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Estorsione: quando non è esercizio di un diritto

La Corte di Cassazione chiarisce la distinzione tra estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Un uomo, agendo su istigazione della compagna, minacciava un terzo per ottenere una somma di denaro. La Corte d’Appello aveva riqualificato il fatto come esercizio arbitrario, ma la Cassazione ha annullato la sentenza, sottolineando che, in assenza di un diritto tutelabile e in presenza di un fine di profitto personale, si configura il più grave reato di estorsione.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Estorsione o Esercizio Arbitrario? La Cassazione traccia il confine

Quando una richiesta di denaro supportata da minacce cessa di essere un tentativo di far valere un proprio diritto e diventa una vera e propria estorsione? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. N. 8317/2024) offre un chiarimento fondamentale su questa distinzione, annullando una decisione della Corte d’Appello che aveva erroneamente riqualificato il reato. Il caso analizza la condotta di una coppia accusata di aver minacciato un uomo per ottenere una somma di denaro, mettendo in luce i criteri per distinguere tra l’illegittima difesa privata di un diritto e il perseguimento di un ingiusto profitto.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine da una relazione complessa tra una donna e un terzo uomo. Secondo la ricostruzione, la donna si era lamentata con il proprio compagno di presunte molestie subite dal terzo. Poco dopo, la donna stessa aveva chiesto alla presunta vittima una somma di 10.000 euro, adducendo come motivazione imprecisate esigenze legate alla morte del nonno. Al rifiuto dell’uomo, era entrato in scena il compagno di lei. Quest’ultimo, il giorno seguente, contattava la vittima e, tramite telefonate e messaggi minatori, gli intimava la consegna della stessa somma, 10.000 euro. La vittima, spaventata, aveva infine consegnato 1.000 euro.

Il Percorso Giudiziario: dall’Estorsione all’Esercizio Arbitrario e Ritorno

In primo grado, il compagno era stato condannato per estorsione, mentre la donna era stata assolta. La Corte di Appello di Bologna, tuttavia, aveva riformato la sentenza, riqualificando il reato in “esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona” (art. 393 c.p.). Questa diversa qualificazione, essendo il reato procedibile a querela, aveva portato a una pronuncia di non doversi procedere per intervenuta remissione. Il Procuratore generale ha però proposto ricorso in Cassazione, ritenendo errata tale riqualificazione.

Le Motivazioni della Cassazione: perché si configura l’estorsione

La Suprema Corte ha accolto pienamente il ricorso del Procuratore, annullando la sentenza d’appello. La motivazione è netta: per configurare il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni è indispensabile la sussistenza di un “preteso diritto”. L’agente deve agire nella convinzione, anche solo putativa, di tutelare un diritto che potrebbe far valere in sede giudiziaria.
Nel caso di specie, secondo la Cassazione, mancavano entrambi i presupposti:
1. Assenza di un “preteso diritto”: Le presunte molestie subite dalla donna non avrebbero potuto generare in capo al compagno un autonomo diritto al risarcimento del danno. Egli non agiva per tutelare un diritto altrui su incarico della titolare, ma per un fine di profitto proprio.
2. Fine di ingiusto profitto: La volontà di conseguire un profitto indebito era evidente. La richiesta di denaro non faceva alcun riferimento a un risarcimento per le molestie, ma era identica, per importo e tempistica, a quella già avanzata dalla donna per motivi del tutto diversi. Questo, secondo la Corte, dimostra che il movente non era la gelosia o la tutela della compagna, ma la “brama di un guadagno facile”.
Di conseguenza, la condotta non poteva che essere qualificata come estorsione, in quanto mirava a ottenere un ingiusto profitto tramite minaccia, con danno per la vittima.

Il Ruolo della Donna: Il Concorso di Persone nel Reato

La Cassazione si è soffermata anche sulla posizione della donna, ritenendo pacifico il suo concorso nel reato di estorsione. Sebbene non abbia posto in essere le minacce dirette, il suo contributo è stato determinante. Da un lato, ha assecondato i corteggiamenti della vittima, dall’altro si è lamentata con il compagno delle stesse condotte, innescando la sua reazione. Ha poi concordato con lui di avanzare la richiesta estorsiva, strumentalizzando la relazione precedente per un fine di interesse economico. Il suo comportamento ha quindi rafforzato il proposito criminoso del compagno e agevolato l’esecuzione del reato.

Le Conclusioni

La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza impugnata. Il caso dovrà essere riesaminato da un’altra sezione della Corte d’Appello di Bologna, che dovrà attenersi ai principi enunciati. Questa pronuncia ribadisce un punto cruciale: non ci si può fare “giustizia da sé” se non si è titolari di un diritto concreto e tutelabile in giudizio. Quando l’obiettivo è ottenere un vantaggio economico personale e ingiusto, mascherandolo dietro la pretesa tutela di un presunto diritto altrui, si sconfina inevitabilmente nel grave reato di estorsione.

Quando una richiesta di denaro con minacce diventa estorsione e non esercizio arbitrario di un diritto?
Diventa estorsione quando chi agisce non ha un diritto reale o putativo da far valere in sede giudiziaria e il suo unico scopo è quello di ottenere un ingiusto profitto per sé o per altri, causando un danno alla vittima. Manca cioè il presupposto della tutela di un diritto.

Può una persona essere accusata di estorsione se agisce per tutelare un presunto diritto di un’altra persona?
Sì, se non agisce su incarico del titolare del diritto e al solo fine di tutelarlo, ma è spinto da un fine di profitto proprio, anche non patrimoniale. Nel caso esaminato, l’imputato non agiva per risarcire la compagna, ma per ottenere un guadagno personale.

Come si configura il concorso di persone in un’estorsione se uno dei concorrenti non compie materialmente la minaccia?
Il concorso si configura quando una persona fornisce un contributo apprezzabile, materiale o morale, alla commissione del reato. Nel caso di specie, la donna ha innescato la reazione del compagno, ha concordato con lui la richiesta estorsiva e ha strumentalizzato la relazione con la vittima, rafforzando così il proposito criminoso e agevolando l’esecuzione del reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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