Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 4531 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 4531 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato il 15/07/1967 a Napoli
avverso la ordinanza del 4/07/2024 del Tribunale del riesame di L’Aquila visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; letta la memoria di replica trasmessa a mezzo PEC 1’8/11/2024 dall’avvocato NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale del riesame di L’Aquila, in sede di rinvio, ha annullato l’ordinanza del 22 febbraio 2024 dei Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Vasto limitatamente alla misura del divieto di dimora, confermando nel resto l’ordinanza impugnata.
2. La vicenda processuale può così ricostruirsi:
-Il G.i.p. di Vasto, con ordinanza del 22 febbraio 2024, applicava nei confronti di COGNOME NOME la misura cautelare del divieto di dimora in Abruzzo e Molise e la misura interdittiva della sospensione dall’esercizio della professione forense per mesi dieci, in relazione ad una serie di fatti di concorso in calunnia continuata, commessi tra il 19 novembre 2021 ed il 20 ottobre 2022, nonché in relazione ad una serie di fatti di concorso in tentata estorsione continuata. Il Giudice, in particolare, dava atto che risultava che il COGNOME (nella qualità di legale e in concorso con i propri assistiti NOME COGNOME, GLYPH NOME COGNOME e NOME COGNOME), dopo avere accusato diversi soggetti (tra i quali il C.T.U. NOME COGNOME e gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME) coinvolti a vario titolo – anche professionale – in procedimenti di esecuzione immobiliare, dei reati di ingiuria, diffamazione, minaccia, violazioni del domicilio e della riservatezza, aveva promosso sette autonomi giudizi civili innanzi al Tribunale di Vasto chiedendo al Sigisnnondi un risarcimento complessivo di 5.000.000 di euro, all’avv. NOME COGNOME un risarcimento complessivo di 2.100.000 euro ed all’avv. NOME COGNOME un risarcimento di 1.000.000 di euro.
-Il Tribunale di L’Aquila, in funzione di Giudice del riesame, con ordinanza del 7 marzo 2024, annullava il provvedimento del G.i.p., ritenendo l’insussistenza dei reati di calunnia – perché il reato presupposto doveva identificarsi in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in relazione al quale nessuna querela era stata proposta – nonché l’inconfigurabilità del tentativo di estorsione in ragione del concreto esperimento dell’azione giudiziaria innanzi al Giudice civile.
-La Seconda Sezione di questa Corte di cassazione, a seguito del ricorso del Procuratore della Repubblica, confermava l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione ai reati di calunnia ma annullava con rinvio l’ordinanza impugnata con riferimento al reato di tentata estorsione, affermando il principio che, qualora il promuovimento dell’azione in giudizio sia strumentale all’ottenimento dell’ingiusto profitto per via extragiudiziaria, il delitto di cui all’ 629 cod. pen., anche nella forma tentata, ove il fine prefissato non sia raggiunto, è pienamente configurabile.
Nel caso in esame, secondo la Seconda Sezione, si era in presenza di una pluralità significativa di azioni giudiziarie intentate contro le medesime persone, connotate da serialità, del tutto strumentali e sproporzionate nelle richieste di risarcimento, rispetto alle quali occorreva verificare se fossero volte ad assillare e a fiaccare la resistenza dei convenuti, sì da indurli a raggiungere un accordo extragiudiziale ed ottenere in tal modo – a seguito di siffatta condotta costrittiva un ingiusto profitto.
-Il Tribunale del riesame di L’Aquila, con l’ordinanza impugnata ha, infine, ritenuto integrata la gravità indiziaria in relazione al tentativo di estorsione applicando i principi dettati da questa Corte di cassazione.
Sotto il profilo delle esigenze cautelari, il Collegio della cautela, ha ritenuto, infatti, sussistente il pericolo di reiterazione dei reati, e – pur ritenendo sproporzionata la misura coercitiva dell’obbligo di dimora – ha reputato che il ricorrente potesse reiterare la propria condotta, essendosi lo stesso prestato, e continuando a prestarsi in tempi recenti, a veicolare, sia giudizialmente che stragiudizialmente, le abnormi pretese elaborate d’intesa con COGNOME, rappresentando la sua qualifica professionale un elemento determinante ai fini del pericolo di reiterazione del reato.
