Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 35408 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: NOME COGNOME
Penale Sent. Sez. 2 Num. 35408 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME
UP – 08/10/2025
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME, nato a Catanzaro il giorno DATA_NASCITA rappresentato ed assistito dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO – di fiducia avverso la sentenza in data 17/12/2024 della Corte di Appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; preso atto che e stata richiesta la trattazione orale del procedimento; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore dell’imputato, AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso al contenuto del quale si Ł riportato.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 17 dicembre 2024 la Corte di Appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza in data 7 luglio 2022 della medesima città, ha:
escluso le circostanze aggravanti di cui al capo 2 della rubrica delle imputazioni relative al reato di estorsione, nonchØ l’aggravante di cui all’art. 112 n. 1 cod. pen. contestata al capo 1 della rubrica delle imputazioni relativo al reato di usura, riconosciuto all’imputato le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla residua circostanza aggravante;
ridotto il trattamento sanzionatorio riservato all’imputato, eliminato la sanzione accessoria dell’interdizione legale e sostituito l’interdizione perpetua dai pubblici uffici con l’interdizione temporanea per la durata di anni 5;
confermato nel resto la sentenza di primo grado con la quale era stata affermata la penale responsabilità dell’imputato NOME COGNOME in relazione ai reati di concorso in usura ai danni di NOME COGNOME (capo 1), di estorsione consumata ed aggravata (capo 2) e di lesioni volontarie aggravate (capo 3) questi ultimi sempre ai danni della medesima persona offesa.
In estrema sintesi, si contesta al COGNOME, in concorso con NOME ed altri, di essersi fatto consegnare dal COGNOME interessi usurari pari alla somma di euro 550,00 in corrispettivo del prestito di una somma di denaro di euro 300,00 consegnatagli nel giugno 2015 e già restituita nel dicembre 2016 (capo 1), di avere utilizzato violenze consistite in percosse e danneggiamenti dell’autovettura del COGNOME, nonchØ minacce di ritorsioni violente
alla persona offesa ed ai suoi familiari, cosi procurandosi l’ingiusto profitto dell’indicato reato di usura (capo 2) e, altresì, di avere concorso moralmente nel reato di lesioni volontarie sempre ai danni del COGNOME che venne colpito con vari pugni al volto e all’addome in data 25 marzo 2017 (capo 3).
Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore (AVV_NOTAIO) dell’imputato, deducendo:
2.1. Violazione di legge e vizi di motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 644 cod. pen., 187, 192, 193 e 533 cod. proc. pen.
Premette la difesa del ricorrente che l’affermazione della penale responsabilità del NOME si fonda esclusivamente sulle dichiarazioni della persona offesa NOME COGNOME, oltre che su quelle delle di lui moglie NOME COGNOME la quale, peraltro, ha riferito di avere appreso dal marito la vicenda usuraria e le intimidazioni alle quali lo stesso era stato sottoposto.
Ne conseguirebbe che non ci si troverebbe in presenza di due fonti probatorie distinte, essendosi verificata una situazione di ‘circolarità’ della prova e che, di conseguenza, tutto l’impianto accusatorio troverebbe il suo fondamento sulla sola valutazione di attendibilità del dichiarato della persona offesa.
Entrambi i dichiaranti sarebbero, poi, portatori di un interesse alla affermazione della penale responsabilità dell’imputato.
Secondo parte ricorrente i Giudici del merito avrebbero errato nel ritenere attendibile il dichiarato della persona offesa la quale avrebbe anche omesso di dichiarare la pendenza a suo carico di un procedimento penale per truffa, avrebbe riferito due diverse versioni in ordine alle modalità con le quali aveva ottenuto il prestito da NOME COGNOME e non indicato alcun elemento, quantomeno indiziario, circa il preciso ammontare delle somme asseritamente restituite prima dell’intervento delle Forze dell’Ordine.
La sentenza impugnata non indicherebbe, quindi, un elemento di prova certa con riguardo alla somma di denaro concessa in prestito, sia in ordine all’applicazione di interessi di natura usuraria.
2.2. Violazione di legge e vizi di motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.
Rileva, al riguardo, la difesa del ricorrente che la giurisprudenza ha sempre ritenuto che il reato di cui all’art. 644 cod. pen. ha natura istantanea e si consuma allorquando l’agente si fa dare o promettere interessi di natura usuraria e ricorda che nel caso in esame il COGNOME ha riferito di avere ottenuto il prestito dal NOME senza una iniziale pattuizione di interessi i quali avrebbero dovuto eventualmente essere corrisposti solo in occasione di una non rapida (‘il piø presto possibile’) restituzione della somma ricevuta. Ne conseguirebbe che al momento del finanziamento vi fu tra le parti solo la pattuizione di un tasso di interesse indefinito, insuscettibile di trasmodare in una usura moratoria.
