Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22464 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22464 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALAGIANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 11/10/2023 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di TARANTO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
considerato che il primo motivo di ricorso, con il quale si contesta la sussistenza degli elementi costitutivi del reato e, di conseguenza, la corretta qualificazione giuridica del fatto, è privo dei requisiti di specificità previsti, a di inammissibilità, dall’art. 581 cod. proc. pen. in quanto non scandito dalla necessaria analisi critica delle argomentazioni poste alla base della sentenza impugnata;
che, inoltre, si prospettano enunciati ermeneutici in palese contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, n. 24624 del 17/07/2020, COGNOME, Rv. 279492; Sez. 2, n. 21974 del 18/04/2017, COGNOME, Rv. 270072), secondo cui il criterio distintivo tra il delitto di estorsione mediante minaccia quello di truffa cosiddetta “vessatoria” consiste nel diverso atteggiarsi del pericolo prospettato, sicché si ha truffa aggravata quando il danno viene prospettato come possibile ed eventuale e mai proveniente direttamente o indirettamente dall’agente, mentre ricorre il delitto di estorsione quando il danno viene prospettato come reale ed attribuibile, direttamente o indirettamente, all’agente, restando indifferente che il male minacciato sia reale o immaginario in quanto è identico l’effetto coercitivo esercitato sul soggetto passivo, sia che la sua concretizzazione dipenda effettivamente dalla volontà dell’agente, sia che sia percepita come seria ed effettiva dalla persona offesa;
che, nella specie, i giudici del merito hanno ampiamente vagliato e disatteso, con corretti argomenti logici e giuridici (Sez. 2, n. 4936 del 27/10/2016, dep. 2017, Stabile, Rv. 268987), le doglianze difensive dell’appello, meramente riproposte in questa sede (si veda, in particolare, pag. 8);
ritenuto che il secondo motivo di ricorso, in punto di trattamento sanzionatorio, è privo di specificità e non consentito in quanto, trattandosi di esercizio della discrezionalità attribuita al giudice del merito, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti per i reati in continuazione, non può costituire oggetto di ricorso per cassazione laddove la relativa determinazione, sorretta da sufficiente motivazione, non sia stata frutto di mero arbitrio o di ragionamento manifestamente illogico;
che, nella specie, l’onere argomentativo del giudice è stato adeguatamente assolto attraverso il richiamo agli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. ritenu decisivi o rilevanti ovvero attraverso espressioni del tipo “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, non essendo necessaria una specifica e dettagliata motivazione nel caso in cui venga irrogata una pena inferiore alla media edittale (si veda pag. 9);
che, inoltre, le censure difensive inerenti all’illegalità della pena sono manifestamente infondate alla luce del dato normativo di cui all’art. 81, primo e quarto comma, cod. pen., a mente del quale la pena inflitta per la violazione più grave può essere aumentata sino al triplo e, nel caso di applicazione della recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen., l’aumento non può essere inferiore ad un terzo, come avvenuto nella specie;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 16 aprile 2024.