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Estorsione e truffa: la minaccia fa la differenza

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20753/2024, ha dichiarato inammissibile un ricorso, chiarendo la distinzione tra estorsione e truffa. Il caso riguardava un individuo che, con complici, aveva minacciato una donna anziana della perdita del ristorante e della denuncia del figlio per estorcerle denaro. La Corte ha stabilito che si tratta di estorsione perché la vittima ha agito per paura e coercizione, non per un consenso viziato da inganno. La minaccia di un danno, anche immaginario, la cui realizzazione dipende dall’agente, integra la coartazione tipica dell’estorsione.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Estorsione e truffa: la linea sottile della minaccia

La distinzione tra estorsione e truffa rappresenta un tema cruciale nel diritto penale, spesso oggetto di dibattito nelle aule di giustizia. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 20753 del 2024) ha offerto un importante chiarimento su questo confine, stabilendo che la minaccia di un pericolo, anche se immaginario, ma presentato come dipendente dalla volontà dell’agente, integra il reato di estorsione e non quello di truffa. Questo articolo analizza la decisione e le sue implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di un giovane uomo per il reato di estorsione aggravata ai danni di una persona ultrasessantacinquenne. La vittima, una donna nata nel 1946, aveva ricevuto una serie di telefonate.

Inizialmente, una donna le chiedeva del denaro per saldare presunti debiti del marito e del figlio. Successivamente, un uomo, qualificatosi come impiegato delle poste, le intimava di pagare, minacciando di portarle via il ristorante di famiglia e di denunciare il figlio in caso di rifiuto. La situazione si è aggravata con un’ulteriore telefonata da parte di un altro uomo che si fingeva suo figlio, istruendola a consegnare denaro e oro.

Spinta dalla paura, la donna ha preparato una scatola con i beni richiesti e l’ha consegnata all’imputato. L’intera scena, però, si è svolta sotto l’osservazione della polizia giudiziaria che, insospettita dal comportamento nervoso del giovane, lo ha seguito e fermato subito dopo la consegna, cogliendolo in flagranza di reato.

La Questione Giuridica: Estorsione o Truffa Aggravata?

La difesa dell’imputato ha basato il ricorso sulla riqualificazione del fatto da estorsione a truffa aggravata. Secondo la tesi difensiva, la vittima non sarebbe stata costretta da una minaccia reale, ma indotta in errore dalla prospettazione di un pericolo immaginario. In sostanza, si sosteneva che la sua volontà non fosse stata coartata, ma viziata da un inganno, elemento costitutivo della truffa.

Inoltre, la difesa contestava l’applicazione automatica dell’aggravante legata all’età della vittima, sostenendo che la lucidità dimostrata dalla persona offesa avrebbe dovuto escluderla. Infine, si lamentava che i giudici avessero dato peso al silenzio dell’imputato e non avessero considerato elementi a suo favore, come l’assenza del suo numero di telefono tra quelli da cui erano partite le chiamate minatorie.

La distinzione tra coartazione e induzione in errore

Il punto centrale della controversia risiede nella differenza tra il meccanismo psicologico che porta la vittima a compiere l’atto di disposizione patrimoniale nei due reati.

* Nella truffa (art. 640 c.p.): L’agente, tramite artifizi o raggiri, induce la vittima in errore, ottenendo un consenso viziato. La vittima compie l’atto patrimoniale credendo, a causa dell’inganno, che sia nel proprio interesse o comunque vantaggioso.
* Nell’estorsione (art. 629 c.p.): L’agente, tramite violenza o minaccia, costringe la vittima a compiere l’atto. La volontà della vittima è coartata; essa non sceglie liberamente, ma agisce contro la propria volontà per evitare un male maggiore minacciato.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. I giudici hanno chiarito in modo definitivo perché il fatto dovesse essere qualificato come estorsione.

Il criterio distintivo, afferma la Corte, risiede nella natura del male prospettato. Quando il danno viene presentato come una possibile conseguenza di un’azione o omissione dell’agente stesso, la volontà della vittima non è semplicemente sviata, ma è costretta. La vittima non compie una scelta viziata, ma subisce una pressione psicologica che la obbliga a cedere per evitare il male minacciato. Nel caso di specie, la perdita del ristorante e la denuncia del figlio erano presentate come conseguenze dirette del mancato pagamento, dipendenti dalla volontà dei malviventi. La vittima ha consegnato il denaro non perché convinta della bontà dell’azione, ma perché intimidita e costretta dalla paura.

Per quanto riguarda l’aggravante dell’età, la Corte ha ribadito un principio consolidato: l’aggravante prevista per i reati contro persone ultrasessantacinquenni è di natura oggettiva. Non è necessaria una valutazione della specifica vulnerabilità della vittima; il solo dato anagrafico è sufficiente per la sua configurazione. Infine, la Corte ha sottolineato la rilevanza della flagranza di reato, che costituiva un grave indizio di colpevolezza e rendeva secondarie le altre argomentazioni difensive, come quelle relative ai tabulati telefonici, che attengono a una valutazione di merito non consentita in sede di legittimità.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un importante principio di diritto: la minaccia di un danno ingiusto, anche se immaginario, la cui attuazione è prospettata come dipendente dalla volontà dell’autore del reato, configura una coartazione della volontà della vittima, integrando così il delitto di estorsione. Questa decisione rafforza la tutela delle persone vulnerabili, spesso bersaglio di reati predatori che fanno leva sulla paura e sull’intimidazione, e chiarisce che la linea di demarcazione con la truffa risiede nel modo in cui la volontà della vittima viene manipolata: attraverso l’inganno che genera un falso consenso (truffa) o attraverso la minaccia che annulla la libertà di scelta (estorsione).

Quando una minaccia di un pericolo immaginario configura estorsione e non truffa?
Secondo la Corte, si configura estorsione quando il pericolo, anche se immaginario, viene prospettato come una conseguenza diretta di un’azione o omissione dell’agente. In tal caso, la vittima non è indotta in errore, ma è costretta (coartata) ad agire contro la sua volontà per evitare il male minacciato, la cui realizzazione dipende dal malvivente.

L’aggravante dell’età della vittima (oltre 65 anni) richiede una prova della sua particolare vulnerabilità?
No. La Corte ha ribadito che l’aggravante prevista dall’art. 628, comma terzo, n. 3-quinquies, cod. pen. è correlata al solo dato oggettivo del superamento dei 65 anni di età da parte della persona offesa. Non è necessaria un’indagine specifica sulla maggiore vulnerabilità della vittima, né è possibile dimostrare l’irrilevanza del dato anagrafico.

Cosa distingue la coartazione nell’estorsione dall’induzione in errore nella truffa?
La distinzione risiede nel processo di formazione della volontà della vittima. Nella truffa, l’induzione in errore porta a un consenso viziato ma pur sempre esistente (la vittima crede di agire nel proprio interesse). Nell’estorsione, la coartazione, tramite minaccia, piega la volontà della vittima, che compie l’atto patrimoniale non perché lo vuole, ma solo per evitare il male prospettato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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