I Giudici del merito non avrebbero, quindi, tenuto conto di detta situazione.
2.3. Violazione di legge e vizi di motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 110, 629, 393 e 49 cod. pen.
Secondo la difesa del ricorrente i Giudici del merito avrebbero omesso di valutare l’intero contesto nel quale Ł maturata la vicenda essendosi NOME COGNOME limitato a riscuotere il credito vantato dal NOME in un contesto sostanzialmente protetto visto che il COGNOME era pienamente consapevole della presenza delle Forze dell’Ordine pronte ad intervenire a tutela della sua incolumità.
L’azione posta in essere dagli imputati sarebbe stata quindi priva di pericolosità e la
mera partecipazione dell’odierno ricorrente all’incontro non Ł apparsa di per sØ idonea a coartare la volontà della persona offesa.
L’azione asseritamente delittuosa compiuta sarebbe, pertanto, al piø rimasta a livello di tentativo e, inoltre, difetterebbe l’ingiustizia del profitto avendo la persona offesa liberamente accettato la pattuizione iniziale che non prevedeva una specifica determinazione di interessi.
A ciò si aggiunge che difetterebbe la prova che l’odierno ricorrente abbia fornito un apprezzabile contributo morale o materiale al perfezionamento della fattispecie estorsiva e la motivazione prodotta sul punto dai Giudici di merito sarebbe consistita esclusivamente in formule stereotipate senza la Corte territoriale abbia provveduto al necessario vaglio degli elementi rilevanti.
In ogni caso, la Corte territoriale avrebbe dovuto applicare la circostanza attuante della minima partecipazione al fatto di cui all’art. 114, comma 1, cod. pen.
Altresì i Giudici di appello avrebbero, con motivazione apparente ed illogica, confutato la doglianza con la quale la difesa aveva chiesto la derubricazione del reato di estorsione in quello di cui all’art. 393 cod. pen. avendo l’imputato agito nella consapevolezza di vantare un diritto tutelabile in sede giudiziaria.
2.4. Violazione di legge e vizi di motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 110 e 582 cod. pen.
Rileva, al riguardo, la difesa del ricorrente che i Giudici del merito non avrebbero indicato alcun elemento di fatto dal quale poter desumere che il NOME ha fornito un contributo agevolativo per il compimento del reato di lesioni ai danni del COGNOME atteso che l’imputato non era presente allorquando fu commesso tale reato. Ne consegue che la sentenza impugnata dovrebbe essere annullata senza rinvio in ordine a tale reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Prima di procedere all’esame dei motivi di ricorso occorre evidenziare che nel caso in esame la sentenza di primo grado e quella di appello sono giunte a conformi decisioni circa la responsabilità dell’odierno ricorrente in ordine a tutti i reati allo stesso contestati e che, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
In entrambe le sentenze di merito risultano essere stati dettagliatamente, quanto concordemente, ricostruiti i fatti nella loro evoluzione e risultano essere stati analizzati tutti gli elementi probatori (costituiti non solo dalle dichiarazioni della persona offesa e della di lui moglie, ma anche dalle dichiarazioni di altri soggetti, oltre che dal contenuto di conversazioni intercettate), valutati nel loro complesso anche alla luce degli elementi introdotti dalla difesa e motivatamente ritenuti non idonei a contrastare l’impalcatura accusatoria.
Al riguardo occorre altresì evidenziare – con valenza estensibile e tutti i motivi di ricorso che si andranno in seguito ad esaminare – che la sentenza impugnata, in uno con quella del Tribunale, risulta congruamente motivata proprio sotto i profili dedotti da parte ricorrente. Inoltre, detta motivazione, non Ł certo apparente, nØ ‘manifestamente’ illogica e tantomeno contraddittoria.
Per contro deve osservarsi che parte ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell’asseritamente connessa violazione di legge nella valutazione del materiale probatorio,
tenta in realtà di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito.
Al Giudice di legittimità Ł infatti preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchØ ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, Ł – e resta – giudice della motivazione.
In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965).
Ciò doverosamente premesso, rileva il Collegio che il primo motivo di ricorso Ł manifestamente infondato.
