Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 37094 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 37094 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a Roma il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 03/06/2025 del Tribunale di Roma udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Roma, quale giudice dell’esecuzione, con ordinanza in data 14 marzo 2025, ha rigettato l’istanza proposta da NOME COGNOME di rideterminare la pena inflitta con la sentenza emessa dal Tribunale di Roma il 31 gennaio 2023 in relazione al reato di tentata estorsione.
Con la richiesta il ricorrente ha chiesto il riconoscimento dell’attenuante a seguito della sentenza n. 120 del 2023 della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale nella parte in cui non prevede che la pena sia diminuita di un terzo se il fatto risulti di lieve entità.
Il giudice dell’esecuzione, considerati i precedenti penali, le modalità dell’azione, nonché che la condotta estorsiva si inserisce in un contesto
caratterizzato da una cessione sostanze stupefacenti e ritenuto che la stessa non era occasionale, ha escluso che il fatto sia di lieve e ha pertanto rigettato la richiesta.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il condannato che, a mezzo del difensore, in un unico motivo ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione evidenziando che la conclusione del giudice dell’esecuzione sarebbe errata in quanto il fatto sarebbe sovrapponibile a quello oggetto della sentenza della Corte costituzionale e che il giudice dell’esecuzione non avrebbe considerato quanto accertato dalla sentenza di condanna, dalla quale risulta l’esiguità del danno patrimoniale (pari a euro 60,00) con conseguente applicazione delle circostanze attenuanti generiche. Sotto altro profilo, poi, la difesa rileva che la valutazione effettuata sarebbe errata in quanto non terrebbe conto del fatto che i parametri cui fare riferimento sono disgiunti. La previsione che chiede di considerare “la natura, la specie le modalità o le circostanze dell’azione”, infatti, è distinta, e in questo è significativo l’uso del termine “ovvero”, dalla “particolare tenuità del danno o del pericolo”.
In data 5 settembre 2025 sono pervenute in cancelleria le conclusioni con le quali il AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
In data 9 ottobre 2025 è pervenuta una memoria di replica con la quale l’AVV_NOTAIO, ribadito che la conclusione sarebbe errata in quanto non farebbe riferimento in modo corretto ai due criteri posti dalla norma così come riconosciuti dalla Corte costituzionale, insite per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERTO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Nell’unico motivo di ricorso la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla valutazione effettuata circa la reale consistenza della gravità del fatto.
La doglianza è manifestamente infondata.
2.1. Al ricorrente, ritenute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti e, prese le mosse dal minimo edittale, è stata applicata la pena in relazione al reato di tentata estorsione per avere cercato, con più azioni e anche incendiando il locale della persona offesa, di ottenere il soddisfacimento di
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un credito di circa 60,00 euro maturato in un contesto di cessione di sostanze stupefacenti.
2.2. La norma incriminatrice di cui all’art. 629 cod. pen., successivamente al passaggio in giudicato della decisione, è stata oggetto della sentenza n. 120 del 2023 con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 629 cod. pen. «nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità».
Nello specifico la Corte, facendo espresso riferimento alle proprie sentenze n. 68 del 2012 in tema di sequestro di persona a scopo di estorsione e 244 del 2022 per il sabotaggio militare, ha rilevato che l’attuale cornice edittale prevista per il reato di estorsione determinava un vulnus ai principi costituzionali di ragionevolezza e finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27 cost.
Secondo il giudice delle leggi, infatti, a fronte degli inasprimenti sanzionatori che si sono succeduti nel tempo è mancata la previsione di “una «valvola di sicurezza» che consenta al giudice di moderare la pena, onde adeguarla alla gravità concreta del fatto estorsivo”, evitando “l’irrogazione di una sanzione non proporzionata ogni qual volta il fatto medesimo si presenti totalmente immune dai profili di allarme sociale che hanno indotto il legislatore a stabilire per questo titolo di reato un minimo edittale di notevole asprezza” (Sez. 2, n. 9820 del 26/01/2024, COGNOME, Rv. 286092 – 01).
Ciò soprattutto considerato che, come già rilevato con la sent. 68 del 2012 in tema di sequestro estorsivo ex art. 630 cod.pen., “anche l’art. 629 cod.pen. è capace di includere nel proprio ambito applicativo «episodi marcatamente dissimili, sul piano criminologico e del tasso di disvalore, rispetto a quelli avuti di mira dal legislatore dell’emergenza», in particolare «per la più o meno marcata “occasionalità” dell’iniziativa delittuosa», oltre che per la ridotta entità dell’offesa alla vittima e la non elevata utilità pretesa”.
Da qui la conclusione per cui anche al reato di estorsione deve essere applicabile la diminuente della lieve entità del fatto, mutuata dall’art. 311 cod. pen. («quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità»), i cui indici qualificanti vanno individuati -sulla sco dell’elaborazione giurisprudenziale- nell’estennporaneità della condotta, nella modestia dell’offesa personale alla vittima, nell’esiguità delle somme estorte e nell’assenza di profili organizzativi.
Ragionamento questo, peraltro, successivamente confermato nella sentenza n. 83 del 2024 relativa al reato di rapina per il quale la Corte ha ribadito che il
rispetto dei principi costituzionali impone di prevedere un “valvola di sicurezza” poiché, in sintesi, «in presenza di una fattispecie astratta connotata, come detto, da intrinseca variabilità atteso il carattere multiforme degli elementi costitutivi «violenza o minaccia», «cosa sottratta», «possesso», «impunità», e tuttavia assoggettata a un minimo edittale di rilevante entità, il fatto che non sia prevista la possibilità per il giudice di qualificare il fatto reato come di lieve entità i relazione alla natura, alla specie, ai mezzi, alle modalità o circostanze dell’azione, ovvero alla particolare tenuità del danno o del pericolo, determina la violazione, ad un tempo, del primo e del terzo comma dell’art. 27 Cost.»
2.3. A seguito della sentenza n. 120 del 2023 il giudice dell’esecuzione, analogamente a quanto avvenuto per altre fattispecie attinte dalla medesima tipologia di declaratoria di illegittimità costituzionale, può essere legittimamente adito ai fini della rideterminazione del trattamento sanzionatorio invocando l’applicazione dell’attenuante.
In questo senso Sez. 1, n. 14861 del 16/2/2024, COGNOME, n.m. che, con riferimento proprio al delitto di estorsione a seguito della sentenza Corte cost. n. 120 del 2022, ha richiamato il principio di diritto già espresso da questa Corte a seguito della dichiarazione di illegittimità dell’art. 630 cod. pen. a causa della mancata previsione della lieve entità del fatto per cui «in tema di sequestro di persona a scopo di estorsione, il condannato con sentenza divenuta irrevocabile prima della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 630 cod. pen., nella parte in cui non prevedeva l’attenuante della lieve entità del fatto (Corte cost., sent. 19 marzo 2012, n. 68), può richiedere, con incidente di esecuzione, l’applicazione della predetta attenuante al fine di rideterminare il trattamento sanzionatorio, ed il giudice adito “in executivis” è tenuto a compiere una valutazione circa la sussistenza della circostanza nei limiti consentiti dalla decisione di merito, ovvero sulla base delle risultanze acquisite e degli apprezzamenti operati, in base ad esse, nel giudizio di cognizione» (Sez. 1, n. 5973 del 04/12/2014, dep. 2015, Ciriello, Rv. 262270 – 01).
Anche nell’ipotesi in esame, quindi, trova applicazione il principio generale secondo cui «quando, successivamente alla pronuncia di una sentenza irrevocabile di condanna, interviene la dichiarazione d’illegittimità costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, e quest’ultimo non è stato interamente eseguito, il giudice dell’esecuzione deve rideterminare la pena in favore del condannato pur se il provvedimento “correttivo” da adottare non è a contenuto predeterminato, potendo egli avvalersi di penetranti poteri di accertamento e di valutazione, fermi restando i limiti fissati dalla pronuncia di cognizione in applicazione di norme diverse da quelle dichiarate incostituzionali,
o comunque derivanti dai principi in materia di successione di leggi penali nel tempo, che inibiscono l’applicazione di norme più favorevoli eventualmente “medio tempore” approvate dal legislatore» (Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, Gatto, Rv. 260697 – 01).
2.4. Nell’operazione di rideterminazione della pena, il giudice deve operare discrezionalmente e considerare i parametri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen., tenendo conto degli elementi fattuali accertati nel giudizio di cognizione e coperti dal giudicato definitivo.
Lo stesso giudice nella valutazione, d’altro canto, deve fare riferimento agli indici dell’attenuante di lieve entità del fatto evidenziati dalla stessa Corte costituzionale, costituiti dall’estemporaneità della condotta, dalla scarsità dell’offesa personale alla vittima, dall’esiguità del valore sottratto e dall’assenza di profili organizzativi, così come, dato lo specifico richiamo contenuto nella sentenza all’art. 311 cod. pen., poi ulteriormente specificati dalla giurisprudenza di legittimità in relazione a tale norma per il reato di estorsione per cui «l’attenuante prevista dall’art. 311 ha natura oggettiva (Sez. 1, n. 28468 del 23/04/2013, Rv. 256117 – 01) e la valutazione di levità investe la condotta delittuosa nel suo complesso sicché la stessa deve essere esclusa se il requisito della lieve entità manchi o in rapporto all’evento di per sé considerato ovvero in rapporto a natura, specie, mezzi, modalità e circostanze della condotta; ovvero, ancora, in rapporto all’entità del danno o del pericolo conseguente al reato, avuto riguardo a tempi, luoghi e modalità del fatto ed all’ammontare delle somme estorte (Sez. 5, n. 18981 del 22/02/2017 Rv. 269933 – 01)» (così Sez. 2, n. 9820 del 26/01/2024, COGNOME, Rv. 286092 – 01).
Ciò anche considerato quanto da ultimo evidenziato con riferimento al reato di rapina da Sez. 2, n. 47610 del 22/10/2024, L., Rv. 287350 – 01 e, in virtù dell’affinità delle due fattispecie quanto alla plurioffensività delle stesse, dalla sentenza Sez. U, n. 42124 del 27/06/2024, Nafi, Rv. 287095 – 02 secondo la quale «può farsi luogo all’applicazione della predetta attenuante solo nel caso in cui sia di speciale tenuità la valutazione complessiva dei pregiudizi arrecati ad entrambi i beni tutelati».
2.5. Nel caso di specie, il giudice dell’esecuzione si è conformato ai principi indicati.
La motivazione dell’ordinanza impugnata, infatti, con lo specifico riferimento alle modalità esecutive protrattesi nel tempo, alla condotta minatoria particolarmente aggressiva, consistita anche nel provocare un incendio al locale della persona offesa, al contesto illecito in cui sono maturati i fatti e ai plurimi precedenti del condannato, dà conto della valutazione complessivamente
effettuata e delle ragioni poste a fondamento della conclusione per cui il fatto non può ritenersi di lieve entità.
Ciò pure considerato che, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa e invece indicato dalla giurisprudenza di legittimità, il danno economico provocato è solo una delle componenti della valutazione da effettuare e non è di per sé da solo dirimente quanto alla configurabilità dell’attenuante invocata.
Il giudizio così effettuato è coerente con gli indici imposti dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità e la decisione, corretta espressione dei parametri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen., pertanto, non è sindacabile in questa sede.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 15 ottobre 2025
Il Consigli
Il Presidente