Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 3459 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 3459 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 17/01/2025
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; sentite le conclusioni dell’avvocato NOME COGNOME in qualità di sostituto processuale dell’avvocato NOME COGNOME difensore dei ricorrenti, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Napoli, in sede di rinvio a seguito di annullamento disposto con sentenza n. 1370/2024 del 26 giugno 2024 della Seconda Sezione Penale di questa Corte, ha confermato l’ordinanza di applicazione della misura della custodia
cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di cui agli artt. 110, 56- 629, 416-bis. 1 cod. pen.
2.Con i motivi di ricorso, sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, NOME COGNOME e NOME COGNOME, con ricorsi distinti ma comuni argomentazioni, denunciano:
2.1. violazione di legge (art. 627 cod. proc. pen.) e apparenza della motivazione per essere incorsa l’ordinanza impugnata nella medesima motivazione perplessa evidenziata nella sentenza di annullamento con rinvio su un punto fondamentale della ricostruzione che investe la “causale” dell’episodio estorsivo e che è stata, ancora un volta, individuata nel recupero delle somme sulla scorta della “investitura” delle creditrici, pur essendo stata esclusa, a loro carico, la gravità indiziaria e, comunque, perché il fatto enucleato dal Tribunale (che gli indagati COGNOME e COGNOME agissero anche per loro tornaconto) non corrisponde alla contestazione elevata dal Pubblico Ministero, incentrata sulla identità delle somme azionate in danno del Siena e quelle pretese dalle committenti dei lavori;
2.2. erronea applicazione della legge penale (in relazione all’art. 393 cod. pen.) e alla mancata riqualificazione del fatto quale reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona. E’ il ritenuto tornaconto degli indagati a costituire oggetto della censura difensiva sulla base dell’erroneo presupposto che la somma eccedente i 16.500 euro, consegnata dalla COGNOME al Siena per la esecuzione dei lavori, non fosse di spettanza della committente che, senza tale somma, non avrebbe potuto proseguire e ultimare i lavori. Le somme richieste al Siena, come lo stesso Tribunale non ha mancato di rilevare, erano perfettamente sovrapponibili ai crediti vantati, rispettivamente, dalla COGNOME e dalla COGNOME, crediti che le due committenti dei lavori avevano azionato, attraverso la richiesta di esazione avanzata al COGNOME e al COGNOME a mezzo del COGNOME e del COGNOME. Il Tribunale non ha valutato compiutamente il contenuto delle conversazioni intercettate, in cui si fa un chiaro riferimento alle “truffe” subite dalle committenti, truffe che anche secondo la ricostruzione compiuta dal Siena, gli venivano addebitate dai suoi aggressori ed alle quali faceva riferimento anche il COGNOME, nel messaggio WhatsApp inviato al Siena che aveva chiesto la dilazione della consegna della somma. Anche nella intercettazione COGNOME–COGNOME si fa riferimento alla restituzione dei 16.000 euro alla COGNOME, che avrebbe fatto un regalo per il servizio offerto, mentre la differenza sarebbe rimasta a disposizione del Siena;
2.3. violazione di legge per erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 416-bis.1 cod. pen. ritenuta configurabile sulla base del mero
riferimento al clan COGNOME, quale clan di riferimento degli indagati, e alle modalità della condotta. Il Tribunale ha valorizzato dichiarazioni di collaboratori di giustizia inconferenti rispetto alla concreta vicenda.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME devono essere rigettati perché proposti per motivi infondati.
Secondo la ricostruzione posta a base dell’ordinanza, gli indagati, in concorso con altri correi, identificati o da identificare, avevano sottoposto NOME COGNOME, imprenditore titolare della impresa edile denominata RAGIONE_SOCIALE, ad un violento pestaggio per ottenere indebitamente la consegna della somma di euro 33.000 e di euro 3.500,00, somme ingiustamente incamerate dal Siena che aveva convenuto, senza realizzarli, lavori edili a favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
L’aggressione subita dal Siena è comprovata dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa ma anche dal contenuto di alcune conversazioni intercettate sia prima dell’aggressione (si tratta della conversazione telematica RIT 2182/2023 intercorsa tra NOME COGNOME e NOME COGNOME) sia in concomitanza con l’aggressione nonché dai messaggi WhatsApp scambiati tra il Siena e NOME COGNOME il giorno successivo al fatto.
Gli antefatti del pestaggio del Siena si innestano sul rapporto della vittima dell’aggressione con le signore COGNOME e COGNOME, rapporto riconducibile alla mancata esecuzione dei lavori edilizi che, in parte sovvenzionati con cd. bonus ristrutturazioni, il Siena si era impegnato ad eseguire senza, poi, portare a termine i lavori stessi pur avendo ricevuto dalla COGNOME l’acconto di circa 16.000 euro ed avendo riscosso, tramite il bonus, la restante somma di euro 16.000.
Il Siena sosteneva che, essendo stato convenuto in giudizio dalla COGNOME, si era rifiutato di restituire le somme incamerate pur avendo eseguito lavori per un importo di 13/14.000 euro.
Con riguardo al credito della signora COGNOME il COGNOME sosteneva che aveva restituito quanto di spettanza della committente, avendo chiuso il cantiere, rimanendo debitore della somma di 3.500,00 euro che aveva ritenuto di non restituire rimettendo la questione al giudice che si sarebbe occupato del caso.
Premesso che non sono stati ritenuti sussistenti gravi indizi di colpevolezza a carico delle committenti dei lavori, comunque sottoposte a indagini, secondo la ricostruzione posta a fondamento dell’ordinanza impugnata, che ha valorizzato prevalentemente il contenuto della conversazione intercettata tra il COGNOME (che
veniva coinvolto da tale NOME COGNOME per conseguire la restituzione delle somme) e il COGNOME, la contestazione del reato estorsivo è incentrata sull’intervento dei predetti, quali appartenenti al clan COGNOME, per conseguire non solo la somma anticipata dalla COGNOME e dalla COGNOME ma anche per ottenere quanto il Siena aveva ricevuto riscuotendo il bonus edilizio.
Qua dobbiamo recuperare una cosa di soldi, o? frat, si legge a pag. 5 dell’ordinanza impugnata, nella parte in cui viene riportato il contenuto della conversazione tra il Nunziata, COGNOME e il COGNOME che riferiva ai correi di avere parlato con la COGNOME che gli aveva esposto i suoi problemi dovendo restituire il prestito che aveva contratto per pagare il Siena e, nel prosieguo, riportando il contenuto della conversazione, immediatamente successiva, in cui il COGNOME riferiva al COGNOME l’esito dell’incontro con il Siena e la richiesta al Siena di consegnare anche “quegli altri sedici”, frutto del superbonus, importo che sarebbe stato incamerato dagli esattori. Da qui l’ingiusto profitto.
3. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Va infatti ricordato che in presenza di annullamento con rinvio per vizio di motivazione, come nella specie, il giudice del rinvio è chiamato a compiere un nuovo completo esame del materiale probatorio con i medesimi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, salve le sole limitazioni previste dalla legge consistenti nel non ripetere il percorso logico già censurato, spettandogli il compito esclusivo di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova (Sez. 3, n. 34794 del 19/05/2017, F, Rv. 271345).
Un principio generale che trova costante applicazione, con riferimento alla ricostruzione dei gravi indizi di colpevolezza, anche nella materia cautelare.
L’analisi dell’ordinanza impugnata, della quale si sono riportati i passaggi argomentativi salienti ai fini della ricostruzione in fatto, esclude che il giudice del rinvio sia incorso nei medesimi vizi dell’ordinanza – Gtepronunciata dal Tribunale il 20 febbraio 2024, vizi che, dalla lettura della sentenza di questa Corte, erano incentrati sulla contraddizione dell’ordinanza impugnata nella parte in cui venivano, confusamente, ritenute plausibili sia la tesi che i ricorrenti “avevano agito per un fine di profitto proprio” sia quella secondo la quale essi avevano agito su mandato delle committenti e sul contraddittorio giudizio a proposito della credibilità della persona offesa NOME COGNOME
Si tratta di aspetti che il Tribunale ha puntualmente esaminato nell’ordinanza impugnata valorizzando precipuamente il contenuto delle conversazioni intercettate, innanzi riportato, sul punto rilevante della gravità indiziaria e in relazione alla qualificazione giuridica del fatto, come, di seguito, sarà precisato, in
corrispondenza alla contestazione provvisoria, elevata nell’ordinanza genetica, in cui si dà atto che gli indagati, attraverso il pestaggio del Siena, avevano azionato la pretesa restituzione della somma di euro trentamila.
4.11 secondo motivo di ricorso è generico e manifestamente infondato.
I ricorrenti propongono censure che investono la ricostruzione in fatto che l’ordinanza impugnata ha ritenuto accertato, senza incorrere in vizi logici, sulla scorta del contenuto delle dichiaraizoni rese dal Siena e, soprattutto, delle conversazioni intercettate.
Come noto, in materia di intercettazioni, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (cfr. Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337, in materia di intercettazioni telefoniche), aspetti che non sono ravvisabili nelle argomentazioni con le quali il Tribunale ha ricostruito il contenuto delle conversazioni apprezzandone la precisione e la perfetta intelligibilità e chiarezza con riferimento alle conversazioni del 19 aprile 2023, innanzi riportate.
Né può convenirsi con i ricorrenti sulla pretesa violazione di legge perchè la qualificazione giuridica del fatto compiuta dal Tribunale di Napoli non è erronea.
L’elemento distintivo del reato di estorsione, rispetto a quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona (art. 393 cod. pen.) è delineato con chiarezza nella giurisprudenza di legittimità che ha escluso la configurabilità del reato di tentata estorsione, proprio.vidcaso in cui il creditore abbia attivato, per il “recupero” di quanto dovutogli, esponenti della criminalità organizzata.
Tale conclusione, tuttavia, non è applicabile al caso in caso in esame.
Affermata, con riferimento al delitto di ragion fattasi, la natura di reato proprio non esclusivo, le Sezioni Unite di questa Corte hanno, infatti, precisato che il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione all’elemento psicologico, da accertarsi secondo le ordinarie regole probatorie, precisando che il concorso del terzo nel reato di cui all’art. 393 cod. pen. è configurabile nei soli casi in cui quest si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore, senza perseguire alcuna diversa ed ulteriore finalità (S.U. n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027): è solo in presenza di tale “ulteriore finalità” che l’eventuale fine di soddisfazione del diritto del preteso creditore resta assorbito nel concorrente fine di profitto illecito dei terzi concorrenti.
L’esegesi compiuta nella sentenza COGNOME ha ritenuto superate quelle impostazioni che valorizzavano, al fine di distinguere le due fattispecie, la condotta costrittiva dell’agente affermando che la partecipazione al reato di terzi concorrenti non creditori (abbiano, o meno, posto in essere la condotta tipica) non possiede rilievo decisivo, risulteàlcontrario, determinante il fatto che i terzi eventualmente concorrenti ad adiuvandum del preteso creditore abbiano, o meno, perseguito (anche o soltanto) un interesse proprio.
Ove ciò sia accaduto, i terzi (ed il creditore) risponderanno di concorso in estorsione; in caso contrario, ove cioè i concorrenti nel reato abbiano perseguito proprio e soltanto l’interesse del creditore, nei limiti in cui esso sarebbe stato in astratto giudizialmente tutelabile, tutti risponderanno di concorso in esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
La sentenza NOME precisava, infine che nei casi in cui ricorra la circostanza aggravante della c.d. “finalità mafiosa”, la finalizzazione della condotta alla soddisfazione di un interesse ulteriore (anche se di per sé di natura non patrimoniale) rispetto a quello di ottenere la mera soddisfazione del diritto arbitrariamente azionato, comporta la sussunnibilità della fattispecie sempre e comunque nella sfera di tipicità dell’art. 629 cod. pen., con il concorso dello stesso creditore, per avere agevolato il perseguimento (anche o soltanto) di una finalità (anche soltanto lato sensu) di profitto di terzi.
La giurisprudenza successiva ha ribadito che non è configurabile il reato di ragion fattasi, bensì quello di estorsione (in concorso con quello di partecipazione ad associazione per delinquere), allorché si sia in presenza di una organizzazione specializzata in realizzazione di crediti per conto altrui, la quale operi, in vista del conseguimento anche di un proprio profitto, mediante sistematico ricorso alla violenza o ad altre forme di illecita coartazione nei confronti dei soggetti indicatile come debitori (Sez. 2, n. 1556 del 01/04/1992, COGNOME, Rv. 189943; Sez. 2, n. 12982 del 16/02/2006, COGNOME, Rv. 234117).
Nel caso in esame non appare risolutiva, ai fini dell’inquadramento del fatto nella condotta estorsiva, la circostanza che le (pretese) creditrici, che avevano “attivato” gli odierni ricorrenti siano state o meno ritenute “estranee” al reato di cui all’art. 56-629 cod. pen., secondo l’esegesi sostenuta dai ricorrenti che evidenziamo come a carico delle creditrici già la precedente ordinanza del Tribunale del riesame aveva escluso i gravi indizi di colpevolezza, ma rileva che sia univocamente accertato che gli indagati abbiano agito per una finalità propria quale quella di conseguire non solo l’importo della somma anticipata dalla Basile (16.500 euro) e dalla COGNOME (3.500 euro) ma anche l’importo di sedicimila euro che il Siena aveva conseguito attraverso lo sconto in fattura, somma, questa, che sarebbe stata trattenuta dal Barattolo e dai correi.
In tal senso il Tribunale ha valorizzato il contenuto, per vero generico, dell’affermazione del Barattolo che, poco prima dell’arrivo del Siena commentava “qua dobbiamo recuperare una cosa di soldi”, ma, soprattutto, il contenuto della conversazione intercorsa tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, immediatamente dopo il pestaggio del Siena.
Risulta, infatti, dalla conversazione intercorsa tra il COGNOME e il COGNOME (la persona che aveva attivato l’intervento del COGNOME e dei correi), che il COGNOME, immediatamente dopo l’incontro con il Siena, svoltosi con le violente modalità descritte dalla persona offesa ma risultanti anche dalla conversazione con il COGNOME, si era premurato di avvertire questi dell’esito dell’incontro chiedendogli di rassicurare la donna precisando che al Siena era stata chiesta non solo la somma anticipata dalla COGNOME (i sedicimila euro) ma la somma complessivamente conseguita, quindi anche la somma ricevuta attraverso il bonus, che sarebbe rimasta al Barattolo e ai suoi correi. Il COGNOME riferisce al suo interlocutore “mi sono permesso pure di dirgli ….siccome sono 32 ho detto io, lei vuole recuperare i suoi 16, quegli altri 16 ve li prendete voi, poi se deve fare un regalo pure da sopra i suoi non ci sono problemi”, “non ci sono problemi”, rincara l’interlocutore del COGNOME.
Un’affermazione che trova conferma nella circostanza, riferita dal Siena, che durante l’incontro gli era stata mostrata la foto digitale della fattura, a comprova del “profitto” conseguito.
Il Tribunale ha correttamente ritenuto, facendo applicazione delle coordinate normative innanzi descritte, che a fronte di un debito di importo pari a 16.000 euro, preteso dalla creditrice, fosse stato richiesto al Siena il pagamento di un importo doppio, così da configurare certamente un’ipotesi di tentata estorsione, non avendo alcun titolo gli aggressori per potere richiedere alla vittima il pagamento di un importo superiore, corrispondente alla somma ottenuta con il cd. super bonus, tanto meno con violenza alla persona.
Né rileva che gli indagati abbiano agito rivendicando “la truffa”, asseritamente commessa dal Siena, poiché non rientrava certamente nei loro poteri agire per la esazione di quanto, eventualmente, potrebbe essere di spettanza dello Stato nel caso in cui fosse accertata una vera e propria condotta truffaldina nella fruizione dell’incentivo per i lavori di ristrutturazione richiesto ai sensi del d.l. 19 maggio 2020 n.34.
5.Anche il terzo motivo è manifestamente infondato posto che il giudice del riesame cautelare personale ha sottolineato come per il numero di persone’ coinvolte nel fatto, per il luogo e le modalità di consumazione, l’episodio dovesse ritenersi aggravato dal metodo mafioso senza che fosse stato acquisito alcun
elemento specifico atto a superare la presunzione di pericolosità. Peraltro l’ordinanza impugnata segnala come la convocazione del Siena fosse stata operata con l’intermediazione del Nunziata NOME all’interno di un quartiere ove risulta operativo proprio l’omonimo clan (il clan COGNOME).
5.Consegue al rigetto dei ricorsi la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 17 gennaio 2025
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