Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 36558 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 2 Num. 36558 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Data Udienza: 16/10/2025
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME
– Relatore –
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA
NOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 03/10/2024 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; proposti da COGNOME NOME e COGNOME NOME nonchØ l’annullamento con rinvio per COGNOME NOME e COGNOME NOME limitatamente all’aggravante di cui all’art. 629 comma 2
udite le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi cod. pen.;
udite le conclusioni del difensore degli imputati COGNOME COGNOME COGNOME, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento dei motivi con conseguente annullamento della sentenza impugnata;
udite le conclusioni dell’imputato COGNOME, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso associandosi alle conclusioni del P.G.;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 03/10/2024 la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del 07/10/2019 con la quale il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli, all’esito del giudizio abbreviato, aveva condannato:
NOME COGNOME, concesse le attenuanti generiche e con la diminuente per il rito, ad anni 1, mesi 4 di reclusione per il reato a lui ascritto al capo a) (art. 416 cod. pen.) (assolvendolo invece da quello di cui al capo c);
NOME COGNOME, con le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti e la diminuente del rito, alla pena di anni 2, mesi 6 di reclusione ed euro 800 di multa per i reati di cui ai capi a) (art. 416 cod. pen.), c) (artt. 81, 629 comma 1 e 2 c.p.), i) (artt. 56, 110, 629 comma 1 e 2 c.p.) ed m) (artt. 56, 110, 629 commi 1 e 2 c.p.), unificati dalla continuazione (piø grave il delitto sub c);
NOME COGNOME, con le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti e la diminuente del rito, alla pena di anni 2, mesi 4 di reclusione ed euro 800 di multa per i reati di cui ai capi
(art. 416 cod. pen.) ed f) (artt. 81, 629 comma 1 e 2 c.p.), unificati dalla continuazione (piø grave il reato sub f) – assolvendolo invece dai reati di cui ai capi g), h) ed m) -;
NOME COGNOME, con le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti e la diminuente del rito, alla pena di anni 2, mesi 4 di reclusione ed euro 800 di multa per i reati di cui ai capi a) (art. 416 cod. pen.) ed e) (artt. 81, 629 comma 1 e 2 cod. pen.), unificati dalla continuazione (piø grave il reato sub e).
I fatti, così come ricostruiti da entrambi i giudici di merito, sono (in estrema sintesi i seguenti): gli imputati si erano, di fatto, impossessati degli spazi di sosta della INDIRIZZO, strada pubblica ubicata nel centro della città di Napoli, dove esercitavano l’attività organizzata di parcheggiatori abusivi; tale attività veniva tuttavia svolta con modalità ritenute estorsive, in quanto, tanto l’ostentata padronanza dell’area pubblica in totale dispregio dei pubblici poteri, quanto l’atteggiamento arrogante e perentorio tenuto con i clienti, integravano, a detta dei giudici di primo e secondo grado, una forma di minaccia tacita, in forza della quale i singoli automobilisti si sentivano tenuti a versare le somme richieste dai parcheggiatori, nella consapevolezza che se non lo avessero fatto avrebbero ritrovato la loro auto danneggiata; in numerosi casi poi, alle suddette minacce tacite, erano seguite, a fronte del rifiuto di pagare dell’automobilista, forme di intimidazione esplicite caratterizzate da notevole violenza verbale. Ciò induceva i giudici a ritenere sussistenti una serie di episodi di estorsione (consumata o tentata) aggravati. PoichØ i parcheggiatori operavano in maniera organizzata e coordinata, secondo turni di servizio e con modalità operative ricorrenti, si Ł altresì ritenuto sussistente il reato di RAGIONE_SOCIALE per RAGIONE_SOCIALE finalizzata alla consumazione di estorsioni.
Avverso detta pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, tramite i rispettivi difensori di fiducia, deducendo i motivi che di seguito si enunciano nei limiti strettamente necessari alla motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 3. Il difensore dell’imputato COGNOME ha articolato due motivi di ricorso.
3.1. Con il primo motivo di impugnazione ha dedotto il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) e e), cod. proc. pen., con riferimento all’affermazione di responsabilità dell’imputato in relazione al reato di cui all’art. 416 cod. pen. In particolare, evidenzia la difesa del ricorrente: che la sentenza di appello nel confermare quella di primo grado ne aveva perpetrato l’erroneo percorso logico argomentativo, affermando che la partecipazione dell’imputato al reato associativo potesse essere desunta dal reato fine, dimenticando però che per l’unico delitto di estorsione a lui contestato il COGNOME era stato assolto; che in mancanza di fatti specifici o di prove testimoniali in forza delle quali riconoscere l’imputato come partecipe del sodalizio, non poteva attribuirsi rilevanza nØ al fatto che il COGNOME era stato ripreso nei luoghi in cui si svolgeva l’attività illecita – presenza spiegabile con il fatto che lo stesso risiede nelle vicinanze – nØ alla circostanza che il soggetto fosse già noto alle forze dell’ordine.
3.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio di cui all’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114, comma 1, cod. pen. A detta del difensore era in particolare contraddittorio e illogico che la Corte di appello, dopo aver ritenuto la partecipazione del COGNOME al reato associativo sulla base della sua sola presenza nel luogo dei delitti e attribuito allo stesso comportamenti intimidatori ‘simbolici’ nei confronti delle persone offese, avesse poi denegato l’attenuante della minima partecipazione.
Il ricorso dell’imputato NOME COGNOME Ł affidato a sei motivi.
4.1. Con il primo motivo di impugnazione si deduce il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. b)
e e), cod. proc. pen., con riferimento all’affermazione di responsabilità dell’imputato in relazione al reato di cui all’art. 416, comma 1, cod. pen. In particolare, a detta del ricorrente, la Corte di appello avrebbe omesso di motivare in ordine alle ragioni per le quali Ł stato attribuito al COGNOME il ruolo di dirigente e capo dell’RAGIONE_SOCIALE per RAGIONE_SOCIALE di cui al capo a), non essendo stato individuato il momento organizzativo e direttivo del sodalizio (ma solo il generale modus operandi dello stesso) nØ indicati gli elementi che consentivano di collocare l’imputato al vertice dell’organizzazione. Si evidenziava altresì che l’organizzazione, così come ricostruita sulla base degli atti processuali, non aveva ad oggetto la commissione di estorsioni ma solo lo svolgimento di attività di parcheggiatore abusivo. Il difensore ha quindi chiesto l’annullamento della sentenza in relazione al capo A), o in subordine, l’annullamento della stessa limitatamente al riconoscimento all’imputato del ruolo di capo o promotore.
4.2. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) e e), cod. proc. pen., con riferimento al mancato riconoscimento dell’attenuante del risarcimento del danno. In particolare, si rileva che, sebbene già il giudice di primo grado non avesse disconosciuto il fatto che l’imputato aveva versato a tutte le persone offese una somma di denaro da ritenersi congrua, lo stesso aveva poi omesso di riconoscere l’attenuante (o di motivare sul diniego); la Corte di appello, invece, investita con specifico motivo, aveva illogicamente ritenuto che il diniego era legittimo in quanto il risarcimento del danno era stato già considerato ai fini delle attenuanti generiche. Il giudice di appello aveva quindi omesso di applicare l’attenuante specifica (62 n. 6 cod. pen.), pur riconoscendone i presupposti.
4.3. Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) e e), cod. proc. pen., con riferimento al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. In particolare, si evidenzia che, a fronte di condotte estorsive volte a conseguire un profitto esiguo (2 o 3 euro), la Corte di appello aveva escluso l’aggravante valorizzando un elemento non pertinente (vale a dire le modalità della richiesta estorsiva). 4.4. Con il quarto motivo la difesa deduce il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) e e), cod. proc. pen., per omessa motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità del COGNOME per l’estorsione di cui al capo C), nonostante nei motivi di appello la difesa avesse formulato richiesta di assoluzione o derubricazione nel reato di cui all’art. 610 cod. pen.
4.5. Con il quinto motivo si deduce il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) e e), cod. proc. pen., per omessa motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità del COGNOME per l’estorsione di cui al capo M). Si Ł altresì evidenziata la contraddittorietà della sentenza, posto che la Corte, esaminando la posizione del coimputato COGNOME, dopo aver affermato a p. 10 della sentenza che l’episodio di cui al capo M) non era penalmente rilevante, aveva poi condannato il COGNOME anche per tale fatto.
4.6. Con l’ultimo motivo si deduce difetto di motivazione in relazione al motivo di appello con il quale era stata chiesta l’esclusione, in relazione ai capi C) e M), dell’aggravante della piø persone riunite; esclusione che era imposta dal fatto che per tali episodi i coimputati COGNOME e COGNOME erano stati assolti.
5. Il difensore di NOME COGNOME ha articolato cinque motivi.
5.1. Con il primo motivo di impugnazione, ha dedotto il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) e e), cod. proc. pen. in ordine alla ritenuta sussistenza dell’RAGIONE_SOCIALE per RAGIONE_SOCIALE di cui al capo A). In particolare si evidenzia che, pur in presenza di specifico motivo di doglianza, la Corte d’appello (così come il giudice di primo grado) non aveva motivato in ordine alle ragioni per le quali aveva ritenuto che i fatti emersi dall’istruttoria integrassero il
delitto di cui all’art. 416 cod. pen. e non anche l’illecito amministrativo di cui all’art. 7, comma 15-bis, del D.Lvo 285/92 (vale a dire l’esercizio di attività organizzata di parcheggiatore abusivo). A detta del ricorrente, infatti, la Corte, ai fini dell’affermazione della responsabilità penale dell’imputato: da un lato aveva indebitamente valorizzato elementi ‘non risolutivi’ in quanto comuni anche all’illecito amministrativo sopra indicato; dall’altro, aveva ritenuto decisiva la consumazione da parte di singoli imputati di condotte estorsive, senza però considerare che le stesse erano in numero esiguo e senza spiegare per quale ragione tali estorsioni erano da ricondurre all’organizzazione e non all’iniziativa autonoma ed estemporanea di singoli parcheggiatori.
5.2. Con il secondo motivo la difesa ha dedotto vizio di violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla affermazione di responsabilità dell’imputato per l’estorsione di cui al capo F). Il ricorrente eccepisce che la Corte di appello ha ritenuto provata la condotta di minaccia del COGNOME in relazione agli episodi del 26/04/2017 e del 29/04/2017 sulla base di una erronea valutazione delle dichiarazioni rese dalle persone offese. Dalla deposizione di COGNOME NOME, riportata nella stessa sentenza di primo grado, emergerebbe infatti che lo stesso ha collegato la consegna della somma di 3 euro al NOME ad un episodio occorso nel 2016, mentre dalle dichiarazioni dei coniugi COGNOME, pure riportate in sentenza di primo grado, emerge come i due hanno ricondotto la consegna del denaro non ad un comportamento intimidatorio dell’imputato ma al loro intimo convincimento che se non avessero pagato avrebbero potuto ritrovare la loro auto danneggiata. Anche su tali motivi di doglianza la Corte di appello non avrebbe motivato o avrebbe dato risposte del tutto apodittiche.
5.3. Con il terzo motivo la difesa eccepisce erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta aggravante di cui all’art. 628, comma 1 n. 3, cod. pen. applicata dai giudici di merito in relazione al capo F). Ed invero, a fronte del motivo di appello con il quale la difesa aveva dedotto che nelle immagini delle videocamere relative agli episodi incriminati emergeva che il NOME era solo al momento dei fatti, la Corte di appello, nel confermare le conclusioni cui era giunto il giudice di primo grado, aveva apoditticamente affermato che il COGNOME era in compagnia dei altri coimputati senza però indicare (con il relativo numero) quali erano le immagini e le fotografie dalle quali aveva tratto tale convincimento.
5.4. Con il quarto motivo si deduce difetto di motivazione in quanto, in sede di discussione dell’appello, il difensore aveva eccepito che il giudice di primo grado aveva ritenuto sussistente (per il capo F) l’aggravante delle piø persone riunite nonostante nel capo d’imputazione tale aggravante fosse stata irritualmente contestata con il solo generico riferimento all’art. 629, comma 2, cod. pen., senza indicare a quale delle plurime ipotesi contenute in tale disposizione ci si volesse riferire e senza indicare gli elementi di fatto integrativi della circostanza. Su tale questione della diversità tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza il giudice d’appello, a detta del ricorrente, non aveva dato alcuna risposta.
5.5. Con il quinto motivo di impugnazione il difensore ha dedotto vizio di motivazione, in ordine al mancato riconoscimento, sempre per il capo F, della attenuante della lieve entità del fatto. Secondo il ricorrente, nonostante la difesa, dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 120 del 2023 avesse chiesto nella memoria del 02/11/2023 la concessione di tale attenuante in considerazione della esiguità del profitto, dell’incensuratezza, delle modalità della minaccia avente ad oggetto solo danni alle cose e non alle persone, la Corte di appello aveva motivato in modo inadeguato sul punto, valorizzando elementi
(comportamenti arroganti, volontà di controllo del territorio, disprezzo dell’autorità,azione sfrontata in pubblica via) che non erano riferibili al singolo episodio in contestazione ma riguardavano semmai il reato associativo.
6. Il difensore di NOME COGNOME con un unico motivo di impugnazione ha dedotto il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) e e), cod. proc. pen. Secondo la difesa dagli atti processuali non emergeva prova alcuna che l’imputato, nell’esercitare l’attività di parcheggiatore, avesse mai profferito minacce nei confronti degli automobilisti; non si poteva infatti qualificare come minaccia la semplice domanda che il COGNOME rivolgeva ai clienti ‘avete qualcosa per me?’ (che era semmai una forma di ‘accattonaggio’); i giudici di merito avevano quindi illogicamente dedotto la prova di condotte intimidatorie sulla base di una arbitraria interpretazione dei pensieri delle persone offese (le quali si ritenevano tenute a pagare temendo ritorsioni); i fatti erano dunque penalmente irrilevanti e l’imputato poteva dunque essere chiamato a rispondere unicamente dell’illecito amministrativo di esercizio abusivo dell’attività di parcheggiatore; la Corte aveva poi ritenuto sussistente il vincolo associativo per il solo fatto che il COGNOME era spesso presente sul posto, dimenticando che lo stesso viveva nelle vicinanze di INDIRIZZO.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato COGNOME Ł inammissibile per le seguenti ragioni.
1.1. Il primo motivo di impugnazione Ł generico, privo di specificità e comunque manifestamente infondato. Ed invero, tanto il G.u.p. (pag. 41) quanto (anche piø dettagliatamente) la Corte di appello (pag. 7) hanno illustrato le ragioni per le quali il COGNOME, pur non essendo stato ritenuto responsabile di reati fine del sodalizio, era partecipe dell’RAGIONE_SOCIALE per RAGIONE_SOCIALE. A tal fine sono stati valorizzati, in maniera tutt’altro che illogica (e sostanzialmente condivisibile) precisi elementi di fatto, quali: la sua costante presenza nella strada (INDIRIZZO) in cui il gruppo operava; il fatto che lo stesso svolgesse ivi attività di parcheggiatore abusivo con le stesse modalità con cui operavano gli altri membri del sodalizio, a cominciare dall’occupazione (con cassonetti dei rifiuti ed altri ostacoli) degli spazi di sosta della pubblica via che poi venivano liberati per essere messi a disposizione (a pagamento) dei singoli automobilisti che avevano necessità di parcheggiare (occupazione che costituiva, secondo i giudici di merito, il presupposto stesso dell’attività estorsiva); i contatti diretti che l’imputato, anche nello svolgimento dell’attività quotidiana, aveva con NOME COGNOME, che Ł stato ritenuto il capo dell’organizzazione criminale; la accertata presenza fisica del COGNOME (sebbene non ritenuta sufficiente ad integrare il concorso nel delitto) in almeno due degli episodi di estorsione perpetrati da altro membro dell’RAGIONE_SOCIALE – COGNOME nel capo c) e COGNOME nel capo f) -. In altri termini, posto che l’RAGIONE_SOCIALE capeggiata dal RAGIONE_SOCIALE aveva di fatto occupato con la forza quel tratto di strada e aveva imposto il suo monopolio nell’esercizio dell’attività di parcheggio abusivo effettuato con modalità estorsive, si Ł ritenuto, in maniera del tutto logica, che un soggetto esterno non avrebbe mai potuto esercitare in quello stesso spazio l’attività di parcheggiatore senza essere intraneo al sodalizio e senza condividerne scopi e modalità di azione. La circostanza che il COGNOME abbia tranquillamente operato l’attività nella via di pertinenza dell’RAGIONE_SOCIALE, con le modalità tipiche di questa e in stretto contatto col suo capo, Ł stata quindi ritenuta sufficiente a dimostrare la sua intraneità al sodalizio criminale.
Con tale motivazione, non censurabile in questa sede in quanto certamente non contraddittoria e men che meno manifestamente illogica, la difesa del ricorrente non si
confronta minimamente. Il difensore si Ł infatti limitato a considerare isolatamente solo alcuni degli elementi valorizzati dalla Corte (es. presenza in loco dell’imputato) cercando di fornire per gli stessi una spiegazione alternativa, senza poi operare la necessaria e doverosa valutazione cumulativa e unitaria degli elementi emersi. Del resto, nella parte in cui il ricorrente propone una spiegazione alternativa degli elementi valorizzati dai giudici di merito, pretende, in sostanza, che questa Corte soprapponga una propria ricostruzione dei fatti a quella dei giudici di merito. Operazione certamente non consentita, posto che, come Ł noto la cognizione del giudice di legittimità in relazione al fatto Ł funzionale a verificare la compatibilità della motivazione della decisione con il senso comune e con i limiti di un apprezzamento plausibile, non rientrando tra le sue competenze lo stabilire se il giudice di merito abbia proposto la migliore ricostruzione dei fatti, nØ condividerne la giustificazione (Sez. 1, Sentenza n. 45331 del 17/02/2023, Rezzuto, Rv. 285504 – 01).
Il motivo di ricorso Ł poi manifestamente infondato laddove il difensore ritiene che la sentenza sarebbe manifestamente illogica o contraddittoria, in quanto i giudici, da un lato, hanno ritenuto il COGNOME partecipe dell’RAGIONE_SOCIALE e, dall’altro, lo hanno invece assolto dai reati scopo del sodalizio a lui contestati. L’argomento difensivo si pone in contrasto con il pacifico e consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale la partecipazione ad RAGIONE_SOCIALE per RAGIONE_SOCIALE Ł un reato a forma libera, la cui condotta costitutiva può realizzarsi in forme diverse, purchØ si traduca in un apprezzabile contributo alla realizzazione degli scopi dell’organismo, posto che in tal modo si verifica la lesione degli interessi salvaguardati dalla norma incriminatrice (Sez. 3, Sentenza n. 35975 del 26/05/2021, COGNOME, Rv. 282139 – 01). Mentre dunque la commissione di reati-fine rientranti nel programma associativo può costituire elemento di prova della partecipazione (nonchØ dell’esistenza del vincolo associativo) (Sez. 2, Sentenza n. 22906 del 08/03/2023, Rv. 284724 – 01), al contrario l’RAGIONE_SOCIALE così come la partecipazione alla stessa possono anche completamente prescindere dalla commissione di reati scopo (cfr Sez. 3, Sentenza n. 26724 del 04/03/2015, COGNOME, Rv. 264498 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 7063 del 05/05/1995, Rv. 201907 – 01).
1.2. Il secondo motivo di doglianza con il quale ci si duole del difetto di motivazione della sentenza impugnata in ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114, comma 1. cod. pen. Ł inammissibile e comunque manifestamente infondato. Non solo, infatti, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente la Corte di appello (pag. 4) ha dato conto delle ragioni per le quali il contributo del COGNOME all’RAGIONE_SOCIALE non era di minima importanza – con motivazione, non contraddittoria nØ illogica, con la quale la difesa non si confronta -, ma occorre anche rilevare che la richiesta del ricorrente era palesemente infondata. Il COGNOME Ł stato infatti condannato unicamente per il reato di cui all’art. 416 cod. pen. (capo A), e secondo la costante e condivisibile giurisprudenza di questa Corte ‘Ł inapplicabile ai reati associativi la circostanza attenuante della minima partecipazione al fatto prevista dall’art. 114 cod. pen.’ (Sez. 6, Sentenza n. 29821 del 22/06/2001, Rv. 221210 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 7188 del 10/12/2020 (dep. 2021), Pavone, Rv. 280804 – 02, secondo cui la circostanza attenuante della partecipazione di minima importanza non Ł compatibile con i reati associativi atteso che l’art. 114 la riconosce unicamente alle persone che ‘sono concorse nel reato a norma degli articoli 110 e 113′, escludendo così i reati associativi e tutti quelli cd a concorso necessario che esulano dal campo applicativo dell’art. 110). Del resto, anche prescindendo da quanto da ultimo esposto, l’art. 114. comma 2, stabilisce che la disposizione del comma 1 non si applica nei casi indicati dall’art. 112, tra i quali rientra anche quello del reato commesso da 5 o piø persone; ipotesi che ricorrerebbe nel caso di specie
posto che l’RAGIONE_SOCIALE era composta da otto soggetti.
Il ricorso dell’imputato COGNOME Ł meritevole di accoglimento limitatamente al motivo relativo al riconoscimento dell’aggravante delle piø persone riunite (art. 629, comma 2, cod. pen.), mentre deve essere per il resto rigettato.
2.1. Il primo motivo di impugnazione difetta di specificità estrinseca in quanto non si confronta con le motivazioni della sentenza di primo grado (pag. 9-11 e 38-41) e di appello (pag. 3-6); sentenze nelle quali i giudici di merito illustrano le ragioni per le quali la condotta del COGNOME non integrava un semplice esercizio abusivo dell’attività di parcheggiatore e quelle per le quali l’imputato rivestiva un ruolo apicale nell’RAGIONE_SOCIALE per RAGIONE_SOCIALE. I giudici di merito hanno infatti rilevato che l’attività degli indagati – incluso il COGNOME – non consisteva in un semplice esercizio della ‘professione di parcheggiatore abusivo’; ed invero, come emerso dai servizi di osservazione, dalle immagini riprese dalle telecamere installate nella zona e dalle dichiarazioni degli automobilisti assunti a s.i.t.: 1) gli imputati avevano instaurato una sorta di controllo assoluto della pubblica via, occupando gli spazi di sosta con cassonetti e altri oggetti che poi rimuovevano a loro piacimento per consentire agli automobilisti di parcheggiare; in sostanza si erano impadroniti fisicamente degli spazi di sosta che poi “cedevano” a pagamento agli utenti della strada; i parcheggiatori, inoltre, imponevano agli automobilisti di parcheggiare in palese violazione delle norme del codice della strada e della segnaletica presente, adottando atteggiamenti bruschi e aggressivi nei confronti di coloro che non ottemperavano alle loro indicazioni; tutto ciò induceva coloro che volevano parcheggiare nella strada a convincersi (in maniera del tutto logica e ragionevole) che i parcheggiatori erano i ‘padroni’ della zona e potevano operare in un contesto di assoluta illegalità al di fuori di ogni controllo della pubblica autorità; 2) l’atteggiamento dei parcheggiatori nel richiedere la corresponsione del corrispettivo era sempre molto diretto, arrogante e perentorio e non si limitava dunque a sollecitare la dazione di un contributo volontario e spontaneo da parte del cliente; ciò anche tenendo conto del fatto chequando veniva offerta dall’automobilista una somma reputata inadeguata o irrisoria gli imputati indicavano esplicitamente e perentoriamente la ‘tariffa’ dovuta; 3) che la corresponsione della somma richiesta non fosse rimessa alla libera scelta del cliente e che vi fosse un atteggiamento intimidatorio da parte dei parcheggiatori, risultava poi dal fatto che tutti i numerosissimi automobilisti escussi dalla PG hanno dichiarato che, vuoi per i modi, vuoi per i toni usati dagli indagati, gli stessi avevano ben compreso che se non avessero accettato di versare quanto richiesto i parcheggiatori avrebbero arrecato danni all’auto lasciata in sosta nella zona da loro controllata e nella quale agivano indisturbati; il fatto che tutte le persone offese escusse avevano riferito di essersi sentite intimidite dal contegno dei parcheggiatori e che avevano percepito la stessa minaccia implicita in tali comportamenti dei parcheggiatori, induceva ad escludere che ci si trovasse di fronte a sensazioni o impressioni meramente soggettive di singoli automobilisti e dimostrava l’esistenza di un clima intimidatorio oggettivo. Del resto, il fatto che i timori paventati dai soggetti escussi non fosse il frutto di semplici suggestioni o di impressioni, era confermato dalla circostanza che, allorquando qualcuno dei clienti si era rifiutato di sottostare alle richieste, scattavano reazioni violente e minacce esplicite da parte dei parcheggiatori stessi. Così ad esempio: COGNOME NOME (pag. 15 della sentenza di primo grado in relazione al capo b) riferiva che parcheggiava abitualmente in INDIRIZZO da anni e che si era oramai rassegnato a pagare quanto richiesto (sempre con modi arroganti) dai parcheggiatori abusivi ivi operanti in quanto, quando nell’ottobre 2016, aveva cercato di opporsi il parcheggiatore (poi identificato nel sodale COGNOME NOME) aveva profferito la seguente frase dal contenuto inequivocabilmente intimidatorio ‘Allora di
mando i miei amici a bordo del T-MAX’ (minaccia poi ribadita anche dal fratello dell’imputato); inoltre l’COGNOME dichiarava, in passato, che quando non aveva ceduto alle richieste, nel riprendere l’auto lasciata in sosta, aveva sempre riscontrato danneggiamenti alla carrozzeria del veicolo; altro automobilista (COGNOME NOME) (pag. 19 della sentenza del Gup in relazione al capo b) riferiva di essere a conoscenza del fatto che nella zona si erano verificati episodi di danneggiamento alle auto in sosta verosimilmente riconducibili ai parcheggiatori; COGNOME NOME, altro soggetto che abitualmente parcheggiava in zona, ha dichiarato (pag. 24 della sentenza di primo grado relativa al capo f) che in un episodio verificatosi nel 2016, non avendo la materiale disponibilità della somma di 3 euro che gli era stata richiesta, il parcheggiatore, gridando e adottando un atteggiamento molto minaccioso, lo aveva costretto ad andare via; COGNOME (pag. 30-31 relativa al capo i) dichiarava che allorquando aveva corrisposto al parcheggiatore (identificato nel COGNOME NOME) una somma inferiore a quella richiesta quest’ultimo aveva fatto intervenire altro parcheggiatore (identificato in NOME COGNOME), il quale, alle sue rimostranze, gli aveva detto, in maniera perentoria, le seguenti parole (dal contenuto inequivocabilmente minatorio) ‘sposta la macchina perchØ altrimenti te ne vai a piedi…ragazzo cerca di spostarti, non hai ancora capito con chi hai a che fare, noi siamo del sistema…la macchina sta qui, adesso te ne devi andare,, o la macchina non te la faccio trovare piø’; il carabiniere COGNOME (pag. 33 relativa al capo i) riferiva che, trovandosi fuori servizio, era intervenuto in difesa di un suo conoscente (NOME COGNOME) il quale stava discutendo con un parcheggiatore in quanto non voleva pagare, e al suo arrivo il parcheggiatore (identificato nel COGNOME) lo aveva pesantemente offeso e minacciato ‘posa il distintivo, ti faccio vedere cosa ti combino, uomo di merda’ chiamando gli altri parcheggiatori a spalleggiarlo; COGNOME NOME (pag. 36-37 relative al capo m) ha dichiarato che, dopo aver parcheggiato, se ne stava andando senza pagare quando veniva aggredita da un parcheggiatore (identificato nel COGNOME) che aveva accompagnato le perentorie richieste di denaro con minacce esplicite quali ‘adesso ti faccio ammazzare, mi devi dare dieci euro se vuoi parcheggiare… adesso faccio venire una donna a picchiarti’. Si Ł altresì evidenziato che, proprio negli episodi sopra richiamati, i parcheggiatori, sia con le parole sia con i fatti, si erano presentati come un gruppo che agiva in maniera coordinata.
Sulla base di tali elementi, singolarmente e unitariamente considerati, i giudici di merito hanno quindi ritenuto che i parcheggiatori, non solo si erano di fatto ‘appropriati’ di INDIRIZZO, ma avevano anche ivi instaurato un clima intimidatorio, operando in un contesto ambientale in cui la richiesta di ottenere denaro per il parcheggio dell’autovettura, benchØ (apparentemente e formalmente) priva di contenuto minatorio aveva però, di fatto, ‘una fortissima carica intimidatoria’; ciò in quanto le persone offese, in maniera non irragionevole e sulla base di dati obiettivi, si rendevano conto che se non avessero pagato la loro auto avrebbe potuto subire danni. In sostanza le sentenze di merito hanno accertato l’esistenza di un contesto ambientale di intimidazione e tacito ricatto, come tale percepito e inteso dagli utenti della strada, instaurato sia con comportamenti espliciti (ostentato e plateale controllo del territorio, violenza verbale) sia con linguaggio e gesti criptici, ma sempre idonei ad incutere timore e a coartare la volontà delle vittime. Per tali ragioni, non si poteva affermare che gli indagati fossero dei normali parcheggiatori abusivi ma si doveva ritenere che la loro attività aveva connotati chiaramente estorsivi.
La motivazione della sentenza impugnata, sopra illustrata, Ł, a parere di questa Corte, congrua, non contraddittoria e tutt’altro che illogica. Con tale motivazione, peraltro, la difesa dell’imputato non si confronta affatto. A ciò si aggiunga che in diversi episodi in cui il COGNOME
Ł stato il protagonista, quest’ultimo, come detto sopra, non si Ł limitato a semplici richieste di denaro, ma di fronte al rifiuto degli automobilisti ha profferito parole dal contenuto esplicitamente e inequivocabilmente intimidatorio.
Quanto poi al ruolo apicale rivestito dal COGNOME le sentenze di merito hanno motivato facendo riferimento a fatti specifici e dotati di notevole efficacia dimostrativa: 1) l’imputato in diverse occasioni Ł stato definito dagli altri sodali come il ‘capo’; 2) allorquando qualcuno dei sodali aveva problemi con degli utenti, i quali si rifiutavano di pagare o volevano pagare di meno, il parcheggiatore faceva intervenire il COGNOME per dirimere la questione; 3) in occasione dell’episodio del COGNOME (capo i) Ł stato l’odierno ricorrente a chiamare a raccolta gli altri parcheggiatori affinchØ questi lo sostenessero nell’aggressione al carabiniere COGNOME. Tutti elementi dai quali si Ł ragionevolmente desunto che il COGNOME fosse il punto di riferimento degli altri parcheggiatori e quello dal quale ricevevano direttive sul da farsi. A fronte di ciò la difesa si Ł limitata a formulare contestazioni, non solo generiche, ma tese ad ottenere una diversa valutazione delle risultanze istruttorie e/o a prospettare un’interpretazione alternativa dei fatti (vedi il significato da attribuire alla parola ‘capo’ nel gergo degli imputati), deducendo così motivi in fatto che non sono consentiti nel giudizio per cassazione.
2.2. Il secondo motivo avente ad oggetto l’omessa valutazione e il mancato accoglimento del motivo di appello con quale si chiedeva il riconoscimento dell’attenuante del risarcimento del danno di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. non Ł ammissibile. Questa Suprema Corte ha infatti piø volte ribadito che in tema di ricorso per cassazione, Ł inammissibile, per genericità e difetto di autosufficienza, il motivo inteso a denunciare l’omesso esame di una richiesta ovvero altro vizio di motivazione, qualora non siano stati allegati o in alternativa specificamente indicati (ai sensi dell’art. 165-bis, comma 2, disp. att. cod. proc. pen.), gli atti da cui possa desumersi che detta richiesta era stata invece ritualmente avanzata, quelli necessari a valutare la sua fondatezza, ovvero quelli asseritamente travisati o non valutati (ex plurimis Sez. 1, Sentenza n. 48422 del 09/09/2019, Novella, Rv. 277796 – 01). Nel caso in esame il ricorrente si Ł limitato ad allegare al ricorso le dichiarazioni scritte con le quali alcune delle persone offese attestavano di aver ricevuto dal COGNOME una somma di denaro che reputavano congrua a risarcire il danno patito; il difensore ha poi affermato, in maniera del tutto generica, che tali dichiarazioni erano state depositate già nel giudizio di primo grado e il G.u.p. non le aveva in alcun modo valutate, mentre la Corte di appello aveva motivato il rigetto dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 in maniera incongrua e malamente applicando i principi che regolano il rapporto tra attenuanti generiche e specifiche.
Ciò detto, ritiene questa Corte che, in forza del sopra citato ‘principio di autosufficienza’ del ricorso, il difensore non poteva limitarsi ad allegare le ricevute che dimostravano il pagamento del risarcimento, ma doveva anche allegare o indicare l’atto da cui risultava la tempestività del risarcimento stesso. Ed infatti, ai fini dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. la riparazione del danno deve intervenire ‘prima del giudizio’, e dunque, quando si proceda con rito abbreviato (come appunto nel caso in esame), secondo l’oramai costante orientamento della Cassazione, prima che sia pronunciata l’ordinanza di ammissione al rito (ex plurimis Sez. 5, Sentenza n. 8581 del 15/01/2025, COGNOME, Rv. 287740 – 01). Il ricorrente non ha quindi documentato, come pure era suo onere, la tempestività del risarcimento, nØ ha allegato i verbali d’udienza dai quali tale tempestività risultava 2.3. Il terzo motivo Ł inammissibile, ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen., in quanto deduce violazioni di legge (non rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado), non dedotte con i motivi di appello. Ed infatti nell’atto di appello la difesa del COGNOME, nel motivo dedicato al trattamento
sanzionatorio, non solo non aveva esplicitamente chiesto la concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen., ma, parlando del fatto che l’imputato aveva risarcito le vittime, si era limitata a rilevare che la somma versata a titolo di ristoro ‘era cospicua anche in relazione al fatto che il danno subito era di lieve entità’. Non si può dunque affermare che la questione del riconoscimento dell’attenuante in esame avesse costituito oggetto di un motivo di gravame puntualmente articolato o di una richiesta specifica. Del resto, il fatto che la Corte di appello non abbia comunque ritenuto di riconoscere l’attenuante del danno lieve non Ł censurabile anche alla luce del consolidato e condivisibile principio di diritto (piø volte affermato da questa Corte) secondo ‘il quale il mancato esercizio del potere-dovere del giudice di appello di applicare d’ufficio una o piø circostanze attenuanti, non accompagnato da alcuna motivazione, non può costituire motivo di ricorso in cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione, qualora l’imputato, nell’atto di appello o almeno in sede di conclusioni del giudizio di appello, non abbia formulato una richiesta specifica, con preciso riferimento a dati di fatto astrattamente idonei all’accoglimento della stessa, rispetto alla quale il giudice debba confrontarsi con la redazione di una puntuale motivazione’ (Sez. 3, Sentenza n. 10085 del 21/11/2019 (dep. 2020), Rv. 279063 – 02). Il motivo di ricorso Ł inoltre privo di specificità intrinseca in quanto si limita ad affermare che sussistono i presupposti dell’attenuante in quanto le richieste dei parcheggiatori avevano ad oggetto somme modeste, senza tuttavia considerare il fatto che in relazione ai reati di rapina e/o di estorsione “ai fini della configurabilità della circostanza del danno di speciale tenuità, non Ł sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale Ł stata esercitata la violenza o la minaccia, attesa la natura plurioffensiva di tali delitti, che ledono, oltre al patrimonio, anche la libertà e l’integrità fisica e morale del soggetto aggredito per la realizzazione del profitto; sicchØ può farsi luogo all’applicazione della predetta attenuante solo nel caso in cui sia di speciale tenuità la valutazione complessiva dei pregiudizi arrecati ad entrambi i beni tutelati” (cfr Sez. U, Sentenza n. 42124 del 27/06/2024, Nafi, Rv. 287095 – 02).
2.4. Col quarto motivo, come detto, la difesa eccepisce la mancanza di motivazione della sentenza di appello in quanto il giudice dell’impugnazione, argomentando in ordine alla sola estorsione di cui al capo I), non aveva valutato il motivo di appello con il quale il difensore aveva chiesto l’assoluzione dell’imputato per il reato di cui al capo C) o in subordine la derubricazione del fatto nel reato di violenza privata.
Il motivo Ł infondato. Il motivo di appello si fondava infatti esclusivamente sull’argomento che non sussisteva l’estorsione in quanto il COGNOME non aveva profferito alcuna minaccia esplicita ma si era solo lamentato della insufficienza del corrispettivo dato dall’automobilista; il reato sarebbe stato quindi ritenuto sussistente solo sulla base di una sensazione soggettiva del cliente che si era convinto che se non avesse pagato gli avrebbero danneggiato l’auto. In maniera del tutto generica si formulava poi, in subordine, richiesta di derubricazione.
Ciò detto, se Ł vero che la sentenza di appello non ha specificatamente affrontato la vicenda di cui al capo C), tuttavia non si può parlare di omessa motivazione. Ed invero, questa Suprema Corte ha piø volte affermato che ‘non Ł censurabile, in sede di legittimità, la sentenza che non motivi espressamente in relazione a una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando il suo rigetto risulti dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza (Sez. 4, Sentenza n. 53396 del 15/11/2022 (dep. 2023) Rv. 284096 – 01, Lakrafy; Sez. 3, Sentenza n. 43604 del 08/09/2021; Cincolà, Rv. 282097 – 01).
Ciò premesso, nel caso in esame, come detto esaminando il primo motivo di impugnazione, la Corte di appello ha dato ampiamente conto (pp. 3-6) delle ragioni per le quali le richieste di denaro avanzate dai parcheggiatori (tra i quali in primis il COGNOME) non erano delle semplici sollecitazioni ma presentavano, per le modalità con cui erano avanzate e per il contesto in cui intervenivano, una forte carica intimidatoria ed integravano dunque delle vere e proprie minacce implicite o tacite. Una volta affrontata in termini generali la questione non vi era quindi necessità di ripetere tali argomentazioni in relazione ai singoli episodi criminosi che si svolgevano (ivi incluso quello di cui al capo C) con modalità identiche e pienamente sovrapponibili. Dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza sono quindi perfettamente evincibili le ragioni per le quali anche in relazione all’episodio di cui al capo C) il giudice di appello ha ritenuto che il COGNOME – che risulta pacificamente l’autore materiale della condotta (circostanza questa incontestata) – dovesse rispondere di estorsione e non anche del meno grave reato di violenza privata (o di un semplice illecito amministrativo). 2.5. Il quinto motivo Ł inammissibile in quanto la contestazione dell’affermazione di responsabilità del COGNOME per il capo m) non aveva costituito oggetto di motivo di appello avendo in quella sede la difesa chiesto l’assoluzione per i soli capi c) ed i) -. Va peraltro evidenziato che il motivo Ł anche manifestamente infondato in quanto non sussiste alcuna contraddizione nella sentenza. Ed infatti, il COGNOME – cui era contestato il concorso nel reato – Ł stato assolto già dal giudice di primo grado, ma non perchØ il fatto di cui al capo m) era stato ritenuto penalmente non rilevante, ma per non aver commesso il fatto. Il G.u.p. aveva infatti ritenuto che la sua sola presenza in loco non fosse sufficiente ad integrare il concorso nel delitto materialmente perpetrato dal COGNOME (autore della richiesta estorsiva). 2.6. E’ invece fondato il sesto motivo di ricorso con il quale si deduce vizio di motivazione, per avere la Corte di appello omesso di escludere le circostanze aggravanti contestate al COGNOME ai capi c) ed m); esclusione che, a detta della difesa, si imponeva in quanto, essendo stati i co-imputati COGNOME e COGNOME assolti in primo grado (rispettivamente per il capo c) ed m) veniva meno la possibilità di contestare l’aggravante delle due o piø persone riunite.
E’ doveroso preliminarmente evidenziare che non Ł di ostacolo all’ammissibilità del motivo di impugnazione il fatto che all’imputato siano state concesse le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla aggravante in esame. E’ vero che questa Suprema Corte ha piø volte affermato il principio di diritto (che pure si condivide) secondo il quale Ł inammissibile, per carenza di interesse, l’impugnazione dell’imputato finalizzata a ottenere l’esclusione di un’aggravante, nel caso in cui la stessa sia stata già ritenuta subvalente rispetto alle riconosciute attenuanti (Sez. 4, Sentenza n. 15937 del 14/03/2024 Rv. 286342 – 01). E’ però altrettanto vero che tale principio postula che l’imputato non abbia alcun interesse concreto all’esclusione dell’aggravante, in quanto la sua sterilizzazione per effetto delle attenuanti sia sufficiente ad escludere per lui qualunque pregiudizio. Tale situazione non ricorre nel caso in esame. Il riconoscimento dell’aggravante speciale, pur essendo stato ininfluente sulla pena irrogata, non Ł infatti privo di altre conseguenze pregiudizievoli per l’imputato. Il delitto estorsione aggravata ai sensi del comma 2 dell’art. 629 rientra infatti nell’elenco previsto dall’art. 4bis dell’Ordinamento penitenziario (L. 26 luglio 1975, n. 354) ed Ł quindi parzialmente ostativo alla concessione dei benefici penitenziari nonchØ ostativo (art. 656 comma 9 cod. proc. pen.) alla sospensione dell’esecuzione della pena di cui all’art. 656 comma 5 cod. proc. pen.
Ciò detto, il motivo, oltre che ammissibile, Ł anche meritevole di accoglimento.
In effetti già il giudice di primo grado, nonostante avesse assolto i coimputati dei capi c) ed
m) per non aver commesso il fatto (e dunque perchØ ritenuti estranei alla consumazione dell’estorsione), aveva poi riconosciuto per tutti i capi di imputazione – ivi inclusi i capi c) ed m) – l’aggravante di cui al comma 2 dell’art. 629 cod. pen.; ciò in quanto: ‘in ciascuna condotta estorsiva, anche là dove si Ł individuato un solo autore materiale, la stessa trova fondamento nella oggettiva circostanza fattuale che ogni agire risulta essere sempre posto in essere alla presenza di altri soggetti, molti dei quali individuati negli odierni imputati, con la relativa netta percezione da parte della vittima di turno, cosa che ha contribuito a determinare una palese pressione ambientale…’ (pag. 40 della sentenza di primo grado). Nello stesso senso la Corte di appello, affrontando in via generale le censure mosse dagli appellanti sul punto, motivava affermando: ‘deve confermarsi anche la già ritenuta sussistenza dell’aggravante di aver agito in piø persone riunite perchØ in tutti i singoli episodi in contestazione Ł accertata la presenza di almeno due degli imputati e se anche era uno solo ad avanzare materialmente la richiesta di denaro gli altri rendevano manifesta la propria presenza ed erano pronti ad intervenire all’unisono in caso di mancato immediato adempimento’ (pag. 6). Dai passaggi motivazionali sopra riportati emerge che secondo i giudici di merito l’aggravante delle piø persone riunite sarebbe configurabile per il solo fatto che al momento del delitto erano presenti piø parcheggiatori, anche non coinvolti nella consumazione del reato, ma che potevano intervenire in aiuto dell’agente e la cui presenza Ł stata pertanto percepita come minacciosa dalle persone offese. In sostanza, secondo i giudici emittenti, l’aggravante Ł integrata anche se la persona presente non concorre nel reato, ma Ł tuttavia percepita come potenzialmente pericolosa dalla vittima in quanto potrebbe ipoteticamente intervenire in soccorso dell’agente.
Si tratta di un’interpretazione della norma che non può essere condivisa, in quanto contrasta, non solo con la lettera della disposizione di legge, ma anche con la costante giurisprudenza di legittimità in materia. L’art. 628, comma 3, numero 1 cod. pen. prevede infatti l’aggravante nel caso in cui ‘la violenza o la minaccia Ł commessa…da piø persone riunite’. Il testo della norma non lascia dubbi in ordine al fatto che l’azione violenta o minacciosa deve provenire da piø persone e che queste devono quindi esserne gli autori. La giurisprudenza di legittimità ha poi chiarito (ampliando la portata applicativa della norma) che non Ł necessario che tutte le persone presenti pongano in essere contestualmente condotte violente o minacciose, ma Ł sufficiente che tali condotte siano comunque imputabili o riconducibili a tutti i presenti; si Ł infatti affermato che la circostanza aggravante delle piø persone riunite richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo e al momento di realizzazione della violenza o della minaccia, in modo da potersi affermare che queste ultime siano state poste in essere da parte di ciascuno degli agenti, ovvero che la mera presenza di uno dei complici all’esercizio della violenza o della minaccia possa essere interpretata alla stregua di un rafforzamento delle medesime (Sez. 2, Sentenza n. 40860 del 20/09/2022, Conton, Rv. 284041 – 01). E’ quindi evidente che, ai fini della configurabilità dell’aggravante, se non Ł necessario che tutti i presenti usino violenza o minaccia, Ł però imprescindibile che tutti siano partecipi della commissione del reato. Il presupposto essenziale Ł dunque che le piø persone riunite siano anche concorrenti nel reato. La circostanza che la vittima del reato ritenga o si convinca (a torto o a ragione) che le altre persone presenti potrebbero intervenire in favore dell’agente e percepisca dunque tale presenza come pericolosa, non può certamente essere sufficiente a configurare la circostanza de qua; e ciò, non solo e non tanto perchØ parte della giurisprudenza di legittimità nega che rilevi ai fini dell’integrazione della circostanza il fatto che la vittima si avveda della presenza di piø persone (cfr Sez. 2, Sentenza n. 10695del 30/10/2019 (dep. 2020) Rv. 278521 – 01), ma soprattutto perchØ
sarebbe illogico far dipendere l’aggravamento della pena (peraltro molto consistente), non da una situazione oggettiva imputabile o ricollegabile all’imputato, ma da una mera sensazione di maggior vulnerabilità della persona offesa. Contrariamente a quanto sembrano ritenere i giudici di merito, dunque, la configurabilità dell’aggravante de qua non può prescindere dall’accertamento dell’esistenza di concorrenti nel reato (identificati o meno) presenti sul luogo del delitto. Di conseguenza, una volta che i giudici avevano escluso – in relazione ai capi c) ed m) – che i coimputati COGNOME, COGNOME e COGNOME fossero concorrenti nei reati unitamente al COGNOME, non esistendo altri concorrenti non identificati, si doveva giocoforza escludere la circostanza in esame.
E’ poi evidente l’intima contraddizione e la illogicità della motivazione delle due sentenze, in quanto se si assume che i coimputati presenti sul posto erano pronti ad intervenire a sostegno del COGNOME in caso di reazione della persona offesa, non Ł dato comprendere per quale ragione gli stessi siano stati poi assolti in quanto non vi era prova che avessero dato il loro contributo alla consumazione del reato. E’ infatti pacifico che la presenza in loco che assume in qualunque modo un effetto rafforzativo del proposito criminoso altrui basta ad integrare il concorso ex art. 110 cod. pen. Se tali soggetti sono stati assolti Ł dunque perchØ si Ł ritenuto che non avessero dato alcun contributo anche morale e quindi si Ł ritenuto che la loro presenza non servisse neppure a rafforzare il proposito criminoso dell’imputato, ma allora non si può poi affermare che gli stessi erano lì per prestare tale supporto al COGNOME garantendogli aiuto in caso di bisogno. Va altresì rilevato che l’assoluzione del COGNOME per il capo c) e del COGNOME e del NOME per il capo m), non avendo il PM interposto appello, era oramai irrevocabile, sicchØ la Corte di appello non avrebbe potuto rivalutare la loro posizione seppur al solo scopo di ritenere l’aggravante a carico del COGNOME.
3. Il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato COGNOME Ł fondato e merita accoglimento limitatamente ai motivi relativi alla ritenuta aggravante di cui all’art. 629, comma 2, cod. pen., mentre deve essere per il resto rigettato.
3.1. Il primo motivo del ricorso Ł sostanzialmente sovrapponibile al primo motivo della difesa del COGNOME e risulta, per le stesse ragioni sopra esposte (da intendersi qui richiamate),aspecifico e versato in fatto. La Corte di appello, come detto, ha illustrato le ragioni per le quali la vicenda non poteva semplicemente ridursi ad un esercizio abusivo dell’attività di parcheggiatore, e ha altresì dato conto dei motivi per cui i singoli episodi di estorsione erano manifestazione di un preciso modus operandi e avevano coinvolto a vario titolo tutti i parcheggiatori ritenuti far parte del gruppo. Sono stati poi puntualmente indicati (pag. 5) gli elementi – e persino le frasi pronunciate da alcuni parcheggiatori (emblematiche quelle proferite da COGNOME) – da cui si poteva evincere che gli imputati agivano all’unisono e si presentavano all’esterno come un gruppo organizzato. E’ poi appena il caso di evidenziare che, contrariamente a quanto assume la difesa, gli episodi di estorsione sono stati tutt’altro che in numero esiguo; sono state infatti individuate ben 18 vittime nell’arco di poco meno di due mesi di osservazione – si tratta peraltro dei soli episodi, tra gli innumerevoli altri, in cui Ł stato possibile identificare l’automobilista vittima del reato ed Ł stato quindi possibile formulare un capo di imputazione -. La difesa del ricorrente si Ł quindi limitata a riproporre gli stessi motivi di appello (1° e 2° motivo) che la sentenza impugnata ha disatteso, con motivazione congrua, e con la quale il ricorrente non si confronta.
3.2. Per analoghe ragioni deve essere disatteso anche il secondo motivo di ricorso relativo al capo f), avendo la Corte esposto gli argomenti, come detto, ampiamente condivisibili, in virtø dei quali il complessivo comportamento del COGNOME integrava il delitto di estorsione. A ciò si aggiunga che, contrariamente a quanto sembra prospettare il ricorrente, non vi Ł stato da
parte del giudice di appello alcun travisamento della prova, in quanto la Corte ha correttamente interpretato le dichiarazioni della persona offesa COGNOME, collocando l’episodio in cui era stato costretto a non parcheggiare (non avendo denaro per pagare) nel 2016 (pag. 12). La dichiarazione del COGNOME Ł stata quindi valorizzata, non per affermare che in occasione dei fatti di cui al capo f) (occorsi il 26/04/2017) vi erano state da parte del COGNOME minacce esplicite, ma solo per descrivere il clima di intimidazione che si era venuto a creare e per spiegare per quale ragione il COGNOME percepisse le richieste di denaro dei parcheggiatori come una tacita minaccia.
3.3. Il terzo motivo di ricorso con il quale si contesta, sotto diversi profili, l’aggravante delle piø persone riunite, ritenuta sussistente dai giudici di merito in relazione all’estorsione di cui al capo f), Ł fondato per le stesse ragioni sopra esposte esaminando l’analogo motivo articolato dalla difesa dell’imputato COGNOME. Occorre infatti evidenziare che, come rileva la difesa, il capo f) Ł stato contestato al solo imputato COGNOME e non si ipotizza, neppure nel corpo dell’imputazione, il concorso con altri soggetti identificati o non identificati. A fronte dello specifico motivo di impugnazione che la difesa aveva articolato (3° motivo), la Corte di appello (pag. 12) ha replicato, da un lato, affermando che dalle immagini riprese dalla PG emergeva la presenza in loco dei coimputati COGNOME e COGNOME (seppur in momenti diversi), e, dall’altro, reiterando l’argomento, già esposto in termini generali a p. 6 (di cui si Ł detto) – vale a dire l’argomento secondo il quale ai fini del riconoscimento dell’aggravante doveva ritenersi sufficiente il solo dato obiettivo della presenza di piø imputati, come tale sufficiente ad ingenerare nelle vittime un maggior timore determinato dalla consapevolezza di avere a che fare con una pluralità di soggetti -.
Tale argomento non Ł però condivisibile per le ragioni sopra esposte esaminando il ricorso dell’imputato COGNOME. La Corte di appello non poteva infatti prescindere dal fatto che il reato Ł stato contestato al solo COGNOME e che neppure il PM aveva ipotizzato il concorso nel delitto del COGNOME e del COGNOME; concorso che, non solo non Ł stato ipotizzato, ma, a ben vedere, neppure accertato dal giudice di appello. Si deve quindi ribadire che l’aggravante delle piø persone riunite presuppone che per persone presenti siano anche concorrenti del reato. L’aggravante Ł stata dunque illegittimamente ritenuta e deve essere esclusa
3.4. Il quarto motivo di ricorso con il quale si contesta il riconoscimento dell’aggravante delle piø persone riunite sotto il profilo della violazione della legge processuale – vale a dire per genericità e indeterminatezza del capo d’imputazione e/o per difetto di correlazione tra accusa e sentenza – Ł inammissibile ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen. Si tratta infatti di violazioni di legge che non erano state dedotte con i motivi di appello. Va peraltro evidenziato che l’accoglimento del terzo motivo, in ogni caso, rende superfluo l’esame del quarto.
3.5. Il quinto motivo di ricorso, con cui si deduce vizio di motivazione, in ordine al mancato riconoscimento, sempre per il capo F, dell’attenuante della lieve entità del fatto di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 120 del 2023, Ł infondato. La motivazione della Corte di appello per negare tale attenuante, contrariamente a quanto assume il difensore, non solo non Ł nØ contraddittoria nØ illogica, ma Ł del tutto congrua. L’attenuante de qua postula infatti pur sempre una valutazione complessiva del fatto comprensiva della natura, della specie, dei mezzi, delle modalità o circostanze dell’azione, all’esito della quale il fatto risulti di lieve entità. Ciò detto, non si può certo prescindere in tale valutazione dal contesto in cui l’azione illecita viene perpetrata e dalla sua abitualità. E’ quindi corretto ritenere, come ha fatto il giudice di appello, che non vi Ł spazio alcuno per ritenere di lieve entità una condotta estorsiva che si inseriva in un contesto di sistematica reiterazione di delitti della stessa
indole da parte di un gruppo criminale organizzato.
Il ricorso dell’imputato COGNOME Ł inammissibile per le seguenti ragioni.
Il ricorso difetta dei requisiti di ammissibilità di cui all’art. 581 cod. proc. pen.; ed invero, sebbene il COGNOME sia stato condannato per piø reati, il ricorso non contiene neppure l’indicazione dei punti e dei capi della sentenza oggetto dell’impugnazione. I motivi sono poi articolati in maniera generica e sono privi di specificità intrinseca ed estrinseca, per ragioni analoghe a quelle esposte esaminando il ricorso (sostanzialmente sovrapponibile a quello in esame) dell’imputato COGNOME – ragioni da intendersi qui richiamate -. Ed invero la difesa del COGNOME si limita a reiterare motivi di appello (anch’essi peraltro generici) nei quali si rilevava: che l’imputato non aveva mai minacciato le persone offese; che non si poteva ritenere sussistente il reato sulla base della semplice interpretazione dei pensieri delle vittime in difetto di comportamenti oggettivi dell’agente idonei ad incutere timore; che la condotta del COGNOME integrava esclusivamente l’illecito amministrativo di esercizio abusivo della professione di parcheggiatore (se non una forma di mero accattonaggio); che non si poteva interpretare estensivamente la legge penale per contrastare fenomeni sociali come, in sostanza, aveva fatto il G.u.p. -; che la partecipazione all’RAGIONE_SOCIALE non poteva essere desunta dalla sola presenza in loco dell’imputato tenuto anche conto che tale presenza si poteva spiegare col fatto che lo stesso abitava nelle vicinanze. Il motivo difetta dunque di specificità limitandosi a reiterare gli argomenti esposti nei motivi di appello, già disattesi dalla sentenza di appello (pag. 11) con motivazione congrua, non illogica nØ contraddittoria, con la quale la difesa non si confronta, richiedendo semplicemente a questa Corte una non consentita diversa valutazione dei fatti e delle risultanze istruttorie.
5. In conclusione, per quanto sin qui esposto, la sentenza impugnata emessa nei confronti di NOME COGNOME deve essere annullata limitatamente al riconoscimento dell’aggravante delle piø persone riunite allo stesso contestata ai capi c) ed m) – aggravante che deve essere esclusa per tali reati -. Sebbene all’imputato siano state concesse le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti, l’esclusione della suddetta circostanza incide comunque sia sulla quantificazione della pena base per il piø grave tra i delitti in continuazione – individuato dai giudici di merito in quello di cui al capo c) – sia sulla quantificazione dell’aumento per la continuazione per il capo m). Implicando tali quantificazioni valutazioni di merito, precluse a questo giudice di legittimità, l’annullamento va disposto con rinvio alla Corte di appello. Il giudice di rinvio provvederà alla complessiva rideterminazione del trattamento sanzionatorio per il COGNOME alla luce dell’esclusione dell’aggravante. Per il resto il ricorso deve essere rigettato, con conseguente dichiarazione di irrevocabilità dell’affermazione di responsabilità dell’imputato per i reati di cui ai capi a), c), i) ed m).
La sentenza nei confronti di NOME COGNOME va annullata limitatamente all’aggravante delle piø persone riunite ritenuta per il capo f) (che va esclusa), con rinvio al giudice di appello per la rideterminazione della pena per le stesse ragioni esposte in relazione alla posizione del COGNOME. Il ricorso va invece rigettato per il resto con conseguente dichiarazione di irrevocabilità della affermazione di responsabilità del COGNOME per i reati di cui ai capi a) ed f). Si impone invece la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi proposti dagli imputati COGNOME e COGNOME. Alla declaratoria di inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti da ultimo indicati al pagamento delle spese processuali, nonchØ, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo quantificare in € 3.000,00.
P.Q.M
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME limitatamente all’aggravante delle piø persone riunite rispettivamente contestate ai capi C) ed M) e ritenuta in relazione al capo F), che elimina, con rinvio a diversa sezione della Corte di appello di Napoli per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
Rigetta i ricorsi nel resto e dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende
Così Ł deciso, 16/10/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME