Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9275 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9275 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a CASTELLAMMARE DI STABIA 11 11/08/1979
avverso la sentenza del 04/06/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso dell’Avv. NOME COGNOME udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso
udito il difensore
L’avvocato NOMECOGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME insiste per l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
NOMECOGNOME a mezzo del difensore di fiducia, ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli del 4/06/2024, con cui è stata confermata la sentenza del Tribunale di Napoli che ha condannato il ricorrente alla pena di giustizia in ordine ai delitti di estorsione e tentata violenza privata, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante di cui all’art. 628, comma 3, n. 1 cod. pen. (più persone riunite e e con il volto travisato) e alla contestata recidiva.
La difesa affida il ricorso a tre motivi che, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., saranno enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo si lamenta il ricorso da parte della Corte d’appello ad una motivazione apparente al fine di disattendere le censure difensive volte ad evidenziare l’inattendibilità della p.o., con particolare riguardo a circostanze significative del fatto.
In particolare, si richiamano, anzitutto, le modalità di riconsegna del coltello che gli avrebbero lanciato dietro la schiena tre soggetti che sarebbero stati incaricati dall’imputato di minacciarlo (il riferimento è all’episodio del 14/03/2018), ove l’iniziale versione di avere consegnato l’arma alla p.g. era stata poi smentita dagli stessi accertamenti svolti, tanto che al dibattimento aveva poi riferito di essersi semplicemente allontanato, senza raccogliere l’arma.
Né valevano ad attribuire attendibilità al narrato la circostanza che lo stesso non si fosse costituito parte civile o le dichiarazioni di conferma rese da altri testimoni.
Con particolare riguardo alla conferma che era stata tratta dalle affermazioni della moglie, la quale avrebbe assistito all’episodio in cui la p.o. sarebbe stata minacciata da un uomo affinché ritirasse la denuncia sporta contro l’imputato (il riferimento è all’episodio del 7/04/2017, poi confluito anche nella contestazione dell’aggravante del persone riunite in quanto ad attendere il malvivente vi sarebbe stata anche altra persona a bordo di uno scooter), non si era tenuto conto che la stessa testimone non era stata in grado di fornire alcuna indicazione in ordine alla descrizione del malvivente.
Anche il richiamo confermativo alle dichiarazioni della figlia – compendiate poi nella denuncia da questa presentata (il 3/03/2017) ai danni dell’imputato – si poneva in contrasto con quanto successivamente riferito dalla stessa p.o., la quale in sede di incidente probatorio aveva precisato a più riprese che la figlia fosse
all’oscuro di tutto.
Si censura poi l’integrazione della minaccia estorsiva, essendo il timore di subire un male ingiusto non scaturente da “esperienze negative presumibilmente vissute con lui”, ma sulla base “del pensiero della cosiddetta voce di popolo in ordine ad una presunta caratura criminale dell’imputato, limitandosi la persona offesa ad un “riferimento generico a presunti timori rivoltigli da terzi estranei all vicenda”.
Non confacente era il richiamo al timore di ritorsioni per giustificare il ritardo – di ben due anni – intercorso tra la denuncia della p.o. e quando l’imputato, richiesto di regolarizzare il rapporto locatizio in corso, l’avrebbe inizialmente minacciate e trattata in malo modo (il riferimento è al giugno 2015 allorché l’imputato avrebbe continuato ad occupare l’immobile dopo che la sua compagna che l’aveva ottenuto in locazione breve si era allontanata); peraltro, le presunte minacce ricevute mal si conciliavano con l’incontro che, nelle more, vi era stato tra le parti per cercare di regolarizzare la situazione relativa al rilascio dell’appartamento, financo chiamando il proprio avvocato e stabilendo un appuntamento.
Altri elementi di contraddizione della p.o. erano, poi, ricavabili in ordine alla presenza di altri inquilini nell’unità immobiliare del piano soprastante e alla effettuazione di sopralluoghi per accertare le cause di perdita di acqua, ove aveva invece rinvenuto conferma la versione dell’imputato.
Parimenti, priva di riscontro al narrato della p.o. era, poi, la vicenda relativa ai germani COGNOME, semmai foriera di indizi non sviluppati dalle investigazioni.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta il vizio di motivazione in punto di riqualificazione del fatto nell’alveo dell’esercizio arbitrario ex art. 393 cod. pen.
La censura – che richiama gli orientamenti della Corte di legittimità in materia di distinzione tra le due fattispecie di reato – fa leva sull’assenza del dolo estorsivo e, in particolare, nella convinzione dell’imputato di poter permanere nell’appartamento in quanto l’assenza di regolarizzazione del contratto (che il medesimo non poteva stipulare per impedimenti legali) non aveva precluso alla p.o. di ricevere il pagamento del canone, come, peraltro, era già avvenuto in costanza della locazione breve del medesimo immobile in favore della COGNOME NOME (a cui era stato locato per un breve termine essendo l’abitazione di proprietà della donna interessata da lavori edili), per come risaputo dall’imputato che, dopo circa un mese dall’accordo intervenuto con la donna, si era trasferito nell’immobile come convivente, poi permanendovi allorché la donna si era allontanata per far ritorno nella sua abitazione).
2.3. Con il terzo motivo si denuncia l’erronea applicazione della legge penale in ordine all’aggravante delle persone riunite, nonché il vizio di motivazione, posto che dal narrato della p.o. si evinceva come questa non avesse mai percepito la presenza della seconda persona al momento della minaccia, di cui si era avveduta solo successivamente.
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto P.G. NOME COGNOME, con requisitoria del 20 gennaio 2025, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Tanto premesso, il ricorso è fondato nei sensi di cui in motivazione.
Venendo alle censure mosse riguardo all’attendibilità della persona offesa (COGNOME Roberto), va anzitutto precisato che il reato estorsivo si nutre, secondo quanto indicato dal capo di imputazione e denunciato dalla persona offesa, di tre episodi, tutti uniti dal filo conduttore volto a far permanere l’imputato nell’immobile di proprietà della figlia della persona offesa (COGNOME Roberto) e temporalmente susseguenti: una minaccia che avrebbe direttamente profferito l’imputato ai danni della p.o.; una minaccia rivolta alla p.o. da due persone travisate da un casco ricondotta all’iniziativa dell’imputato; una minaccia da parte di tre incaricati dell’imputato a cui sarebbe pure conseguito il lancio di un coltello ai suoi danni.
Sebbene le sentenze di merito abbiano accertato, con riguardo al terzo episodio, che la p.o. sia caduta in contraddizione (non avendo trovato conferma l’iniziale versione secondo cui ella avrebbe recuperato il coltello, consegnandolo alla p.g.), tanto che, per come si preciserà innanzi, deve ritenersi che l’imputato per tale episodio sia stato assolto dal primo giudice, deve escludersi che tale distonia ridondi sull’attendibilità complessiva del narrato che, in ossequio al principio di scindibilità della prova testimoniale, risulta invece essere stato puntualmente scrutinato dal giudice del merito sia nella genesi che determinò l’accusa mossa all’imputato sia riguardo agli altri due episodi in cui si concretizzò l’estorsione, per come si ricava dai plurimi e convergenti elementi di prova al riguardo citati dalla sentenza di primo grado (v. pagg. 9, 10 e 11 prima parte), a cui quella impugnata fa integrale rinvio.
Risulta, invero, che l’imputato, dopo avere fatto ingresso nell’appartamento della p.o., quale iniziale convivente di colei che, per un breve periodo, ne aveva ottenuta la disponibilità nell’attesa che si completassero i lavori nell’appartamento di proprietà, vi permase allorché ella aveva fatto ritorno nella sua abitazione,
contro
la volontà della p.o. che aveva anche cercato di assumere, rivolgendosi ad un avvocato, iniziative di tipo legale.
Il fatto che non si trattasse di una mera occupazione abusiva, bensì di una permanenza forzosa e foriera di sopraffazione, è stato ricavato non solo dalle dichiarazioni della p.o., ma anche della moglie, la quale ebbe diretta contezza delle minacce dell’imputato (v. pag. 10), nonché dalle azioni intraprese per far allontanare l’imputato e dalla circostanza, non affatto priva di rilievo, che ha trovato smentita la versione difensiva che vuole il ricorrente aver fatto fronte al pagamento dei canoni di affitto ovvero di essersi fatto carico di spese di ristrutturazione dell’immobile (v. pag. 8 della sentenza di primo grado).
A tali elementi, poi, il giudice di primo grado aggiunge quello – di natura indiziaria ma avente valenza di riscontro – costituito dall’intimidazione ai danni dei germani COGNOME (la cui autovettura venne attinta da colpi di arma da fuoco) che è stato logicamente legato all’odierna vicenda, in quanto relativo alla locazione dell’appartamento sito al piano sovrastante di quello occupato dall’imputato che la p.o. aveva proposto a COGNOME NOME, autorizzandolo ad accedervi per verificare Io stato dei luoghi e la tipologia dei lavori da effettuarsi.
Nessuna decisiva interferenza rispetto alla credibilità del narrato consegue, poi, al tempo trascorso tra i fatti ed il momento in cui la p.o. presentò denuncia.
I giudici di merito hanno, infatti, spiegato che ciò fu dovuto al timore dovuto allo spessore criminale dell’imputato, per come dallo stesso rimarcato con l’inequivoca espressione di comando e supremazia territoriale in quel di Privati (v. pag. 5) che si lega ai suoi trascorsi giudiziari, per come confermato dagli esiti di indagine acquisiti, dallo status di recidivo e dal fatto che, all’epoca, si trovasse sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata.
A fronte di tali argomenti, le censure difensive, anche mediante il richiamo agli esiti probatori, finiscono per sollecitare una non consentita nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di pro (tra le tante, Sez. 4, n. 20245 del 28/04/2006, Francia, Rv. 234099- 01).
Non va, infatti, trascurato che la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che, come tale, non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifest contraddizioni (Sez. 2, n. 41505 del 24/09/2013, COGNOME, Rv. 257241).
Correttamente la vicenda è stata poi ricondotta nell’alveo dell’estorsione e non dell’esercizio arbitrario.
Al riguardo rileva il dato, avente carattere dirimente e valorizzato dalla sentenza impugnata a corredo del rigetto del motivo dedotto in punto di qualificazione giuridica del fatto, costituito dall’assenza di prova sulla sussistenza di un legittimo possesso dell’abitazione che potesse ricondurre le intimazioni minacciose al preteso diritto dell’imputato di permanere in forza di una situazione giuridica tutelata dall’ordinamento. Affinché sussista il diverso e meno grave reato di cui all’art. 393 cod. pen., occorre che il terzo abbia agito al fine di tutelare proprio diritto e l’assenza di pagamento delle pigioni e di ragioni creditorie in capo all’imputato escludono, anche in punto di elemento soggettivo, escludono financo che l’imputato potesse ritenere giustificata la sua presenza nell’immobile in costanza di un contratto che, seppur privo di regolarizzazione, si fosse di fatto instauratosi tra le parti.
Con la conseguenza che il rilievo difensivo – che fa leva sull’error iuris in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nell’avere escluso l’esercizio arbitrario sulla scorta delle modalità di soddisfacimento del preteso diritto travalicate in forme di particolare violenza (profilo non più continente ai fini della distinzione tra i du reati in forza del dictum delle Sezioni Unite Filardo (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Rv. 280027 – 02) – non si rivela affatto decisivo, risultando, pertanto, manifestamente infondato.
Inammissibile per carenza di interesse è, invece, la censura di vizio di motivazione con riguardo al terzo episodio estorsivo (che si colloca il 14 marzo 2018, v. anche ordinanza cautelare in atti, pag. 10).
Per come evidenziato in premessa, se si ha riguardo alla motivazione della sentenza di primo grado, se ne deve concludere che l’imputato è stato assolto per tale episodio.
A conferma di ciò rileva che il Tribunale:
a pag. 11 della sentenza, si esprime in termini di contraddizione del narrato della p.o., considerato che il COGNOME aveva riferito dapprima di avere raccolto il coltello e di averlo consegnato alla p.g. e, poi, allorché si è accertato che mai un coltello venne sequestrato ovvero consegnato, precisato di essersi semplicemente allontanato, senza raccogliere l’arma;
ai fini del trattamento sanzionatorio ne fa conseguire l’esclusione dell’aggravante dell’uso dell’arma contestata in relazione a tale episodio (v. pag. 12);
non apporta un aumento di pena per la continuazione di cui l’imputato possa
dolersi in relazione a tale episodio, se si considera che, pur avendo richiamato l’art. 81 u.c. cod. pen., stante il riconoscimento della recidiva qualificata ex art 99, comma 4, cod. pen., ha poi aumentato complessivamente la pena della reclusione in virtù della continuazione per tutti gli altri reati ad anni uno e mesi se anziché ad anni uno e mesi otto (v. pag. 13).
Fondata è l’ulteriore censura di vizio di motivazione con riguardo all’episodio di cui al capo L, relativo alla tentata violenza privata verificatasi il 7 aprile 2017 allorché alla p.o. venne intimato, pena che avrebbe subito conseguenze alla incolumità fisica, di togliere la denuncia sporta nei confronti dell’imputato.
In tal caso, a fronte di uno specifico motivo di appello (v. pag. 8) che censurava l’inconferenza, per contraddittorietà, del riscontro costituito da quanto avrebbe riferito la moglie della p.o. – posto che si afferma che ella abbia assistito alla scena ma poi si precisa che non era in grado di fornire indicazioni in ordine alla descrizione dell’autore, in quanto si stava allontanando quando si era affacciata dal balcone – la Corte di merito, pur dando atto della doglianza (v. pag. 4, secondo capoverso), risponde facendo riferimento al diverso episodio della minaccia col coltello che, invece, attiene all’estorsione (e non alla tentata violenza privata) e di cui si è detto al paragrafo precedente.
Fondato è, altresì, il motivo dedotto sull’aggravante delle più persone riunite, ritenuta dal primo giudice con riguardo al secondo episodio estorsivo (relativo alla minaccia profferita da due persone travisate con casco – v. pag. 12).
La motivazione resa sul punto è, infatti, apparente, essendosi limitata la Corte d’appello a richiamare gli orientamenti di legittimità in materia senza corredare la conclusione dei necessari riferimenti al fatto che la difesa contesta con riguardo alla effettiva percezione ad opera della vittima della presenza del terzo e alla sua causale interferenza con la minaccia sporta ai suoi danni (v. pagg. 21-23 del ricorso). Né sul punto possono trarsi convincenti argomenti dalla sentenza di primo grado, posto che la circostanza è stata soltanto affermata ai fini del trattamento sanzionatorio.
In conclusione, va annullata la sentenza impugnata con riguardo al reato di cui al capo 1) limitatamente all’aggravante delle persone riunite e al reato di cui al capo 2), con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Napoli. Va, invece, rigettato nel resto il ricorso e dichiarata irrevocabile l’affermazione di responsabilità relativamente al reato di cui al capo 1) nei sensi precisati in motivazione.
Annulla la sentenza impugnata relativamente al reato di cui al capo 1) limitatamente alla circostanza aggravante delle più persone riunite relativaer4g, al reato di cui al capo 2), con rinvio per nuovo giudizio sui pr 9..·1AL punti tri~sezione della Corte di appello di Napoli.
Rigetta nel resto il ricorso. Dichiara irrevocabile l’affermazion responsabilità relativamente al reato di cui al capo 1) nei sensi precis motivazione.
Così deciso, il 18 febbraio 2025.