Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 44716 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 44716 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/10/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il 17/10/2003 a NAPOLI avverso l’ordinanza in data 12/06/2024 del TRIBUNALE DI ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso letta la nota pervenuta dall’Avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOMECOGNOME per il tramite del proprio difensore, impugna l’ordinanza in data 12/06/2024 del Tribunale di Roma che, in sede di riesame, ha confermato l’ordinanza del g.i.p. del Tribunale di Roma, che aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere per i reati di associazione per delinquere, truffa aggravata ed estorsione.
Deduce:
1. Nullità dell’ordinanza per violazione dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. in relazione all’art. 273, comma 1, cod. proc. pen. e all’art. 292, comma 2, lett. c), all’art. 309 cod. proc. pen. e all’art. 629 cod. pen..
Il motivo muove dalla distinzione tra estorsione e c.d. truffa vessatoria, al fine di evidenziare come il fatto contestato al capo 20B sia più correttamente riconducibile all’ipotesi della truffa vessatoria e non in quella dell’estorsione.
A sostegno dell’assunto descrive la dinamica del fatto contestato.
Nullità dell’ordinanza per violazione dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., in relazione all’art. 274, lettera c) e all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. e all’art. 309 cod. proc. pen..
Secondo il ricorrente, il tribunale ha omesso di valutare tutta una serie di circostanze rilevate dalla difesa in ordine all’adeguatezza della misura cautelare, quali il fatto che le condotte si fossero svolte in quindici giorni, la giovane età dell’indagato infra-ventunenne, il contegno processuale ampiamente confessorio, così che il pericolo di reiterazione poteva essere adeguatamente cautelato con la misura degli arresti domiciliari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
1.1. Va premesso che il ricorso non contesta la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione all’associazione per delinquere e alle nove truffe aggravate contestate. Neanche vengono mosse censure in ordine al fatto contestato al capo 20B), al cui riguardo si rivolge il primo motivo d’impugnazione, al solo fine di dedurre l’erronea qualificazione come estorsione e non piuttosto come truffa vessatoria.
1.1.1. La deduzione difensiva è manifestamente infondata.
Va premesso che il fatto viene pacificamente ricostruito nel modo seguente: l’indagato, insieme al suo complice COGNOME, contattava telefonicamente la vittima (una donna anziana e sola) rappresentando -con telefonate incalzanti- che la figlia si trovava in stato di fermo da parte dei Carabinieri tanto che la donna, raggiunta da Montagna, consegnava oro al fine di ottenerne la liberazione.
Il tribunale ha ritenuto configurata un’estorsione osservando che «la persona offesa, incalzata dalle telefonate, sola, anziana, terrorizzata da ripetuti scenari di danno si era determinata ad agire (nel senso voluto dagli indagati) non per sua libera scelta ma in quanto coartata da una messinscena che non le aveva lasciato altra possibilità. La persona offesa aveva dunque agito senza potersi -in alcun modo- determinare ed infatti terrorizzata dalle telefonate di un sedicente direttore delle poste, aveva consegnato altro oro sapendo che i Carabinieri avevano fermato la figlia».
1.1.2. Così ricostruito il fatto, va ricordato che «il criterio distintivo tra i delitto di estorsione mediante minaccia e quello di truffa cd. vessatoria consiste nel diverso atteggiarsi del pericolo prospettato, sicché si ha truffa aggravata ai sensi dell’art. 640, comma secondo, n.2, cod. pen. quando il danno viene prospettato
come possibile ed eventuale e mai proveniente direttamente o indirettamente dall’agente, di modo che la persona offesa non è coartata nella sua volontà, ma si determina all’azione od omissione versando in stato di errore, mentre ricorre il delitto di estorsione quando viene prospettata l’esistenza di un pericolo reale di un accadimento il cui verificarsi è attribuibile, direttamente o indirettamente, all’agente ed è tale da non indurre la persona offesa in errore, ma, piuttosto, nell’alternativa ineluttabile di subire lo spossessamento voluto dall’agente o di incorrere nel danno minacciato», (Sez. 2, n. 24624 del 17/07/2020, COGNOME, Rv. 279492 – 01).
Nel caso in esame il danno viene prospettato quale conseguenza delle condotte degli stessi agenti, i quali hanno correlato la liberazione della figlia della vittima a una loro condotta, condizionata al pagamento della somma o alla consegna dei valori richiesti e ottenuti.
Da ciò discende la correttezza della qualificazione giuridica operata dai giudici e la manifesta infondatezza del contrario assunto difensivo, in palese contrasto rispetto a un orientamento assolutamente consolidato della Corte di cassazione.
Il secondo motivo d’impugnazione è manifestamente infondato e propone questioni non consentite in sede di legittimità.
La censura secondo cui il tribunale non avrebbe preso in considerazione la giovane età dell’indagato e l’arco temporale ristretto in cui si erano svolti i fatti è smentita dalla lettura del provvedimento, dove, alla pagina 7, i giudici valorizzano i molteplici aspetti che ritengono significativi dell’allarme provocato dalla personalità dell’indagato (ciclicità delle condotte nell’ambito di un sodalizio criminale, vicinanza ad ambienti criminali di rilievo, mancanza di pentimento per gravi fatti commessi in danno di persone fragili e indifese, il ruolo non marginale ricoperto e vicinanza ai vertici del sodalizio, assenza di uno stabile lavoro, vicinanza agli stupefacenti).
A fronte di tali rilievi, gli elementi indicati della difesa si mostrano evidentemente recessivi.
In punto di scelta della misura, il tribunale ha altresì evidenziato che la misura carceraria si mostrava proporzionata alla gravità dei fatti e l’unica adeguata a contenere le esigenze cautelari in ragione di quanto sopra evidenziato.
I giudici specificavano ulteriormente come il domicilio indicato quale luogo degli arresti domiciliari non fosse stato adeguatamente documentato.
2.1. La presenza di una quanto mai completa motivazione in ordine alla scelta della misura cautelare denota la manifesta infondatezza della denuncia di omessa considerazione degli elementi valorizzati dalla difesa che, invero, con il motivo d’impugnazione non si confronta con i plurimi elementi valorizzati dai giudici, così che le argomentazioni si risolvono in prospettazioni di merito, il cui scrutinio è precluso alla Corte di legittimità.
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Quanto esposto porta alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Una copia del presente provvedimento deve essere trasmessa, a cura della Cancelleria, al Direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma Iter, disp. att. cod.proc.pen., in quanto dalla sua pronuncia non consegue la rimessione in libertà del detenuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. Att. Cod. Proc. Pen..
Così è deciso il 25/10/2024 Il Consigliere estensore
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La Presidente
NOME COGNOME
NOME COGNOME
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