Estorsione e Sequestro: la Cassazione Dichiara Inammissibile il Ricorso
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di estorsione e sequestro, confermando la condanna per tre imputati. La decisione è di particolare interesse perché ribadisce i confini invalicabili del giudizio di legittimità e chiarisce, ancora una volta, la netta differenza tra il grave reato di estorsione e l’ipotesi, meno grave, dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, soprattutto quando vengono coinvolti soggetti terzi estranei al presunto debito.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine da una sentenza della Corte di Assise di Appello di Bologna, che aveva confermato la condanna di tre persone per i reati di concorso in sequestro di persona a scopo di estorsione. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, gli imputati avevano privato della libertà una persona al fine di ottenere il pagamento di una somma di denaro. Contro tale decisione, gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione, cercando di ribaltare il verdetto.
I Motivi del Ricorso e la Tesi Difensiva
La difesa degli imputati ha basato il ricorso su diversi motivi, centrati principalmente sulla presunta violazione della legge penale e su vizi di motivazione della sentenza d’appello.
La Ricostruzione Alternativa dei Fatti
Il nucleo centrale della difesa consisteva nel tentativo di offrire una ricostruzione alternativa dei fatti e un diverso apprezzamento delle prove. Gli imputati sostenevano che le loro azioni non configurassero un’estorsione, ma al massimo un esercizio arbitrario delle proprie ragioni, derivante da un debito preesistente contratto dalla persona offesa.
La Critica alla Motivazione della Corte d’Appello
I ricorrenti hanno criticato la sentenza di secondo grado, ritenendola illogica e non conforme al diritto. Hanno riproposto le stesse doglianze già presentate e respinte in appello, insistendo su una diversa qualificazione giuridica del fatto e contestando il ruolo attribuito alla vittima e la natura della merce oggetto della disputa.
L’Analisi della Cassazione sull’Estorsione e Sequestro
La Corte di Cassazione ha rigettato in toto le argomentazioni difensive, dichiarando i ricorsi inammissibili. I giudici supremi hanno evidenziato come le censure mosse dagli imputati fossero generiche e finalizzate, in realtà, a ottenere un nuovo e non consentito esame del merito della vicenda.
Il ricorso per Cassazione, infatti, non è una terza istanza di giudizio sui fatti, ma serve esclusivamente a verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata. Proporre una ‘ricostruzione alternativa’ dei fatti, come tentato dalla difesa, esula completamente dalle competenze della Suprema Corte.
Le Motivazioni
La Corte ha fondato la propria decisione su principi consolidati. In primo luogo, ha qualificato i motivi di ricorso come generici e ripetitivi di argomenti già vagliati e motivatamente respinti dalla Corte d’Appello. Il punto dirimente, tuttavia, risiede nella qualificazione giuridica del reato. La Corte ha sottolineato che la pretesa economica è stata avanzata direttamente nei confronti dei genitori della persona sequestrata, i quali erano palesemente non obbligati a corrispondere alcuna somma. Questo elemento è cruciale e sposta inequivocabilmente la fattispecie dal campo dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni a quello, ben più grave, dell’estorsione e sequestro. La pretesa verso un terzo, estraneo al rapporto debitorio, per ottenere la liberazione di un ostaggio, integra pienamente gli estremi del delitto di cui all’art. 630 del codice penale. Pertanto, ogni altra argomentazione sui presunti doli della vittima o sulla natura della merce è stata ritenuta irrilevante ai fini della decisione, in quanto la ratio decidendi della condanna era saldamente ancorata all’indebita pretesa verso i genitori.
