Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23893 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23893 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/04/2024
SRAGIONE_SOCIALENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a BARCELLONA POZZO DI GOTTO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/02/2023 della CORTE APPELLO di MESSINA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
uditi i difensori
L’AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO in difesa delle parti civili COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME NOME
NOME insiste per il rigetto del ricorso e si riporta alle conclusioni scritte e la nota spese depositata in udienza.
AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO in difesa della parte civile RAGIONE_SOCIALE si riporta alle conclusioni scritte e alla nota spese depositata in udienza, chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
AVV_NOTAIO in difesa della parte civile RAGIONE_SOCIALE, si riporta alle conclusioni scritte e alla nota spese depositata in udienza chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
L’AVV_NOTAIO COGNOME NOME e l’AVV_NOTAIO COGNOME NOME in difesa di COGNOME NOME insistono per l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 17/02/2023, la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di COGNOME NOME in ordine al reato di cui all’art. 316-ter cod. pen. perché estinto per prescrizione e confermato l’affermazione di responsabilità con riguardo al reato di estorsione, rideterminando la pena; ha condannato, altresì, l’imputato alla rifusione delle spese del grado in favore delle costituite parti civili.
Avverso la menzionata sentenza della Corte di appello di Messina, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione per il tramite dei propri difensori, affidato a quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), c), e), cod. proc. pen., l’inosservanza di norme processuali (artt. 125, 546 cod. proc. pen.), l’erronea applicazione della legge penale (art. 629 cod. pen.) e di altre norme di cui si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale (art. 1 della legge n. 726 del 1984 e art. 4 della legge n. 223 del 1991), nonché la manifesta contraddittorietà della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la responsabilità del ricorrente in relazione alla vicenda estorsiva di cui al capo A) della rubrica. La censura attiene alla sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di estorsione, avuto riguardo alla particolarità della vicenda oggetto di giudizio e alle ragioni (e tempistiche) che avevano determinato la conclusione dell’accordo di solidarietà tra l’imputato, quale datore di lavoro e i dipendenti della società, che escludevano, conformemente alle previsioni normative e pattizie sottostanti, l’ipotizzata costrizione ovvero la minaccia, nonché l’ingiustizia del profitto e financo il dolo che deve necessariamente abbracciare la condotta.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), c), e), cod. proc. pen. l’inosservanza di norme processuali (artt. 192, 195 e 533 cod. proc. pen.), l’erronea applicazione della legge penale (art. 629 cod. pen.), nonché la manifesta contraddittorietà della motivazione nella parte in cui ha ritenuto la responsabilità del ricorrente in relazione ai fatti di cui al cap A) della rubrica (vizio riconducibile alla previsione di cui all’art. 606, lett. B, C, E cod. proc. pen.). Si lamenta l’assenza dell’indicazione di un valido compendio probatorio a sostegno delle conclusioni raggiunte in ordine all’affermazione di colpevolezza: la sentenza impugnata aveva disatteso, con motivazione illogica e contraddittoria, i rilievi difensivi attinenti all’attendibilità delle accuse formulate alcuni lavoratori nei confronti dell’imputato, con particolare riguardo alla genesi e al contenuto di tali propalazioni, a fronte di elementi dichiarativi e documentali di evidente contrasto; difettava, poi, una compiuta valutazione delle circostanze a
discarico introdotte dai testi della difesa, il cui apporto processuale era stato svalutato con motivazione del tutto apodittica.
1.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, lett. b), c), e), cod. proc. pen., l’inosservanza di norme processuali (art. 649 cod. proc. pen.), l’erronea applicazione della legge penale (art. 629, 610, 640, 316-ter cod. pen.), nonché la manifesta contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui non ha ritenuto assorbita la vicenda di cui al capo a) in quella di cui al capo b) dell’imputazione (art. 316-ter cod. pen.), ovvero non ha provveduto alla riqualificazione del fatto ai sensi degli artt. 610 e/o 640 cod. pen.
1.4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, lett. b), c), e), cod. proc. pen., l’inosservanza di norme processuali (artt. 546, lett. e), 125, comma 3 e 597, comma 3, cod. proc. pen.), l’erronea applicazione della legge penale (artt. 62-bis e 133 cod. pen.) ed il vizio di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio, con riguardo alla rideterminazione della pena base nei minimi edittali, alla luce del complesso degli elementi positivi, comunque ravvisabili nella complessiva condotta tenuta dall’imputato per come evidenziati nel relativo motivo di ricorso.
Con memoria e nota di conclusioni del 4/04/2024, il difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE ha insistito perché la Corte di cassazione dichiari inammissibile o rigetti il ricorso, confermandosi nel merito l’affermazione di responsabilità, con condanna del ricorrente alle spese di giudizio come da nota allegata.
Con nota del 05/04/2024, la difesa del ricorrente ha presentato motivi aggiunti con cui ha insistito per l’annullamento della sentenza impugnata e l’accoglimento dei motivi di ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è fondato con riferimento ai primi due motivi, risultando assorbiti gli altri.
All’imputato si contesta il delitto di estorsione perché, quale datore di lavoro, mediante la minaccia di procedere al licenziamento dei lavoratori dipendenti della società se non avessero acconsentito alla sottoscrizione di un “accordo di collocazione in solidarietà” che prevedeva lo svolgimento di un minor monte ore settimanale (con fruizione per il primo dei relativi benefici della CIGS), avrebbe costretto alcuni di questi ad accettare delle condizioni contrattuali deteriori. In particolare, i medesimi lavoratori, pur di non subire il licenziamento, aderivano a detto accordo, sebbene in realtà continuassero a prestare la propria attività lavorativa per un numero di ore corrispondente alla prestazione ordinaria, in tal modo procurandosi l’ingiusto profitto consistente nell’ottenimento della
prestazione lavorativa da parte dei dipendenti, con riduzione di oneri a carico del datore di lavoro, con corrispondente danno per le persone offese.
La costrizione che avrebbe determinato il facere dei lavoratori si lega, dunque, alla minaccia di licenziamento; è in conseguenza di tale prospettazione che i lavoratori sarebbero addivenuti, reciuts, stati costretti, alla stipula del contratto di solidarietà che, a fronte di una riduzione della prestazione, assicurava comunque al datore di lavoro di fruire dei benefici previsti dalla CIGS.
Ebbene, dalla ricostruzione della vicenda operata dalle sentenze di merito è emerso che alla stipulazione del contratto di solidarietà (di tipo difensivo) si giunge in conseguenza dell’apertura, da parte del datore di lavoro, della procedura di mobilità volta a licenziare un numero consistente di personale – a fronte della crisi di impresa che ha poi condotto la società al fallimento – nonché a seguito dell’iniziativa assunta al riguardo dalle rappresentanze sindacali.
Infatti, la formale apertura – su iniziativa dell’azienda – della procedura di mobilità, poi positivamente conclusasi con la stipulazione dell’accordo sollecitato dalle rappresentanze sindacali dei lavoratori, precludeva qualsiasi possibilità di procedere ai licenziamenti, non solo a seguito della conclusione dell’accordo (proprio in ragione delle specifiche finalità cui è preordinata la stipula del contratto di solidarietà, “in connessione al sacrificio richiesto ai lavoratori con la riduzione dell’orario lavorativo e quindi della retribuzione”), bensì – contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata – anche nella fase antecedente considerato che, per espressa previsione normativa (art. 4 legge n. 223 del 1991), anche nel corso della fase di mobilità è precluso al datore di lavoro operare dei licenziamenti.
Di conseguenza, posto che il licenziamento era stato già intimato e la stipula dell’accordo di solidarietà consegue ad una iniziativa delle rappresentanze sindacali (in relazione alla quale si deduce che nessun lavoratore portò dirette rimostranze), volta proprio ad evitare il ricorso ai licenziamenti già intimati dal datore di lavoro, non affatto sfornita di rilievo è la censura difensiva – condivisa dal RG. di udienza – che ravvisa profili di contraddittorietà nella motivazione della sentenza impugnata laddove postula che sarebbe stata una scelta del ricorrente di fare sottoscrivere ai dipendenti l’accordo di solidarietà (che, peraltro, viene sottoscritto anche dalle organizzazioni sindacali); e tanto a prescindere dall’omesso apprezzamento dell’ulteriore dato, di natura strettamente normativa, in precedenza richiamato, in ordine alla natura difensiva del contratto di solidarietà, funzionale ad evitare, in tutto o in parte, episodi di riduzione del personale anche mediante una sua diversa articolazione del suo impiego e, dunque, incompatibile con l’esecuzione dell’iniziale ed intimato intento di licenziamento – comunque ricollegabile all’esercizio di un diritto – posto a base
della procedura di mobilità che, proprio in funzione della sottoscrizione di quel contratto, viene dichiarata formalmente conclusa.
Inoltre, altrettanto non privo di rilievo è l’ulteriore argomento di doglianza, pure evidenziato dal RG. di udienza a motivo della richiesta di annullamento della sentenza – del rapporto esistente tra l’asserita minaccia che l’imputato avrebbe profferito ad alcuni dipendenti – e che il capo di imputazione indica come diretta alla sottoscrizione del contratto di solidarietà e la richiesta di lavoro per un monte ore maggiore (pari a quello in precedenza reso) che dovrebbe integrare l’ingiusto profitto con altrui danno; la riconducibilità nell’alveo estorsivo postulava che si desse atto di come tale richiesta si ponesse in termini di preventiva programmazione, altrimenti il vantaggio ed il danno legati alla prestazione non contrattualizzata sarebbero frutto di autonoma e successiva determinazione, potendo configurarsi, semmai, in relazione ad eventuali somme dovute per prestazioni residue ed ulteriori rispetto ai tetti fissati (le ventotto ore standard), comunque contemplate dall’accordo stipulato, un inadempimento di carattere civilistico.
E tanto a prescindere dagli ulteriori rilievi, pur dedotti con l’atto di appello e condivisi dal P.G. di udienza, di carenza di motivazione in ordine agli elementi, sia dichiarativi che documentali, che avrebbero potuto incidere sulla tenuta della prova di accusa che non risultano compiutamente o affatto scrutinati dalla sentenza impugnata.
Il riferimento è al contenuto degli accertamenti dell’RAGIONE_SOCIALE, posto che l’accordo di solidarietà aveva riguardato ben 112 dipendenti su un totale di 132 e che solo 25 di questi, a distanza di ben tre anni, avevano lamentato condotte costrittive da parte dell’azienda; alla genesi delle accuse estorsive; agli elementi di contraddittorietà e di inverosimiglianza del narrato che sono stati indicati nelle dichiarazioni delle persone offese costituitesi parti civili (censurandosi anche l’assenza dell’indicazione di elementi di conferma) e di alcuni testimoni e, soprattutto, all’aver svalutato – in modo del tutto apodittico e assertivo – la versione dei testi a difesa (si citano i testi COGNOME, COGNOME, COGNOME, NOME COGNOME, COGNOME, ecc.) che, invece, secondo la prospettazione del ricorrente avrebbero concordemente escluso qualsiasi ipotesi di contaminazione della procedura che aveva condotto alla stipulazione dell’accordo di solidarietà.
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al capo a) della rubrica, con rinvio per nuovo giudizio su detto capo ad altra sezione della Corte di appello di Messina, risultando assorbiti gli altri motivi di ricorso in quanto dipendenti da quello principale.
In assenza di censure svolte con l’odierno ricorso in ordine al reato di cui al capo b) della rubrica (art. 316-ter cod. pen.), deve dichiararsi, in relazione a
detta fattispecie di reato, l’intervenuta irrevocabilità dell’affermazione della responsabilità dell’imputato sia penale che civile (in favore dell’RAGIONE_SOCIALE per come già interamente liquidata dalle sentenze di merito).
Al giudizio di rinvio deve poi essere rimessa ogni statuizione sulle spese del presente grado di legittimità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo A) con rinvio per nuovo giudizio su detto capo ad altra sezione della Corte di appello di Messina.
Così deciso, il 23/04/2024