Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 34478 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 34478 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/10/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
NOME n. a Salerno il DATA_NASCITA
avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia in data 14/1/2025
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del AVV_NOTAIO;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria di replica a firma dei difensori dell’imputato in data 24/09/2025.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza la Corte di Appello di Brescia confermava la decisione del Tribunale di Bergamo che, in data 16 aprile 2024, aveva dichiarato COGNOME NOME colpevole
dei delitti di estorsione, consumata e tentata, condannandolo alla pena di anni cinque, mesi nove di reclusione ed euro 1900,00 di multa nonché al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili.
Hanno proposto ricorso per cassazione i difensori dell’imputato, AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, i quali hanno dedotto i motivi di seguito riportati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, a norma dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione dell’art. 629 cod. pen. e correlato vizio della motivazione.
I difensori lamentano che la sentenza impugnata non ha tenuto conto della circostanza che alla firma del verbale di conciliazione sindacale in data 22/11/2017 l’imputato non era presente, come riferito dai testi COGNOME, COGNOME e COGNOME cui la Corte territoriale non fa alcun cenno. Risulta, inoltre, contraddittoria la motivazione resa in ordine alla dedotta totale assenza di poteri in capo al ricorrente, definito quale longa manus dei suoi superiori COGNOME e COGNOME che, tuttavia, sono stati assolti dagli addebiti concorsuali elevati a loro carico, mentre, con riguardo alla minaccia, non ne risulta chiarito il carattere, se commissivo od omissivo, e verificata l’azionabilità della stessa da parte del prevenuto. I difensori sostengono, altresì, che la Corte di Appello ha ritenuto che il delitto di estorsione ascritto al capo B) si è consumato in epoca anteriore rispetto alla sottoscrizione del verbale di conciliazione sebbene solo con l’assunzione dell’obbligazione si sarebbe verificato il danno patrimoniale per la vittima e non esiste nella specie alcun criterio logico per collegare quanto riferito dai testi fratelli COGNOME all’evento dannoso in questione.
2.2. Mancanza di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità per il delitto di estorsione consumato, non avendo la Corte territoriale considerato le dichiarazioni dei testi NOME e NOME, che avrebbero dovuto indurre ad escludere la colpevolezza del ricorrente, e con riguardo al giudizio di attendibilità delle testi NOME e NOME, avendo la sentenza impugnata omesso di fornire risposta alle doglianze svolte dalla difesa al riguardo.
I difensori sostengono, inoltre, che la Corte di merito non si è fatta carico dei rilievi difensivi in ordine alle dichiarazioni dei testi COGNOME, COGNOME e COGNOME, sebbene di carattere decisivo.
2.3. Violazione degli artt. 629 e 610 cod. pen. e correlato vizio della motivazione. Secondo i difensori, alla luce delle dichiarazioni del teste COGNOME e della natura delle domande formulate nelle cause di lavoro promosse dai dipendenti, deve escludersi la sussistenza nella specie di un danno patrimoniale per i lavoratori in quanto la conciliazione sindacale ha permesso alla CLG di proseguire nella commessa con NIIAG, consentendo la prosecuzione dei rapporti di lavoro. L’assenza di un danno ingiusto avrebbe imposto, in presenza di una minaccia ritenuta giuridicamente rilevante, la riqualificazione ai sensi dell’art. 610 cod. pen.
2.4. Violazione degli artt. 56, 629 cod. pen. e connesso vizio della motivazione. I difensori contestano la qualificazione del foglio esibito dai fratelli COGNOME ai lavoratori quale ‘preaccordo’ e che costoro avessero ricevuto dal COGNOME l’ordine di chiederne la sottoscrizione ai dipendenti pena il licenziamento, essendosi l’imputato limitato a rappresentare le condizioni imposte dalla Niiag.
2.5. Violazione degli artt. 42 e 43 cod. pen. e connesso vizio di motivazione per avere la Corte di merito offerto una motivazione solo apparente riguardo la sussistenza del dolo sebbene l’obiettivo perseguito dal datore di lavoro era quello di poter continuare a lavorare e non di procurarsi profitto in danno dei lavoratori.
