Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 8317 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2   Num. 8317  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da Procuratore generale presso la Corte di appello di Bologna nel procedimento a carico di COGNOME NOME, nato a Portomaggiore il DATA_NASCITA e di COGNOME NOME, nata a Codigoro il DATA_NASCITA entrambi rappresentati ed assistiti dall’AVV_NOTAIO, di fiducia
avverso la sentenza in data 14/04/2023 della Corte di appello di Bologna, prima sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che è stata richiesta dalle parti la trattazione orale ai sensi degli art 611, comma 1 -bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5 -duodedes del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria con la quale il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio per la posizione di COGNOME NOME e il rigetto del ricorso per la posizione di COGNOME NOME; udita la discussione della difesa del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo la conferma della sentenza di secondo grado sia nei confronti di COGNOME NOME sia nei confronti di COGNOME NOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 14/04/2023, la Corte di appello di Bologna, in riforma della pronuncia resa in primo grado dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Ferrara in data 15/02/2022, con la quale NOME COGNOME era stato condannato alla pena di anni uno, mesi sei di reclusione ed euro 400 di multa ed NOME COGNOME assolta per non aver commesso il fatto in relazione alla comune imputazione di estorsione in concorso, previa riqualificazione del fatto nel delitto di cui all’art. 393 cod. pen., dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME per intervenuta remissione di querela, con conferma nel resto dalla sentenza di primo grado.
 Avverso la predetta sentenza, il Procuratore generale presso la Corte di appello di Bologna ha proposto ricorso per cassazione, per i motivi che vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Primo motivo: erronea applicazione della legge penale relativamente alla riqualificazione del reato di estorsione in quello di esercizio arbitrario delle propri ragioni con violenza alla persona. Nella vicenda in esame difetta tanto la sussistenza di un preteso diritto, anche nella sola forma putativa, quanto della facoltà di adire un giudice. Le presunte molestie subite dalla COGNOME non avrebbero determinato in alcun modo l’insorgenza in capo al suo compagno di un autonomo diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali da lui subiti. Ciò soprattutto, considerando che le asserite “molestie” agite dal COGNOME sarebbero avvenute sul luogo di lavoro della donna e sull’utenza telefonica a lei in uso, con ciò escludendosi il verificarsi, anche solo indirettamente, di un qualsiasi pregiudizio ai danni dell’COGNOME. Inoltre, per la verificazione del reato di cui all’art. 393 co pen., nell’ipotesi in cui la condotta tipica sia posta in essere da un terzo a tutela di un diritto altrui, occorre che il terzo abbia commesso il fatto al solo fine esercitare il preteso diritto per conto del suo effettivo titolare, dal quale abbi ricevuto l’incarico di attivarsi, e non perché spinto anche da un fine di profitto proprio, ravvisabile per esempio nella promessa o nel conseguimento di un
compenso per sé, anche se di natura non patrimoniale. Di conseguenza, non sussiste neanche il secondo presupposto del reato, ovvero la facoltà di rivolgersi all’autorità giudiziaria per soddisfare la propria pretesa.
Secondo motivo: erronea applicazione della legge penale con riferimento alla figura del concorso di persone nel reato in relazione all’imputata NOME COGNOME. La condotta posta in essere da quest’ultima ha contribuito sia materialmente che moralmente alla commissione del reato. La stessa ha innanzitutto fornito al compagno il numero dell’utenza telefonic:a in uso al COGNOME e, in plurime occasioni, ha consapevolmente concesso all’COGNOME di utilizzare il proprio telefono per profferire, tramite telefonate e messaggi, le minacce integranti il delitto di estorsione. La stessa, inoltre, raccomandava alla vittima, di pagare quanto richiestogli poiché questi era una persona pericolosa, ingenerando nel COGNOME un reale timore e contribuendo ad aggravare lo stato di coartazione che poi ha indotto lo stesso a consegnare all’imputato la somma di euro 1.000.
Terzo motivo: Mancanza e manifesta illogicità della motivazione circa la qualificazione della condotta nell’ipotesi prevista dall’art. 393 cod. pen. La Corte territoriale non solo ha omesso di indicare gli elementi alla base dei quali riteneva sussistenti i presupposti del reato di cui all’art. 393 cod. pen. (preteso diritto possibilità di rivolgersi al giudice) ma anche di fornire adeguate motivazioni a sostegno della sussistenza del dolo di tale fattispecie incriminatrice.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi (la rilevata duplicità si collega al fatto che il ricorrente proposto le proprie doglianze sia nei confronti della posizione dell’imputato NOME COGNOME sia nei confronti dell’imputata NOME COGNOME) sono pienamente fondati.
2. Fondato è il primo motivo.
La comune volontà degli imputati di conseguire un profitto non dovuto si evince in primis dall’assoluta mancanza, nei messaggi scambiati, di un qualsiasi riferimento ad eventuali molestie arrecate dalla persona offesa alla COGNOME. In secundis, il dolo estorsivo risulta dalla peculiare ed alquanto sospetta tempistica intercorsa fra la richiesta di 10.000 euro rivolta dalla donna al COGNOME per imprecisate esigenze derivate dalla morte del nonno (data 24/08/2020) e la prima telefonata minatoria dell’COGNOME effettuata il :25/08/2020, ove questi intimava al COGNOME – che non aveva acconsentito alla richiesta della COGNOME – la consegna di una somma esattamente pari a 10.000 euro.
Fondato è anche il secondo motivo.
Va premesso che, per la configurabilità del concorso di persone, è necessario che il concorrente abbia posto in essere un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato (cfr., Sez. 5, n. 43569 del 21/06/2019, P., Rv. 276990; Sez. 6, n. 1986 del 06/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268972; Sez. 4, n. 4383 del 10/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258185; Sez. 6, n. 2297 del 13/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258244).
Pacifico il concorso dei due imputati nella commissione del fatto di estorsione.
La COGNOME – come ritenuto da parte ricorrente – da un lato ha assecondato i corteggiamenti del COGNOME, prestandosi a più riprese ad incontrarlo all’insaputa dell’COGNOME, dall’altro si è poi lamentata con questi delle condotte seduttive del COGNOME, sostenendo che non le fossero gradite, così innescando la reazione del compagno, il quale, mosso dalla brama di un guadagno facile, ben più che dalla gelosia, ha concordato con lei di avanzare la richiesta estorsiva ai danni del COGNOME strumentalizzando a fini di interesse quella relazione da lei precedentemente accettata.
4. Fondato è, infine, anche il terzo motivo.
Del tutto immotivata e comunque ampiamente smentita dalle risultanze in fatto è la decisione di procedere alla riqualificazione giuridica del fatto in una figur di reato di cui difettano tutti gli elementi costitutivi, e segnatamente il pretes diritto esercitato in capo all’agente e al concorrente e la possibilità – non esercitata – di rivolgersi al giudice per ottenere la giusta tutela.
Da qui l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.
Così deciso in Roma il 12/01/2024.