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Estorsione sul lavoro: quando non è reato

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per estorsione sul lavoro a carico di un datore di lavoro. La Corte ha stabilito che non si configura il reato se la proposta di rinunciare a parte della retribuzione in cambio dell’assunzione viene fatta a un candidato disoccupato. Secondo i giudici, in questa fase “genetica” del rapporto, manca l’elemento del danno per la vittima, poiché la sua alternativa sarebbe quella di rimanere disoccupata, una condizione non peggiorativa rispetto a un lavoro sottopagato.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Estorsione sul Lavoro: Non è Reato se la Minaccia Avviene Prima dell’Assunzione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 6591/2024) ha fornito un chiarimento fondamentale sui confini del reato di estorsione sul lavoro. La Corte ha stabilito che la condotta del datore di lavoro che, al momento dell’assunzione, propone a un candidato disoccupato l’alternativa tra accettare una retribuzione parziale o perdere l’opportunità, non integra il reato di estorsione. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Una Proposta di Lavoro Condizionata

Il caso riguardava un’imprenditrice condannata in primo e secondo grado per estorsione e minaccia. L’accusa si basava sul fatto che l’imprenditrice assumeva nuovi dipendenti solo a condizione che questi accettassero di restituirle una parte dello stipendio che sarebbe stato formalmente loro corrisposto. La proposta avveniva durante la fase di selezione, quando i candidati si trovavano in uno stato di disoccupazione e, come dichiarato da un testimone, avevano “bisogno di lavorare”.

La Decisione della Cassazione sull’Estorsione sul Lavoro

Contrariamente ai giudici di merito, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di condanna per il reato di estorsione, affermando che “il fatto non sussiste”. I giudici supremi hanno basato la loro decisione su un consolidato orientamento giurisprudenziale che distingue nettamente tra le minacce poste in essere prima della costituzione del rapporto di lavoro e quelle che intervengono durante lo svolgimento dello stesso.

Le Motivazioni: L’Assenza del Danno Giuridico

Il cuore della motivazione risiede nella disamina degli elementi costitutivi del reato di estorsione previsto dall’art. 629 del codice penale: l’ingiusto profitto per l’autore del reato e il danno per la vittima. La Corte ha riconosciuto che il datore di lavoro ottiene un “ingiusto profitto”, rappresentato dal conseguimento di prestazioni d’opera sottopagate.

Tuttavia, secondo la Corte, manca l’elemento del “danno”. Quando la proposta viene fatta a un aspirante lavoratore disoccupato, l’alternativa che gli si prospetta è tra ottenere un impiego (seppur sottopagato) e rimanere nella sua preesistente condizione di disoccupazione. L’accettazione dell’offerta, quindi, non determina un peggioramento della sua situazione patrimoniale, ma semmai un’opportunità di reddito che altrimenti non avrebbe avuto. In questo contesto, la minaccia di non essere assunti non lede un bene giuridico già presente nel patrimonio del candidato, ma incide sulla mera aspettativa di ottenere un lavoro. Di conseguenza, non si può configurare il danno patrimoniale richiesto dalla norma sull’estorsione.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ribadisce un principio cruciale: per aversi estorsione sul lavoro, la minaccia deve ledere una posizione giuridica già acquisita dal lavoratore. Il caso è radicalmente diverso da quello in cui un datore di lavoro minaccia di licenziare un dipendente già assunto se non accetta una riduzione dello stipendio. In quest’ultima ipotesi, il danno è evidente e consiste nella perdita di un posto di lavoro e di un reddito stabili, configurando pienamente il reato di estorsione.
La decisione, pur assolvendo l’imputata dal reato più grave, non legittima tali pratiche, che restano moralmente riprovevoli e potenzialmente sanzionabili sotto altri profili giuridici. Tuttavia, dal punto di vista penale, la Corte di Cassazione ha tracciato una linea netta: la minaccia estorsiva si configura solo quando va a intaccare un diritto già esistente, non una semplice speranza o opportunità futura.

Chiedere a un candidato di restituire parte dello stipendio per essere assunto è estorsione?
No. Secondo la sentenza in esame, se questa richiesta avviene nella fase di assunzione nei confronti di una persona disoccupata, non si configura il reato di estorsione perché manca l’elemento del danno patrimoniale per la vittima, la cui alternativa sarebbe rimanere senza lavoro.

Qual è la differenza tra una minaccia prima e durante il rapporto di lavoro ai fini dell’estorsione?
La differenza è cruciale. Prima dell’assunzione, la minaccia di non assumere un disoccupato non lede un suo diritto acquisito. Durante un rapporto di lavoro esistente, invece, la minaccia di licenziamento per costringere il dipendente ad accettare condizioni peggiorative causa un danno evidente (la perdita del lavoro) e configura il reato di estorsione.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la condanna per estorsione?
La Corte ha annullato la condanna perché, pur riconoscendo l’ingiusto profitto del datore di lavoro, ha ritenuto insussistente l’elemento del danno per la vittima. Passare da uno stato di disoccupazione a un lavoro, seppur sottopagato, non costituisce un peggioramento giuridicamente rilevante della situazione patrimoniale del lavoratore, necessario per integrare il reato di estorsione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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