Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10342 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10342 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto NOME natgil 15/08/1992 r
avverso la sentenza del 24/04/2024 della CORTE ASSISE APPELLO di MILANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore, Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1.L’imputato – reo confesso – in concorso con altro soggetto separatamente giudicato, aveva sequestrato all’interno di un appartamento una imprenditrice cinese, legandole i polsi e le caviglie e costringendola a rivelare i codici di sblocc dei propri dispositivi cellulari, riuscendo ad effettuare indebitamente dei bonific bancari per circa 80.000 euro attraverso il contatto con una terza persona indicata dalla vittima, la quale era stata anche narcotizzata.
Nello stesso contesto spazio-temporale, il ricorrente ed il correo si erano impossessati, con violenza e minaccia, dei telefoni cellulari della persona offesa e della somma di mille euro contenuta nella sua borsa.
In ordine a questo secondo segmento della vicenda processuale, il Giudice per l’udienza preliminare effettuò uno stralcio ed il ricorrente venne condannato con sentenza irrevocabile resa in separato procedimento per i reati di rapina e lesioni personali.
Nel presente processo, l’imputato era stato tratto a giudizio, per il secondo segmento della medesima vicenda, in ordine al reato di sequestro di persona a scopo di estorsione previsto e punito dall’art. 630 cod. pen.
La Corte di assise di Milano, con sentenza del 18 settembre 2023, aveva diversamente qualificato il fatto – inerente all’ottenimento dalla vittima, con violenza e minaccia, dei numeri di sblocco dei telefoni cellulari e delle successive operazioni di bonifico – come sequestro di persona e rapina aggravata.
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di assise di appello di Milano, parzialmente riformando la sentenza di primo grado, ha ritenuto il ricorrente colpevole dei reati di estorsione aggravata e sequestro di persona, siccome ancora diversamente qualificati i fatti rispetto all’originaria imputazione ex art. 630 cod. pen.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME deducendo:
violazione di legge in ordine alla qualificazione giuridica del fatto come estorsione aggravata anziché come rapina aggravata.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere ritenuto che il PIN ottenuto con violenza dalla vittima rientrasse nel concetto di cosa mobile, senza tenere conto del fatto che la sottrazione aveva avuto di mira il telefono cellulare della persona offesa, cui era seguita la richiesta di ottenimento del PIN quale evoluzione naturale rispetto alla sottrazione violenta del dispositivo elettronic integrativa del reato di rapina, così come ritenuto nel parallelo procedimento penale conclusosi con sentenza irrevocabile.
Inoltre, la sottrazione del danaro non era avvenuta nei confronti della vittima ma del terzo soggetto che era stato contattato dall’imputato e dal suo complice;
vizio della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, non essendo stata considerata la condizione di ludopatia in cui versava il ricorrente, che lo avrebbe spinto a commettere i delitti e che la difesa aveva provato attraverso investigazioni difensive.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, proposto per motivi complessivamente infondati, deve essere rigettato. 1.Va, in primo luogo, rilevato che non vi è stata alcuna violazione del divieto di bis in relazione al precedente giudicato nei confronti del ricorrente, eccezione neanche formalmente dedotta in ricorso ma evincibile dalla lettura dei motivi a
in idem sostegno.
Infatti, il primo segmento della condotta illecita, oggetto del separat procedimento penale, inerisce alla rapina dei telefoni cellulari e della somma di mille euro alla vittima, nonché al connesso reato di lesioni personali.
In questa sede, invece, si discute della privazione della libertà personale della stessa persona offesa e dell’ottenimento da parte dell’imputato e del correo, dietro violenza e minaccia, dei codici PIN di sblocco dei cellulari.
In secondo luogo, occorre rilevare che, rispetto al segmento della condotta qualificato dalla Corte di appello in termini di sequestro di persona ai sensi dell’art 605 cod. pen., non vi è contestazione nei motivi di ricorso.
Già con l’atto di appello, infatti, il ricorrente, che ammise gli addebiti, ave affermato che tale reato fosse sussistente, mirando a sostenere con le sue difese che non si trattasse di sequestro di persona a scopo di estorsione di cui all’art. 630 cod. pen.
Quel di cui oggi si discute, sotto il profilo inerente al giudizio di responsabili è soltanto la qualificazione giuridica del fatto relativo alla richiesta ed ottenimen da parte del ricorrente dei codici PIN dei telefoni cellulari sottratti alla vitti fini di sbloccare i dispositivi e continuare nel proposito criminoso.
Tale segmento della condotta, a giudizio di questa Corte di legittimità, è stato correttamente qualificato dalla sentenza impugnata in termini di estorsione.
La Corte territoriale, attraverso dettagliata valutazione di merito del fatto – n più rivedibile in questa sede – ha ritenuto che il PIN ottenuto dai sequestratori fosse stato utilizzato – secondo la intenzione dei correi – per conseguire il profit della loro condotta illecita e quale prezzo della liberazione della vittima, anche se il danaro era provenuto da un terzo soggetto cinese che l’imputato ed il complice avevano contattato dal telefono cellulare della persona offesa, fingendo che fosse costei ad effettuare la richiesta al suo amico connazionale.
Dunque, si era realizzata, pur sempre per mezzo della vittima, una disposizione patrimoniale in favore dei sequestratori a pagamento del riscatto; dal che, la qualificazione giuridica del fatto in termini di estorsione.
Si è anche correttamente osservato – al fine di escludere che si fosse trattato di una rapina – che il PIN non poteva ritenersi una cosa mobile, in quanto si tratta di
una mera “informazione”, né poteva essere considerato un file perché non ha natura informatica ma è una semplice chiave di accesso conosciuta dal detentore e che diventa un file dopo la sua digitazione; “il file può essere oggetto di furto rapina sole se viene copiato su un supporto e contestualmente cancellato dal sistema di cui fa parte”.
Entrambi i rilievi hanno fatto buon governo dei principi giurisprudenziali secondo cui, in tema di reati contro il patrimonio, per “cosa mobile” deve intendersi qualsiasi entità di cui sia possibile la fisica detenzione, sottrazion impossessamento od appropriazione, e che sia in grado di spostarsi autonomamente ovvero di essere trasportata da un luogo ad un altro, compresa quella che, pur non mobile originariamente, sia resa tale mediante l’avulsione o l’enucleazione dal complesso immobiliare di cui faceva parte (Sez. 4, n. 6617 del 24/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269225).
Inoltre, integra il delitto di appropriazione indebita la sottrazione definitiva di informatici” o “file” mediante copiatura da un “personal computer” aziendale, affidato all’agente per motivi di lavoro e restituito con “hard disk” “formattato”, quanto i “dati informatici”, per fisicità strutturale, possibilità di misurar dimensioni e trasferibilità da un luogo all’altro, sono qualificabili come cose mobil ai sensi della legge penale (Sez. 2, n. 11959 del 07/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278571).
Ed ancora, fli fini della configurabilità del reato di ricettazione, costituisce “cosa mobile, proveniente da delitto, il supporto fisico sul quale siano trasferiti d indebitamente carpiti mediante accesso abusivo in sistema informatico (Sez. 2, n. 21956 del 18/02/2016, COGNOME, Rv. 267162).
4. Si sottolinea, infine, che è stato possibile esercitare l’azione penale in relazion al reato di sequestro di persona in quanto la persona offesa aveva sporto querela, che è stata acquisita agli atti in possesso di questa Corte.
5. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
L’oggetto dell’appello del ricorrente, collegato alla sua presunta ludopatia, era volto al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, escluse dalla Corte di merito in considerazione della gravità dei fatti, avuto riguardo alle violenze e alle minacce nei confronti della vittima, valutando altresì come neutra la confessione.
Tanto si deve ritenere che superi ogni altro elemento a difesa, essendosi fatto riferimento ad alcuni parametri di cui all’art. 133 cod. pen. e dovendosi rammentare che ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., che ritiene prevalente ed atto determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche un solo elemento che
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attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità d esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime (da ultimo, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 2, n. 4790 del 16.1.1996, Romeo, rv. 204768).
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso, il 12/02/2025.