Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 14367 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 14367 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: IMPERIALI COGNOME
Data Udienza: 12/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME nato in CINA il 03/10/1982
COGNOME nato a PALMA CAMPANIA il 04/04/1963
avverso la sentenza del 05/04/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso di HU LIHE e il rigetto del ricorso di COGNOME
Uditi i difensori:
L’avvocato NOME COGNOME in difesa di RAGIONE_SOCIALE ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
L’avvocato COGNOME in/difesa di COGNOME ha chiesto l’accoglimento del ricorso, anche a nome dell’avvocato COGNOME
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Brescia con la sentenza impugnata ha parzialmente riformato la sentenza del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale cittadino che il 29/5/2023, all’ di giudizio abbreviato, aveva riconosciuto NOME COGNOME colpevole del delitto di estorsione ai dan COGNOME NOME, aggravata dall’aver agito in più persone riunite, esclusa l’aggrava dell’essersi avvalso delle condizioni di cui all’art. 416 bis cod. pen. e di aver agito a agevolare associazione mafiosa (capo 7), condannandolo alla pena ritenuta di giustizia, ed aveva invece assolto COGNOME NOME, per l’insussistenza del fatto, dal diverso addebito di te estorsione ai danni di COGNOME NOME, anch’esso aggravata dall’aver agito in più persone ri dall’essersi avvalso delle condizioni di cui all’art. 416 bis cod. pen. e dall’aver agito agevolare associazione mafìosa (capo C).
Decidendo sui ricorsi proposti dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello relazione alla sola posizione di COGNOME dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bres in relazione all’assoluzione dell’imputato COGNOME dal reato di cui al capo C), e dal dif dell’imputato COGNOME in relazione all’affermazione della responsabilità di questo in ordi delitto di cui al capo 7), la Corte territoriale, ribaltando la pronuncia assolutoria nei con COGNOME, lo ha riconosciuto colpevole del reato di cui al capo C), esclusa l’aggravante metodo e dell’agevolazione mafiosa, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia, ed h confermato la sentenza così come pronunciata nei confronti di NOME COGNOME
Avverso la pronuncia della Corte territoriale hanno proposto ricorso per cassazione entramb gli imputati.
COGNOME COGNOME ha presentato due distinti ricorsi a mezzo dei suoi difensori, a NOME COGNOME ed avv. NOME COGNOME
2.1. GLYPH L’avv. COGNOME ha articolato due motivi di impugnazione, deducendo:
2.1.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione della pe responsabilità. Il ricorrente censura il ribaltamento della sentenza assolutoria di primo senza che fossero evidenziati elementi dotati di una forza persuasiva superiore, sulla base meri rilievi di contraddittorietà della sentenza assolutoria e della valorizzazione delle dichia della persona offesa COGNOME, ritenute in sentenza coerenti, dettagliate e verosimili, me ricorrente assume trattarsi di dichiarazioni generiche, tanto da non essere stato in grado il B di circostanziare le pressioni asseritamente subìte.
Deduce il ricorrente di essere stato mosso solo dalla volontà di soddisfare la propria pret economica, senza mai formulare minacce, con un intento di convinzione e non di costrizione della persona offesa e che la sentenza impugnata avrebbe anche omesso, invece, di indicare gli elementi dai quali desumere una minaccia anche soltanto silente, in presenza di dichiarazioni d COGNOME che si assume avrebbero escluso di aver subito pressioni da parte del COGNOME e d COGNOME, giudicati separatamente.
2.1.2. Con il secondo motivo ha dedotto la violazione di legge ed vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio: si contesta il riconoscimento dell’aggravante delle più persone riunite nonostante emergenze probatorie tese ad escludere che il COGNOME abbia subito un surplus intimidatorio richiesto dall’aggravante oggettiva di cui all’art. 628 comma 3 n. 1 cod. pen., richiamato dall’art. 629 comma 2 cod. pen., e si contesta altresì il diniego delle attenuant generiche attribuendo al COGNOME una caratura criminale sulla base di meri precedenti per reati di modesto rilievo.
2.2. Il ricorso proposto a mezzo dell’avv. COGNOME si fonda, invece, su sei motivi d impugnazione:
2.2.1. GLYPH Violazione di legge per erronea valutazione del ragionevole dubbio in ordine allo svolgimento dei fatti ed alla riferibilità al COGNOME delle pressioni subìte dal COGNOME ed al travisamento della prova con riferimento alle dichiarazioni di quest’ultimo in ordine all provenienza delle richieste estorsive. Dagli atti della P.G. emergerebbe che il COGNOME non avrebbe nulla a che fare con l’estorsione subìta dal COGNOME, derivante da una pretesa creditoria esercitata direttamente dal COGNOME e dal COGNOME come riscontrato da alcune intercettazioni richiamate alla pag. 5 del ricorso e dalle dichiarazioni del COGNOME richiamate nell’informativa P.G. dell’8/3/2022 evocata dal ricorrente.
2.2.2. GLYPH Violazione di legge laddove, ribaltando la sentenza assolutoria di primo grado, si considerano come atti idonei le condotte minatorie contestate, e travisamento della prova con riferimento alle dichiarazioni del COGNOME in ordine all’efficacia intimidatoria delle pres ricevute. Si deduce che il COGNOME non ha mai parlato di minacce ricevute o di esplicite intimidazioni, ma solo di generiche “pressioni”, né vi sarebbero elementi che consentano di ritenere queste “invasive” o “persistenti”. Si deduce anche che nelle dichiarazioni della persona offesa non sarebbe nemmeno rinvenibile alcun elemento idoneo a consentire di ritenere che fosse nota alla persona offesa la caratura criminale del COGNOME e del COGNOME che, del resto, si riferisce essere stati assolti dall’accusa di concorso nell’estorsione addebitata al COGNOME Anche con riferimento alle figure dello COGNOME e dello COGNOME – anch’essi assolti dal reato cui si tratta – si deduce una sorta di “travisamento per invenzione”, in quanto il ricorso neg anche che le “spasmodiche ricerche” della persona offesa, quando questa si è allontanata dalla sua abitazione, ed “il progetto di sequestro della sua compagna” siano state descritte dalla persona offesa come comportamenti intimidatori. Assume il ricorrente che, in definitiva, gli unici elementi valutabili come atti intimidatori sarebbero le pressioni attribuite al COGNOME negli unici due episodi di contatto diretto con il COGNOME, correttamente valutati come atti non idon dal primo giudice.
2.2.3. GLYPH Violazione di legge e vizio di motivazione per il difetto di una motivazione rafforzata idonea a riformare la sentenza assolutoria di primo grado e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla non equivocità degli atti volti a costringere il COGNOME a pagare somma di denaro oggetto di contestazione.
2.2.4. GLYPH Violazione di legge con riferimento alla mancata riqualificazione del delitto di estorsione in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
2.2.5. GLYPH Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio tanto con riferimento ai parametri da impiegare nella determinazione della pena, quanto in ordine alla mancanza di motivazione in ordine all’individuazione della pena base ed alla misura della diminuzione per il tentativo.
2.2.6. GLYPH Violazione di legge con riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche a mancanza di motivazione in ordine agli elementi favorevoli all’imputato. Assume il ricorrente che, trattandosi di fattispecie tentata, vi è illogicità nell’affermazione che valori contemporaneamente la particolare forza intimidatoria attribuita al fatto e la durata degli att compiuti senza giungere alla consumazione: si deduce che proprio il fatto che le condotte degli imputati non hanno condotto ad alcun risultato andava valutato come metro della scarsa offensività delle stesse.
COGNOME a mezzo del suo difensore, ha articolato due motivi di impugnazione:
3.2. Manifesta illogicità della motivazione in ordine al giudizio di responsabilità assumendo il ricorrente di non aver avuto consapevolezza che la firma apposta dalla persona offesa COGNOME su atto di riconoscimento del debito fosse frutto di precedenti condotte intimidatorie, tanto che lo stesso COGNOME non lo aveva espressamente indicato tra le persone che lo avevano minacciato. A sostegno dell’assunto si deduce che non risulta in alcun modo che il ricorrente abbia spalleggiato COGNOME Raffaele durante le minacce da questo rivolte alla persona offesa, sicché la posizione dell’Hu non sarebbe diversa da quella di NOME NOME che, al pari del ricorrente, si trovava in altra stanza al momento della formulazione delle minacce nei confronti del COGNOME e, pertanto, in separato giudizio è stato ritenuto colpevole di usura ma non di estorsione.
3.3. COGNOME Manifesta illogicità della motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche sulla base della mera gravità del fatto, nonostante il ruolo meramente ancillare di NOME COGNOME
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME sono infondati, anche quando non attengono esclusivamente al merito della decisione impugnata.
1.1. In primo luogo deve, infatti, rilevarsi che la sentenza impugnata ha soddisfatto l’onere di motivazione rafforzata che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, grava sul giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado, giacché ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza e non può, invece, limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato” (Cass., Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013 Rv. 254638) In definitiva,
nel riformare la decisione del primo grado, il giudice di appello “non può limitarsi ad inserire n struttura argomentativa della decisione impugnata, genericamente richiamata, delle notazioni critiche di dissenso, essendo, invece, necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il mater probatorio vagliato dal primo giudice, considerando quello eventualmente sfuggito alla sua valutazione e quello ulteriormente acquisito per dare, riguardo alle parti della prima sentenz non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni” (Sez. 2 n. 50643 del 18/11/2014 Rv. 261327).
La sentenza impugnata ha rispettato tali principi, evidenziando in primo luogo la genesi dei rapporti tra il ricorrente a la persona offesa, maturati in un contesto di restituzioni di denaro contante a seguito dì operazioni poste in essere tramite società “cartiere”, quale la RAGIONE_SOCIALE gestita di fatto dalla persona offesa COGNOME NOMECOGNOME per l’effettuazione di i compensazioni fiscali di ingenti crediti o per l’emissione di fatture per operazioni inesistent ancora, per la costituzione di liquidità di denaro apparentemente pulito.
Dopo tale premessa, la Corte territoriale ha, però, dato adeguatamente conto delle ragioni che hanno portato a riconoscere l’attendibilità delle dichiarazioni della stessa persona offesa non solo perché coerenti, dettagliate e verosimili, ma anche e soprattutto perché puntualmente confermate da convergenti riscontri emersi da indagini dì natura captativa e dai conseguenti servizi dì OCP, perquisizioni ed acquisizioni documentali posti in essere dalla polizia giudiziari
Dalle dichiarazioni del COGNOME è emerso, così, che a seguito di un affare propostogli da COGNOME per l’acquisto di crediti IVA di una società, poi non concluso dal COGNOME perché trattava di crediti non cedibili in quanto non asseverati, il COGNOME aveva preteso di ess indennizzato di asserite spese sostenute, acquisendo prima un assegno dall’amministratore di diritto della predetta RAGIONE_SOCIALE (circostanza riscontrata dalla P.G. in occasione di perquisizione presso il ricorrente), e poi un ulteriore pagamento a mezzo bonifico del predetto amministratore di diritto della società. La persona offesa ha riferito delle pressioni ricevute an da persone legate alla delinquenza calabrese, quali COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, affinché esaudisse la richiesta di pagamento formulatagli dal ricorrente, ed anche gli incontri con questi hanno ricevuto puntuali riscontri dai servizi di predisposti dalla P.G.
Nel valutare tali elementi la Corte territoriale, lungi dal limitarsi ad affermare una pr valutazione del compendio probatorio difforme da quella del giudice di primo grado, ha contrastato con concreti elementi di prova le valutazioni di questo secondo cui il COGNOME no avrebbe “subito minacce dìrette o indirette da parte di COGNOME o COGNOME, né da COGNOME e COGNOME“, giacché questi sì sarebbero limitati ad una ricerca della persona offesa da ritener estrinsecatasi, al più, in “meri atti preparatori, tali da non raggiungere la soglia del tent punibile”.
Emerge, invece, dalla sentenza impugnata, che le pressioni subìte dalla persona offesa ad opera del ricorrente e delle persone alle quali questo si era rivolto erano state così invasìve indurre il COGNOME per sottrarsi a queste, ad abbandonare improvvisamente e clandestinamente
la propria abitazionell ionel e trasferirsi a Vicenza, interrompendo ogni contatto telefonico con il ricorrente. Per contrastare le diverse valutazioni del primo giudice, poi, la Cor territoriale ha evidenziato il carattere esplicito delle minacce che la persona offesa riferi essergli state veicolate attraverso le parole del COGNOME, laddove questo aveva precisato di non pretendere nulla da lui ma che, se non avesse aderito alle richieste, avrebbe ricevuto “ritorsioni da COGNOME Raffaele e soci”: premesso che tale precisazione smentisce la prospettazione difensiva secondo cui il COGNOME sarebbe estraneo alle pretese creditorie avanzate dal COGNOME e dal COGNOME, deve rilevarsi che, senza incorrere in vizi logici, la Corte territoriale ha ritenuto che la provenienza di tale avvertimento da persona legata alla ‘ndrangheta, come tale non adusa a minacce dirette, fosse sufficiente a riconoscerle una inequivoca portata intimidatoria, confermata dal successivo precipitoso abbandono della propria abitazione da parte della persona offesa e dalle ossessive ricerche di questo che ne erano seguite, fino ad un tentativo di sequestro subìto dalla ex compagna dello stesso COGNOME
I motivi di doglianza con i quali i ricorsi proposti nell’interesse del COGNOME prospettano difetto di motivazione rafforzata nella sentenza impugnata sono, pertanto, infondati, in quanto l’articolato percorso argomentativo della sentenza, con esplicita e dettagliata confutazione delle diverse valutazioni del primo giudice, soddisfa ampiamente l’onere motivazionale richiesto richiesto per il ribaltamento della sentenza di primo grado, anche alla luce della giurisprudenza di questa Corte di legittimità dinanzi ricordata.
1.2. COGNOME Il motivo di ricorso volto a contestare la qualificazione della condotta del ricorrente come estorsione, e non già come esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone è manifestamente infondato.
Come è noto, i due reati si differenziano tra loro in relazione all’elemento psicologico, da accertarsi secondo le ordinarie regole probatorie. (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 – 02) e, in particolare, con riferimento all’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ai della configurabilità del reato, occorre che l’autore agisca nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto suscettibile di costitu oggetto di una contestazione giudiziale, anche se detto diritto non sia realmente esistente; tale pretesa, inoltre, deve corrispondere perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, e non mirare ad ottenere un qualsiasi “quid pluris”, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato. (Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268362 – 01).
Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha dato adeguatamente conto di come la pretesa del COGNOME fosse del tutto sfornita di base legale, dovendosi escludere che lo stesso potesse ragionevolmente ritenere azionabile in giudizio una pretesa originata da condotte fiscalmente illecite, finalizzate ad illecite compensazioni di crediti IVA.
1.3. Sono, del pari, manifestamente infondate le censure volte a contestare il riconoscimento dell’aggravante delle più persone riunite, avendo la sentenza impugnata
ragionevolmente riconosciuto efficacia intimidatoria anche ad incontri del COGNOME con il COGNOME ed il COGNOME ai quali ha assistito perfino la P.G., nel corso di servizi di OCP.
1.4. Attengono, invece, esclusivamente al merito della decisione impugnata le censure rivolte al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed al trattamento sanzionatorio riservato al ricorrente.
Sotto il primo profilo, la Corte territoriale ha rilevato, in primo luogo, l’assenza di “profi meritevolezza tali da giustificare una speciale attenuazione della pena”, considerazione di per sé sufficiente a soddisfare l’onere motivazionale del diniego delle attenuanti in parola (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, Rv. 26646001) e, comunque, ha valorizzato anche “la notevole cifra della forza intimidatoria esercitata coordinatamente dai correi, la speciale intensità del dolo ricavabile dalla protrazione dell’intento criminoso e la consistente e considerevole entità degli importi illecitamente pretesi dalla vittima”. Anche sotto tale profilo, la valutazione è incensurabile questa sede, dovendosi ritenere sufficiente che a tal fine il giudice faccia riferimento agli elementi ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Rv. 248244) né, comunque, dal percorso motivazionale della sentenza impugnata emerge la scarsa offensività della condotta prospettata dalla difesa, avendo, invece, la sentenza valorizzato il precipitoso e clandestino abbandono del proprio domicilio da parte della persona offesa, proprio per sottrarsi alle condotte oggetto dell’imputazione.
Anche la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che l’esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.. Ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Rv. 259142) e tale ipotesi non può riconoscersi nel caso di specie, alla luce degli elementi di cui sopra, evidentemente posti a fondamento dell’offensività del fatto valorizzata dalla sentenza per giustificare il lieve scostamento della pen base dal minimo edittale e l’entità della riduzione per il tentativo.
Il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME è, invece, inammissibile, in quanto i motiv addotti si discostano dai parametri dell’impugnazione di legittimità stabiliti dall’art. 606 co proc. pen. perché attengono esclusivamente al merito della decisione impugnata, peraltro senza confrontarsi adeguatamente con il percorso argonnentativo della sentenza impugnata.
2.1. Quest’ultima (cfr.pagg. 20-22) ha fornito adeguata descrizione dell’attiva e consapevole partecipazione del ricorrente all’estorsione aggravata posta in essere ai danni di COGNOME NOME nei locali della RAGIONE_SOCIALE, della quale era socio anche l’Hu, evidenziando il ruolo attivo da quest’ultimo svolto insieme ad un gruppo di persone che spalleggiavano il COGNOME circondando la persona offesa in spazi ristretti e profferendo nei suoi confronti invettive, in risposta al suo rifiuto di sottoscrivere una ricognizione di debito dell’importo indic dal COGNOME, che il Caimi asseriva essere superiore al suo debito. La sentenza impugnata riferisce che in tale contesto era stato lo stesso Hu a predisporre l’atto di ricognizione del debit
usurario di 340.000 euro, come preteso dalle persone che accerchiavano la persona offesa insultandolo e minacciandolo dì perseguitarlo per tutta la vita, ed ha altresì evidenziato come
l’attiva partecipazione dell’Hu alla condotta estorsiva ai danni del COGNOME, ai cui esiti e interessato nella qualità di socio della RAGIONE_SOCIALE non si è nemmeno esaurita con la sua
consapevole partecipazione al suddetto incontro, nel corso del quale sei persone fronteggiavano la persona offesa per indurlo alla sottoscrizione dell’atto, ma è proseguita anche il giorno
successivo, con la presenza del ricorrente nello studio legale dove il COGNOME avrebbe dovuto sottoscrivere una nuova scrittura privata in sostituzione della precedente, rinegoziando a suo
danno le condizioni di estinzione del debito.
A fronte di una ricostruzione dei fatti immune da vizi logici, il motivo di ricorso presentat nell’interesse dell’Hu deve ritenersi inammissibile perché prospetta una “rilettura” degli elementi
di fatto posti a fondamento della decisione non consentita in questa sede, non potendo integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguat
valutazione delle risultanze processuali (Sez. Un., 30/4/7/1997, n. 6402, riv. 207944).
2.2. Anche la censura rivolta al diniego delle circostanze attenuanti generiche è
inammissibile, perché attiene al merito della decisione impugnata e non si confronta nemmeno
con il percorso argomentativo di questa, che ha negato motivatamente il ruolo meramente ancillare attribuito all’Hu dalla difesa. Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, l concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata sull’accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell’imputato; ne consegue che, nel difetto di elementi che, sottoposti alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto anche con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cu fondare il riconoscimento del beneficio. (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, Rv. 26646001).
Per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., al rigetto del ricorso del COGNOME consegue la condanna del predetto al pagamento delle spese processuali, ed all’inammissibilità del ricorso dell’Hu anche quella al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in euro tremila.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
GLYPH
La Presidente
Così deciso il 12 dicembre 2024 Il consigliep relatore COGNOME