Le Conclusioni
La dichiarazione di inammissibilità ha comportato la conferma definitiva della condanna per gli imputati. Oltre a ciò, in ragione della colpa ravvisata nella proposizione di un ricorso palesemente infondato, la Corte li ha condannati al pagamento delle spese processuali e di un’ulteriore somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa ordinanza rafforza il principio secondo cui il ricorso in Cassazione non può trasformarsi in un appello mascherato e ribadisce con chiarezza che la minaccia a terzi per ottenere un pagamento qualifica il reato come estorsione, a prescindere dall’esistenza di un eventuale credito verso la vittima diretta.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché non contestava violazioni di legge, ma si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già respinte in appello e a suggerire una diversa ricostruzione dei fatti, attività che non è permessa nel giudizio di Cassazione.
Qual è la differenza chiave tra estorsione e ‘esercizio arbitrario delle proprie ragioni’ secondo questa ordinanza?
La differenza fondamentale sta nel soggetto a cui è rivolta la richiesta di denaro. La Corte ha chiarito che si tratta di estorsione perché la pretesa è stata avanzata nei confronti dei genitori della vittima, persone non legate da alcun debito. Se la pretesa fosse stata rivolta solo al presunto debitore, si sarebbe potuta discutere un’altra qualificazione del reato.
Quali sono le conseguenze per i ricorrenti dopo questa decisione?
La dichiarazione di inammissibilità rende definitiva la sentenza di condanna. Inoltre, i ricorrenti sono stati condannati a pagare le spese processuali e un’ulteriore somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende come sanzione per aver presentato un ricorso evidentemente infondato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6615 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6615 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/11/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME natct il 21/09/1996 WU JING natkil 28/09/1994 NOME COGNOME nato il 08/02/2001
avverso la sentenza del 19/06/2024 della CORTE RAGIONE_SOCIALE di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che ging COGNOME individualmente, e NOME COGNOME e NOME COGNOME con un unico atto, ricorrono avverso la sentenza della Corte di Assise di appello di Bologna che ne ha confermato condanna per il delitto di cui agli artt. 110 e 630 cod. pen.;
considerato che l’unico motivo di ricorso di NOME COGNOME con il quale si adducono la violaz della legge penale e il vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità dell’im nonché il primo motivo di ricorso di COGNOME con il quale si censura la motivazione posta a base della dichiarazione di responsabilità delle imputate – lungi dal muovere effettive censure sentenza di secondo grado, hanno prospettato un’alternativa ricostruzione del fatto e un diver apprezzamento del compendio probatorio, reiterando le doglianze prospettate con l’atto di appello disattese dalla Corte territoriale, la quale ha escluso, con una motivazione congrua, logica e confo al diritto – rispetto alla quale non può ravvisarsi alcun travisamento – l’esercizio arbitr proprie ragioni rispetto al pagamento di un debito contratto dalla persona offesa, evidenziando il denaro è stato preteso direttamente dai genitori di quest’ultima di certo non obbli corrisponderlo (cfr. Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, COGNOME, Rv. 268360 – 01), il che es dall’immorare oltre;
considerato che, in relazione al ricorso di COGNOME e COGNOME, il secondo motivo (con cui lamenta il vizio di motivazione in ordine all’esclusione di un ruolo della persona offesa nella segnatamente sotto il profilo del dolo) e il terzo motivo (con cui ci si denuncia il vizio di mot in ordine alla ritenuta contraffazione della merce), sono generici per la dirimente considerazione la Corte di merito ha fondato la propria decisione sulla indebita pretesa avanzata dalle imputate confronti dei genitori della persona offesa, cui è stata subordinata la liberazione di quest’u dunque sono inidonei a censurare la ratio decidendi;
ritenuto che non può pervenirsi a una diversa conclusione sulla scorta di quanto esposto nella memoria presentata dal difensore delle ricorrenti COGNOME con cui si è inteso ribad per vero con asserti generici, l’ammissibilità dell’impugnazione;
ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui consegu ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché ravvisandosi profili di colpa in ragione dell’evidente inammissibilità dell’impugnazione (cfr cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, COGNOME, Rv. 267585 – 01) versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila;
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processu e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13/11/2024.