Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 29369 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 29369 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME Salvatore nato a Melle il 6/10/1977 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia avverso la sentenza in data 18/12/2024 della Corte di appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; preso atto che il difensore ha avanzato rituale richiesta di trattazione orale in presenza, ai sensi dell’art. 611, commi 1-bis e 1-ter cod. proc. pen.; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata riportandosi alla memoria scritta depositata in data 30/05/2025; udite le conclusioni del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di Appello di Palermo confermava la pronuncia emessa in data 04/05/2023 dal Tribunale di Trapani che, all’esito di giudizio dibattimentale, aveva dichiarato COGNOME NOME responsabile del reato di estorsione in danno di NOME NOME con l’irrogazione della pena di anni tre mesi quattro di reclusione ed euro 800,00 di multa e interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, tramite il difensore di fiducia, articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lettera c) cod. proc. pen. la violazione dell’art. 521 del codice di rito per difetto di correlazione tra accusa e sentenza.
Rileva il ricorrente che il capo di imputazione nella rubrica contiene il riferimento alla fattispecie di cui all’art. 629 cod. pen., ma nella parte descritti della condotta non indica in cosa sarebbe consistito l’ingiusto profitto conseguito dall’imputato per sé, ovvero in favore di soggetti terzi, sicchè l’addebito è – in fatto- costruito in termini di minaccia; entrambi i giudici di merito hanno invece dichiarato la responsabilità per il delitto estorsione affermando che COGNOME NOME, in almeno tre distinte occasioni, aveva minacciato NOME costringendolo ad interrompere la propria attività di promozione turistica e che con tale condotta l’imputato aveva avvantaggiato gli omologhi e concorrenti operatori del luogo, non meglio identificati.
Il capo di imputazione, costruito come minaccia i non ha consentito all’imputato, sin dall’inizio del processo, di impostare compiutamente la propria difesa atteso che egli, ove l’asserito ingiusto profitto fosse stato descritt nell’addebito a lui mosso, avrebbe potuto introdurre nella lista testimoniale i nominativi dei titolari di attività turistiche analoghe a quelle offerte dalla person offesa e dimostrare che costoro non avevano ottenuto alcun vantaggio dalla condotta minacciosa di COGNOME.
2.2. Con il secondo motivo si deduce l’omessa valutazione di una prova decisiva emersa nel corso del dibattimento di primo grado (la testimonianza resa da NOME COGNOME ed il travisamento delle due conversazioni registrate intercorse tra l’odierno ricorrente e la persona offesa, nonché delle dichiarazioni dei testimoni NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, peraltro omettendo parti importanti del loro narrato e favorevoli all’imputato, da tali vizi sarebbe derivata l’erronea qualificazione giuridica del fatto in termini di estorsione
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anziché di mera minaccia ai sensi dell’art. 612 cod. pen., reato estinto per intervenuta remissione di querela.
La Corte di appello, così come il giudice di primo grado, hanno ritenuto attendibile la persona offesa in quanto priva di contraddizioni e riscontrata dai testimoni ascoltati in dibattimento e dalle conversazioni registrate.
Il collegio di merito (pag. 4 della motivazione) ha individuato l’ingiusto profitto nel vantaggio conseguito dagli operatori turistici della zona, salvo poi contraddirsi affermando che la condotta minacciosa era stata realizza dall’imputato “per vantaggio personale” (pag. 7) quando invece dalle testimonianze di NOME COGNOME e NOME COGNOME (entrambe allegate al ricorso) emerge che COGNOME era un semplice bagnino e che non si occupava di alcuna attività di promozione turistica concorrenziale con quella esercitata dalla persona offesa.
La persona offesa ha affermato che, all’interno dello stabilimento balneare nel quale lavorava l’imputato, la sua attività non era stata quella di venditore ambulante e neppure quella di volantinaggio (che sono vietate), ma era consistita nell’avvicinarsi agli ombrelloni occupati dai turisti e proporre loro informazioni in merito ad escursioni.
