all’estorsione contestata al capo 26, la lettera di disdetta rinvenuta nella memoria di un computer sequestrato al ricorrente, valorizzata come prova a carico, nonostante in sede di interrogatorio COGNOME avesse precisato di non essere in Italia al momento della creazione del documento digitale (circostanza confermata dalla corrispondenza elettronica rinvenuta nell’ambito della medesima attività perquirente).
3.7. Violazione di legge in relazione all’art. 640 cod. pen. I fatti sarebbero stati erroneamente qualificati come estorsione, laddove la difesa aveva già segnalato l’inidoneità delle pretese minacce ad intimorire i destinatari.
3.8. Violazione di legge in relazione all’art. 62, n. 4, cod. pen. e vizio di motivazione riguardo al mancato riconoscimento del danno di speciale tenuità, in ragione dell’esiguo importo richiesto e delle modalità della condotta (estrinsecatasi in un’unica telefonata), elementi, questi, disattesi dalla Corte di appello, con una motivazione sviluppata per tutti gli imputati in termini completamente generici.
4. Ricorso di NOME COGNOME.
4.1. Violazione di legge in relazione all’art. 110 cod. pen. e vizio di motivazione, in ordine alla affermazione di responsabilità per l’estorsione di cui al capo 30. La Corte territoriale, nonostante specifico motivo di gravame, avrebbe contraddetto le proprie premesse, secondo cui ogni imputato doveva rispondere solo dei reati per i quali era accertata la ricezione del profitto, avuto riguardo all’operare delle varie società in maniera indipendente tra loro e in regime concorrenziale. Difatti, l’istruttoria avrebbe evidenziato come le chiamate provenissero da società non ricollegabili al ricorrente e non sarebbe stata offerta alcuna motivazione in merito alla concreta forma di
manifestazione dell’apporto concorsuale.
4.2. Violazione di legge in relazione all’art. 629 cod. pen. e vizio di motivazione, riguardo alla mancata valutazione (officiosa, poichØ l’intervento della Corte costituzionale era intervenuto successivamente alla proposizione dell’appello) dell’applicabilità dell’attenuante della lieve entità, a fronte di un profitto lordo di euro 90,00.
5. Ricorso di NOME COGNOME.
5.1. Violazione di legge in relazione degli artt. 2639 cod. civ. e 110-629 cod. pen., riguardo alla qualifica di amministratore di fatto di RAGIONE_SOCIALE, riconosciuta dai giudici di merito esclusivamente in forza dell’accertata disponibilità in capo all’imputato di documenti amministrativi e contabili della suddetta società e di una carta di credito aziendale. La Corte di appello sull’incongruo presupposto che, nel caso di specie, il soggetto si era avvalso di una struttura societaria per il compimento di ordinarie condotte illecite, non annoverabili tra i delitti fiscali o fallimentari – avrebbe irritualmente disatteso le deduzioni difensive che richiamavano l’orientamento giurisprudenziale che, in applicazione della disciplina civilistica, imponeva l’accertamento di un’effettiva attività gestoria, con esercizio continuativo e significativo dei poteri propri dell’organo amministrativo. D’altronde, difetterebbe qualsiasi ulteriore elemento da cui desumere una condotta concreta causalmente rilevante.
5.2. Motivazione meramente apparente, riguardo alla affermazione di responsabilità, poichØ la qualità di amministratore di fatto, con stereotipata adesione alle conclusioni del Tribunale, sarebbe desunta da elementi probatoriamente neutri (la disponibilità di documentazione societaria, ivi compreso il codice Iban di uno dei conti correnti di RAGIONE_SOCIALE, e di una carta di credito aziendale), sulla base di pretese massime di esperienza, concretamente inconferenti, dal momento, in particolare, che la carta di credito era di esclusivo utilizzo di Lecce per spese private.
5.3. Violazione di legge in relazione agli artt. 629 e 640 cod. pen. e vizio di motivazione, riguardo all’inquadramento della vicenda nel delitto di estorsione, invece che in quello di truffa (nel qual caso, peraltro, il reato sarebbe già prescritto). In primo luogo, mancherebbe un’effettiva motivazione in punto di ricostruzione del fatto, posto che la Corte di appello avrebbe fondato le proprie conclusioni sulle dichiarazioni di NOME COGNOME, presunta persona offesa e in realtà del tutto estraneo al delitto contestato, commesso, invece, in ipotesi, in danno di NOME COGNOME In ogni caso, avuto riguardo alla preesistenza di un accordo contrattuale tra le parti, la prospettazione di un’eventuale azione esecutiva non potrebbe ricondursi alla rappresentazione di un male ingiusto direttamente proveniente dall’agente e idoneo a coartare il destinatario (ciò che, secondo la giurisprudenza di legittimità, distingue le due fattispecie).
