Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 2746 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 2746 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il 15/08/1987
avverso la sentenza del 26/05/2023 della CORTE APPELLO di PERUGIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sulle conclusioni del Pubblico Ministero
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Perugia il 26 maggio 2023 ha integralmente confermato la sentenza con cui, per quanto in questa sede rileva, il Tribunale di Terni il 26 maggio 2020, all’esito del dibattimento, ha riconosciuto NOME COGNOME responsabile, in concorso con altri, della violazione degli artt. 73, comma 1, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (capo A), e 629 cod pen. (capo B), per avere, rispettivamente, ceduto in più occasioni cocaina a NOME COGNOME fino a dicembre 2016, e per avere costretto, con minacce anche di morte, COGNOME e sua madre, NOME COGNOME a consegnare somme di denaro quale corrispettivo delle cessioni di droga di cui al capo che precede, essendo stato lo stupefacente acquistato “in conto vendita”, tra giugno e dicembre 2016, in conseguenza condannando l’imputato, senza circostanze attenuanti, alla pena di giustizia (pena base per il reato di cui al capo A, ritenuto più grave, sei anni di reclusione e 26.000,00 euro di multa, con aumento di un anno di reclusione e 4.000,00 euro di multa per il reato ulteriore, ritenuta la continuazione: pena finale sette anni di reclusione e 30.000,00 euro di multa), oltre al risarcimento dei danni, in forma generica, alla parte civile, con assegnazione alla stessa di una somma (10.000,00, con calcolo equitativo sui danni morali) a titolo di provvisionale.
Ricorre per la cassazione della sentenza l’imputato, tramite Difensore di fiducia, affidandosi a quattro motivi con i quali denunzia promiscuamente violazione di legge e difetto di motivazione.
2.1. Con il primo motivo lamenta la violazione degli artt. 192, 530, 533, 546, 597 e 605 cod. proc. pen., in correlazione con gli artt. 81 cpv., 61, n. 2, 629, commi 1 e 2, cod. pen., in relazione all’art. 648, comma 3, n. 1, cod. pen. e, nel contempo, mancanza, mera apparenza e, comunque, manifesta illogicità e contraddittorietà dell’apparato giustificativo, quanto alla ritenuta responsabilità dell’imputato per i reati di cui ai capi A) e B) dell’editto.
I giudici di merito avrebbero omesso di scrutinare adeguatamente, senza idoneo vaglio critico, la attendibilità delle dichiarazioni delle persone offese costituite parti civili, NOME COGNOME e NOME COGNOME e ciò con particolare riferimento alle dichiarazioni di COGNOME circa il ruolo dell’imputato, ruolo che sarebbe nullo, nella consumazione della estorsione. Quanto all’ulteriore accusa, si addita a gravemente erronea e fuorviante l’affermazione del teste di polizia giudiziaria NOME COGNOME secondo cui sarebbe stata trovata droga nella disponibilità di COGNOME, mentre ciò – si sottolinea – è smentito dagli atti; è emerso anche che nessuna delle tre utenze impiegate per spacciare droga è riconducibile a COGNOME.
Inoltre, si sarebbe trascurato che la grafia sul manoscritto prodotto dalla parte civile è risultata non essere riconducibile all’imputato, circostanza già evidenziata nell’impugnazione di merito ma illogicamente screditata dalla Corte di appello con le considerazioni che si leggono alle pp. 11-12 della decisione.
Con specifico riferimento al reato di estorsione (capo B), le testimonianze delle vittime sarebbero imprecise e non circostanziate e, anzi, la madre non avrebbe mai riferito di avere patito minacce; secondo quanto riferito dalla p.g., NOME COGNOME avrebbe avuto una relazione con una coimputata, NOME COGNOME circostanza stranamente taciuta da entrambi; i messaggi inviati con il telefono non avrebbero contenuto minaccioso; sarebbe anomalo che l’imputato abbia contenuto a fornire droga ad un acquirente che, però, non saldava i debiti; ed è emerso che NOME COGNOME avrebbe mentito persino alla propria madre.
Con riferimento all’altra imputazione (capo A), mancherebbe qualsiasi prova circa quantità e qualità della droga che sarebbe stata ceduta nel tempo, essendo l’intero impianto basato sulle dichiarazioni – che si stimano confuse – di NOME COGNOME da ritenersi non credibili, peraltro in difetto di qualsiasi riscontro comunque, sarebbe stato violato il canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente si duole della mancata derubricazione del fatto di cui al capo A) nella violazione del comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, con conseguente violazione degli artt. 27 Cost., 192, 530, 533, 546, 597 e 605 cod. proc. pen. e 73, comma 1 e 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, oltre che assenza, mera apparenza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione e travisamento delle risultanze istruttorie.
Infatti, anche a voler, in ipotesi, prestare credito alle parole della vittima, la droga acquistata avrebbe avuto il valore di circa duemila euro, somma, quindi, compatibile con la invocata derubricazione. Non senza considerare: che il debito in questione sarebbe stato da dividere con la compagna NOME COGNOME; che dei 40.000,00 euro di cui parla la sentenza alla pp. 15-16 non vi sarebbe alcuna prova; e che COGNOME ha dichiarato che nello stesso periodo si riforniva anche tramite il mercato milanese, «ragione per cui non è dato sapere a quali venditori i debiti accumulati si riferissero» (così alla p. 13 del ricorso).
2.3. Con l’ulteriore motivo si censura la illegittimità (dedotta violazione degli artt. 61, n. 2, 62, n. 4, 62-bis, 63, 69, 81, 110, 132, 133, 629 e 648 cod. pen. e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990), la erroneità, anche per mancanza e inadeguatezza della motivazione, e la ingiustizia delle statuizioni in tema di trattamento sanzionatorio, e ciò sotto più profili: quanto alla pena-base in sé; quanto agli aumenti in continuazione; e quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e di quella di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen.
2.4. Infine, oggetto dell’ultimo motivo è l’assegnazione alle parti civili di somma a titolo di provvisionale, con statuizione che sarebbe illegittima (in violazione degli artt. 1226 e 2043 cod. civ., 61, n. 2, 629 e 648 cod. pen. e 538, 539, 540 e 600 cod. proc. pen.), erronea, priva di motivazione e, comunque, non assistita da adeguata motivazione sia sul danno in sé sia sul periculum in mora.
Si chiede, dunque, l’annullamento della sentenza impugnata.
Il P.G. con le requisitorie scritte del 23 aprile e del 16 settembre 2024 ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato e deve essere rigettato, per le seguenti ragioni.
2.11 primo motivo (sull’an della responsabilità) è integralmente costruito in fatto e contenutisticamente reiterativo del primo motivo di appello (pp. 2-6); al riguardo, si rinviene adeguata motivazione alle pp. 6-14 della sentenza impugnata, da leggere insieme alle pp. 4 e ss. di quella di primo grado, con cui l’impugnazione non si confronta adeguatamente.
Quanto al secondo motivo (sulla mancata riqualificazione del reato di cui al capo A nella violazione del comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990), si rinviene sufficiente, non illogica e non incongrua motivazione alle pp. 15-16 della decisione impugnata, ove si valorizza la reiterazione nel tempo delle condotte, le quantità coinvolte e la disponibilità di materiali idonei al confezionamento.
In relazione al terzo motivo (sulla ritenuta eccessiva severità del trattamento sanzionatorio sia quanto alla pena-base in sé sia quanto agli aumenti in continuazione sia quanto al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e di quella di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen.), la Corte territoriale (al pp. 14-16) valorizza l’assenza di ragioni per il riconoscimento delle generiche e, comunque, la reiterazione nel tempo e la gravità dei fatti, l’essere partiti da una pena-base pari al minimo editale quanto al capo ritenuto più grave e con aumento per l’ulteriore reato che è stato – sia pure implicitamente, risultando dalla complessiva struttura argomentativa delle sentenze di merito (v. infatti p. 16 della decisione impugnata e p. 10 di quella del Tribunale: sulla ammissibilità di GLYPH motivazione GLYPH implicita GLYPH cfr., GLYPH tra GLYPH le GLYPH numerose GLYPH altre, GLYPH Sez. GLYPH 4, GLYPH n. 5396 del 15/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284096) – stimato congruo nella misura di un anno di reclusione e di 4.000,00 euro di multa.
4 GLYPH
Con riferimento all’ultimo motivo (sulla ritenuta illegittimità ed erroneità della assegnazione alle parti civili di somma a titolo di provvisionale, senza motivazione ovvero comunque senza adeguata motivazione), è appena il caso di rammentare i seguenti precedenti, cui occorre dare convintamente continuità:
«Non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento» (Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, COGNOME Rv. 277773-02);
«Il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non è impugnabile per cassazione in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento» (Sez. 2, n. 43886 del 26/04/2019, COGNOME, Rv. 277711);
«Non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata» (Sez. 3, n.18663 del 27/01/2015,D.G., Rv. 263486).
6.Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente, per legge (art. 616 cod. proc. pen.), al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 01/10/2024.