Avverso l’ordinanza ricorre per cassazione l’indagato deducendo i motivi di seguito sintetizzati ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza con riferimento al reato di tentata estorsione continuata.
Il Tribunale del riesame non motiva, così come invece richiesto dalla Suprema Corte, per quale ragione abbia ritenuto numerosi i giudizi promossi nei confronti o delle persone offese (l’indagato patrocina solo sette giudizi nei ~tese confronti), né spiega perché ritenga pretestuosi i giudizi promossi e abnormi le somme richieste in sede giudiziaria rispetto ai diritti fatti valere.
Inoltre, dopo la proposizione dei giudizi civili, non vi è traccia di diffide, richieste di transazioni, telefonate, pec o e-mail, o qualsivoglia atto da parte dell’indagato finalizzato a indurre i convenuti nei suindicati giudizi a raggiungere un accordo extragiudiziale parallelamente ai giudizi incardinati.
2.2. Violazione di legge in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari.
Non sussiste il pericolo attuale e concreto di reiterazione dei reati della stessa indole.
Le azioni civili contestate nei capi di imputazione fanno riferimento a giudizi incardinati dinanzi al Tribunale di Vasto nel 2021 e nel 2022 e, dagli atti di indagine, risulta che le ultime attività relative ai presenti giudizi risalgono al 4 aprile 2023 e al 24 gennaio 2023, allorquando il ricorrente precisava le conclusioni in relazione a due procedimenti, insistendo per l’accoglimento delle proprie richieste, nonché in data 14 settembre 2023, 1 febbraio 2023, 12 aprile 2023, allorché il predetto chiedeva fissarsi l’udienza di precisazione delle conclusioni in relazione ad altri tre procedimenti. Dopodiche nessuna iniziativa extragiudiziaria è stata posta in essere dall’indagato.
A ciò si aggiunga che egli, all’indomani dell’applicazione ordinanza genetica, si è trasferito a Livorno, dove ha deciso di fissare la propria dimora, recidendo ogni rapporto con i coindagati e con la città di Vasto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito indicate.
2.La giurisprudenza di legittimità ha più volte avuto modo di precisare che integra il reato di estorsione la pretesa azionata in giudizio per scopi eccentrici rispetto a quelli per i quali il diritto è riconosciuto o tutelato, o comunque, non dovuti nell’an o nel quantum, onde conseguire un profitto contra ius.
Integra, pertanto, gli estremi del reato di estorsione la minaccia di prospettare azioni giudiziarie al fine di ottenere somme di denaro non dovute o manifestamente sproporzionate rispetto a quelle dovute, qualora l’agente ne sia consapevole, potendosi individuare il male ingiusto ai fini dell’integrazione del più grave delitto nella pretestuosità della richiesta (Sez. 2, n. 19680 del 12/4/2022, COGNOME, Rv. 283199 – 02; Sez. 6, n. 47895 del 19/6/2014, COGNOME, Rv. 261217 01).
2.1.Diversa situazione si verifica quando l’azione giudiziaria è intentata, atteso che in questa ipotesi l’intermediazione del Giudice, investito della cognizione della pretesa avanzata, impedisce che si possa ipotizzare, da un lato la costrizione illecita, e dall’altro l’ingiusto profitto dell’attore, dovendosi di conseguenza escludere la sussistenza dei suddetti elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 629 cod. pen. (Sez. 2, n. 50652 del 10/11/2023, Manfredi, n.m.). In linea di principio, si è ritenuto, infatti, che il Giudice, con il provvedimento che definisce il giudizio, esercita un potere di natura pubblicistica, connesso all’esercizio della giurisdizione, finalizzato all’attuazione delle norme giuridiche e alla risoluzione dei conflitti di interessi tra le parti, che rende, dunque, non configurabile l’estorsione.
