Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1704 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1704 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il 10/07/1963
avverso l’ordinanza del 18/06/2024 del TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette/sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME
Il Proc. Gen.si riporta alla requisitoria già depositata e conclude per il rigetto
udito il difensore
L’avvocato COGNOME si riporta ai motivi ed insiste nell’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME indagato per i delitti di promozione, direzione ed organizzazione di associazione di tipo mafioso (capo 1) e di tentata estorsione aggravata anche ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen. (capo 4), e, per tali titoli, sottoposto alla misura cautelare coercitiva d custodia in carcere, tramite il difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza in data 18 giugno 2024 del Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice del riesame delle misure cautelari personali, che ha rigettato la richiesta di riesame presentata nel suo interesse e per l’effetto ha confermato l’ordinanza applicativa della misura emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria in data 10 maggio 2024.
L’impugnativa consta di cinque motivi, quivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto stabilito dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
I primi tre motivi sviluppano censure riferite al delitto di tentata estorsione aggrava di cui al capo 4) della provvisoria imputazione.
Con il primo motivo, che denuncia violazione degli artt. 273 e 192 cod. proc. pen. e 56 e 629 cod. pen. e vizio di motivazione, è dedotta l’insussistenza della gravità indiziaria quanto delitto sopra menzionato, avendo il Tribunale interpretato il contenuto delle conversazioni intercettate tra terzi (in particolare, la conversazione intercorsa tra NOME e NOME COGNOME nella quale questi riportava il contenuto del colloquio in precedenza avuto con NOME COGNOME) senza attenersi ai criteri direttivi elaborati da questa Corte in materia e non avendo il giudi censurato assegnato la dovuta considerazione alla circostanza, decisiva, che NOME COGNOME, genero del ricorrente, alla cui azienda sarebbe dovuto spettare l’ingiusto profitto avuto di mir dal ricorrente con la condotta estorsiva perpetrata nei confronti del pasticciere reggino COGNOME, era stato ritenuto del tutto estraneo alla vicenda, tanto vero che la sua azienda, già sottopost a sequestro, gli era stata restituita.
Con il secondo motivo, che denuncia la violazione degli artt. 56, 629 e 611 cod. pen. e il vizio di motivazione, è eccepito il difetto di qualificazione giuridica del fatto: non essendo s dimostrato – neppure nei limiti dell’accertamento cautelare incidentale – quale sarebbe stato, ove la condotta estorsiva avesse raggiunto il suo effetto, il danno patrimoniale in ipotesi pati da COGNOME, costretto dal ricorrente ad approvvigionarsi delle forniture di carta (necessarie pe l’esercizio della sua attività imprenditoriale) da NOME COGNOME il fatto ascritto ad NOME COGNOME avrebbe dovuto essere sussunto entro lo schema astratto della tentata violenza privata.
Con il terzo motivo, che denuncia la violazione degli artt. 273 e 192 cod. proc. pen. e 416-bis.1 e il vizio di motivazione, si contesta la sussistenza in fatto degli estremi dell’aggrava mafiosa nella forma dell’agevolazione mafiosa, essendo stata la condotta estorsiva addebitata al ricorrente posta in essere non a beneficio del gruppo criminale di appartenenza di NOME
COGNOME, ossia quello dei ‘COGNOME‘, ma per favorire l’impresa del genero del ricorrente, NOME COGNOME.
Gli ultimi due motivi di ricorso sviluppano censure riferite al delitto di promozio direzione ed organizzazione del gruppo di ‘ndrangheta denominato i ‘COGNOME‘, addebitato ad NOME COGNOME al capo 1) della provvisoria incolpazione.
Con il quarto motivo, che denuncia la violazione degli artt. 273 e 192 cod. proc. pen. e dell’art. 416-bis cod. pen. e il vizio di motivazione, è dedotta l’insussistenza della gra indiziaria quanto alla partecipazione ad associazione di tipo mafioso posta in essere da NOME COGNOME svolgendo funzioni apicali. Infatti, gli elementi di prova desunti dalle dichiarazioni collaboratori di giustizia – COGNOME, COGNOME e COGNOME – nonché dal contenuto delle conversazion tra membri dell’associazione intercettati – COGNOME ed COGNOME – non darebbero conto di quegli indici concreti di stabile messa a disposizione del sodalizio mafioso, richiesti dal diritto viv per configurare la partecipazione criminosa prevista e punita dall’art. 416-bis cod. pen..
Con il quinto motivo, che denuncia la violazione degli artt. 273 e 192 cod. proc. pen. e dell’art. 416-bis, comma 1, cod. pen. e il vizio di motivazione, si contesta la mancata indicazion nell’ordinanza impugnata di quegli elementi sintomatici atti a denotare l’effettivo esercizio parte di NOME COGNOME del ruolo di capo del sodalizio dei ‘COGNOME‘, non reputandosi sufficien a tal fine le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia circa le elevatissime doti di ‘ndra (‘mammasantissima’ e ‘infinito’) attribuitegli.
Con requisitoria in data 3 ottobre 2024, il Procuratore Generale presso questa Corte, in persona del Sostituto, Dottoressa NOME COGNOME ha chiesto che il ricorso sia rigettato.
Con memoria in data 10 ottobre 2024, il difensore del ricorrente ha evidenziato come, con ordinanza di custodia cautelare emessa dall’Ufficio Gip di Reggio Calabria in data 27 novembre 2023 nei confronti di due soggetti cui era stato contestato un delitto di tentato omicidio aggravato dalla finalità agevolatrice della associazione mafiosa denominata dei “Ficareddi” (ordinanza prodotta per estratto in allegato alla memoria), l’aggravante sia stata esclusa pe mancata dimostrazione della perdurante operatività di detta cosca.
Si è proceduto alla trattazione orale del ricorso, avendone la difesa del ricorrente avanzato tempestiva richiesta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Meritano prioritario esame gli ultimi due motivi di ricorso (il quarto e il quinto), attingono il capo della decisione impugnata relativa alla partecipazione di NOME COGNOME
all’associazione di tipo mafioso della ‘ndrangheta, nell’articolazione denominata ‘I COGNOME‘ operante in Reggio Calabria (capo 1).
1.1. La gravità indiziaria relativa al delitto predetto, provvisoriamente ascritt ricorrente, è stata desunta dal Tribunale del Riesame da una variegata e composita piattaforma di elementi di prova: segnatamente, dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, COGNOME NOME e COGNOME, convergenti nell’indicare NOME COGNOME come il reggente del clan dei ‘COGNOME‘, rivestito di doti di ‘ndrangheta di elevatissimo livello (‘tre o quattro gradi sopra la d ‘mammasantissima’ e candidato ad assumere quella di ‘infinito’), e come il responsabile – negli anni 2018/2019 – della zona di Saracinello, cui tutti gli altri sodali si sarebbero dovuti rivol per qualunque problematica sorta in quel territorio (cfr. pag. 10 dell’ordinanza impugnata); dal contenuto di conversazioni intercettate, in particolare quella intercorsa tra NOME COGNOME e lo stesso NOME COGNOME e quella intercorsa tra NOME e NOME COGNOME in cui era richiamata la conversazione avuta da quest’ultimo con NOME COGNOME tutti esponenti d spicco della ‘ndrangheta reggina; dall’episodio estorsivo del quale era stato vittima il pasticcie NOME COGNOME. Elementi di prova che il Collegio di merito ha ritenuto, in maniera non manifestamente illogica, nel loro complesso e nei limiti dello standard di giudizio richiesto per l’incidente cautelare, atti a sostenere la fondatezza dell’addebito mosso all’indagato i riferimento al suo dinamismo operativo, connotato dal crisma della stabilità, in seno all’organizzazione criminale di riferimento.
1.2. Ciò posto, deve riconoscersi che la tecnica utilizzata dalla difesa del ricorrente p mettere in discussione il risultato del giudizio formulato dal Tribunale del Riesame in ordine al gravità indiziaria ravvisata a carico di NOME COGNOME per il delitto di cui al capo 1) non coin con quella ammessa per il ricorso per cassazione avverso provvedimenti in materia di cautela personale, posto che la stessa, per essere conforme ai requisiti dell’impugnazione di legittimità, deve limitarsi a lumeggiare le ragioni atte a dar conto della violazione di specifiche norme d legge ovvero della mancanza o manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Rv. 276976; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, Rv. 261400), non essendo, invece, consentite quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito.