5.4. Violazione di legge in relazione all’art. 629 cod. pen., in ordine alla mancata valutazione della ricorrenza dell’attenuante pretoria della lieve entità, avuto riguardo alla tenuità del nocumento patrimoniale e all’occasionalità della condotta, consistita in un unico e risalente episodio.
5.5. Violazione di legge in relazione all’art. 62, n. 4, cod. pen. e vizio di motivazione riguardo al mancato riconoscimento dell’attenuante in parola, in presenza dei due presupposti tradizionalmente richiesti della tenuità del pregiudizio strettamente economico (euro 90,00, richiesti a una società di capitali) e di quello di ordine morale (dato che le molestie telefoniche a cui fa riferimento la Corte di appello, sarebbero precedenti e distinte dalla condotta propriamente estorsiva). In ogni caso, tali condotte moleste non sarebbero attribuibili al ricorrente.
6. Ricorso di NOME COGNOME.
6.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 234 e 526 cod. proc. pen., essendo stati acquisiti e utilizzati per la decisione manoscritti privi di certezza in ordine all’identità dell’estensore.
6.2. Violazione di legge in relazione all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. e mancanza della motivazione riguardo alla ribadita affermazione di responsabilità in ordine ai reati di cui ai capi 1213-37 e 41, poichØ i giudici di appello si sarebbero limitati a condividere acriticamente le conclusioni del Tribunale, senza contrastare le specifiche censure contenute nell’atto di gravame. In particolare, sarebbe stato attribuito il valore di prova decisiva al mero modus operandi , quale operatore telefonico (neppure particolarmente persuasivo), laddove, invece, non emergerebbe alcun elemento relativo alle specifiche condotte oggetto delle quattro contestazioni e neppure sarebbero stati espletati accertamenti tecnici sulla piattaforma in uso al ricorrente.
6.3. Violazione di legge in relazione all’art. 640 cod. pen., riguardo alla mancata riqualificazione dei fatti nel delitto di truffa. Nella sentenza impugnata, tale questione, sollevata nell’atto di appello, sarebbe stata disattesa con poche, insufficienti parole, trascurando il fatto che, pur ipotizzando una responsabilità concorsuale, nell’incertezza dell’effettivo apporto offerto dal ricorrente, non potrebbe escludersi una condotta meramente decettiva.
6.4. Violazione di legge in relazione all’art. 62, n. 4, cod. pen. e vizio di motivazione, riguardo al mancato riconoscimento del danno di speciale tenuità, tenuto conto dell’esiguità del lucro (di cui, peraltro, COGNOME tratteneva per sØ soltanto la metà).
Erroneità degli aumenti computati a titolo di continuazione in relazione al delitto di cui al capo 41, poichØ la Corte di appello, essendo contestati tre pagamenti, aveva ritenuto integrati tre distinti reati di estorsione, nonostante la difesa avesse sottolineato come le dazioni derivassero da un’unica e continua determinazione.
Si Ł proceduto con trattazione scritta, ai sensi dell’art. 23, comma 8, decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato, da ultimo, dall’art. 11, comma 7, decreto-legge 30 dicembre 2023, n. 215, convertito con modificazioni dalla legge 23 febbraio 2024, n. 18).
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.
Quanto, innanzitutto, alla doglianza articolata nel ricorso di COGNOME in ordine alla partecipazione alla deliberazione di giudici non presenti al dibattimento occorre distinguere, non avendolo fatto il ricorrente, tra i due delitti oggetto di contestazione, previa sintetica ricostruzione della vicenda processuale.
2.1. Si nota, preliminarmente, come l’intestazione della sentenza impugnata riportasse che la Terza Sezione Penale della Corte di appello di Milano era costituita dalla presidente NOME COGNOME e dai consiglieri NOME COGNOME e NOME COGNOME.
I verbali delle due udienze di secondo grado (a cui questa Corte ha accesso, quale giudice del fatto processuale) riportano che l’organo giudicante era, invece, composto dalla presidente NOME COGNOME e dai consiglieri NOME COGNOME e NOME COGNOME. In particolare, nel verbale dell’udienza del 22 gennaio 2024, il nome della dottoressa COGNOME era stato inserito a penna, in luogo della precedente indicazione del nominativo del dottor COGNOME, pur senza che la correzione fosse corredata da una firma di approvazione.
2.2. In primo luogo, il principio di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità sancito dall’art. 129 cod. proc. pen. impone che, nel giudizio di cassazione, qualora ricorrano contestualmente una causa estintiva del reato e una nullità processuale assoluta e insanabile, sia data prevalenza alla prima, salvo che l’operatività della causa estintiva non presupponga specifici
accertamenti e valutazioni riservati al giudice di merito, nel qual caso soltanto assumerebbe rilievo pregiudiziale la nullità, in quanto funzionale alla necessaria rinnovazione del relativo giudizio (Sez. U, n. 17179 del 27/02/2002, Conti, Rv. 221403-01; Sez. 2, n. 1259 del 26/10/2022, COGNOME, Rv. 284300-01 sottolinea l’evidente inutilità processuale dell’eventuale annullamento, non potendo il giudizio utilmente proseguire, stante la prescrizione del reato).
L’eccezione difensiva si dimostra, pertanto, non sorretta da un interesse concreto e attuale, per quanto attiene al capo 1, in ordine al quale Ł già stata accertata l’intervenuta prescrizione.
2.3. Orbene, per quanto attiene invece al capo 26, ritiene il Collegio, in continuità con i precedenti sul punto di questa Corte regolatrice, che, in caso di contrasto, in merito alla composizione del giudice collegiale, tra il contenuto del verbale di udienza e l’intestazione della sentenza debba darsi prevalenza al primo, che gode di fede privilegiata fino a querela di falso; il refuso contenuto in sentenza Ł, dunque, emendabile con il rimedio della correzione dell’errore materiale (cfr. Sez. 5, n. 2809 del 12/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262587-01; Sez. 2, n. 32991 del 24/06/2011, V., Rv. 251350-01; nonchØ le risalenti Sez. 2, n. 3266 del 21/11/1983, dep. 1984, COGNOME, Rv. 163611-01, e Sez. 6, n. 4684 del 10/03/1972, COGNOME, Rv. 121470-01. Nella medesima ottica, Sez. 3, n. 3585 del 13/11/2018, dep. 2019, F., Rv. 275831-01, ha condivisibilmente affermato come anche l’errata indicazione delle conclusioni delle parti nell’intestazione della sentenza non comporti alcuna nullità del provvedimento). Resta, invero, sempre attuale l’insegnamento per cui occorre distinguere tra sentenza-decisione e sentenza-documento: quest’ultima compendia i requisiti di documentazione della decisione e cioŁ contiene la intestazione, le generalità dell’imputato, l’oggetto della imputazione e la esposizione del fatto, i motivi della decisione e dei titoli di reato, e riferisce, infine, il dispositivo letto in udienza (Sez. 6, n. 398 del 12/06/1990, dep. 1991, ScirŁ, Rv. 18621501).
2.4. Nulla, d’altronde, deduce il ricorrente in merito a un’ipotetica effettiva diversa composizione della Corte di appello o all’estraneità alla decisione del magistrato sottoscrittore, non articolando formali doglianze in ordine alla falsità del suddetto verbale (Sez. 5, n. 29655 del 19/05/2023, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284848-01). Sarebbe, d’altro canto, inammissibile la correzione, nelle forme di cui all’art. 130 cod. proc. pen., di un errore materiale ipoteticamente contenuto nel solo verbale di udienza e non risultante nel conseguente provvedimento giurisdizionale (Sez. 3, n. 45251 del 09/02/2016 Agostinelli Rv. 268055-01).
Peraltro, dall’indicazione, nell’intestazione della sentenza, dei nominativi di magistrati diversi da quelli che hanno deliberato, quale mero errore materiale, non deriverebbe alcuna nullità, ove la sentenza fosse sottoscritta dai componenti del collegio giudicante correttamente indicati nel verbale di udienza, (Sez. 5, n. 4530 del 10/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283964-01). Nel caso di specie, la sottoscrizione Ł stata apposta unicamente dal presidente estensore.
2.5. Il primo motivo del ricorso di COGNOME Ł, dunque, non consentito, generico e manifestamente infondato.
Quanto alle molteplici doglianze del medesimo COGNOME in ordine ad asseriti travisamenti della prova, giova preliminarmente osservare come, nel caso di cosiddetta ‘doppia conforme’, ovvero di una doppia pronuncia di merito di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l’affermazione di responsabilità), un simile vizio, derivante dall’utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o dall’omessa valutazione di una prova decisiva, possa essere dedotto con il ricorso per cassazione solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato Ł stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiamando dati probatori non esaminati dal primo giudice (Sez. 3,
n. 45537 del 28/09/2022, S., Rv. 283777-01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217-01; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258438-01).
3.1. Alla luce di questa necessaria premessa, nel caso di specie, il secondo, il terzo, il quarto, il quinto e il sesto motivo del ricorso di COGNOME devono ritenersi non deducibili, essendo precluso a questa Corte di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (cfr. Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370-01, secondo cui il vizio di ‘contraddittorietà processuale’ – o ‘travisamento della prova’ – vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l’eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di ‘fotografia’, neutra e avalutativa, del ‘significante’, ma non del ‘significato’, atteso il persistente divieto di rilettura e di reinterpretazione nel merito dell’elemento di prova. In termini, anche Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217-01; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099-01).