Tale ricostruzione – ritenuta attendibile dalla Corte di appello – è decisamente smentita dalla testimonianza di NOME COGNOME ( allegata al ricorso) che non è stata valutata dal collegio di merito e che è, tuttavia decisiva, perché, da un lato, infici il narrato della persona offesa, dall’altro lato, riscontra la versione dell’imputato resa in sede di esame, secondo cui, in quanto custode di un tratto di spiaggia assegnato in concessione ad alcuni alberghi, aveva ricevuto dal suo superiore l’ordine di controllare che i vari promotori turistici non disturbassero la quiete dei turisti.
NOME COGNOME infatti, in dibattimento ha riferito che, all’epoca dei fatti, stessa, insieme alla collega COGNOME e alla persona offesa NOME COGNOME si recavano nelle spiagge ove lavorava l’imputato “per fare volantinaggio”.
Travisata è poi la testimonianza resa da NOME COGNOME (allegata al ricorso) che non ha confermato il racconto della persona offesa. Costui in sede di sommarie informazioni aveva riferito di come l’imputato gli avesse detto di avere allontanato il Gabriele dalla spiaggia poiché questi gli “rubava” i clienti; i dibattimento, tuttavia, affermava di non avere utilizzato il verbo “rubare” bensì quello di ” disturbare i clienti” e che quella era la verità, mentre la Corte di appell assume che il teste avrebbe indicato come veritiera la dichiarazione rilasciata in sede di indagini.
Altrettanto travisata è la deposizione del teste COGNOME (allegata al ricorso) che, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di merito, ha riferito di un diverbio dell’imputato con un giovane che faceva volantinaggio in spiaggia con altre due
ragazze (da intendersi la COGNOME e la COGNOME) e non di una persona che pubblicizzava la propria attività turistica.
Le testimonianze richiamate, ove lette correttamente, danno conto che l’imputato aveva allontanato dalla spiaggia NOME COGNOME non per avvantaggiare chissà quali altri promotori turistici, ma semplicemente per impedire a quest’ultimo di svolgere attività di volantinaggio, espressamente vietata, della quale gli albergatori concessionari della spiaggia si lamentavano perché fonte di disturbo per i clienti.
Se ciò che aveva indotto COGNOME ad allontanare la persona offesa era stata l’attività di volantinaggio ( vietata) ed il disagio che ne era derivato ai bagnant allora le conversazioni registrate del 3 e del 6 giugno 2017 assumono tutt’altro significato e vanno interpretate proprio come l’invito dell’imputato rivolto a NOME COGNOME di allontanarsi e di non disturbare le persone che avevano pagato per usufruire della spiaggia privata e avevano pertanto il diritto di non essere importunate, comportamento che neppure le persone del luogo tenevano nei confronti dei turisti.
In tal senso va anche letto il primo colloquio avvenuto tra l’imputato e la persona offesa in data 31 maggio 2017 e da quest’ultima riferito in denuncia nel senso che COGNOME gli aveva detto “qui ci campano altre famiglie, ci sono altre barche di sanvitesi”.
Anche a volere prescindere dal volantinaggio, NOME COGNOME non avrebbe potuto, all’interno di un’area concessa in uso a privati, offrire servizi turistici bagnanti e bene aveva fatto l’imputato ad allontanarlo.
Le modalità con cui COGNOME si è rivolto alla persona offesa integrano pertanto il delitto di minaccia ( estinto per intervenuta remissione di querela) ovvero il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (avendo agito l’imputato nella ragionevole convinzione di dovere, a fronte di una attività di volantinaggio vietata, adempiere alle direttive a lui impartite dai superiori), ovvero ancora di violenza privata.
2.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione di legge in punto di mancato riconoscimento della attenuante della lieve entità introdotta, per il delitto d estorsione, dall’intervento additivo della Corte Costituzionale con sentenza n. 120 del 15/06/2023.
Al riguardo la difesa ricorrente evidenzia l’occasionalità della condotta, la ridotta entità dell’offesa (il giudice di primo grado ha assolto l’imputato dal reato di lesioni personali per difetto di prova in ordine ad uno stato ansioso medicalmente rilevabile, quale conseguenza della asserita condotta estorsiva) e, infine, la circostanza che COGNOME ha agito nella osservanza del compito a lui
affidato di vigilare affinchè í clienti non fossero disturbati da continue offerte servizi turistici.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso va complessivamente rigettato.