Già il Tribunale, dopo avere compiutamente analizzato l’evoluzione delle condotte ed il dichiarato della persona offesa (v. pagg. da 4 a 12 della relativa sentenza), aveva evidenziato (pag. 13) che la ricostruzione dei fatti operata dal COGNOME «appare logica e verosimile, mantenendo un costante livello di approfondimento e mai cadendo in contraddizione o entrando in conflitto con altri dati istruttori acquisiti al sapere processuale».
La Corte di appello, a sua volta, richiamando le prospettazioni difensive contenute nell’atto di gravame (pag. 7 e segg.), poi riproposte in questa sede di legittimità, ha evidenziato di concordare in ordine alla valutazione di attendibilità del narrato della persona offesa anche illustrando le ragioni per le quali la tesi difensiva secondo la quale il debito del COGNOME avrebbe trovato origine nel furto di un borsello dall’autovettura dell’odierno imputato non Ł stata ritenuta plausibile ed idonea a smentire l’attendibilità della persona offesa.
A ciò si aggiunge che in entrambe le sentenze di merito Ł stato evidenziato contrariamente a quanto sostiene la difesa dell’imputato nel ricorso qui in esame – che quanto riferito dalla moglie della persona offesa non riguarda solo elementi appresi dal marito ma anche fatti dalla stessa vissuti direttamente al punto che ebbe ad intervenire personalmente nei confronti dell’odierno imputato per cercare di porre termine alla situazione in evoluzione caratterizzata non solo da minacce ma anche da danneggiamenti.
In punto di diritto deve solo essere ricordato che «poichØ la mancata osservanza di una norma processuale in tanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come espressamente disposto dall’art. 606, comma primo, lett. c) cod. proc. pen., non Ł ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., con riferimento all’attendibilità dei testimoni dell’accusa, la cui inosservanza non Ł in tal modo sanzionata, atteso che il vizio di motivazione non può essere utilizzato sino a ricomprendere ogni omissione o errore che concerna l’analisi di determinati e specifici elementi probatori» (Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567) e, ancora, che «In tema di prove, la valutazione della credibilità
della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che, come tale, non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni» (Sez. 2, n. 41505 del 24/09/2013, Terrusa, Rv. 257241) vizio non rilevabile nelle sentenze di merito in esame.
3. Il secondo motivo di ricorso Ł inammissibile.
Deve, innanzitutto, premettersi che le questioni poste dalla difesa in questa sede di legittimità circa la natura del reato di usura e lo scostamento temporale tra l’accordo relativo al prestito ricevuto dal COGNOME nel quale sarebbe stata genericamente indicata l’imposizione di interessi in caso di ritardo nella restituzione della somma stessa e la successiva pretesa di interessi dal carattere usurario non erano state specificamente prospettate nell’atto di appello il che, da un lato, legittima il fatto che la Corte di appello non ha motivato sul punto e, dall’altro, rende inammissibile la doglianza ai sensi dell’art. 606, comma 3, ultima parte, cod. proc. pen.
Purtuttavia, trattandosi di questione di diritto relativa alla corretta configurabilità del reato di usura, ritiene il Collegio di darvi risposta osservando che del tutto corretta risulta la qualificazione giuridica della condotta descritta al capo 1 della rubrica delle imputazioni.
Il reato di usura può, infatti, ben essere caratterizzato da una pattuizione interessi (di ammontare illecito) intervenuta non al momento dell’erogazione del finanziamento ma in corso di rapporto. Del resto, come evidenziato anche dal Tribunale (v. pag. 15 della relativa sentenza), che all’originario accordo tra le parti ne sia conseguito uno successivo, risulta dimostrato dall’adesione del COGNOME alla richiesta del NOME di corrispondergli l’ulteriore somma di cui all’imputazione a titolo di interessi, somma che la persona offesa iniziò a versare nel dicembre del 2015 e che, come risulta dalle sentenza di merito, solo per l’effetto dell’impossibilità della persona offesa di provvedere alla erogazione dei residui interessi diede luogo ad una successiva attività di violenze e minacce conclusasi solo nell’aprile del 2017.