2.6. Violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche per avere la sentenza impugnata giustificato la mancata concessione delle circostanze ex art. 62bis cod. pen. con motivazione illogica, svalutando gli elementi richiamati a sostegno della richiesta e valorizzando precedenti assai risalenti nel tempo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi da uno a cinque revocano in dubbio sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione la conferma del giudizio di responsabilità del prevenuto per i delitti ascrittigli ai capi A) e B) della rubrica, deducendo argomenti complementari e in parte sovrapponibili, che ne giustificano la trattazione congiunta con esiti di inammissibilità per genericità e manifesta infondatezza delle censure ivi formulate.
1.1. Deve preliminarmente osservarsi che le doglianze avanzate reiterano quelle già proposte in sede di gravame (analiticamente riassunte dalla sentenza impugnata alle pagg.36) che la Corte territoriale ha scrutinato puntualmente, disattendendole sulla scorta di una motivazione giuridicamente corretta e priva di frizioni logiche. Infatti, i giudici d’appello hanno fornito ampia e persuasiva risposta ai rilievi in ordine al ruolo svolto dai fratelli COGNOME, cui l’imputato aveva demandato il compito di raccogliere adesioni alla proposta conciliativa, sottoponendo ai dipendenti un foglio da sottoscrivere pena il licenziamento, chiarendo che i predetti COGNOME erano stati essi stessi vittime della richiesta estorsiva e che le loro dichiarazioni, intrinsecamente credibili, risultano riscontrate quanto ai contenuti della minaccia dal narrato delle testi NOME e NOME, cui il COGNOME aveva direttamente rivolto la richiesta di formalizzare la rinunzia ai diritti loro spettanti, ivi compreso il trattamento di fine rapporto (pag. 7) per avere assicurata la prosecuzione del rapporto di lavoro.
La sentenza impugnata ha dato, altresì, conto, con motivazione priva di connotati di illogicità manifesta, del rapporto intercorrente tra la prima richiesta di sottoscrizione del foglio di rinunzia, sollecitato ai dipendenti per conto del NOME dai COGNOME, e la successiva
formalizzazione in data 22/11/2017 del verbale di conciliazione, redatto alla presenza di un rappresentante sindacale, la cui sottoscrizione avvenne ad opera di lavoratori già edotti che un eventuale rifiuto avrebbe comportato la perdita dell’occupazione e la successiva preclusione di ogni chiamata diretta da parte della RAGIONE_SOCIALE e delle altre collegate.
Né è censurabile la valutazione dei giudici territoriali circa la sostanziale irrilevanza della mancata presenza del ricorrente all’atto della stipula dei verbali di conciliazione giacché la condotta strumentale minacciosa allo stesso ascrivibile si era già consumata nei giorni precedenti e aveva portato all’immediato allontanamento dei lavoratori che si erano rifiutati di manifestare adesione all’accordo conciliativo prospettato, dando corpo e riscontro all’effettività della minaccia verbale propalata, contrariamente a quanto assume la difesa nel quarto motivo di ricorso con specifico riguardo al capo A).
Analogamente destituito di pregio è il rilievo circa l’asserita consumazione del delitto estorsivo sub B) in epoca antecedente la firma dei verbali conciliativi che integra il danno ingiusto per le vittime delle condotte, non avendo la Corte di merito mai effettuato simile asserzione, limitandosi a sottolineare la proiezione sul momento consumativo delle minacce precedentemente formulate.
La sentenza impugnata ha fornito, inoltre, adeguata e incensurabile risposta ai rilievi in ordine all’asserita assenza di potere in capo al ricorrente per attuare la minaccia di licenziamento, evidenziando che lo stesso era responsabile della gestione del personale della RAGIONE_SOCIALE ed interlocutore diretto dei lavoratori che, per quanto emerso in dibattimento, non avevano invece rapporti con l’amministratore di diritto della RAGIONE_SOCIALE e con il Presidente del RAGIONE_SOCIALE, la cui assoluzione riposa su un deficit probatorio insuscettibile di ricadute sui profili di responsabilità dell’odierno prevenuto.