E’ manifestamente infondato il primo motivo di doglianza con il quale si deduce la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. prospettando che il capo di imputazione contesterebbe all’imputato la mera minaccia, mentre entrambi i giudici di merito hanno affermato la responsabilità per il diverso reato di estorsione.
L’addebito mosso dal Pubblico Ministero a NOME COGNOME non descrive affatto una condotta rientrante nell’alveo di cui all’art. 612 cod. pen., bensì sussunnibile nello schema legale dell’estorsione di cui risultano indicati non solo il titolo del reato (riportato in rubrica) ma, nell’articolata parte descrittiva, anc tutti gli elementi costitutivi della minaccia costrittiva, dell’ingiusto pro (espressamente menzionato) e del danno patrimoniale procurato alla persona offesa e consistito nell’avere desistito – proprio in ragione della prospettazione di mali ingiusti- dalla propria attività di promozione di servizi turistici.
A fronte di una incolpazione così articolata che contempla anche il riferimento all’ingiusto profitto e cioè il requisito caratterizzante il delitto di estorsione, a difetto di correlazione si configura tra l’imputazione e le sentenze di merito che hanno affermato la responsabilità proprio per il reato di cui all’art. 629 cod. pen., individuando la tipologia dell’ingiusto profitto (che l’agente può indifferentemente perseguire per sé o per altri) nell’avere avvantaggiato le altre attività concorrenziali operanti sul territorio di San Vito Lo Capo.
L’imputato, sin dall’avviso di conclusione delle indagini, era perfettamente a conoscenza delle conversazioni registrate ed allegate alla denuncia da cui è scaturito il presente procedimento dalle quali emergevano, in maniera chiara e circostanziata, le minacce proferite alla persona offesa, da lui stesso espressamente ricollegate alla necessità che costei non svolgesse attività di concorrenza con gli altri operatori della zona.
Rispetto a tale compendio, tale da potere agevolmente prevedere l’epilogo decisorio, in punto di sussistenza e tipologia dell’ingiusto profitto, come uno dei possibili esiti giudiziali di merito, COGNOME ha ampiamente esercitato, in dibattimento, il proprio diritto di difesa introducendo prove a proprio discarico e poi interponendo appello avverso la sentenza di primo grado, nonché il presente ricorso, entramli .incentrati su tale tema.
Come correttamente motivato dalla Corte di appello – che ha fatto buon governo dei principi di diritto dettati dalla giurisprudenza di legittimità c riferimento al disposto di cui all’art. 521 cod. proc. pen. e condivisi da questo Collegio – va escluso, nella specie, un mutamento del fatto ritenuto in sentenza rispetto a quello contestato, ipotesi che si configura solo nel caso di una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie oggetto di addebito e quando il capo di imputazione non contenga l’indicazione degli elementi costitutivi del reato configurato dal giudice; ai fini della valutazione corrispondenza tra pronuncia e contestazione deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, in modo che questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione (Sez. 2, n. 21089 del 29/03/2023, COGNOME, Rv. 284713; Sez. 6, n. 54457 del 17/11/2016, COGNOME, 268957; Sez. 6, n. 10140 del 18/02/2015, COGNOME e altro, Rv. 268202). Si è ulteriormente precisato che in tema di correlazione tra accusa e sentenza, non è configurabile la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. qualora la diversa qualificazione giuridica del fatto appaia conformemente all’art. 111 cost. e all’art. 6 CEDU come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile, in relazione al quale l’imputato ed il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilità di interloquire in ordine al contenuto dell’imputazione, anche attraverso l’ordinario rimedio dell’impugnazione (Sez. 4, n. 49175 del 13/11/2019, D., Rv. 277948;Sez. 2, n. 46786 del 24/10/2024, PG PC Borile, Rv. 261052; Sez. 4, n. 49175 del 13/11/2019, D., Rv. 277948). 2. Infondato è il secondo motivo di ricorso. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il ricorrente si duole della omessa valutazione della testimonianza di NOME COGNOME, da ritenersi prova decisiva / e deduce il travisamento probatorio delle dichiarazioni testimoniali di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME e del contenuto delle conversazioni registrate intercorse tra l’odierno ricorrente e la persona offesa.
