Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 5928 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 5928 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 22/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da Arcidiacono NOME, nata a Randazzo il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a Taormina il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a Taormina il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a Taormina il DATA_NASCITA
avverso la ordinanza del 24/07/2023 del Tribunale di Messina visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, depositata ai sensi dell’art.23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n.137, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe indicato, il Tribunale di Messina adito ex art. 309 cod. proc. pen., decidendo in sede di rinvio all’esito dell’annullamento disposto dalla Corte di Cassazione, ha annullato l’ordinanza impugnata in relazione ai reati ascritti ai capi 11), 18), 20), 22), 23) e 31) relativi ad una serie di estorsi correlate ad una ipotesi di associazione a delinquere.
I fatti concernevano l’imposizione, in sede di assunzione di lavoratrici presso una società che gestiva servizi di assistenza socio sanitaria, di condizioni economiche di lavoro palesemente inique e contrarie alle disposizioni a tutela delle lavoratrici (vedendo negati i diritti alle ferie, il rispetto degli orari di lavo assenze retribuite) che erano costrette ad accettare per situazioni personali di bisogno; tali condizioni inique perduravano anche a fronte delle rimostranze delle lavoratrici, che si vedevano porre quale unica alternativa quella dell’interruzione del rapporto di lavoro.
Il Tribunale di Messina, adito in sede di riesame, in data 28 ottobre 2022, annullava l’ordinanza del G.i.p. del medesimo Tribunale emessa il 3 ottobre 2022, limitatamente ai predetti capi ritenendo che l’accettazione nella fase genetica del rapporto di lavoro delle condizioni inique imposte dalla società, con l’alternativa della mancata instaurazione del rapporto, non costituiva condotta riconducibile al paradigma del delitto di estorsione, così come non integravano il fatto tipico le reazioni dei datori di lavoro alle recriminazioni successive delle lavoratrici, ferme restando le condizioni già instaurate ed accettate.
La Corte di cassazione, seconda sezione, con la sentenza del 5 aprile 2023, in accoglimento del ricorso del P.M., annullava l’ordinanza del riesame in relazione all’articolo 629 cod. pen., dovendosi verificare per ciascuno dei lavoratori individuati nel corso delle indagini come soggetto alle condotte di pressione psicologica da parte degli indagati, se le minacce fossero dirette all’instaurazione del rapporto di lavoro ovvero se, in presenza di un rapporto già avviato, pur se “in nero”, fossero rivolte a ottenere l’apparente formalizzazione del rapporto di lavoro, secondo condizioni contrattuali difformi da quelle reali (vantaggiose dal punto di vista economico del datore di lavoro e suscettibili di conseguenza patrimoniali pregiudizievoli per i dipendenti).
Il Tribunale, decidendo in sede di rinvio, con l’ordinanza qui nuovamente impugnata, pur annullando l’ordinanza cautelare per mancanza di esigenze cautelari, ha ritenuto di confermare la sussistenza dei gravi indizi in relazione ai capi predetti, avendo ravvisato il reato di estorsione in considerazione del fatto che le lavoratrici dopo essere state assunte “in nero” alle condizioni imposte dai datori di lavoro (situazione rispetto alla quale non può dirsi integrata la fattispecie di reato), erano state successivamente costrette a sottoscrivere apparenti contratti di lavoro a tempo indeterminato part time, pur proseguendo nella prestazione di attività lavorative per orari del tutto diversi e superiori, co indicazione di retribuzioni ricevute, anche mediante la sottoscrizione delle buste paga, simulando l’esistenza di un rapporto formalmente rispettoso delle prescrizioni di legge e minacciando, in caso di mancata accettazione, l’interruzione del rapporto, il che integrava gli estremi del delitto di estorsione.
2. Con atto a firma del difensore di fiducia, i predetti coindagati hanno proposto ricorso per cassazione articolando un unico motivo per violazione di legge in relazione all’art. 627 cod.proc.pen. per erroneità della motivazione sulla gravità indiziaria perché difforme dalle risultanze istruttorie che sono state oggetto di un evidente travisamento della prova. In particolare, dopo aver richiamato il criterio che ricollega la configurabilità del delitto estorsione alle condotte con cui il dator di lavoro, per costringere i dipendenti ad accettare modifiche del rapporto di lavoro, in senso peggiorativo per le condizioni dei lavoratori, prospetti alla vittima la conseguenza – in caso di mancata adesione alle proposte di modifica delle condizioni originariamente pattuite – dell’interruzione del rapporto mediante licenziamento o presentazione “forzata” di dimissioni, mentre va esclusa la configurabilità di detto reato nell’ipotesi in cui le condotte siano precedenti alla instaurazione del rapporto di lavoro essendo in tal caso mancante il pregiudizio che consegue alla perdita del posto di lavoro, il Tribunale ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di reato senza considerare che la pattuizione illecita tra datore di lavoro e lavoratrice era intervenuta prima e non dopo l’instaurazione del rapporti di lavoro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili per carenza di interesse.
Si deve preliminarmente rilevare – come specificato nel ritenuto in fatto – che l’ordinanza impugnata ha comunque annullato l’ordinanza emessa dal Giudice delle indagini preliminari con la quale era stata applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti dei ricorrenti, avendo ritenuto insussistenti esigenze cautelari.
Va ricordato che in tema di ricorso avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare custodiale nelle more revocata o divenuta inefficace, perché possa ritenersi comunque sussistente l’interesse del ricorrente a coltivare l’impugnazione in riferimento a una futura utilizzazione dell’eventuale pronunzia favorevole ai fini del riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione, è necessario che la circostanza formi oggetto di specifica e motivata deduzione, idonea a evidenziare in termini concreti il pregiudizio che deriverebbe dal mancato conseguimento della stessa, formulata personalmente dall’interessato (Sez. U, n.7931 del 16/12/2010, deo. 2011, Testini, Rv. 249002; Sez. 6, n.2210 del 06/12/2007, dep. 2008, Magazzù, Rv. 238632).
Nel caso di specie non è stato allegato a fondamento dei ricorsi l’istituto della riparazione del danno per ingiusta detenzione che giustifica l’interesse ad impugnare una misura detentiva non più efficace, non essendo consentita una rivalutazione della motivazione in punto di gravità indiziaria se la misura cautelare è stata annullata per carenza delle esigenze cautelari, in difetto dell’attualità dell’ interesse a rimuovere una misura cautelare non più efficace.
Inoltre, poiché tale interesse deve essere manifestato personalmente dall’imputato e non dal suo difensore, risulta carente anche questa ulteriore condizione, in assenza di una procura speciale rilasciata a tale fine al difensore.
Dalla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 21 dicembre 2023 Il Co. qlere estensore GLYPH
Il Presidente