2.2. E, quindi, qualora l’esercizio della azione in giudizio, tenuto conto delle circostanze del caso concreto, sia strumentale all’ottenimento dell’ingiusto profitto per via extragiudiziaria, ad esempio, perché, attraverso una pletora di pretese tendenti a fiaccare la resistenza morale ed economica delle controparti, costrette comunque a sostenere anticipatamente spese ed oneri per costituirsi in giudizio, mira a giungere ad una transazione al di fuori del giudizio e proprio al fine di estinguerlo, il delitto di cui all’art. 629 cod. pen., anche nella forma tentata, qualora il fine prefissato non sia raggiunto, è pienamente configurabile.
Ne consegue che non ogni prospettazione alla controparte o a persona terza di esercitare un’azione giudiziaria e, tantomeno, l’effettivo esercizio dell’azione giudiziaria, ancorché caratterizzata da prospettazioni infondate o da richieste economiche esorbitanti il dovuto, può essere considerata come una minaccia finalizzata ad ottenere un ingiusto profitto: è tale, invero, solo quella che appare ictu °cui/ finalizzata a conseguire un profitto ulteriore ed ingiusto, parallelo e complementare rispetto al preteso diritto azionato in sede giudiziaria.
3.A tale principio si è correttamente conformato il Tribunale del riesame di L’Aquila, che, con motivazione congrua e immune da vizi logici sindacabili in questa Sede, ha sottolineato che, nel caso in esame, sono ravvisabili:
la pretestuosità delle richieste avanzate dall’indagato e la strabordante esosità degli importi azionati, così come emergenti dalle imputazioni, che, almeno in alcuni casi, appaiono ictu oculi esorbitanti rispetto ai diritti che si pretendono lesi. In particolare, dalla lettura di alcune delle sentenze del Tribunale di Vasto, emerge anche che, in relazione ad altri giudizi intentati dall’indagato, il predetto è stato condannato ex art. 96 cod. proc. civ., essendo stata accertata l’esistenza di «rivendicazioni insussistenti» e «palesemente infondate», con «… coscienza dell’infondatezza della domanda». A ciò si aggiunga il fatto che, presso il Tribunale di Vasto risultano essere stati incardinati dalla coppia COGNOMECOGNOME ben 168 procedimenti (tra i quali ancora 92 pendenti);
la serialità delle azioni giudiziarie intraprese anche nei confronti di soggetti diversi.
Requisiti analiticamente valutati nell’ordinanza impugnata, anche al fine di una corretta valutazione del reale animus agendi dell’imputato.
3.1. Il Tribunale del riesame ha, dunque, pienamente assolto al compito demandatogli dalla Corte di cassazione, stabilendo anche che tutti gli atti con cui erano state promosse le azioni giudiziarie erano stati a loro volta preceduti da diffide formulate in toni imperativi e termini assai stringenti (24 ore in un caso e tre giorni in un altro), accompagnate dallo invito a offrire un risarcimento non quantificato. Ciò è stato correttamente ritenuto segno evidente della volontà degli indagati di addivenire alla composizioe della lite mediante conseguimento di somme di denaro, la cui quantificazione era del tutto svincolata dal preteso diritto fatto valere.
4.Quanto alle esigenze cautelari, corretta e sorretta da logica, secondo un percorso che non segnala deficienze o contraddizioni, è poi la motivazione svolta dal Collegio della cautela, che ha ritenuto che la attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione fossero desumibili dalla perdurante coltivazione delle azioni
giudiziarie; anche alla luce del decisum della Corte di cassazione, che aveva evidenziato come fosse integrata anche nel dare continuo impulso al giudizio (ad esempio chiedendo di fissare l’udienza di precisazione delle conclusioni), sempre al fine di accentuare la pressione sulle persone offese e indurle a determinarsi in favoredi soluzioni stragiudiziali.
A fronte di tali evidenze, la circostanza che il ricorrente abbia semplicemente cambiato luogo di residenza è apparsa, correttamente, del tutto irrilevante.
5.Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che si ravvisano ragioni di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12 novembre 2024
Il Presidetel