La prospettazione relativa alla omessa valutazione del portato dichiarativo di NOME COGNOME, indicata come decisiva, è errata.
Per costante e condiviso indirizzo, deve intendersi decisiva – secondo la previsione dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen.- la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che- ove esperita- avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia, ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura
portante (Sez.4, n. 6783 del 23/01/2024, Di Meglio, Rv. 259323; Sez. 3, n. 9878 del 21/01/2020, R., Rv. 278670; Sez. 2, n. 21884 del 20/03/2013, Cabras, Rv. 255817).
Richiamato tale consolidato principio, va in primo luogo evidenziato che al ricorso è allegata la sola deposizione dibattimentale della COGNOME e non risultano, invece, compiegate le sommarie informazioni testimoniali rese da costei il 21/12/2017 ed acquisite nel giudizio di primo grado (udienza del 05/07/20222) con l’accordo delle parti; l’allegazione è pertanto incompleta in quanto non consente di apprezzare l’intero portato dichiarativo offerto dalla Coppola per valutarne l’effettiv decisività.
Ma anche stando al solo verbale allegato al ricorso, la lettura complessiva di tale contributo orale, a ben vedere, non smentisce- come sostiene la difesa ricorrentela ricostruzione della persona offesa in ordine alla attività svolta all’interno degl stabilimenti balneari nei quali lavorava l’imputato e non conferma la versione di quest’ultimo.
Se è vero che la testimone, nel ricordare le minacce subìte dal suo datore di lavoro NOME COGNOME a cui ella aveva assistito, ha riferito che il giorno del fatt “stavamo facendo volantinaggio”, è tuttavia altrettanto vero che tale espressione è stata estrapolata dalla difesa ricorrente dall’intero contesto descritto dalla testimone che ha spiegato come l’attività in concreto svolta era consistita nella promozione di escursioni turistiche organizzate dalla agenzia RAGIONE_SOCIALE di cui il NOME era titolare, e che tale servizio era, in quel luogo, abitualmente offerto, con le medesime modalità, da molte altre agenzie operanti sul territorio, ragione per la quale la concorrenza era elevatissima; la testimone ha poi precisato come l’intervento intimidatorio dell’imputato – che, secondo la testimone, aveva anche familiari dediti proprio a ciò – era stato, al suo cospetto, espressamente prospettato come finalizzato proprio ad impedire che NOME passasse tra i lettini e “togliesse clienti per altre escursioni”( pagg. 96 e 97 verbale stenotipico).
Il portato dichiarativo della COGNOME, dunque, ove letto per intero, non appare in alcun modo decisivo, in ottica assolutoria, al contrario esso non solo riscontra significativamente il racconto complessivo della persona offesa, ma smentisce la tesi difensiva dell’imputato e conferma che le minacce nei confronti del Gabriele trovavano la loro causale nel fatto che l’attività di costui pregiudicava quelle esistenti a San Vito Lo Capo ed operanti nel medesimo settore delle promozioni turistiche.
Infondata è anche la doglianza relativa al travisamento della testimonianza resa da COGNOME COGNOME laddove la Corte di appello ha affermato che il teste, in dibattimento e a fronte di contestazione, aveva indicato come veritiere le
dichiarazioni da lui rilasciate in sede di indagini nella parte in cui aveva riferito avere appreso dall’imputato che l’allontanamento del NOME dallo stabilimento balneare era stato da lui deciso perché costui gli “rubava” i clienti.
La lettura dell’intero verbale stenotipico (allegato al presente ricorso) smentisce il dedotto errore “sul significante” nel quale sarebbe caduti i giudici di secondo grado.
COGNOME in sede di esame del PM confermava con certezza che l’imputato aveva con lui giustificato l’allontanamento con minacce del Gabriele che “rubava” i clienti, proprio come affermato nelle sommarie informazioni rese in fase di indagine ( pag. 17 delle trascrizioni); in sede di controesame del difensore, il quale gli chiedeva se COGNOME gli avesse, al contrario, detto che la persona offesa “disturbava” i clienti (intesi come ospiti dello stabilimento balneare in cui lavorava come bagnino), rispondeva che quella era la dichiarazione resa in fase di indagini (pag. 19 del verbale stenotipico); posto dal giudice di fronte all’evidente contrasto di tali assunti e sollecitato a riferire quale delle due rispondesse al vero, COGNOME affermava con tono risoluto “io ho detto la verità ai carabinieri e sto dicendo la verità a vo (pag.22 delle trascrizioni”) .
Nessun travisamento si coglie rispetto alle testimonianze di NOME COGNOME e NOME COGNOME da parte della Corte di appello che nella sentenza impugnata non ne ha fatto alcuna menzione.
In tale vizio non è incorso neppure il giudice di primo grado che – conformemente a quanto emerge dal verbale stenotipico ( si vedano in particolare le pagg. da 5 a 7), da leggere nel suo complesso – riportava il narrato di Cusenza indicando come costui aveva riferito dell’incontro con NOME sulla spiaggia il quale nell’occasione stava promuovendo i propri servizi di escursione turistica unitamente ad altri venti operatori impegnati nella medesima attività e a decine di venditori ambulanti stranieri, intenti alla vendita di oggetti.
Analogamente deve dirsi con riferimento alla testimonianza di NOME COGNOME che è stata dal Tribunale fedelmente riassunta nei termini risultanti dal verbale trascrittivo.
Neppure si ravvisa un errore “sul significante” rispetto alle due conversazioni registrate intercorse tra l’imputato e la persona offesa che i giudici hanno ritenuto dirimenti e pienamente confermative del racconto della persona offesa la quale aveva riferito della sua attività di promozione turistica e di quanto accaduto già nel primo incontro del 31/05/2017 (non registrato) allorquando COGNOME gli aveva imposto, con minacce, di allontanarsi dallo stabilimento balneare perché “lì ci stavano altri… ci campano altre famiglie , ci sono altre barche di sanvitesi t rompo le ossa… so dove abiti…).
Le trascrizioni di entrambi i dialoghi sono allegate al ricorso ed il raffronto tr il contenuto delle stesse e quello riportato nelle due sentenze di merito (pressochè integralmente, nel loro tenore testuale) escludono il dedotto travisamento.
Piuttosto, è il difensore ricorrente che ne propone una interpretazione non corrispondente al loro significato reale sostenendo che l’imputato aveva semplicemente invitato la PO ad allontanarsi perché disturbava i bagnanti, quando invece nessun riferimento alla necessità di salvaguardare la tranquillità degli ospiti si coglie nelle due conversazioni.
Il percorso argomentativo della Corte che ha condotto alla qualificazione giuridica del fatto nel reato di estorsione (in modo corrispondente all’imputazione) anziché di mera minaccia non è dunque inficiato dai vizi dedotti nel ricorso; la prospettazione delle diverse fattispecie di violenza privata o, in alternativa di esercizio arbitrario delle proprie ragioni non è stata, invece, dedotta nell’appello (sicchè nessun onere motivazionale incombeva sul punto ai giudici di secondo grado), ma per la prima volta solo in questa sede, in palese inosservanza del disposto di cui all’art. 606, comma 3, cod. proc. pen.
Il collegio di merito ha fondato la conferma del giudizio di responsabilità in tali termini sviluppando un costrutto motivazionale, esente da vizi logici, fondato sulla ricostruzione offerta dalla persona offesa che aveva delineato un quadro di gravi minacce in virtù delle quali costei era stata costretta a desistere dalla attivit concorrenziale di promozione di servizi turistici (che la Corte riteneva non essere vietata) con conseguente ingiusto profitto conseguito dall’imputato e consistito nell’avvantaggiare le attività locali operanti nel medesimo settore.
La Corte ha operato il doveroso vaglio di attendibilità del preciso narrato della persona offesa, assistito da plurimi riscontri rappresentati dal portato dichiarativo di NOME Giuseppe (“qua mi devo guadagnare il pane, se ci sei tu mi togli i clienti per le escursioni marittime), da COGNOME NOME, COGNOME NOME e, in via risolutiva, dalla registrazione del dialogo intervenuto con l’imputato in occasione di due dei tre episodi estorsivi che palesemente esplicitavano lo scopo della condotta intimidatoria e che nessun accenno contenevano alla finalità di salvaguardare la tranquillità dei bagnanti. Proprio l’assenza di tale riferimento nelle conversazioni registrate che, invece, risultavano esclusivamente incentrate sulla prospettazione del pregiudizio che la presenza del Gabriele arrecava agli operatori locali, rendeva del tutto irrilevanti i contributi dichiarativi dai quali era emerso che l’imputa svolgeva la semplice attività di bagnino (senza alcuna cointeressenza, diretta o indiretta, con le concorrenti agenzie turistiche) e che era stato incaricato di preservare la tranquillità del bagnanti, mansioni tali da non escludere le condotta estorsive che con esse erano” coesistite”.
Non consentito è il terzo motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione di legge in punto di mancato riconoscimento dell’attenuante della lieve entità del fatto.
La diminuente in questione è stata introdotta con la pronunzia additiva della Corte Costituzionale n. 120 del 15/06/2023, emessa successivamente alla sentenza di primo grado ma in epoca ben precedente alla scadenza dei termini per la proposizione dell’atto di appello, tuttavia la relativa doglianza non è stata dedotta, seppur utilmente prospettabile, nell’interposto gravame, sicchè essa è tardiva e, pertanto inammissibile, ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. Solo nel caso in cui in cui l’intervento additivo della Corte Costituzionale fosse stato successivo alla sentenza qui impugnata, l’imputato avrebbe potuto legittimamente dolersi per la prima volta dinanzi al giudice di legittimità della mancata applicazione della diminuente con il ricorso principale, ovvero con i motivi aggiunti ed anche con una semplice memoria, se la pronuncia del giudice delle leggi fosse stata emessa addirittura dopo la scadenza dei termini per la proposizione del ricorso principale o dei motivi nuovi.
Né la Corte di appello avrebbe dovuto valutare ex officio la sussistenza dei presupposti di concedibilità della attenuante de qua.
Tale conclusione discende dai dettami contenuti nella pronuncia a Sezioni Unite n. 22533 del 25.10.2018- dep. 2019, Salerno, Rv. 275376 che – pur relativa al tema della non deducibilità con ricorso per cassazione della mancata concessione della sospensione condizionale della pena da parte del giudizio di appello, ove non richiesta del giudizio di merito – ha affermato taluni principi, espressamente estesi anche al caso specifico (ricorrente nella specie) della mancata applicazione di circostanze attenuanti, nel cui novero rientra anche la diminuente della lieve entità del fatto per la fattispecie estorsiva oggetto dell’intervento additivo della Corte Costituzionale.
In motivazione, le Sezioni Unite hanno ricordato che l’art. 597, comma 5, cod. proc. pen. attribuisce al giudice di appello, a prescindere da una specifica richiesta dell’interessato, la facoltà di concedere d’ufficio anche una o più circostanze attenuanti; che tale potere ufficioso costituisce, tuttavia, una eccezionale deroga al principio devolutivo ed è espressione della tipica valutazione di puro merito che compete al giudice di appello in presenza di elementi di fatto che ne consentano ragionevolmente il riconoscimento; che lo “stretto nesso tra ufficiosità, eccezionalità e discrezionalità del potere attribuito al giudice di appello esclude che il suo mancato esercizio possa configurare un vizio deducibile in cassazione”. In particolare si è affermato che la “non decisione” in appello su un beneficio concedibile anche d’ufficio – di cui la parte avrebbe comunque potuto sollecitarne l’esercizio – non è denunciabile come vizio di motivazione per mancanza (art. 606,
comma 1, lett. e, cod. proc. pen.) e, neppure, come violazione di norma processuale stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza
(art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.), tale non essendo l’art. 597, comma
5, codice di rito.
4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 02/07/2025
Il Presidente