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Estorsione e credito: minaccia per non pagare

La Corte di Cassazione chiarisce che il reato di estorsione sussiste anche quando la minaccia è successiva all’origine del debito. Un individuo, dopo aver acquistato merce con assegni scoperti, ha minacciato il venditore per costringerlo a rinunciare al proprio credito. Il Tribunale lo aveva assolto per mancanza di contestualità tra minaccia e profitto. La Cassazione ha annullato la sentenza, affermando che costringere qualcuno a rinunciare a un diritto di credito costituisce un ingiusto profitto con altrui danno, integrando pienamente il delitto di estorsione.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Estorsione per non pagare un debito: la Cassazione fa chiarezza

La minaccia rivolta a un creditore per costringerlo a rinunciare al proprio credito integra il reato di estorsione, anche se la violenza verbale è successiva al momento in cui è sorta l’obbligazione. Questo è il principio fondamentale ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 11136 del 2024, che annulla una precedente assoluzione e delinea con precisione i confini tra il reato di estorsione e quello di truffa.

I Fatti del Caso: Dalla Vendita alla Minaccia

La vicenda giudiziaria ha origine da una transazione commerciale. Un soggetto acquista della merce da un venditore, pagando con assegni post-datati che, alla scadenza, risultano insoluti. Di fronte alla legittima richiesta del venditore di saldare il debito, per un importo di circa 5.000 euro, l’acquirente reagisce in modo illecito: lo minaccia per costringerlo a desistere e a rinunciare definitivamente al proprio diritto di credito.

La Decisione di Primo Grado e il Ricorso del Pubblico Ministero

Il Tribunale di Napoli Nord, in primo grado, aveva assolto l’imputato dall’accusa di estorsione con la formula “perché il fatto non sussiste”. Secondo il giudice, mancava un elemento essenziale del reato: la contestualità tra la minaccia e l’ingiusto profitto. Poiché le minacce erano state proferite dopo la consegna della merce, il Tribunale riteneva che non si potesse configurare l’estorsione, ipotizzando al più un caso di truffa.

Contro questa decisione, il Procuratore della Repubblica ha proposto ricorso per saltum direttamente in Cassazione, sostenendo un’erronea applicazione della legge penale. Il punto centrale del ricorso era che l’ingiusto profitto non consisteva nell’ottenimento della merce, ma nella successiva coartazione del venditore a rinunciare al suo legittimo credito.

La configurazione del reato di estorsione secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha accolto pienamente le argomentazioni del Pubblico Ministero, fornendo una lezione giuridica sulla distinzione tra truffa ed estorsione e sulla natura del danno patrimoniale. Il reato contestato all’imputato, infatti, non era legato alla fase iniziale della compravendita, ma alla fase successiva, quella del recupero del credito. La condotta penalmente rilevante era la minaccia finalizzata a costringere la persona offesa a rinunciare alla somma che le era dovuta.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha smontato la tesi del giudice di primo grado, chiarendo che è errato limitare la nozione di profitto e danno alla sola consegna materiale di un bene. Il delitto di estorsione si perfeziona quando la vittima è posta di fronte a un’alternativa ineluttabile: subire il male minacciato o accettare la pretesa ingiusta dell’agente, subendo una perdita patrimoniale.

Nel caso specifico, la vittima è stata costretta a scegliere tra la propria incolumità e la rinuncia a un credito legittimo. Questa rinuncia forzata rappresenta, per la Corte, un danno patrimoniale effettivo, una deminutio patrimonii. Di contro, per l’imputato, il non pagare un debito dovuto costituisce un ingiusto profitto.

La giurisprudenza, ricordano i giudici, ha da tempo ampliato la nozione di danno patrimoniale, includendovi non solo la perdita di beni materiali, ma anche la “perdita della possibilità di conseguire un vantaggio economico” o la “desistenza dall’esercizio di un’azione giudiziaria”. La minaccia che costringe a rinunciare alla tutela di un proprio diritto rientra pienamente in questa casistica.

Conclusioni

Con questa sentenza, la Corte di Cassazione ribadisce un principio di diritto cruciale: il reato di estorsione si configura anche quando la condotta minacciosa è finalizzata a ottenere la rinuncia a un diritto di credito. Il momento in cui la minaccia viene proferita non è dirimente, se l’obiettivo è quello di coartare la volontà della vittima per conseguire un vantaggio patrimoniale indebito. La decisione di assoluzione è stata quindi annullata, e gli atti sono stati trasmessi alla Corte di Appello di Napoli per un nuovo giudizio che dovrà attenersi a questo fondamentale principio.

Quando una minaccia per non pagare un debito si configura come estorsione?
Secondo la sentenza, si configura il reato di estorsione quando la minaccia è finalizzata a costringere il creditore a rinunciare al proprio diritto. L’ingiusto profitto per chi minaccia consiste nel non pagare il debito, mentre il danno per la vittima è la perdita patrimoniale derivante dalla rinuncia forzata al credito.

È necessaria la contemporaneità tra minaccia e profitto per il reato di estorsione?
No, la sentenza chiarisce che la condotta minacciosa può essere successiva al momento in cui è sorto il debito. Il reato si perfeziona quando la vittima viene posta di fronte all’alternativa tra subire il male minacciato o rinunciare al proprio diritto, indipendentemente dal fatto che l’obbligazione preesistesse.

Qual è la differenza tra truffa ed estorsione in casi simili?
Nella truffa, la vittima è indotta in errore da artifizi o raggiri e compie un atto di disposizione patrimoniale dannoso per sé stessa. La sua volontà è viziata, ma non coartata. Nell’estorsione, invece, la vittima è consapevole del danno che subisce, ma è costretta ad agire a causa della violenza o della minaccia, che non le lascia una reale libertà di scelta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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