1.2. Anche le doglianze sviluppate nel secondo motivo sono radicalmente generiche e non consentite in questa sede in quanto fanno leva su una parcellizzata considerazione di alcune testimonianze per sostenere l’assenza di minacce intese alla coartazione dei lavoratori, ovvero per contestare il giudizio di attendibilità delle dichiaranti NOME e NOME o, ancora, per dissentire dal portato ricostruttivo dei fratelli COGNOME, sollecitando una rilettura delle fonti dichiarative in questa sede preclusa a fronte di una trama argomentativa che appare esente da criticità giustificative.
1.3. Le censure relative all’asserito difetto di danno patrimoniale per le vittime e all’invocata riqualificazione ai sensi dell’art. 610 cod. pen. sono anch’esse reiterative e manifestamente infondate. I giudici territoriali hanno fornito risposta ai rilievi difensivi alle pagg. 9-10 segnalando l’assoluta iniquità delle condizioni trasfuse nei verbali di conciliazione, di fatto imposte dall’imputato in assenza di qualsivoglia dialettica contrattuale, che prevedevano la rinunzia dei lavoratori all’esercizio di tutti i loro diritti di natura retributiva e
contributiva derivanti dalla corretta applicazione del contratto di lavoro, secondo quanto emerge dal tenore letterale del ‘verbale di transazione sindacale ex articolo 411 c.p.c.’ riportato a pag. 8 del provvedimento impugnato. Né risponde al vero che alcuno aveva inteso impugnare detto atto, avendo il primo giudice rammentato (pag. 6) che COGNOME NOME si era rivolto ad un avvocato per capire cosa avesse effettivamente firmato (‘poiché nessuno in RAGIONE_SOCIALE forniva delucidazioni’) e impugnarlo ma aveva dovuto recedere perché il COGNOME lo aveva sollecitato a ritirare l’impugnazione, intesa come ‘denuncia contro la RAGIONE_SOCIALE‘, perché altrimenti non avrebbe più lavorato e la stessa sorte sarebbe stata riservata a suo fratello NOME.
A fronte della perfetta integrazione degli elementi costitutivi del delitto di cui all’art. 629 cod. pen., la Corte di merito ha correttamente ritenuto di non poter accedere alla richiesta di riqualificazione nella residuale fattispecie di violenza privata, attese le connotazioni patrimoniali di profitto e danno che caratterizzano le condotte a giudizio.
Risultano aspecifiche ed assertive le censure in punto di dolo alla luce della motivazione rassegnata a pag. 10, che ha legittimamente valorizzato gli elementi fattuali acquisiti in sede processuale per inferirne la piena consapevolezza e volontà dell’agente circa la coartazione delle vittime in vista del conseguimento dell’ingiusto profitto perseguito, in adesione al canone secondo cui la individuazione dell’elemento psicologico del reato va effettuata esaminando le concrete circostanze in cui l’azione è stata attuata, ossia quel complesso di modalità esecutive dalle quali, con processo logico deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva dell’agente (Sez. 6, n. 15971 del 19/09/1990, COGNOME, Rv. 185945 – 01).
Il conclusivo motivo che lamenta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è manifestamente infondato, avendo la Corte territoriale legittimamente valorizzato ai fini del diniego la gravità del fatto, desunta dal numero delle persone offese vittime delle condotte illecite e dalla condizione di particolare vulnerabilità delle stesse nonché i precedenti che militano a carico dell’imputato, ritenendo insuscettibile di fondare il beneficio il consenso prestato dal difensore all’acquisizione di atti procedimentali in quanto frutto di una scelta tecnica, valutazione coerente con il principio affermato da questa Corte secondo cui il consenso all’acquisizione degli atti d’indagine, ai sensi dell’art. 493, comma 3, cod. proc. pen., non costituisce un elemento valorizzabile ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, trattandosi di una estrinsecazione della difesa tecnica riguardo alla strategia nell’acquisizione della prova in sede dibattimentale che non esplica alcun effetto in relazione alla posizione dell’imputato (Sez. 3, n. 19155 del 15/04/2021, O., Rv. 281879 – 03).
Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguenti statuizioni ex art. 616 cod. proc. pen., come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Cosi deciso in Roma il 7 Ottobre 2025
Il Consigliere estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME