Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 35688 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 35688 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
NOME NOME, nato ad Afragola il DATA_NASCITA;
NOME, nato a Francavilla al mare il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza emessa il 29/03/2023 dalla Corte di appello di Perugia visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione del AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;
lette le conclusioni del difensore degli imputati ricorrenti, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso;
lette le conclusioni del difensore delle parti civili NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese del grado.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME e NOME COGNOME, con decreto del 2 febbraio 2017, sono stati rinviati a giudizio dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Chieti per rispondere del delitto di cui agli artt. 81, secondo comma, 110, 629, primo e secondo comma, in riferimento all’art. 628, comma 3, n. 1, cod. pen., in quanto, in concorso tra loro e con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, nella qualità di preposti di fatto alla gestione della RAGIONE_SOCIALE, esercente l’attività d’impresa nel ramo dell’edilizia, al fine di consegui l’ingiusto profitto costituito dal maggior risparmio degli emolumenti retributivi, mediante minaccia consistita nel fare ricorso alle dimissioni che avrebbero fatto sottoscrivere agli operai dipendenti NOME COGNOME, NOME COGNOME e con la minaccia di licenziare NOME COGNOME, li avrebbero costretti a sottostare alle condizioni di lavoro loro imposte e a effettuare turni di lavoro di durata superiore alla normale giornata lavorativa, anche in orario notturno, il sabato e la domenica, senza che tale attività lavorativa fosse retribuita; fatto aggravato dalla minaccia commessa in più persone e commesso in San AVV_NOTAIO Teatino sino al 15 settembre 2011.
Il Tribunale di Chieti, con sentenza emessa in data 20 marzo 2018, ha dichiarato gli imputati colpevoli del reato ai medesimi ascritto e, esclusa l’aggravante contestata, li ha condannati alla pena di sei anni di reclusione e al risarcimento dei danni cagionati alle persone offese, oltre che al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili.
La Corte di appello dell’Aquila, con sentenza emessa in data 7 dicembre 2020, in riforma della pronuncia di primo grado, ha assolto gli imputati perché il fatto non sussiste.
La Seconda sezione penale della Corte di cassazione, con sentenza n. 38108 del 23 settembre 2021, in accoglimento dei ricorsi proposti dal Procuratore generale presso la Corte di appello dell’Aquila e delle parti civili, ha annullato l sentenza impugnata, in ragione della mancata ottemperanza al canone della c.d. motivazione rafforzata, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia.
La Corte di appello di Perugia, con la sentenza impugnata, pronunciando in sede di rinvio, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha applicato le attenuanti generiche agli imputati e ha ridotto la pena ad entrambi gli imputati nella misura di tre anni e sei mesi di reclusione ed euro 4.000 di multa.
La Corte di appello ha, inoltre, sostituito la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni a quella di durata perpetua applicata dalla sentenza di primo grado e ha condannato agli imputati al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili nel grado.
L’AVV_NOTAIO, difensore di NOME COGNOME, e l’AVV_NOTAIO, difensore di NOME COGNOME, ricorrono avverso tale sentenza e ne chiedono l’annullamento.
L’AVV_NOTAIO, nell’interesse del NOME, deduce sette motivi di ricorso.
7.1. Con il primo motivo, il difensore deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 20 e ss. del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, rubricato «attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30», e il vizio di manifesta illogicità contraddittorietà della motivazione della sentenza sul punto.
Il reato di estorsione contestato, infatti, non sarebbe configurabile, in quanto le prestazioni lavorative sarebbero state rese dagli imputati in favore della RAGIONE_SOCIALE, nell’ambito del rapporto di somministrazione di lavoro stipulato con la RAGIONE_SOCIALE
Non sarebbe, dunque, configurabile l’estremo dell’ingiusto profitto costituito dal risparmio degli emolumenti retributivi per la RAGIONE_SOCIALE, i quanto la retribuzione delle parti lese non sarebbe stata erogata da questa società, ma dalla RAGIONE_SOCIALE Nessun potere di risoluzione del rapporto di lavoro sarebbe, inoltre, spettato alla RAGIONE_SOCIALE, che non era il datore di lavoro.
Le presunte dimissioni dei lavoratori sarebbero, inoltre, state seguite da ulteriori periodi di lavoro, a dimostrazione del fatto che non venivano mai concepite a titolo sanzionatorio (o, tanto meno, estorsivo), bensì erano formalizzate solo per effetto del conseguimento della “missione” dell’impresa, che aveva giustificato il reclutamento di manodopera aggiuntiva, ricorrendo ad un contratto di somministrazione di lavoro.
La Corte di appello, inoltre, erroneamente avrebbe fatto riferimento alla mancata erogazione della RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE), in quanto questo sussidio è entrato in vigore quattro anni dopo il settembre del 2011.
Secondo le circolari dell’RAGIONE_SOCIALE.S., nel contratto di somministrazione di lavoro, del resto, non sarebbe dovuta alcuna indennità di mobilità o di disoccupazione.
7.2. Con il secondo motivo il difensore censura l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen., in riferimento all’art. 629 cod. pen., e l
manifesta erroneità, illogicità e contraddittorietà della motivazione sul punto.
Non vi sarebbe stato, infatti, alcun ingiusto profitto, come rilevato dal Tribunale di Chieti, che ha assolto dall’imputazione analoga di estorsione NOME COGNOME, titolare della RAGIONE_SOCIALE
Posto, inoltre, che i contratti di lavoro delle parti offese erano sottoposti a scadenze brevi, non sarebbe dato comprendere in che modo avrebbe potuto essere realizzata l’attività estorsiva mediante sottoscrizione di fogli di dimissioni in bianco. Il COGNOME, peraltro, non avrebbe mai proferito minacce di licenziamento in danno delle persone offese.
7.3. Con il terzo motivo, il difensore eccepisce l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen., in riferimento al giudizio di credibili soggettiva ed oggettiva delle parti civili e al contenuto dei ricorsi in materia d lavoro proposti davanti al Tribunale di Chieti dalle parti civili nei confronti RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e la manifesta erroneità, illogicità e contraddittorietà della motivazione sul punto.
7.4. Con il quarto motivo, il difensore deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen., in riferimento al giudizio di inattendibili dei testi, assunti ex art. 391 bis cod. proc. pen., COGNOME NOME e COGNOME NOME, e la manifesta erroneità, illogicità e contraddittorietà della motivazione sul punto.
7.5. Con il quinto motivo, il difensore deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen., in riferimento al giudizio di credibilità del testimone NOME COGNOME titolare della RAGIONE_SOCIALE, e la manifesta erroneità, illogicità e contraddittorietà della motivazione, che non aveva tenuto conto dell’assoluzione di COGNOME.
La Corte di appello aveva ritenuto irrilevanti le dichiarazioni di NOME, essendo questo un soggetto direttamente coinvolto nella presente vicenda, tanto che nel primo grado era stata disposta la trasmissione degli atti al pubblico ministero, perché verificasse la possibilità di procedere anche nei suoi confronti, come poi era avvenuto. Il difensore, tuttavia, rileva che il Tribunale di Chieti ha assolto NOME dal medesimo reato contestato agli imputati perché il fatto non sussiste.
7.6. Con il sesto motivo, il difensore censura l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 627 cod. proc. pen., in riferimento all’omessa valutazione delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME, come prescritto dalla Corte di cassazione in sede di annullamento con rinvio e la mancanza assoluta di motivazione sul punto nella sentenza impugnata.
7.7. Con il settimo motivo, il difensore deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen., in riferimento al giudizio di inattendibili
dei testimoni della difesa e l’erroneità, la manifesta illogicità e la contraddittorie della motivazione sul punto.
LAVV_NOTAIO, nell’interesse di COGNOME, deduce tre motivi di ricorso, di contenuto fondamentalmente sovrapponibile, pur nella diversità degli accenti, a quelli proposti dal difensore di COGNOME.
8.1. Con il primo motivo, il difensore censura l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 20 ss. del d.lgs. n. 276 del 2003, e la manifesta erroneità, illogicità e contraddittorietà della motivazione su punto.
La Corte di appello, infatti, avrebbe omesso di approfondire la natura del contratto di somministrazione di lavoro che intercorreva tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE e le conseguenze che ne derivavano in tema di configurabilità del delitto di estorsione. La RAGIONE_SOCIALE non era, infat il datore di lavoro delle persone offese e, dunque, nessun illecito profitto poteva conseguire alla commissione delle condotte asseritamente minatorie.
Illogicamente la Corte di appello aveva accordato credibilità alle deposizioni delle persone offese e aveva ritenuto che le stesse fossero state riscontrate, anche documentalmente. La Corte di appello, inoltre, avrebbe illogicamente obliterato il valore delle deposizioni dei testi a difesa, che avevano escluso in radice la commissione di condotte di minaccia da parte degli imputati.
8.2. Con il secondo motivo il difensore deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen., in riferimento all’art. 629 cod. pen. l’erroneità, la manifesta illogicità e la contraddittorietà della motivazione sul punto
Il delitto di estorsione sarebbe stato illogicamente ritenuto sussistente dalla Corte di appello di Perugia, in quanto il risparmio conseguente alle retribuzioni non versate alle parti lese avrebbe avvantaggiato il datore di lavoro (la RAGIONE_SOCIALE) e non già la società utilizzatrice delle prestazioni lavorative (la RAGIONE_SOCIALE).
Questi argomenti erano, peraltro, stati affermati dal Tribunale di Chieti, nel processo penale celebratosi per la contestazione di estorsione aggravata, analoga alla presente, formulata nei confronti di NOME COGNOME, processo che si era concluso con l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non sussiste, con sentenza del 7 febbraio 2023, divenuta irrevocabile in data 23 giugno 2023.
Le persone offese, del resto, essendo lavoratori assunti nel settore dell’edilizia in regime di somministrazione, non avrebbero avuto alcun diritto né all’indennità di mobilità, né a trattamenti speciali di disoccupazione per l’edilizia.
8.3. Con il terzo motivo, il difensore eccepisce l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen., in riferimento al giudizio di credibili soggettiva ed oggettiva delle parti civili e alle risultanze dei ricorsi proposti da
parti civili al Tribunale del lavoro di Chieti e la manifesta erroneità, illogicit contraddittorietà della motivazione sul punto.
Non essendo stata richiesta la trattazione orale del procedimento, il ricorso è stato trattato con procedura scritta.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte, depositate in data 7 maggio 2024, il Procuratore generale, nella persona del AVV_NOTAIO, ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
Con memoria depositata in data 25 maggio 2024 l’AVV_NOTAIO, nell’interesse di NOME, ha chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso.
Con conclusioni scritte depositate in data 29 maggio 2024 l’AVV_NOTAIO, in qualità di difensore delle parti civili NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, ha chiesto il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del grado.
Con memoria depositata in data 29 maggio 2024 l’AVV_NOTAIO, nell’interesse di NOME, ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, in quanto i motivi proposti, che saranno esaminati in ordine logico e non secondo la numerazione proposta dai ricorrenti, sono diversi da quelli consentiti dalla legge e, comunque, manifestamente infondati.
Con il terzo motivo l’AVV_NOTAIO, nell’interesse del COGNOME, ha dedotto l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen., in riferimento al giudizio di credibilità soggettiva ed oggettiva delle parti civili e risultanze dei ricorsi in materia di lavoro proposti dalle parti civili. Analog censure sono state proposte dall’AVV_NOTAIO con il primo e il terzo motivo di ricorso proposto nell’interesse del COGNOME.
I motivi sono inammissibili, in quanto i ricorrenti si confrontano con le deposizioni delle persone offese, sollecitandone una diversa lettura, e non già con la motivazione della sentenza impugnata.
Esula, tuttavia, dai poteri della Corte di cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze
processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Sez. U, n. 6402 del 2/07/1997, Dessimone, Rv. 207944)
Le Sezioni unite di questa Corte hanno, peraltro, statuito che le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/7/2012, RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE, Rv. 253214, in motivazione la Corte ha altresì precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi).
La Corte di appello di Perugia ha fatto buon governo di tale principio, in quanto ha accuratamente vagliato le dichiarazioni delle persone offese costituitesi parti civili e ha ritenuto le stesse attendibili, evidenziando come le stesse, già priv di profili interni di incongruità, contraddizione o inverosimiglianza, siano sempre state coerentemente riportate nelle molteplici escussioni, durante le quali i lavoratori non hanno mai manifesto alcun moto di animosità o risentimento nei confronti degli imputati.
La Corte d’appello ha, inoltre, congruamente rilevato che le deposizioni dell’COGNOME, del COGNOME e del COGNOME sono risultate puntuali e circostanziate e hanno consentito, proprio per la ricchezza dei dettagli, il rinvenimento di plurimi punti di convergenza, non solo con le altre prove testimoniali assunte, ma anche con la documentazione e con quanto è emerso dalle indagini di polizia giudiziaria.
La Corte d’appello ha rinvenuto plurimi riscontri rappresentati dalla documentazione rinvenuta dagli inquirenti, ha rilevato che i documenti firmati in bianco erano effettivamente costituiti da lettere di dimissioni e che una lunga sequela di dimissioni sottoscritte dalle parti lese aveva caratterizzato i lor contratti di lavoro con la società RAGIONE_SOCIALE
L’esame dei ricorsi introduttivi avanti al Tribunale di Chieti quale giudice del lavoro, inoltre, nella valutazione non illogica della Corte di appello, non ha evidenziato alcuna sostanziale diversità rispetto alla ricostruzione proposta nel giudizio, anche con riguardo alla retribuzione spettante alle parti lese.
La Corte d’appello ha, da ultimo, fornito puntuali e logiche giustificazioni alle discrasie evidenziate dalla difesa, ritenendo irrilevante ai fini dell’accertamento della fondatezza dell’imputazione la rinuncia ai ricorsi in sede lavoristica, dettata dalla scelta di proseguire l’esercizio della pretesa risarcitoria civile avanti al giudi penale mediate la costituzione di parte civile.
Con il quarto motivo, l’AVV_NOTAIO, difensore di NOME, ha dedotto l’erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen., in riferimento al giudizio di inattendibilità dei testi, assunti ai sensi dell’art. 391 bis cod, proc. pen., NOME COGNOME e NOME COGNOME e la manifesta erroneità, illogicità e contraddittorietà della motivazione sul punto. Con il quinto motivo, il difensore ha censurato l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e la mancanza di motivazione, in riferimento al giudizio di credibilità del testimone NOME, titolare della RAGIONE_SOCIALE, e la manifesta erroneità, illogicità e contraddittorietà della motivazione, che non avrebbe tenuto conto dell’assoluzione del NOME stesso dal delitto di estorsione contestatogli.
Con il settimo motivo, il difensore ha dedotto l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen., in riferimento al giudizio di credibili dei testimoni della difesa, l’erroneità, la manifesta illogicità e la contraddittori della motivazione sul punto, in quanto la Corte di appello avrebbe travisato il significato di queste prove dichiarative.
AVV_NOTAIO, con il primo motivo proposto nell’interesse di COGNOME, ha proposto censure di analogo tenore.
I motivi proposti relativamente all’attendibilità dei testimoni sono inammissibili, in quanto si risolvono nella sollecitazione alla Corte di legittimità a accogliere una diversa ricostruzione dei fatti accertati dalla Corte di appello.
Sono, infatti, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrent come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5456 del 4/11/2020, F., Rv. 280601-1; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482).
La Corte d’appello ha, inoltre, legittimamente ritenuto non utilizzabili le dichiarazioni rese dal COGNOME e dal COGNOME, ai sensi dell’art. 391 bis cod. proc. pen., in quanto sono state acquisite al fascicolo del dibattimento in violazione dell’art. 500, comma 4, cod. proc. pen., a fronte di mere contestazioni c.d. probatorie.
Il Collegio ha, peraltro, motivato congruamente il giudizio negativo circa l’attendibilità delle dichiarazioni rese in dibattimento dai testi NOME COGNOME e NOME COGNOME, ritenendo del tutto inverosimile quanto affermato (ad esempio, in ordine alla mancata sottoscrizione di documenti in bianco); i Giudici di appello hanno, infatti, rilevato che tali dichiarazioni erano smentite dalla documentazione acquisita e proveniente dalla Provincia di Chieti, afferente la “Formazione
professionale” da cui risultava che anche questi lavoratori, nel periodo in cui avevano lavorato presso i cantieri della RAGIONE_SOCIALE, si erano dimessi dopo essere stati assunti da poche settimane.
La Corte d’appello si è, peraltro, confrontata, in modo del tutto logico e congruo, con le dichiarazioni dei testi assunti ad istanza della difesa, i quali hanno negato di avere subito pressioni e di essere stati costretti a firmare “dimissioni in bianco”. Nella valutazione non illogica della Corte di appello queste testimonianze non sono idonee a smentire quanto riferito dall’COGNOME, dal COGNOME e dal COGNOME. Del tutto correttamente si è rilevato che il fatto che nei confronti dei testi citati dalla difesa non fossero state poste in essere condotte estorsive (anche se risultavano anche a carico di alcuni di essi delle dimissioni firmate in bianco) non esclude che ciò potesse essere avvenuto nei confronti delle odierne parti civili.
Parimenti congrua è la valutazione di sostanziale irrilevanza probatoria delle dichiarazioni rese in dibattimento da NOME COGNOME, rappresentante legale della RAGIONE_SOCIALE, in quanto si tratta pur sempre di soggetto direttamente coinvolto nella presente vicenda, indipendentemente dalla sua assoluzione per il medesimo addebito di quello formulato nel presente procedimento.
Con il sesto motivo, il difensore ha censurato l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 627 cod. proc. pen., in riferimento all’omessa valutazione delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME, come prescritto dalla Corte di cassazione in sede di annullamento con rinvio e la mancanza assoluta di motivazione sul punto.
Il motivo è manifestamente infondato, in quanto la Corte di appello di Perugia, nella sentenza impugnata, lungi dal discostarsi dal vincolo rappresentato dalla sentenza rescindente, si è. confrontata ampiamente e specificamente con la versione difensiva del COGNOME, pur non richiamando testualmente le dichiarazioni dal medesimo rese in dibattimento, e l’ha confutata con argomenti logici e coerenti.
Con il primo motivo, l’AVV_NOTAIO COGNOME, difensore di NOME, ha dedotto l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 20 e ss. del decreto legislativo n. 276 del 2003, e il vizio di manifesta illogicità e contraddittorietà de motivazione della sentenza sul punto. Il reato di estorsione contestato, infatti, non sarebbe configurabile, in quanto le prestazioni lavorative sarebbero state rese dagli imputati in favore della RAGIONE_SOCIALE, nell’ambito del rapporto d somministrazione di lavoro stipulato con la RAGIONE_SOCIALE
Con il secondo motivo il difensore ha censurato l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen., in riferimento all’art. 629 cod. pen., e l manifesta erroneità, illogicità e contraddittorietà della motivazione, in ordine all carenza dell’ingiusto profitto per la RAGIONE_SOCIALE, mera utilizzatrice e no titolare del rapporto di lavoro.
AVV_NOTAIO, con il primo e il secondo motivo proposto nell’interesse di COGNOME, ha proposto censure di analogo tenore.
9. Entrambi i motivi sono inammissibili.
Le censure, pur evocando il vizio di violazione di legge, non si confrontano con il fatto come accertato dalla sentenza di primo grado e dalla sentenza impugnata, ma muovono da una reinterpretazione dello stesso e, dunque, sono inammissibili, in quanto si risolvono in una sollecitazione ad una nuova valutazione dello stesso nel giudizio di legittimità.
La censura di violazione di legge è, inoltre, manifestamente, infondata.
La Corte di appello in modo del tutto congruo ha affermato che le persone offese avevano sottoscritto contratti di lavoro a tempo determinato e le relative proroghe con l’RAGIONE_SOCIALE e che avevano svolto la loro attività lavorativa presso i cantieri della società appaltatrice RAGIONE_SOCIALE NOME.
Gli imputati erano preposti alla direzione del cantiere ove le tre persone offese erano impiegate. Nella congrua valutazione della sentenza di primo grado e della Corte di appello di Perugia la circostanza che le prestazioni lavorative fossero state effettuate in forza di contratti a termine sottoscritti con l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non esclude la configurabilità del delitto di estorsione contestato.
La Corte di appello ha, infatti, accertato che era la società presso la quale svolgevano la loro attività (e, dunque, la RAGIONE_SOCIALE) che determinava le modalità e gli orari lavorativi, l’eventuale prosecuzione dell’occupazione oltre l’orario previsto o in giorno festivo e che, «in ultima analisi, sborsava le somme necessarie».
La Corte di appello nella sentenza impugnata ha rilevato che al pagamento della retribuzione in favore delle persone offese provvedeva direttamente, con cadenza settimanale, l’imputato NOME COGNOME, ma sempre in misura inferiore rispetto alle ore di lavoro effettivamente prestate; le persone offese nel corso del rapporto lavorativo con la RAGIONE_SOCIALE, dunque, «non avevano mai percepito la tredicesima mensilità, le ferie, le festività, né l’indennità dovuta lo per il lavoro straordinario, né alcuna indennità di fine rapporto».
NOME e COGNOME, inoltre, che avevano agito quali preposti dell’effettivo
datore di lavoro delle persone offese (la RAGIONE_SOCIALE), avevano reiteratamente minacciato le stesse di licenziamento, ove non avessero sottoscritto dei fogli in bianco, che erano risultate essere delle lettere di dimission
Nella valutazione non illogica della Corte di appello, tali lettere costituivano uno strumento di fortissima pressione nei confronti dei dipendenti, soggetti in precarie condizioni economiche e che necessitavano di lavorare. Le dimissioni, se utilizzate dalla RAGIONE_SOCIALE avrebbero infatti potuto far perdere ai dipendent indubbi ed immediati vantaggi economici, necessari per la loro sussistenza.
Indipendentemente dalla possibilità per le persone offese di accedere all’indennità di disoccupazione in caso di rapporto di somministrazione di lavoro, le dimissioni volontarie avrebbero, comunque, cagionato ai medesimi un effettivo danno patrimoniale, in quanto avrebbero determinato la perdita dell’occupazione svolta nell’immediato e assunto indubbi riflessi negativi anche nel rapporto con il datore di lavoro.
Già nella sentenza rescindente la Seconda Sezione di questa Corte ha, peraltro, rilevato che «in ipotesi di somministrazione di lavoro a tempo determinato la stessa Corte territoriale (che aveva assolto gli imputati) non ha escluso di principio la sussistenza dell’estorsione» e che «correttamente i ricorsi fanno presente che il danno arrecato ai lavoratori vi era stato egualmente».
Il reato di estorsione, dunque, non è escluso dal rilievo dell’intermediazione tra le parti operata dalla società RAGIONE_SOCIALE, in quanto le persone offese, hanno subito reiterate minacce da parte degli imputati per rinunciare ai propri diritti e sono stati danneggiati dalla mancata percezione della retribuzione, con correlativo risparmio della RAGIONE_SOCIALE
Alla stregua di tali rilievi, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibil
I ricorrenti devono, pertanto, essere condannati, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», deve, altresì, disporsi che ciascun ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Gli imputati devono, altresì, essere condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, che si liquidano, con riferimento alla nota spese depositata, in complessivi euro 7.500,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento de spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de ammende. Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili COGNOME NOME, COGNOME NOME ed COGNOME NOME, che liquida in complessivi euro 7.500,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2024.