Estorsione e Ragion Fattasi: La Linea Sottile tra Diritto e Reato
La distinzione tra il recupero di un credito e una vera e propria attività criminale può essere molto sottile. L’ordinanza n. 30799/2024 della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale: la differenza tra estorsione e ragion fattasi, specialmente quando nel recupero crediti interviene un soggetto terzo. Questa pronuncia chiarisce quando l’azione, pur partendo da una pretesa legittima, si trasforma nel grave reato di estorsione, offrendo spunti fondamentali per comprendere i limiti della legalità.
Il Caso in Esame: Recupero Crediti o Estorsione?
La vicenda giudiziaria ha origine da un’attività di recupero crediti. Un soggetto, non essendo il titolare diretto del credito, è intervenuto con metodi violenti e minacciosi per costringere il debitore a pagare. Tuttavia, la sua azione presentava due elementi critici che hanno spostato l’ago della bilancia verso la qualificazione penale più grave.
In primo luogo, la somma richiesta era superiore all’effettivo debito. In secondo luogo, l’agente non agiva nell’interesse esclusivo del creditore, ma per un proprio tornaconto personale. La Corte d’Appello aveva già qualificato questi fatti come estorsione in concorso, una decisione contro cui l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della vicenda, ma conferma la correttezza giuridica della sentenza di secondo grado. Secondo i giudici, il ricorrente non è stato in grado di contestare efficacemente la motivazione della Corte d’Appello, che era stata chiara, logica e giuridicamente ineccepibile nel delineare i contorni del reato di estorsione.
Le Motivazioni: Criteri Distintivi tra Estorsione e Ragion Fattasi
Il cuore della decisione risiede nei criteri utilizzati per distinguere l’estorsione dalla ragion fattasi (art. 393 c.p.). La Corte ha valorizzato due aspetti fondamentali della condotta dell’imputato:
1. L’entità della domanda: La richiesta di una somma quantitativamente superiore all’entità del credito azionabile è un primo, importante indice. Questo ‘differenziale’ era destinato a remunerare il terzo intervenuto, configurando un profitto ingiusto che va oltre la semplice soddisfazione del credito originario.
2. La qualità del soggetto agente: L’agente che usa violenza non era il titolare del credito, ma un terzo estraneo al rapporto obbligatorio. Fondamentalmente, egli non agiva per far valere un diritto (seppur in modo arbitrario), ma per un proprio tornaconto. L’uso della minaccia e della violenza, quindi, non era finalizzato a tutelare un interesse creditorio, ma a ottenere un vantaggio personale e illecito. La sua azione è stata definita contra ius (contro la legge), poiché perseguiva un fine ingiusto, e non iure (senza averne il diritto), perché non era il titolare della pretesa.
La Corte richiama anche un precedente delle Sezioni Unite (sentenza Filardo, n. 29541/2020), che ha stabilito come l’azione violenta finalizzata a ottenere un profitto personale, e non solo a soddisfare il creditore, configuri il delitto di estorsione.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza ribadisce un principio di diritto fondamentale: ricorrere a metodi ‘fai-da-te’ per il recupero crediti, specialmente avvalendosi di terzi che agiscono con violenza e per un proprio guadagno, è una pratica estremamente rischiosa che può facilmente sfociare nel reato di estorsione. La sentenza serve da monito: la pretesa di un diritto di credito non giustifica mai l’uso della forza o della minaccia per ottenere un profitto ingiusto. Quando l’azione trascende la semplice volontà di recuperare il dovuto e mira a un lucro personale attraverso la coartazione, la linea di confine con l’estorsione viene inequivocabilmente superata.
Quando il recupero di un credito diventa estorsione?
Secondo la sentenza, il recupero di un credito si trasforma in estorsione quando chi agisce con violenza o minaccia è un terzo estraneo al rapporto obbligatorio che opera per un proprio tornaconto personale e, in particolare, quando la somma richiesta è superiore a quella effettivamente dovuta.
Qual è la differenza fondamentale tra il reato di estorsione e quello di ragion fattasi delineata nel provvedimento?
La differenza fondamentale risiede nella finalità dell’azione e nella posizione di chi agisce. Nella ragion fattasi, il soggetto agisce per esercitare un preteso diritto. Nell’estorsione contestata in questo caso, l’agente era un terzo che agiva contra ius (contro la legge) per un profitto personale, non per tutelare il diritto del creditore.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché l’imputato non ha contestato in modo adeguato e specifico la motivazione, diffusa e puntuale, della sentenza della Corte d’Appello. La Cassazione ha ritenuto che la decisione impugnata avesse già correttamente e logicamente argomentato le ragioni della condanna per estorsione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30799 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30799 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME a CASAL DI PRINCIPE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/09/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
. IN FATTO E IN DIRITTO
Il motivo unito di ricorso è inammissibile, ai sensi dell’art. 606, comma 3, 581, 591, proc. pen., avendo il ricorrente omesso ogni dovuto confronto con la diffusa e puntual motivazione della sentenza impugnata, che in tema di caratteri distintivi tra estorsione concorso (agita dal soggetto estraneo alla pretesa creditizia azionabile) e ragion fattas concorso (art. 393 cod. pen.) ha valorizzato sia l’entità della domanda quantitativament superiore alla entità del credito azionabile, con differenziale da attribuire al terzo estra rapporto obbligatorio, che la qualità di terzo dell’agente (violento), non titolare del cre agente per suo proprio tornaconto.
1.1. La Corte di appello – con argomentazioni giuridicamente corrette, esaurienti, logiche e no contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha qualificato in te estorsione in concorso i fatti violenti contestati, valorizzando aspetti inequivoci della cond esplicitamente evidenziati in motivazione, ove è stata attentamente argomentata (v. sub 1.) anche la divisata qualificazione estorsiva della condotta, avendo l’imputato avanzato le su richieste non iure attraverso la minaccia e violenza contra ius, non essendo in prima persona il titolare del credito ed avendo egli agito nell’interesse proprio piuttosto che nell’inte esclusivo del titolare del credito (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027-02)).
Segue alla inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la condanna al versamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende che stimasi equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processual e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 giugno 2024.