Peraltro, nel giudizio di cassazione, relativo a sentenza che ha dichiarato la prescrizione del reato (come nel caso di specie per quanto attiene al capo 1), non sono rilevabili neppure vizi di motivazione della decisione impugnata (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217-01, in motivazione; Sez. F, n. 50834 del 04/09/2014, COGNOME, Rv. 261888-01; Sez. 2, n. 2545 del 16/10/2014 dep. 2015 Riotto Rv. 262277-01; Sez. 6, n. 23594 del 19/03/2013, COGNOME, Rv. 256625-01).
3.2. In realtà, con la formula del travisamento della prova, il ricorrente mira in concreto soltanto a confutare il discorso giustificativo della decisione, onde sovrapporre una diversa e piø favorevole valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito.
Le due sentenze di merito – che, per espressa condivisione dei giudici di appello (cfr. p. 12) costituiscono un unicum motivazionale – hanno ben chiarito il ruolo apicale di NOME COGNOME nell’articolata organizzazione dedita, sotto la copertura di un’ordinaria attività di telemarketing avente ad oggetto prodotti editoriali in apparenza riconducibili ai sindacati di categoria delle Forze dell’Ordine o comunque ad ambiti istituzionali, a indurre in errore i soggetti contattati, ingenerando l’errore su un inesistente vincolo contrattuale all’acquisto, nonchØ costringendo la volontà dei dissenzienti, mediante la prospettazione di azioni giudiziarie ed esecutive; il ricorrente era colui che, insieme a NOME COGNOME aveva ideato ab origine il sistema criminale e aveva continuato a dirigere le attività truffaldine ed estorsive dei telefonisti sino all’intervento degli inquirenti (pp. 1-3, 12-17, sentenza di appello; pp. 50-82, sentenza di primo grado). Quanto all’estorsione contestata sub 26, la persona offesa COGNOME era stata raggiunta da numerose e insistenti telefonate che gli imponevano il pagamento di una penale, per poter recedere da un abbonamento in realtà mai formalizzato, minacciando altrimenti di procedere al recupero coattivo delle somme richieste. I versamenti furono effettuati in favore di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE società titolari anche delle utenze e dei recapiti indicati nelle ricevute e che avevano annotato nella propria documentazione anche la ‘pratica Angeletti’. La qualità di amministratore di fatto, oltre che di socio, di RAGIONE_SOCIALE in capo a COGNOME risulta indubitabile, a fronte delle moltissime dichiarazioni in tal senso, della cospicua documentazione sequestrata e della rilevata presenza in loco al momento della perquisizione. Il suo apporto alla perpetrazione del reato discende da tale posizione, estrinsecatasi anche nelle minuziose direttive impartite al personale del call center per truffare gli ignari interlocutori o per coartare la loro volontà (pp. 1-3, 12-17, sentenza di appello; pp. 17-18, sentenza di primo grado) In tal modo risultano, altresì, implicitamente disattese tutte le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata. Invero, il giudice del gravame non Ł tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le allegazioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente
che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del proprio convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo (Sez. 6, n. 34532 del 22/06/2021, COGNOME, Rv 281935-01; Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, COGNOME, Rv. 254107-01).
Le censure in esame – oltre che insuperabilmente generiche, in quanto avulse dall’effettivo tenore dell’apparato motivazionale – non sono, comunque, consentite in questa sede, a fronte di tale congruo percorso argomentativo, non inciso da illogicità o contraddittorietà e coerente con la piattaforma probatoria, poichØ il giudice della legittimità deve limitarsi a verificare l’adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si Ł avvalso per giustificare il suo convincimento.
Per quanto concerne la corretta sussunzione dei fatti nella fattispecie di cui all’art. 629 cod. pen. (questione comune al settimo motivo del ricorso di COGNOME, al terzo motivo del ricorso di Lecce e al terzo motivo di COGNOME), Ł assodato nella giurisprudenza di questa Corte regolatrice che il criterio distintivo tra il delitto di estorsione mediante minaccia e quello di truffa cosiddetta vessatoria consiste nel diverso atteggiarsi del pericolo prospettato: si ha truffa, aggravata ai sensi dell’art. 640, secondo comma, n. 2, cod. pen., quando il danno viene prospettato come possibile ed eventuale e mai proveniente direttamente o indirettamente dall’agente, di modo che la persona offesa non Ł coartata nella sua volontà, ma si determina all’azione od omissione versando in stato di errore; ricorre, invece, il delitto di estorsione, quando viene prospettata l’esistenza di un pericolo reale di un accadimento, il cui verificarsi Ł attribuibile, direttamente o indirettamente, all’agente ed Ł tale da non indurre la persona offesa in errore, ma, piuttosto, nell’alternativa ineluttabile di subire lo spossessamento voluto dall’agente o di incorrere nel danno minacciato (Sez. 7, ord. n. 11443 del 06/02/2024, Tripoli, non mass.; Sez. 2, n. 25131 del 07/03/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 24624 del 17/07/2020, COGNOME, Rv. 279492-01; Sez. 2, n. 46084 del 21/10/2015, COGNOME, Rv. 265362-01; Sez. 2, n. 7662 del 27/01/2015, COGNOME, Rv. 262574-01).
Inoltre, il Collegio richiama, poi, per condivisione, l’orientamento – esattamente in termini con il caso di specie, come già sommariamente descritto – per cui integra il reato di estorsione, e non quello di truffa, la condotta di chi non si limiti a utilizzare falsa documentazione per sollecitare il pagamento di corrispettivi non dovuti ovvero manifestamente sproporzionati rispetto a quelle dovuti, ma trascenda nell’intimidazione, minacciando di intraprendere azioni legali o di avviare azioni giudiziarie ovvero esecutive (Sez. 2, n. 19680 del 12/04/2022, COGNOME, Rv. 283199-02; Sez. 2, n. 48733 del 29/11/2012, Parvez, Rv. 253844-01).
Le suddette doglianze sono, dunque, manifestamente infondate.
In ordine alla responsabilità concorsuale nel delitto di cui al capo 30 di COGNOME (oggetto del primo motivo del ricorso del suddetto imputato), la Corte di appello ha escluso l’estraneità al reato, sul presupposto che – seppure le svariate telefonate che avevano intimidito la persona offesa NOME COGNOME costringendola al versamento della somma richiesta con la minaccia di agire in executivis , fossero state poste in essere da dipendenti di RAGIONE_SOCIALE, non identificati – la posizione apicale in tale società del ricorrente, organizzatore del sistema di asfissiante teleselling e diretto beneficiario dei profitti delittuosi configurava senza dubbio un consapevole apporto causale, sicuramente rilevante per l’episodio in questione, ai sensi dell’art. 110 cod. pen. (pp. 22-23). Piø ampiamente, il Tribunale aveva a suo tempo chiarito, dopo una completa disamina delle evidenze procedimentali, come, a fronte di modalità operative costantemente replicate nei loro tratti essenziali, appariva dirimente che COGNOME, accomandatario di RAGIONE_SOCIALE, nella incontestata pienezza dei poteri direttivi e gestori,
fosse l’unico delegato ad operare su tutti i conti correnti sociali, dove confluivano i versamenti delle persone offese,
avesse concluso l’acquisto delle riviste oggetto delle truffaldine attività di rivendita,
assumesse e dirigesse gli operatori telefonici e i corrieri (pp. 191-208).
Posto che tale ricostruzione in fatto risulta intangibile nel giudizio di cassazione, le argomentazioni in punto di diritto che ne conseguono sono conformi ai principi di diritto costantemente enunciati da questa Corte: la sussistenza del contributo agevolativo, anche quale istigatore, Ł fatta discendere dalla quotidiana attività di messa a disposizione, direzione e coordinamento della macchina imprenditoriale, avente di fatto soltanto un fine illecito, e il dolo di concorso Ł stato ricavato, non illogicamente, dalla consapevolezza della condotta dei concorrenti, inequivoca, anche alla luce del sistematico conseguimento dell’ingiusto profitto (cfr. Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, COGNOME, Rv. 277773-03, per cui sarebbe, in astratto, sufficiente la mera conoscenza unilaterale dell’azione dei còrrei).
I profili di censura risultano, quindi, generici, non misurandosi con il complessivo tenore della sentenza impugnata, non consentiti, in quanto diretti a sollecitare un’impossibile rilettura delle emergenze istruttorie, e comunque manifestamente infondati.
Per quanto attiene alla responsabilità concorsuale di Lecce nel medesimo delitto di cui al capo 30 (oggetto del primo e del secondo motivo del ricorso del suddetto imputato), richiamando, per quanto rilevante, le considerazioni espresse nel paragrafo precedente, occorre rilevare ulteriormente, in primo luogo, come, nonostante la formale qualità di semplice socio accomandante di RAGIONE_SOCIALE, il ricorrente fosse stato ritenuto anche amministratore di fatto.
L’art. 2639 cod. civ. stabilisce che, per i reati societari previsti dal codice civile, «al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile Ł equiparato sia chi Ł tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione». La nozione di amministratore di fatto, introdotta da tale disposizione, secondo la consolidata giurisprudenza, postula, dunque, l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione. Tuttavia, «significatività e continuità» non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive – in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare – il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, COGNOME, Rv. 256534-01; Sez. 5, n. 43388 del 17/10/2005, COGNOME, Rv. 23245601)» (Sez. 2, n. 36556 del 24/05/2022, COGNOME, Rv. 283850-01. Cfr. anche, in termini, Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, COGNOME, Rv. 277540-01; Sez. 1, n. 18464 del 12/05/2006, COGNOME, Rv. 234254-01. Peraltro, secondo Sez. 5, n. 7824 del 30/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284223-01, la prova della posizione di amministratore di fatto di una società operante al di fuori dell’oggetto sociale, utilizzata come ‘schermo’ per compiere condotte truffaldine, si traduce in quella del ruolo di ideatore e organizzatore dell’indicato sistema fraudolento).
Ciò premesso, i giudici di merito hanno valorizzato (pp. 24-25, sentenza di appello; pp. 202-207, sentenza di primo grado) una serie di circostanze di sicura pregnanza in merito all’attribuzione all’imputato della qualifica di amministratore di fatto di RAGIONE_SOCIALE ed anzi di vero dominus della società e «artefice della politica aziendale», in quanto esercizio in concreto di funzioni gerarchiche e direttive. In particolare, sono stati evidenziati, quali elementi sintomatici di gestione o
cogestione della società,
la documentazione, digitale e cartacea, nella sua disponibilità, rinvenuta presso la sede sociale, dove Lecce aveva un ufficio riservato, inerente l’andamento degli affari, le attività e le provvigioni dei singoli operatori, i margini di guadagno, la corrispondenza con gli ‘abbonati’, un’agenda con i recapiti dei referenti di altri call center , editori e distributori di riviste, i contratti di assunzione e i documenti di identità dei dipendenti, schede riepilogative dell’attività di ciascun operatore telefonico, organizzate come database ;
la documentazione rinvenuta presso l’abitazione del ricorrente (tra cui l’Iban corrispondente a un conto corrente della società, dove transitavano i proventi delle truffe e delle estorsioni a mezzo telefono e su cui poteva operare solo l’accomandatario COGNOME, e un’annotazione manoscritta, interpretata come disposizione impartita a quest’ultimo, affinchØ, come di consueto, azzerasse la provvista disponibile, trasferendola su conti non riconducibili a Nuova Comunicazione);
gli accertamenti bancari che confermavano il costante mantenimento a zero del saldo del conto suddetto, nonostante l’ingente movimentazione di denaro in entrata;
le dichiarazioni di NOME COGNOME che aveva ricordato come Lecce lo avesse, a suo tempo, contattato direttamente per acquistare riviste e rivenderle al pubblico, «quale titolare di concessionaria concorrente»;
la riscontrata inattendibilità di quanto riferito dallo stesso Lecce in sede di interrogatorio (allorquando, ad ogni buon conto, aveva ammesso di avere trattato con RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE Sas la vendita di un periodico);
la documentazione rinvenuta presso queste ultime società, che confermava i rapporti commerciali in questione;
l’utilizzo, infine, di una carta di credito aziendale per sostenere spese, di qualche consistenza, palesemente estranee all’attività sociale (viaggi, vacanze, etc.), senza la minima contestazione da parte del socio accomandatario.
In tal modo, risulta adeguatamente chiarito, nella pienezza della giurisdizione di merito (e, incidentalmente, anche a prescindere dalla patente violazione del divieto di immistione ex art. 2320 cod. civ.), il ruolo organizzativo nella quotidiana gestione dell’attività apparentemente lecita e concretamente delinquenziale, con quanto ne consegue in termini di responsabilità concorsuale, alla luce delle riflessioni piø ampiamente esposte nel paragrafo precedente.
Anche i primi due motivi di impugnazione articolati da Lecce devono, in conclusione, ritenersi non consentiti, generici e, comunque, manifestamente infondati.
Il primo motivo del ricorso di COGNOME risulta meramente reiterativo e oltremodo generico.
La sentenza impugnata – p. 20 – aveva correttamente rilevato come le perplessità sulla genuinità dei documenti manoscritti fossero del tutto generiche, dal momento che il Tribunale aveva già fatta salva per ciascun documento la valutazione specifica in ordine alla sua provenienza e nessun rilievo era stato poi mosso dall’appellante riguardo all’origine o al contenuto delle singole carte acquisite.
Non solo tale completa vaghezza permane anche in questa sede, ma, secondo il costante orientamento di legittimità, quando il ricorso lamenti l’inutilizzabilità di uno specifico elemento a carico, il motivo di ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità per difetto di specificità, l’incidenza dell’eventuale espunzione di questo elemento, alla luce del criterio della cosiddetta ‘prova di resistenza’ delle residue emergenze; queste ultime, di per sØ sole, ben potrebbero risultare sufficienti – all’esito di verifiche di natura schiettamente fattuale – a giustificare il medesimo convincimento, di modo che la questione diverrebbe del tutto irrilevante (Sez. 5, n. 31823 del 06/10/2020, COGNOME, Rv. 279829-01; Sez. 2, n. 30271 del 11/05/2017, COGNOME, Rv. 27030301; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269218-01). A fronte della
eterogenea composizione della piattaforma indiziaria, come meglio illustrata infra , emerge, dunque, anche tale ulteriore profilo di aspecificità.
Fermo restando che, in tema di ricorso per cassazione, non Ł consentito il motivo con cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova, restando invalicabili i limiti all’ammissibilità delle doglianze inerenti alla motivazione fissati dall’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen. (cfr., conclusivamente, Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027-04), il secondo, articolato motivo del ricorso di COGNOME risulta esclusivamente diretto a sollecitare una diversa valutazione delle risultanze istruttorie.
8.1. Innanzitutto, la Corte milanese, lungi dall’appiattirsi acriticamente sul percorso argomentativo del Tribunale, ha affermato preliminarmente – p. 12 – che, condividendo appieno le ragioni della sentenza appellata «sia in ordine alla ricostruzione dei fatti che alla valutazione delle risultanze istruttorie», ne avrebbe richiamato le riflessioni nella loro integralità, onde poi offrire risposta ai motivi di gravame. La premessa Ł del tutto corretta e impermeabile alle perplessità della difesa. Ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, come accennato, ricorre la cosiddetta ‘doppia conforme’ quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (cfr., di recente, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv 25759501).
8.2. Per quanto attiene alle estorsioni contestate ai capi 12, 31, 37 e 41, Ł lo stesso ricorso a riassumere nel dettaglio l’apparato argomentativo che sorregge la pronuncia di condanna, dolendosi unicamente dei criteri valutativi (che enfatizzerebbero esclusivamente il consueto modus operandi , anche del ricorrente, ma nulla direbbero sulle specifiche condotte oggetto di imputazione) e della irrilevanza delle dichiarazioni di NOME.
Le doglianze relative a una pretesa insufficienza di puntuali elementi a carico non si misurano minimamente con quanto in effetti illustrato dai giudici di merito, i quali, per quanto attiene al ruolo, penalmente rilevante, svolto dal ricorrente nei singoli episodi, chiariscono, oltre al generale inquadramento delle vicende (ivi compreso il fondamentale inserimento di COGNOME, quale abilissimo intimidatore, nei rodati meccanismi criminali):
quanto all’estorsione ai danni di NOME COGNOME (capo 12), che, tra la documentazione sequestrata, risultava un’annotazione di pagamento, per un importo perfettamente corrispondente alla somma pagata dalla persona offesa, abbinata all’operatore telefonico NOME COGNOME con data compatibile con quella del bonifico (sentenza di primo grado, p. 114);
quanto all’estorsione ai danni di NOME COGNOME (capo 31), che, tra la documentazione rinvenuta nelle memorie digitali di RAGIONE_SOCIALE, risultava l’abbinamento di NOME COGNOME alla suddetta persona offesa e alla somma estorta a quest’ultima, con data compatibile con quella del bonifico (sentenza di primo grado, pp. 215-216);
quanto all’estorsione ai danni di NOME COGNOME (capo 37), che, tra la documentazione rinvenuta nelle memorie digitali in sequestro, risultava l’abbinamento di NOME COGNOME alla suddetta persona offesa e alla somma estorta a quest’ultima, con data compatibile con quella del bonifico (sentenza di primo grado, p. 265);
quanto all’estorsione ai danni di NOME COGNOME (capo 41), che, tra la documentazione sequestrata presso la postazione di NOME COGNOME, erano presenti appunti in cui compariva, tra i clienti contattati, la suddetta persona offesa, con indicazione delle somme versate, compatibili per data e per importo con quanto registrato sui database della società (sentenza di primo grado, pp. 282-283).
8.3. In ordine, infine, alle stringate e generiche censure inerenti l’interpretazione della narrazione di NOME (in ordine al quale la Corte territoriale – p. 13 – aveva, in altra occasione, invitato a una sua lettura complessiva e non parcellizzata), basti notare come la valutazione della attendibilità del dichiarante rappresenti una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni ( ex plurimis , Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008, De Ritis, Rv. 240524-01).
8.4. Tutti i profili di censura risultano, pertanto, non consentiti, aspecifici e manifestamente infondati.
Quanto al mancato riconoscimento della lieve tenuità dell’estorsione, in risposta al secondo motivo del ricorso di COGNOME e al quarto motivo del ricorso di Lecce, può osservarsi come, con sentenza n. 120 del 15/06/2023 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 21/06/2023, n. 25), la Corte costituzionale abbia dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 629 c.p. – per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., assorbita la censura di cui al primo comma dello stesso art. 27 – «nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata Ł diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità». Gli indici dell’attenuante di l i e ve entità, nella ricostruzione della Corte costituzionale, devono così individuarsi nell’estemporaneità della condotta, nella scarsità dell’offesa personale alla vittima, nell’esiguità delle somme estorte e nell’assenza di profili organizzativi.
Posto, preliminarmente e in via assorbente, che la questione non Ł stata minimamente sollevata dagli imputati in sede di discussione (nonostante la già sopravvenuta efficacia del novum normativo), di modo che la Corte di merito non può reputarsi inottemperante ai propri doveri motivazionali, la rilevante offensività del fatto Ł stata, in ogni caso, ripetutamente stigmatizzata nei precedenti gradi di giudizio, sottolineando – per quanto qui rileva – la callidità e la complessità dell’architettura organizzativa e la professionale e seriale reiterazione dell’azione criminale, elementi ostativi al riconoscimento dell’attenuante, anche a prescindere dall’entità dei profitti.
I motivi sono, dunque, manifestamente infondati.
L’ottavo motivo del ricorso di COGNOME, il quinto motivo del ricorso di Lecce e il quarto motivo del ricorso di COGNOME, tutti inerenti – con vario grado di specificità – la mancata applicazione della circostanza di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen., possono essere trattati congiuntamente.
La Corte di appello, effettuando una valutazione globale dei fatti, ha tenuto conto, nell’ambito del perimetro cognitivo proprio del giudice di merito e con motivazione affatto congrua, sia della consistenza non irrisoria delle somme estorte, sia degli ulteriori effetti dannosi delle condotte intimidatorie. La conclusione Ł perfettamente allineata alla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, ai fini del riconoscimento dell’attenuante del danno di speciale tenuità in riferimento ai reati di estorsione, la valutazione deve essere complessiva, dovendo riguardare, non solo il danno patrimoniale per la vittima, che deve comunque avere rilevanza minima, ma anche le conseguenze sulla libertà e integrità fisica e morale della vittima, attesa la natura plurioffensiva della fattispecie (Sez. 2, n. 32234 del 16/10/2020, COGNOME, Rv. 280173-01; Sez. 2, n. 46504 del 13/09/2018, B., Rv. 274080-01; Sez. 2, n. 45985 del 23/10/2013, COGNOME, Rv. 257755-01).
Le censure risultano, quindi, meramente rivalutative e manifestamente infondate.
Correttamente, infine, il Tribunale (pp. 283-284, 287) e poi la Corte territoriale (pp. 25-26) hanno rilevato come i fatti contestati al capo 41, come accertati all’esito dell’istruttoria, consistano in tre diverse e autonome sequenze causali e costituiscano pertanto distinte e non sovrapponibili ipotesi di
reato.
Tali riflessioni non risultano incise dalle generiche deduzioni articolate brevemente in calce al quarto motivo di ricorso di COGNOME, prive di concreta correlazione con le ragioni poste a fondamento dalla decisione impugnata, che non superano, siccome aspecifiche in quanto prive di una critica argomentata, la soglia dell’ammissibilità fissata dall’art. 591, comma 1, lett. c) , cod. proc. pen., (cfr. Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286468-01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME Rv. 255568-01).
12. I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili.
12.1. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i profili di colpa emergenti dall’impugnazione (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo.
12.2. I ricorrenti non devono, però, essere condannati al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile COGNOME, dal momento che quest’ultima non ha offerto nessun elemento di dibattito centrato sulle questioni oggetto del ricorso, idoneo a offrire una valida piattaforma argomentativa di contrasto alle avverse ragioni; viceversa, le conclusioni scritte si limitano ad insistere per l’inammissibilità o il rigetto dei ricorsi, nonchØ per la condanna alla rifusione delle spese legali della persona offesa.
Nel giudizio di legittimità, infatti, quando il ricorso dell’imputato viene rigettato o dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, la parte civile ha diritto di ottenere la liquidazione delle spese processuali, senza che sia necessaria la sua partecipazione all’udienza, purchØ abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un’attività diretta a contrastare l’avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione (cfr. Sez. 4, n. 36535 del 15/09/2021, A., Rv. 281923-01; Sez. 3, n. 27987 del 24/03/2021, G., Rv. 281713-01; Sez. 2, n. 12784 del 23/01/2020, COGNOME, Rv. 278834-01).
P.Q.M
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. rigetta la richiesta di liquidazione delle spese avanzata dalla parte civile COGNOME.
Così Ł deciso, 13/11/2024
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME