Estorsione con Minaccia Immaginaria: Quando la Menzogna Diventa Coercizione
La distinzione tra il reato di truffa e quello di estorsione è uno dei temi più dibattuti nel diritto penale, specialmente quando la condotta criminale si basa su una menzogna. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 32145 del 2025, offre un chiarimento fondamentale: anche una estorsione minaccia immaginaria può integrare il più grave reato di estorsione se l’effetto sulla vittima è di natura coercitiva, annullandone la libertà di scelta. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.
I Fatti di Causa
Il caso riguarda un individuo indagato per estorsione ai danni di una persona anziana di ottantasette anni. L’indagato si era presentato come un carabiniere, contattando la vittima e raccontandole una storia allarmante e completamente falsa: suo figlio avrebbe causato un grave incidente stradale, provocando la morte di un bambino. Per evitare conseguenze legali immediate, come l’arresto, era necessario versare una somma di quattromilatrecento euro per le spese legali.
Di fronte a questa prospettiva terrificante, l’anziana vittima, in stato di forte agitazione, aveva consegnato all’uomo tutto ciò che aveva a disposizione in quel momento: settanta euro e un orologio. Successivamente, resasi conto dell’inganno, si era rivolta alle forze dell’ordine per denunciare l’accaduto.
La Difesa e il Ricorso in Cassazione
Inizialmente, il Tribunale del riesame aveva riconosciuto la gravità dei fatti, ma aveva sostituito la custodia in carcere con gli arresti domiciliari. La difesa dell’indagato ha però proposto ricorso in Cassazione, sostenendo un’errata qualificazione giuridica del fatto. Secondo il ricorrente, la condotta non configurava un’estorsione, bensì una truffa aggravata.
L’argomentazione difensiva si basava su un punto cruciale: la vittima non sarebbe stata ‘costretta’ dalla minaccia, ma ‘indotta in errore’ dalla falsa rappresentazione di un pericolo immaginario e non dipendente dalla volontà dell’agente. In altre parole, il male prospettato (l’arresto del figlio) non era una conseguenza che l’indagato potesse direttamente causare o evitare. Inoltre, la difesa evidenziava una presunta contraddizione nel fatto che la vittima, dopo il raggiro, avesse prontamente reagito denunciando, dimostrando di non essere stata soggetta a una vera e propria coercizione.
Le Motivazioni della Cassazione sulla Estorsione Minaccia Immaginaria
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando l’impianto accusatorio e fornendo motivazioni molto chiare. Il Collegio ha riaffermato un principio consolidato: integra il reato di estorsione, e non di truffa, la minaccia di un male, che sia esso reale o immaginario.
Ciò che conta, secondo la Corte, è l’effetto coercitivo che tale rappresentazione ha sulla vittima. Se la prospettazione del male, per quanto inventata, è percepita come seria, concreta e capace di limitare la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo, allora si ricade nell’ambito dell’estorsione. Non è necessario che l’agente abbia il potere effettivo di realizzare la minaccia; è sufficiente che la vittima creda che ciò possa accadere e che la sua volontà ne risulti coartata.
Nel caso specifico, la prospettiva dell’arresto del proprio figlio, presentata come imminente e inevitabile senza il pagamento della somma, ha esercitato sulla vittima anziana una pressione psicologica tale da costringerla alla consegna del denaro e dell’orologio. Questa non è stata una libera scelta viziata da un errore (come nella truffa), ma una decisione obbligata dalla paura di un danno grave e ingiusto. Il fatto che, superato il momento della coercizione, la vittima abbia trovato la lucidità per denunciare non sminuisce la natura estorsiva della condotta subita.
Le Conclusioni
La sentenza in esame traccia una linea netta: il discrimine tra truffa ed estorsione risiede nella modalità con cui la volontà della vittima viene manipolata. Nella truffa, la vittima è indotta in errore da un inganno e compie un atto dispositivo che ritiene, a torto, conveniente. Nell’estorsione, invece, la vittima è posta di fronte a un’alternativa secca: subire un danno o compiere l’atto dispositivo richiesto. La sua volontà è viziata non da un errore di valutazione, ma da una vera e propria costrizione.
Questa pronuncia ribadisce che anche una estorsione minaccia immaginaria è punibile come tale, tutelando la libertà di autodeterminazione della persona contro ogni forma di pressione psicologica che, facendo leva su paure e affetti, la costringa ad agire contro i propri interessi.
Quando una minaccia inventata configura il reato di estorsione anziché di truffa?
Configura il reato di estorsione quando la rappresentazione di un male, sebbene immaginario, viene percepita dalla vittima come seria ed effettiva, esercitando su di essa un effetto coercitivo che la costringe a compiere un atto di disposizione patrimoniale per evitare un danno ingiusto.
È rilevante che l’autore del reato non possa effettivamente realizzare il male minacciato?
No, non è rilevante. Ai fini della configurazione dell’estorsione, ciò che conta è che la minaccia, reale o immaginaria, sia idonea a esercitare un effetto coercitivo sul soggetto passivo e che la sua concretizzazione sia percepita dalla vittima come dipendente dalla volontà dell’agente.
La reazione della vittima dopo la consegna dei beni (es. denunciare il fatto) cambia la qualificazione del reato?
No, la pronta reazione della vittima, come la denuncia alle forze dell’ordine dopo aver subito l’azione predatoria, non cambia la qualificazione del reato da estorsione a truffa. La valutazione del reato si basa sulla natura coercitiva della condotta al momento in cui è stata posta in essere.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 32145 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 32145 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME COGNOME nato a Catania il 14/11/2003
avverso l’ordinanza del 17/04/2025 del Tribunale di Catania udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME rilevato che il procedimento si celebra con contraddittorio scritto, senza la presenza delle parti, in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini secondo quanto disposto dagli artt. 610, comma 5 e 611, comma 1bis e ss. cod. proc. pen.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME con requisitoria scritta tempestivamente depositata, ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Il Tribunale per il riesame delle misure cautelari persani di Catania accoglieva parzialmente la richiesta di riesame proposta da NOME COGNOME, indagato per il reato di estorsione, riconoscendo i gravi indizi di colpevolezza del reato contestato, ma ritendo adeguata la misura degli arresti domiciliari, invece che quella della custodia in carcere.
Si contestava al COGNOME di essersi qualificato come carabiniere contattando NOME COGNOME di ottantasette anni, rappresentando falsamente che il figlio aveva avuto un sinistro, che aveva causato il decesso di un bambino e che, pertanto, era necessario versare la somma di quattromilatrecento euro (o quanto possibile) per pagare le spese legali; la vittima consegnavo al COGNOME la somma di settanta euro e un orologio.
Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME che deduceva:
2.1. violazione di legge (art. 581 cod. proc. pen., 640 cod. pen.) e vizio di motivazione: la condotta contestata avrebbe dovuto essere qualificata come truffa dato che la vittima aveva consegnato denaro ed orologio non perché ‘costretta’ dal ricorrente, ma perché indotta in errore dalla prospettazione di un percolo immaginario, non dipendente dalla condotta dell’agente, ovvero la necessità di affrontare una causa per difendere il figlio da una fantomatica accusa di omicidio colposo.
2.2. vizio di motivazione: ci sarebbe contraddizione tra la valutazione relativa alla sussistenza della ‘costrizione’ e quella relativa alla pronta reazione della vittima che, avvedutasi del raggiro, si era rivolta e Forze dell’ordine
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è infondato.
1.1. Il Collegio riafferma che integra il reato di estorsione, e non di truffa aggravata, la minaccia di un male, indifferentemente reale o immaginario, dal momento che identico è l’effetto coercitivo esercitato sul soggetto passivo, tanto che la sua concretizzazione dipenda effettivamente dalla volontà dell’agente, quanto che questa rappresentazione sia percepita come seria ed effettiva dalla persona offesa, ancorché in contrasto con la realtà, a lei ignota (Sez. 2, n. 21974 del 18/04/2017, COGNOME, Rv. 270072 -01; Sez. 2, n. 11453 del 17/02/2016, COGNOME, Rv. 267124 – 01).
Nel caso di specie -con valutazione allo stato degli atti effettuata sulla base degli elementi fino ad ora raccolti -la prospettazione del male, ovvero l ‘ arresto del figlio della anziana vittima, pur se non azionabile dal ricorrente, risulta avere esercitato sulla vittima la ‘ costrizione ‘ necessaria per la realizzazione dell ‘ estorsione che si è concretizzata nella consegna di settanta euro e di un orologio, nulla rilevando che, dopo la consegna di tali beni, l ‘ anziano offeso si sia rivolto alle forze dell ‘ ordine per denunciare l ‘ azione predatoria.
Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.
2.Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il giorno 22 luglio 2025.
Il Consigliere estensore La Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME