Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 5933 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 5933 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 22/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Siracusa il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 31/03/2023 del Tribunale di Reggio Calabria udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; letta la requisitoria del Sostituto AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso
per l’annullamento con rinvio limitatamente alle esigenze cautelari;
uditi gli AVV_NOTAIOCOGNOME e NOME COGNOME, difensori di fiducia di NOME COGNOME, che hanno concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe indicato, il Tribunale di Reggio Calabria, decidendo in sede di riesame ex art. 309 cod. proc. pen., ha confermato l’ordinanza del 6 marzo 2023 con cui il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale della stessa città ha applicato nei confronti di NOME COGNOME la misura della custodia in carcere per il reato di cui agli artt. 81,110, 56, 629 cod. pen., in relazione all’art. 628, comma 3, n.3 cod. pen., e 416-bis.1 cod. pen., ascrittogli al capo 34), perché – in concorso con NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME – con minaccia consistente per prospettare alla parte offesa l’interesse all’affare da parte di esponenti della
RAGIONE_SOCIALE, poneva atti idonei diretti a costringere NOME COGNOME ad addivenire alla stipula del contratto definitivo di vendita di un capannone già oggetto di un preliminare rimasto inadempiuto alle condizioni contrattuali pattuite, senza riuscire nell’intento per sopravvenute problematiche successorie del promittente venditore, cui era subentrata NOME COGNOME.
Con l’aggravante di aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis cod. pen. (in Gioia Tauro ed in Sicilia da gennaio 2021 al maggio 2021).
In estrema sintesi, secondo il Tribunale, le emergenze investigative attestano che il ricorrente, su incarico di NOME COGNOME, affiliato alla RAGIONE_SOCIALE, al quale a sua volta si era rivolta NOME COGNOME, quale erede della parte promittente venditrice di un capannone industriale sito in Chiaramonte Gulfi, oggetto di un preliminare di vendita, si è occupato di sollecitare la conclusione del contratto definitivo di vendita spendendo le proprie contiguità alla mafia siciliana, per indurre NOME COGNOME ad adempiere all’obbligo contrattuale assunto di definire l’acquisto del predetto capannone industriale al prezzo di 350 mila euro di cui aveva già versato la caparra di 50 mila euro.
Secondo la impostazione confermata dal riesame il reato non può ricondursi in quello dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni per la cointeressenza RAGIONE_SOCIALE nell’affare che connota, quindi, la conclusione del definitivo non solo come doveroso adempimento di una obbligazione regolarmente assunta ma anche come affermazione del ruolo mafioso di risoluzione delle controversie economiche nel proprio territorio di competenza, in ragione del metodo mafioso che costituisce l’aggravante del reato ma ne delinea anche la natura estorsiva, in considerazione della prevista assegnazione di una parte del prezzo (100 mila euro, rispetto ai 300 mila che dovevano essere pagati alla promittente venditrice) alla RAGIONE_SOCIALE di cui NOME COGNOME è un esponente di spicco.
Tramite il proprio difensore di fiducia, COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento del provvedimento per i motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.:
2.1. Con il primo motivo deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del reato di estorsione.
Innanzitutto, sotto il profilo dell’assenza di minacce, desunte dalle intercettazioni in cui non emerge chiaramente alcuna costrizione da parte di nessuno degli indagati e tanto meno da parte del COGNOME nei confronti di COGNOME.
Si obietta, poi, che era interesse della stessa persona offesa concludere il contratto di vendita per conseguire un titolo di proprietà che non aveva dopo aver versato una caparra di 50 mila euro.
Si obietta, inoltre, che manca il profitto ed il danno ingiusti, atteso che la stipula del definitivo doveva essere rispettosa delle condizioni contrattuali fissate nel preliminare.
Infine, l’assenza di minacce è confermata dall’offerta da parte di NOME di incontrarsi con NOME per pagargli del denaro come compenso della sua mediazione per la conclusione della vendita.
2.2. Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione alla qualificazione giuridica del fatto a titolo di estorsione anziché a titolo di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ex art. 392, 393 cod. pen.
Si obietta che la circostanza che il solo NOME COGNOME potesse perseguire una finalità diversa dall’esclusivo interesse del creditore COGNOME, ovvero pretendere una parte del prezzo, non può coinvolgere la COGNOME che non aveva questo scopo.
Neppure può ascriversi detta finalità a titolo di concorso ex art. 116 cod.pen. atteso che mancano elementi per sostenere la necessaria prevedibile commissione del reato più grave: COGNOME non fa parte del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, né era a conoscenza che i correi fossero inseriti in detto RAGIONE_SOCIALE, né poteva perseguire la finalità di preservare il prestigio criminale della RAGIONE_SOCIALE non facendone parte.
2.3. Con il terzo motivo deduce il vizio di motivazione in ordine all’aggravante del metodo mafioso, una volta esclusa la stessa aggravante declinata nella forma soggettiva del perseguimento di una finalità RAGIONE_SOCIALE.
Si obietta che COGNOME non fa parte di alcuna associazione RAGIONE_SOCIALE in ambito siciliano, non avendo più riportato condanne da venticinque anni e non emergendo dalla intercettazioni la spendita del nome del “RAGIONE_SOCIALE” o di altre cosche per convincere COGNOME alla stipula del contratto definitivo.
2.4. Con il quarto motivo deduce il vizio di motivazione in merito al pericolo di reiterazione, ribadendosi l’assenza di elementi a riscontro della sua contiguità ad ambienti mafiosi, atteso che i suoi precedenti per armi e associazione RAGIONE_SOCIALE risalgono a 30 anni addietro e non emerge una sua partecipazione attuale ad associazioni mafiose.
2.5. Con il quinto motivo deduce il vizio di motivazione in merito alla ritenuta inadeguatezza di misure cautelari diverse dalla custodia in carcere, sul rilievo che i suoi precedenti sono datati, che la persona offesa risiede in Comuni lontani dalla residenza di COGNOME, con conseguente immotivato diniego della misura degli arresti domiciliari
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel suo complesso infondato e deve essere, pertanto, rigettato.
Il primo motivo relativo all’assenza di minacce è palesemente inammissibile perché senza fare emergere alcun travisamento del contenuto delle intercettazioni, per un verso, minimizza e omette di confrontarsi con le parti delle conversazioni intercettate che sono state valorizzate nell’ordinanza impugnata a dimostrazione dello stato di intimidazione in cui si è venuta a trovare la persona offesa a causa dell’intervento di COGNOME nella vicenda, e per altro verso, è diretto a sollecitare una lettura alternativa delle risultanze probatorie non consentita in sede di legittimità.
Quanto, invece, alla dedotta convenienza anche per la persona offesa della stipula del contratto di vendita per conseguire un titolo di proprietà dopo aver versato una caparra di 50 mila euro, si tratta di valutazioni opinabili che non contraddicono il dato emergente dalle intercettazioni circa la importanza dell’intervento di COGNOME per indurre l’COGNOME ad addivenire alla stipula del definitivo, per effetto dell’intimidazione derivante – secondo quanto ritenuto in modo evidentemente non illogico dal Tribunale – proprio dalla sua reputazione di criminale affiliato ad una associazione RAGIONE_SOCIALE (vedi pp. 4 e 5 dell’ordinanza impugnata).
Il carattere ingiusto del profitto e del danno, rilevante ai fini dell qualificazione del reato a titolo di estorsione, non è contraddetto neppure dall’osservanza delle condizioni contrattuali fissate nel preliminare, poiché l’ingiustizia del profitto discende dalla concorrente finalità di perseguire un interesse convergente con gli scopi dell’associazione RAGIONE_SOCIALE facente capo a COGNOME NOME (sul punto, vedi in fra in sede di disamina dei motivi secondo e terzo).
Quanto, poi, al rispetto manifestato da parte di NOME verso lo COGNOME, circa la sua intenzione di incontrarsi con il predetto mafioso per pagargli del denaro come compenso della sua mediazione per la conclusione della vendita, è un dato che non contraddice affatto la ricostruzione operata dal Tribunale, essendo del tutto compatibile con il carattere intimidatorio della mediazione operata dal COGNOME nell’interesse di COGNOME.
Il secondo e terzo motivo, poiché investono la questione della qualificazione giuridica del reato a titolo di estorsione anziché a titolo di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, possono essere esaminati congiuntamente.
Al riguardo occorre richiamare i principi affermati dalla nota sentenza “Chioccini” delle Sezioni Unite n. 8545 del 9/12/2019 che non sono stati applicati correttamente nell’ordinanza impugnata rispetto alla esclusa sussistenza dell’aggravante RAGIONE_SOCIALE nella sua declinazione soggettiva.
È stato affermato che la circostanza aggravante dell’aver agito al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso di cui all’art. 7 d.l. n. 152 d
1991, ora prevista dall’art. 416-bis.1, primo comma, cod. pen., ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, ma si comunica comunque al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe.
Quindi, l’esclusione di detta aggravante nella forma soggettiva potrebbe effettivamente porsi in contrasto con il ravvisato dolo tipico dell’estorsione, laddove fosse stata effettivamente la conseguenza della corretta applicazione delle regole che disciplinano l’estensione dell’aggravante ai compartecipi secondo i principii affermati dalla surrichiamata sentenza delle Sezioni Unite.
Ma al contrario è evidente l’errore di diritto in cui è incorso il Tribunale nel ritenere insussistente detta aggravante solamente per la ragione che il COGNOME non avrebbe agito per conseguire il fine di rafforzare il prestigio dell’associazione RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME, non facendone parte, sebbene sia stata comunque ritenuta dimostrata, sul piano della gravità indiziaria, la consapevolezza della finalità “RAGIONE_SOCIALE” perseguita dal complice COGNOME NOME.
Si tratta, quindi, di un errore in diritto che non contraddice il dato di fatto della riconosciuta consapevolezza da parte del COGNOME che le finalità perseguite da COGNOME NOME non fossero solo quelle del mero soddisfacimento delle legittime pretese contrattuali della controparte del preliminare di vendita (COGNOME).
La circostanza che NOME COGNOME perseguisse una finalità diversa dall’esclusivo interesse della controparte COGNOME, e specificamente quella di pretendere una parte del prezzo, coinvolge necessariamente anche i compartecipi che pure non avendo questo scopo ne erano a conoscenza per aver comunque compreso le ragioni del sostegno offerto da parte di un esponente di una organizzazione criminale operativa nel diverso territorio calabrese, anziché in quello siciliano in cui si trovava il capannone oggetto del preliminare di vendita rimasto inadempiuto.
Di rilievo è questo passaggio della motivazione della sentenza n. 29541 del 16/07/2020 delle Sezioni Unite “Filardo” che ha fissato il criterio distintivo tra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quello di estorsione in relazione all’elemento psicologico, da accertarsi secondo le ordinarie regole probatorie, osservando che: « Non appare inopportuno precisare che, di conseguenza, nei casi in cui ricorra la circostanza aggravante della c.d. “finalità RAGIONE_SOCIALE” , la finalizzazione della condotta alla soddisfazione di un interesse ulteriore (anche se di per sé di natura non patrimoniale) rispetto a quello di ottenere la mera soddisfazione del diritto
arbitrariamente azionato, comporta la sussumibilità della fattispecie sempre e comunque nella sfera di tipicità dell’art. 629 cod. pen., con il concorso dello stesso creditore, per avere agevolato il perseguimento (anche o soltanto) di una finalità (anche soltanto lato sensu) di profitto di terzi. D’altro canto, questa Corte ha già chiarito che non è configurabile il reato di ragion fattasi, bensì quello di estorsione (in concorso con quello di partecipazione ad associazione per delinquere), allorché si sia in presenza di una organizzazione specializzata in realizzazione di crediti per conto altrui, la quale operi, in vista del conseguimento anche di un proprio profitto, mediante sistematico ricorso alla violenza o ad altre forme di illecita coartazione nei confronti dei soggetti indicatile come debitori (Sez. 2, n. 1556 del 01/04/1992, COGNOME, Rv. 189943; Sez. 2, n. 12982 del 16/02/2006, COGNOME, Rv. 234117)».
La collaborazione offerta dal COGNOME allo COGNOME NOME è stata perciò coerentemente inquadrata in modo non illogico nelle relazioni esistenti tra appartenenti al “RAGIONE_SOCIALE” con esponenti della mafia locale siciliana della provincia di Siracusa, in quanto necessaria ad evitare possibili interferenze per sconfinamenti territoriali con altre organizzazioni criminali.
Trattasi di valutazioni che non possono essere sindacate in sede di legittimità non essendo viziate da illogicità manifesta ed apparendo anzi coerenti alla ricostruzione complessiva della vicenda emersa dalle intercettazioni.
Si deve, d’altra parte, ricordare che le modalità mafiose della riscossione non sono di per sé incompatibili con la qualificazione del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
La soprarichiamata sentenza “Filardo” delle Sezioni Unite ha affermato che l’orientamento che ravvisa detta incompatibilità non può essere condiviso, poiché la formulazione dell’art. 416-bis.1 cod. pen. non consente di affermare che la circostanza aggravante in oggetto sia assolutamente incompatibile con il reato di cui all’art. 393 cod. pen., residua al più la possibilità di valorizzare l’impiego del c.d. “metodo mafioso”, unitamente ad altri elementi, quale elemento sintomatico del dolo di estorsione.
Sicchè le modalità mafiose delle minacce trasmodano in estorsione solo allorchè – come ritenuto nel caso di specie – vi sia la prova del dolo dell’estorsione, ovvero della volontà e consapevolezza di perseguire interessi diversi da quelli legittimi del creditore, per l’emersione di interessi individuali non coincidenti con quelli del titolare del diritto, circostanze che indirizzano entrambe verso la qualificazione della condotta come estorsione e che coinvolgono nello stesso reato anche coloro che pur animati da altre concorrenti finalità abbiano comunque agevolato e consentito il perseguimento di dette illecite finalità.
Infondata è anche la doglianza in ordine alla dedotta insussistenza dell’aggravante del metodo mafioso.
La circostanza che COGNOME non faccia parte di alcuna associazione RAGIONE_SOCIALE è del tutto irrilevante ai fini dell’integrazione dell’aggravante in oggetto che presuppone solo che le modalità della condotta siano quelle tipiche delle associazioni mafiose e prescinde dall’appartenenza del soggetto agente ad una associazione di tale tipologia.
È stato più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità che l’aggravante prevista dall’art. 7 D.L. 152/91 è configurabile rispetto ad ogni delitto, non punito con l’ergastolo, realizzato attraverso una condotta che ricolleghi l’atto intimidatorio alla forza intimidatrice derivante dal gruppo associativo di RAGIONE_SOCIALE mafioso, indipendentemente dal fatto che il soggetto agente faccia parte o meno del sodalizio mafioso (Sez. 1, n. 22629 del 05/03/2004, NOME, Rv. 228195) e che ai fini della configurabilità dell’aggravante del “metodo mafioso”, di cui all’art. 416bis.1 cod. pen., è sufficiente, in un territorio in cui è radicata un’organizzazione RAGIONE_SOCIALE storica, che il soggetto agente si riferisca anche solo implicitamente al potere criminale della consorteria, in quanto tale potere è di per sé noto alla collettività (Sez. 2, n.34786 del 31/05/2023, Gabriele, Rv. 284950).
Infine, risultano infondate anche le censure articolate nei due ultimi motivi in punto di esigenze cautelari ed afferenti al dedotto vizio di motivazione in merito al pericolo di reiterazione ed alla scelta della custodia cautelare in carcere.
Si deve osservare che la ravvisata contiguità ad ambienti mafiosi, indipendentemente dai suoi risalenti precedenti penali per reati in materia di armi e associazione RAGIONE_SOCIALE, è stata apprezzata in termini di attualità proprio in ragione della vicenda in esame da cui è emersa la disponibilità del COGNOME a collaborare con esponenti mafiosi della ‘RAGIONE_SOCIALE, come espressione attuale e concreta delle sue capacità criminali.
In ragione, poi, della presunzione legale di inadeguatezza di misure diverse da quella cautelare in carcere di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., le doglianze difensive non inficiano la logicità delle valutazioni espresse dal Tribunale per ritenere irrilevanti sia l’epoca risalente dei suoi precedenti penali e sia la circostanza che la residenza della persona offesa sia collocata in luogo distante da quella del COGNOME, posto che l’attualità del pericolo di reiterazione deve essere intesa non come imminenza del pericolo di commissione di ulteriori reati a carico della medesima persona offesa, ma come prognosi di commissioni di delitti analoghi.
Al rigetto del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 22 dicembre 2023 Il Con GLYPH re estensore