Questo perché, secondo il diritto vivente, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Cor suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legitti e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro ” diziario a carico dell’indagat
contro
llando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento de risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Rv. 215828).
In particolare, generiche e tese a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione del compendio indiziario, che gli è invece preclusa come detto, si rivelano le critiche mosse da ricorrente alla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori effettuata dai giudici del rie Il provvedimento impugnato si è, infatti, rigorosamente attenuto ai principi, affermati dal dir vivente con la sentenza a Sezioni Unite n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255143, sulle condizioni che consentono di ritenere la chiamata in correità o in reità riscontra anche attraverso altra o altre chiamate, sottoponendo tutte le fonti utilizzate e i rispettivi ra al necessario vaglio di credibilità soggettiva e di attendibilità intrinseca, nonché verific l’indipendenza e l’autonomia genetica delle singole chiamate. Quanto alla convergenza rilevante ai fini della composizione di un quadro indiziario connotato dalla necessaria gravità in riferimen alla condotta partecipativa, il Tribunale ha, in maniera logica e coerente rispetto alle risulta esposte, ritenuto che questa si sia delineata sul ruolo attivo svolto dall’indagato come referen del sodalizio.
Né rileva l’allegata (con la memoria difensiva del 10 ottobre 2024) mancanza di operatività del clan dei ‘COGNOME‘ a far data dal 2014, posto che si tratta di evidenza fattuale fatta valere per la prima volta nel giudizio di legittimità (ancorché il provvedimento dal quale stessa emergerebbe sia anteriore – 27 novembre 2023 – all’udienza di discussione del riesame); che non risulta indicata come dato di certezza neppure nel documento prodotto, avendola il Giudice per le indagini preliminari indicata unicamente come situazione «meritevole di approfondimenti investigativi» (cfr. pag. 9 dell’ordinanza del GIP di Reggio Calabria a carico COGNOME e COGNOME) e che, comunque, nel presente procedimento risulta smentita dalla dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME che aveva riferito della sic operatività del clan facente capo ad NOME COGNOME negli anni 2018/2019 in Saracinello.
Da tali rilievi discende l’inammissibilità del quarto motivo di ricorso.
1.3. Parimenti inammissibile è il rilievo censorio sviluppato, con il quinto motivo, dir all’esclusione della configurazione in capo ad NOME COGNOME della fattispecie di direzione d sodalizio mafioso sedente in Reggio Calabria, nella zona di Saracinello, non essendo, lo stesso, assistito dal necessario interesse attuale e concreto, nei termini richiesti dall’art. 568, comma cod. proc. pen., come interpretato dal diritto vivente, ossia nel senso che:« L’interesse richie dall’art. 568, comma 4, cod. proc. peri., quale condizione di ammissibilità di qualsia impugnazione, deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione di provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante rispetto
a quella esistente; pertanto, qualora il pubblico ministero denunci, al fine di ottenere l’esa applicazione della legge, la violazione di una norma di diritto formale, in tanto può ritenersi sussistenza di un interesse concreto che renda ammissibile la doglianza, in quanto da tale violazione sia derivata una lesione dei diritti che si intendono tutelare e nel nuovo giudizio poss ipoteticamente raggiungersi un risultato non solo teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole» (Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, Rv. 203093; Sez. U, n. 9616 del 24/03/1995, Rv. 202018).
Nulla, invece, è dato evincere dal tessuto argomentativo del motivo all’esame in ordine al risultato concretamente favorevole avuto di mira dal ricorrente con il motivo di impugnazione, dal momento che la riconosciuta condotta di partecipazione all’associazione di tipo mafioso costituisce già di per sé titolo idoneo all’applicazione della misura cautelare personale l’esclusione della fattispecie di direzione, promozione ed organizzazione della stessa non gioverebbe al ricorrente neppure sotto il profilo dell’anticipata scadenza dei termini della custod cautelare stessa. In tal senso, del resto si è già espressa la giurisprudenza di questa Corte laddove ha affermato che, in tema di procedimento cautelare, sussiste l’interesse concreto e attuale dell’indagato alla proposizione del riesame o del ricorso per cassazione, quando l’impugnazione sia volta ad ottenere l’esclusione di un’aggravante ovvero una diversa qualificazione giuridica del fatto, nel solo caso in cui ciò incida sull'”an” o sul “quomodo” della misura, di modo che non sussiste il suddetto interesse quando il ricorso sia finalizzato alla sol esclusione del ruolo apicale dell’indagato all’interno del sodalizio, trattandosi di elemento pri di riflessi sui presupposti della misura cautelare e sulla sua durata (Sez. 2, n. 17366 de 21/12/2022, dep. 2023, Rv. 284489).
I primi tre motivi di ricorso, che attingono sotto vari profili, la condotta di t estorsione aggravata di cui al capo 4) della rubrica, sono manifestamente infondati.
2.1. Decisivo è, in primo luogo, il rilievo d’inammissibilità della doglianza, sviluppata c il terzo motivo, in punto di sussistenza della contestata aggravante mafiosa, ritenuta nell’ordinanza impugnata nella duplice forma sia dell’utilizzazione del metodo mafioso che dell’agevolazione dell’associazione mafiosa (cfr. pag. 9, quarto capoverso, dell’ordinanza impugnata).
La mancata aggressione, con la sviluppata doglianza, della prima ed autonoma ratio decidendi della statuizione relativa al riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art 416-bis.1 cod. pen., ossia l’impiego del metodo mafioso, estrinsecatosi nel caso di specie, nelle modalità di realizzazione della condotta estorsiva di cui al capo 4) della provvisoria imputazione, «avendo il COGNOME veicolato la propria illecita richiesta proprio facendo leva sul timore indo sulla persona offesa in ragione della propria appartenenza alla ‘ndrangheta locale», priva di
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effettiva valenza censoria le deduzioni difensive sviluppate in ordine alla sussistenz dell’agevolazione mafiosa.
2.2. Ciò posto, destituito di giuridico fondamento è il primo motivo di ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte, infatti, ha finora affermato che il contenuto di intercettazioni telefoniche captate fra terzi, da cui emergano elementi di accusa nei confront dell’indagato, può costituire fonte probatoria diretta della sua colpevolezza, senza necessità d riscontro ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., fatto salvo l’obbligo del giudice valutare il significato delle conversazioni intercettate secondo criteri di linearità logica (Sez. 10683 del 07/11/2023, dep. 2024, Rv. 286150; Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, Rv. 268414): questo perché <<Il contenuto di un'intercettazione, anche quando si risolva in una precisa accusa in danno dell'imputato che non vi ha preso parte, indicato come autore di un reato, non è equiparabile alla chiamata in correità e, pertanto, se anch'esso deve essere attentamente interpretato sul piano logico e valutato su quello probatorio, non è però soggetto, in ta valutazione, ai canoni di cui all'art. 192, comma 3, cod. proc. pen.» (Sez. 5, n. 4572 de 17/07/2015, dep. 2016, Rv. 265747). Del resto, nello stesso senso si è espresso il diritto vivente, che ha enunciato il principio di diritto secondo cui le dichiarazioni auto ed etero accusator registrate nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714). Poiché nel caso al vaglio il contenuto della conversazione tra NOME e NOME COGNOME in data 2 aprile 2021 è stato adeguatamente e criticamente apprezzato dal giudice di merito, richiamando a sostegno della verosimiglianza di quanto raccontato da NOME COGNOME plurimi elementi di prova, non è consentito a questa Corte sovrapporre la propria valutazione a quella effettata nella sede propria.
2.3. Manifestamente infondato è, infine, anche il secondo motivo di ricorso.
Il rilievo di omessa dimostrazione, nel caso di specie, del danno patrimoniale che ne sarebbe derivato al pasticciere COGNOME, ove avesse accettato di sottostare all'imposizione di NOME COGNOME di sostituire il proprio fornitore di prodotti in carta (tale NOME COGNOME, ti della ditta RAGIONE_SOCIALE) con NOME COGNOME (titolare della RAGIONE_SOCIALE, non è tale da incidere sulla qualificazione giuridica del fatto ascritto al ricorrente al capo 4), nei termini è stata operata dal pubblico ministero e ritenuta dai giudici di merito. Ì :
Le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, nella sentenza n. 30016 del 28/03/2024, nel riconoscere che, in tema di estorsione, nella nozione di danno patrimoniale rilevante ai fini dell configurabilità del delitto rientra anche la perdita di una seria e consistente possibili conseguire un bene o un risultato economicamente valutabile, la cui sussistenza deve essere provata sulla base della nozione di causalità propria del diri · penale, in motivazione hanno dato
atto dell'evoluzione giurisprudenziale in tema di danno da estorsione, nel senso che la connotazione di patrimonialità dello stesso fa leva sulla definizione di «patrimonio come un insieme non solo di beni materiali, ma di rapporti giuridici attivi e passivi aventi conten economico, unificati dalla legge in considerazione dell'appartenenza al medesimo soggetto, così da ricomprendere nel concetto di danno di cui all'art. 629 cod. pen. qualunque situazione idonea ad incidere negativamente sull'assetto economico di un individuo, compresa la delusione di aspettative e chance future di arricchimento o di consolidamento dei propri interessi (in tal senso, essendosi espresse le Sezioni Semplici con le sentenze: Sez. 2, n. 43769 del 12/07/2013, Rv. 257303; Sez. 2, n. 34900 del 10/07/2008, Rv. 241817; Sez. 1, n. 9958 del 27/10/1997, Rv. 208938; Sez. 1, n. 1683 del 22/04/1993, Rv. 194418).
Donde, hanno prestato adesione all'interpretazione secondo cui la patrimonialità del danno sussiste anche nelle ipotesi di cd. 'estorsione contrattuale', ossia quando al soggetto passivo sia stato imposto un rapporto negoziale di natura patrimoniale con l'agente o con altri soggetti, sicché l'elemento dell'ingiusto profitto con altrui danno si ritiene implicito nel stesso che il contraente-vittima sia costretto al rapporto in violazione della propria autonomia negoziale, così impedendogli di perseguire i propri interessi economici (Sez. 2, n. 12434 del 19/02/2020, Rv. 278998; Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, Rv. 258168), essendosi osservato, tra l'altro, come la prospettata «nozione di patrimonio sia stata di recente ribadita dalle Sezion Unite in relazione al tema della individuazione del dolo specifico nel delitto di furto, ricollegand una definizione assai ampia del fine di profitto, inteso come qualunque vantaggio, non solo di natura patrimoniale, perseguito dall'autore del reato (Sez. U, n. 41570 del 25/05/2023, C., Rv. 285145)».
Stante tale autorevole avallo, non vi è ragione di discostarsi dall'orientamento interpretativo secondo cui, nell'estorsione contrattuale, che si realizza quando al soggetto passivo sia imposto di porsi in rapporto negoziale di natura patrimoniale con l'agente o con altri soggetti, l'elemento dell'ingiusto profitto con altrui danno è implicito nel fatto stesso c contraente – vittima sia costretto al rapporto in violazione della propria autonomia negoziale essendogli impedito di perseguire i propri interessi economici nel modo da lui ritenuto più opportuno (Sez. 5, n. 9429 del 13/10/2016, dep. 2017, Rv. 269364; Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, Rv. 258168).
Ne viene che, nel caso di specie, deve trovare applicazione il principio, che si intende ribadire, secondo cui: «L'imposizione con violenza o minaccia di un contraente o di un fornitore integra il delitto di estorsione, consistendo l'ingiusto profitto con altrui danno patrimoniale fatto stesso che il contraente-vittima sia costretto al rapporto in violazione della prop autonomia e libertà negoziale» (Sez. 6, n. 9185 del 25/01/2012, Rv. 252283).
Priva di rilievo, ai fini della sussistenza del reato rubricato, è la circostanza che NOME COGNOME sia stato riconosciuto del tutto estraneo alla condotta estorsiva del suocero NOME COGNOME in danno di NOME COGNOME e che la 'RAGIONE_SOCIALE' (società indicata come destinataria del profitto ingiusto) sia stata dissequestrata (peraltro, perché trovata inattiva, cfr. ordinanza Tribunale di Reggio Calabria in data 18 giugno 2024, allegata al ricorso), posto che la possibilità, normativamente prevista, che «altri» possano essere i destinatari dell'ingiusto profitto procurato o procurando con la condotta di violenza o minaccia non implica affatto che questi debbano essere consapevoli della condotta estorsiva a loro beneficio posta in essere.
S'impone, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Poiché dalla presente sentenza non consegue la liberazione del ricorrente, ai sensi dell'art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen., va dato mandato alla Cancelleria di trasmetterne copia al Direttore dell'istituto penitenziario in cui egli trovasi detenuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso il 25/10/2024.