Infatti, il delitto di usura si configura come un reato a schema duplice, costituito da due fattispecie – destinate strutturalmente l’una ad assorbire l’altra con l’esecuzione della pattuizione usuraria – aventi in comune l’induzione del soggetto passivo alla pattuizione di interessi od altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, delle quali l’una Ł caratterizzata dal conseguimento del profitto illecito e l’altra dalla sola accettazione del sinallagma ad esso preordinato. Nella prima il verificarsi dell’evento lesivo del patrimonio altrui si atteggia non già ad effetto del reato, piø o meno esteso nel tempo in relazione all’eventuale rateizzazione del debito, bensì ad elemento costitutivo dell’illecito il quale, nel caso di integrale adempimento dell’obbligazione usuraria, si consuma con il pagamento del debito, mentre nella seconda, che si verifica quando la promessa del corrispettivo, in tutto o in parte, non viene mantenuta, il reato si perfeziona con la sola accettazione dell’obbligazione rimasta inadempiuta.
Non Ł, pertanto, necessario, per la configurabilità del delitto in esame che vi sia contestualità tra erogazione del prestito e pattuizione degli interessi usurari, ben essendo possibile che questi ultimi, in corso di rapporto vengano pattuiti tra le parti anche in un secondo momento.
Ciò in quanto, come già evidenziato in tempi remoti da questa Corte di legittimità «Il reato di usura si consuma al momento della pattuizione di interessi o vantaggi usurari, anche se tali utilità vengano corrisposte successivamente. Pertanto, il reato stesso Ł istantaneo nel caso della contestuale corresponsione di detta utilità, mentre se queste vengano versate successivamente, conseguitane la promessa dell’agente, ha carattere di reato istantaneo ad
effetti permanenti» (Sez. 2, n. 1316 del 25/10/1984, dep. 1985, COGNOME, Rv. 167798 – 01).
4. Manifestamente infondato Ł, poi, anche il terzo motivo di ricorso nella parte in cui si sostiene che i Giudici del merito avrebbero omesso di valutare l’intero contesto nel quale Ł maturata la vicenda, essendosi NOME COGNOME limitato a riscuotere il credito vantato dal COGNOME in un contesto sostanzialmente protetto visto che il COGNOME era pienamente consapevole della presenza delle Forze dell’Ordine pronte ad intervenire a tutela della sua incolumità, con la conseguenza che l’azione delittuosa sarebbe, al piø, rimasta a livello di tentativo.
Anche in questo caso ci si trova in presenza di una questione che non era stata dedotta nei medesimi termini in sede di appello il che la renderebbe ex sØ inammissibile.
Ritiene tuttavia il Collegio di evidenziare:
a) che la pericolosità ( rectius : la minacciosità) del contesto non riguarda il solo momento della consegna del denaro ma l’intera vicenda costituita di violenze e da minacce che hanno preceduto il momento della consegna del denaro e l’arresto in flagranza dell’odierno ricorrente;
b) che minacce e violenze finalizzate all’ottenimento della corresponsione di interessi palesemente di natura usuraria indubbiamente consentono di configurare il reato di estorsione avendo questa Corte chiarito che «¨ configurabile il delitto di estorsione e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni nei confronti del creditore che eserciti una minaccia per ottenere il pagamento di interessi usurari, poichØ egli Ł consapevole di porre in essere una condotta per ottenere il soddisfacimento di un profitto ingiusto, in quanto derivante da una pretesa “contra ius”» ( ex multis : Sez. 2, n. 9931 del 01/12/2014, dep. 2015, Iovine, Rv. 262566 – 01);
c) che stante la natura palesemente usuraria degli interessi pretesi di erogazione mediante violenze e minacce e l’assenza di una ricostruzione alternativa dei fatti relativi all’insorgenza del credito così come motivatamente esclusa dai Giudici di merito, giammai il COGNOME avrebbe potuto rivolgersi al Giudice per ottenere il pagamento di quanto preteso, il che esclude in punto di diritto, in pretesa di un preteso profitto ingiusto ( rectius : illecito), sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo, la possibilità di addivenire ad un derubricazione del delitto di estorsione in quello di cui all’art. 393 cod. pen.;
d) che correttamente Ł stata ritenuta dai giudici di merito la fattispecie estorsiva nella forma consumata e non in quella tentata atteso che, come questa Corte ha già avuto reiteratamente modo di chiarire «Ricorre il delitto di estorsione consumata e non tentata nel caso di consegna da parte della vittima all’estorsore di una somma di denaro sotto il diretto controllo della polizia giudiziaria, che immediatamente dopo provveda all’arresto del responsabile, in quanto l’adoperarsi della vittima affinchØ si giunga all’arresto dell’autore della condotta illecita integra una delle molteplici modalità di reazione soggettiva della persona offesa allo stato di costrizione in cui versa, senza eliminarlo (Sez. 2, n. 12675 del 20/12/2018, dep. 2019, Sirbu, Rv. 275417 – 01; Sez. 2, n. 27601 del 19/06/2009, COGNOME, Rv. 244671 – 01).
