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Estorsione lavorativa: quando scatta il reato?

La Corte di Cassazione ha annullato l’assoluzione di un datore di lavoro accusato di estorsione lavorativa. La Corte ha chiarito che, sebbene offrire un lavoro a condizioni svantaggiose all’inizio del rapporto non sia reato, la minaccia di licenziamento per peggiorare le condizioni di un rapporto già esistente, anche se irregolare, integra il delitto di estorsione. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per un nuovo esame.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Estorsione Lavorativa: la Cassazione Fa Chiarezza sul Momento del Reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 25359/2025) interviene su un tema delicato e cruciale: l’estorsione lavorativa. La decisione chiarisce la linea di demarcazione tra una trattativa contrattuale, seppur svantaggiosa per il lavoratore, e un vero e proprio reato, focalizzandosi sulla differenza fondamentale tra la fase di costituzione del rapporto di lavoro e la sua successiva esecuzione. Il caso analizzato riguarda un datore di lavoro assolto in primo e secondo grado dall’accusa di estorsione, decisione ora ribaltata dalla Suprema Corte.

I Fatti di Causa

Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Salerno ha presentato ricorso contro una sentenza che confermava l’assoluzione di un imprenditore dal reato di estorsione previsto dall’art. 629 del codice penale. Secondo i giudici di merito, non sussisteva il reato perché il rapporto di lavoro era stato caratterizzato, sin dall’inizio, dall’accettazione da parte del lavoratore di condizioni economiche e contrattuali deteriori rispetto a quelle previste dalla contrattazione collettiva. Mancava, a loro avviso, l’elemento del “danno” per la persona offesa, in quanto la sua situazione non era peggiorata rispetto alla precedente condizione di disoccupazione.

La Distinzione Chiave nell’Estorsione Lavorativa

Il cuore della pronuncia della Cassazione risiede nella distinzione tra due momenti distinti del rapporto di lavoro:

1. La Fase Genetica: È il momento della nascita del rapporto. In questa fase, se il datore di lavoro prospetta a un candidato disoccupato l’alternativa tra accettare condizioni retributive inferiori agli standard o perdere l’opportunità di impiego, non si configura il reato di estorsione. Sebbene il datore ottenga un profitto ingiusto (manodopera sottopagata), non si può provare un danno patrimoniale effettivo per il lavoratore rispetto alla sua preesistente condizione di disoccupazione.

2. La Fase Esecutiva: Riguarda il rapporto di lavoro già in corso. Se il datore di lavoro, per ottenere ulteriori vantaggi patrimoniali, minaccia il dipendente di licenziamento per costringerlo ad accettare un peggioramento delle condizioni contrattuali (ad esempio, una riduzione dello stipendio o la rinuncia a contributi), allora si configura pienamente il reato di estorsione. La minaccia di licenziamento diventa in questo caso uno strumento illecito per coartare la volontà del lavoratore.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte Suprema ha ritenuto fondato il ricorso del Procuratore Generale, affermando che i giudici di merito non avevano correttamente applicato i principi di diritto. La Cassazione ha sottolineato che la pretesa di modificare in peggio le condizioni di un accordo già esistente, anche se di fatto e non conforme ai modelli legali (come nel caso di lavoro “in nero”), rientra nel paradigma dell’estorsione. La minaccia di interrompere il rapporto di lavoro (contra ius) è utilizzata per ottenere scopi non consentiti, come la sistematica perdita del diritto del lavoratore alla contribuzione previdenziale e al TFR. Di conseguenza, la Corte ha annullato la sentenza di assoluzione.

Le Conclusioni

La sentenza è stata annullata con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli per un nuovo giudizio. Il nuovo giudice dovrà accertare se le pratiche illecite (come il lavoro in nero e la mancata contribuzione) fossero parte del patto originario (“fase genetica”) o se siano emerse come una novità durante l’esecuzione del rapporto (“fase esecutiva”), a seguito di una specifica minaccia di licenziamento. Questa decisione riafferma un principio di tutela fondamentale: un rapporto di lavoro, una volta costituito, non può essere alterato a sfavore del dipendente attraverso minacce e intimidazioni, pena l’integrazione del grave reato di estorsione.

Offrire un lavoro a condizioni peggiori rispetto al contratto collettivo è sempre estorsione lavorativa?
No. Secondo la sentenza, se l’offerta con condizioni svantaggiose avviene al momento dell’assunzione (fase genetica) a una persona disoccupata, non si configura il reato di estorsione perché manca la prova di un danno rispetto alla situazione preesistente.

Quando la minaccia di licenziamento diventa un elemento del reato di estorsione?
La minaccia di licenziamento integra il reato di estorsione quando viene utilizzata durante un rapporto di lavoro già in corso (fase esecutiva) per costringere il lavoratore ad accettare un peggioramento delle sue condizioni economiche o contrattuali.

La tutela contro l’estorsione lavorativa si applica anche ai rapporti di lavoro irregolari o “in nero”?
Sì. La sentenza chiarisce che il reato di estorsione può sussistere anche se il rapporto di lavoro è solo di fatto e non conforme ai modelli legali. La distinzione tra fase genetica ed esecutiva si applica anche in questi contesti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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