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Estorsione: quando la minaccia a un terzo è reato

La Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di tentata estorsione, confermando che la minaccia rivolta a un terzo (la madre del debitore) per recuperare un credito non costituisce esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ma integra il più grave reato di estorsione. La sentenza ha inoltre annullato parzialmente la decisione di merito per un’imputata, a causa della totale assenza di motivazione riguardo al diniego delle attenuanti generiche, rinviando il caso alla Corte d’Appello per una nuova valutazione sul punto.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Estorsione: Quando la Minaccia al Parente del Debitore Configura Reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 12975 del 2024, offre un’importante lezione sulla netta linea di demarcazione tra il reato di estorsione e quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. La Corte ha stabilito un principio fondamentale: minacciare un parente del debitore, estraneo al rapporto obbligatorio, per ottenere il pagamento di un credito, integra il grave delitto di estorsione. Questo caso mette in luce anche un altro aspetto cruciale del processo penale: l’inderogabile obbligo per il giudice di motivare ogni sua decisione, pena l’annullamento della sentenza.

I Fatti di Causa

La vicenda giudiziaria trae origine da un debito non onorato. A seguito del mancato pagamento, il debitore era stato aggredito fisicamente. Successivamente, le condotte illecite si erano estese alla madre del debitore, titolare di un’attività commerciale. Una degli imputati aveva prelevato della merce dal suo negozio senza pagare. Quando la commerciante aveva telefonato per chiedere il saldo, l’imputata aveva passato il telefono a un complice, il quale l’aveva minacciata per costringerla a rinunciare al suo credito. In un’altra occasione, un altro soggetto si era recato presso il negozio della donna, reiterando le minacce.
I due soggetti coinvolti nelle minacce venivano condannati in primo grado e in appello per tentata estorsione.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

I due imputati hanno presentato ricorso in Cassazione con motivazioni distinte.
– L’imputata coinvolta nella telefonata minatoria ha contestato la ricostruzione dei fatti, sostenendo la sua estraneità all’intento estorsivo. In subordine, ha lamentato la mancata motivazione da parte della Corte d’Appello sul rigetto della richiesta di concessione delle attenuanti generiche in misura prevalente sull’aggravante.
– Il secondo imputato, autore della minaccia diretta nel negozio, ha chiesto la riqualificazione del fatto da estorsione a esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393 c.p.), sostenendo di aver agito al solo scopo di recuperare un credito legittimo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha analizzato separatamente le due posizioni, giungendo a conclusioni diverse.

Per quanto riguarda l’imputato che chiedeva la riqualificazione del reato, i giudici hanno dichiarato il ricorso inammissibile. La Corte ha ribadito un principio consolidato: non si può parlare di esercizio arbitrario delle proprie ragioni quando la violenza o la minaccia è diretta non al debitore, ma a un terzo estraneo al rapporto obbligatorio. La madre del debitore non aveva alcun obbligo giuridico di saldare il debito del figlio. La minaccia nei suoi confronti, quindi, non era finalizzata a tutelare un diritto, ma a coartare la sua volontà per ottenere un profitto ingiusto, configurando pienamente il delitto di estorsione.

Diversa è stata la sorte del ricorso presentato dall’altra imputata. La Cassazione ha ritenuto fondato il motivo relativo al vizio di motivazione. La Corte d’Appello, pur dando atto della richiesta della difesa di concedere le attenuanti generiche, aveva completamente omesso di spiegare le ragioni del suo diniego. I giudici di legittimità hanno sottolineato che la mancanza di motivazione su un punto specifico della richiesta difensiva costituisce una violazione di legge (art. 606 lett. e) c.p.p.). Di conseguenza, la sentenza è stata annullata limitatamente a questo aspetto, con rinvio ad un’altra sezione della Corte d’Appello di Brescia per un nuovo giudizio che dovrà esplicitare le ragioni della decisione sulle attenuanti.

Conclusioni

Questa pronuncia della Cassazione offre due importanti insegnamenti. In primo luogo, definisce con chiarezza che la pretesa di un credito non giustifica mai l’uso della minaccia verso soggetti terzi; tale condotta trasforma l’azione da un illecito minore a un grave reato come l’estorsione. In secondo luogo, riafferma il principio fondamentale secondo cui ogni decisione del giudice, specialmente se sfavorevole all’imputato, deve essere supportata da una motivazione chiara, logica e completa. Un giudice non può semplicemente ignorare le richieste della difesa; deve esaminarle e fornire una spiegazione comprensibile del perché le accoglie o le respinge.

Quando una minaccia per recuperare un credito diventa estorsione e non esercizio arbitrario delle proprie ragioni?
Secondo la sentenza, si configura il reato di estorsione quando la minaccia non è rivolta al debitore stesso, ma a un soggetto terzo estraneo al rapporto obbligatorio (in questo caso, la madre del debitore). Questo perché la coazione è esercitata su una persona che non ha alcun debito, al fine di ottenere un profitto ingiusto.

Cosa succede se un giudice non motiva il rigetto di una richiesta della difesa?
Se una corte non fornisce alcuna motivazione per rigettare una specifica richiesta della difesa (come la concessione delle attenuanti generiche), la sentenza è viziata per ‘motivazione mancante’. In tal caso, la Corte di Cassazione può annullare la sentenza su quel punto e rinviare il caso a un altro giudice per una nuova decisione che sia adeguatamente motivata.

È un valido motivo di ricorso il fatto che un’accusa non sia ripetuta nell’imputazione della sentenza d’appello?
No. La Corte ha ritenuto irrilevante che un fatto, per cui è intervenuta condanna, non fosse riportato nell’imputazione della sentenza d’appello, a condizione che fosse presente nell’imputazione della sentenza di primo grado, garantendo così che l’imputato abbia avuto piena possibilità di difendersi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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