La valutazione di manifesta infondatezza del motivo di ricorso in esame involge, poi, anche l’affermazione difensiva secondo la quale difetterebbe la prova che l’odierno ricorrente abbia fornito un apprezzabile contributo morale o materiale al perfezionamento della fattispecie estorsiva e la motivazione prodotta al riguardo dai Giudici di merito sarebbe consistita esclusivamente in forme stereotipate senza la Corte territoriale abbia provveduto al necessario vaglio degli elementi rilevanti.
Osserva il Collegio che in realtà, come risulta ampiamente motivato nelle sentenze di
merito e ciò vale anche con riguardo alla affermazione della penale responsabilità dell’odierno ricorrente per il reato di lesioni del quale si dirà nel prosieguo, tutta la vicenda in esame ruota attorno alla figura di NOME COGNOME per le esigenze e la salvaguardia delle pretese del quale anche i suoi emissari (concorrenti a vario titolo nei reati) risultano avere agito, il che non consente di porre in dubbio che l’odierno ricorrente in alcuni episodi materialmente e, in altri, moralmente abbia contribuito al perfezionamento di tutti gli episodi delittuosi (ivi comprese le violenze alle cose ed alla persona ed alle minacce) in contestazione.
Inammissibile tout court Ł poi il profilo di ricorso contenuto nel terzo motivo nel quale parte ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe comunque dovuto applicare la circostanza attuante della minima partecipazione al fatto di cui all’art. 114, comma 1, cod. pen. trattandosi di questione che non Ł stato documentato essere stata sottoposta alla Corte di appello.
Manifestamente infondato oltre che sotto certi profili direttamente inammissibile Ł infine anche il quarto motivo di ricorso (erroneamente indicato nell’atto di gravame come terzo motivo) relativo al concorso del NOME nel reato di lesioni volontarie di cui al capo 3 della rubrica delle imputazioni.
Deve, infatti, preliminarmente evidenziarsi, che la questione non risulta essere stata posta in sede di appello nei termini nei quali Ł stata esposta in questa sede di legittimità in che la rende tout court inammissibile e giustifica l’assenza di una specifica risposta sul punto da parte della Corte di appello. Infatti, mentre nell’atto di appello la difesa dell’imputato aveva sostanzialmente sostenuto che non vi era prova dell’aggressione ai danni della persona offesa (sia alla luce delle condizioni fisiche del COGNOME che in relazione alla dedotta inattendibilità delle dichiarazioni dello stesso), per contro, nel ricorso qui in esame, la difesa del ricorrente finisce per dare per scontato che l’aggressione e le conseguenti lesioni di cui al capo C si sono verificate ma che non vi sarebbe prova di un concorso, ancorchØ solo morale, del COGNOME nella causazione degli eventi.
In ogni caso preme rilevare come già i Giudici di merito e, in particolare, il Tribunale (ma anche la Corte di appello a pag. 6 della sentenza impugnata), attraverso la ricostruzione dell’episodio del 25 marzo 2017, hanno avuto modo di motivatamente evidenziare gli elementi che consentono di ritenere provato il coinvolgimento attivo anche dell’odierno ricorrente nell’azione delittuosa in esame.
Fermo restando, infatti, che l’azione delittuosa si inserisce come ulteriore tassello nell’intero contesto di minacce e violenze finalizzate a consentire al COGNOME di ottenere la consegna della somma costituente gli interessi usurari, i Giudici di merito hanno evidenziato che l’odierno ricorrente, pur non essendo materialmente presente nel momento e sul luogo in cui il COGNOME venne fisicamente aggredito, purtuttavia (v. pagg. 23 e segg. della sentenza del Tribunale) venne tenuto telefonicamente informato dell’evoluzione dell’aggressione essendo sostanzialmente emerso che lo stesso ebbe a coordinare l’azione dei soggetti che ebbero a percuotere la persona offesa e che agivano quali sua longa manus e sotto il suo impulso.
Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchØ, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma ritenuta equa di euro tremila in favore
della Cassa delle Ammende.
L’inammissibilità del ricorso preclude il rilievo di cause estintive del reato di cui al capo C maturate in precedenza e non eccepite.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così Ł deciso, 08/10/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME