Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 14498 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 14498 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti nell’interesse di COGNOME NOMECOGNOME nato a Lamezia Terme il 24/08/1979 COGNOME NOMECOGNOME nata a Lamezia Terme il 22/05/1969 COGNOME NOMECOGNOME nata a Lamezia Terme il 29/07/1971 NOME NOMECOGNOME nato a Lamezia Terme il 22/06/1963
avverso la sentenza del 13/06/2024 della Corte di appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le richieste del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto di tutti i ricorsi;
sentite le conclusioni del difensore del ricorrente COGNOME avv. NOME COGNOME anche in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso;
sentite le conclusioni del difensore del ricorrente COGNOME avv. NOME COGNOME che si è riportato ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Catanzaro, per quanto qui rileva, ha integralmente confermato la pronuncia di condanna emessa in data 22 marzo 2021 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro nei confronti di NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per i reati di cui agli artt. 81-110-629 cod. pen. loro contestati ai capi a) e b) (COGNOME), ai capi f) e g) (NOME COGNOME), al capo f) (NOME COGNOME) e al capo b) (COGNOME).
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i suddetti imputati, formulando i motivi di censura di seguito sinteticamente esposti, nei termini di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Ricorso di NOME COGNOME
3.1. Violazione di legge in relazione all’art. 629 cod. pen. e mancanza e manifesta illogicità della motivazione riguardo alla valutazione degli elementi di prova posti a sostegno della ribadita affermazione di responsabilità in ordine al delitto di cui al capo a). La difesa dubita, innanzitutto, della sussistenza di minacce, anche in forma larvata, alla luce delle numerose conversazioni intercettate da cui emergerebbe un contesto relazionale completamente diverso da quello postulato nell’ipotesi accusatoria: le risultanze delle captazioni evidenzierebbero, infatti, normali rapporti commerciali, privi di qualsiasi connotazione estorsiva e già in essere con la GT Distribuzione da ben prima della presunta data del fatto di cui in imputazione. Mancherebbe radicalmente un’imposizione forzata, sia pure nelle forme della cosiddetta estorsione ambientale (la stessa persona offesa, mai posta in stato di soggezione, ha parlato solo di una semplice accettazione «per quieto vivere»). Difetterebbe, inoltre, la motivazione in punto di dolo, non potendosi ricavare dal compendio istruttorio l’intenzione di trarre un ingiusto profitto in capo a Fozza. D’altronde, l’originario concorrente, NOME COGNOME è stato assolto, nel separato processo a suo carico.
3.2. Violazione di legge in relazione all’art. 610 cod. pen., dal momento che, pur volendo ipotizzare un ingiusto profitto di natura non patrimoniale in capo all’imputato, la persona offesa non sarebbe stata destinataria di una coercizione assoluta in sede di trattative, né avrebbe ricevuto alcuna effettiva deminutio patrimonii, poiché gli accordi sarebbero stati conclusi a prezzi conformi al mercato di settore.
3.3. Violazione di legge in relazione agli artt. 56 e 629 cod. pen., non essendosi riconosciuta l’ipotesi di lieve entità, introdotta dalla Corte costituzionale,
pur in presenza di un fatto connotato dall’estemporaneità della condotta, dalla scarsità dell’offesa e dall’assenza di profili organizzativi.
3.4. Violazione di legge e correlati vizi della motivazione riguardo alla valutazione degli elementi di prova posti a sostegno della ribadita affermazione di responsabilità in ordine al delitto di cui al capo b). Anche in ordine alla seconda contestazione, la difesa censura la valutazione degli elementi essenziali da parte dei giudici di merito, che avrebbero trascurato i pregressi e sereni rapporti commerciali con l’imprenditore ipoteticamente estorto (e invero COGNOME ha recisamente negato tale sua asserita condizione), l’assenza di un danno patrimoniale, l’incertezza sull’effettivo apporto causale dei due concorrenti, l’assenza di effettiva coartazione (tutti elementi già valutati in sede cautelare per escludere la gravità indiziaria). D’altronde, lo stesso collaboratore e concorrente NOME COGNOME non avrebbe dato conto della specifica vicenda, riferendo, al contrario, che la sua famiglia imponeva dazioni solo per lavori di importo superiore al mezzo milione di euro.
3.5. Violazione di legge in relazione agli artt. 610 e 629 cod. pen. in ordine al delitto di cui al capo b), nei termini già illustrati sub 3.2 e 3.3.
4. Ricorso di NOME COGNOME
4.1. Contraddittorietà (in relazione al delitto di cui al capo g)) e manifesta illogicità (in relazione al delitto di cui al capo f)) della motivazione, di fatto slegata da quella di primo grado e superficialmente incentrata solo su un’indimostrata «vicinanza alla cosca» della ricorrente, desunta da meri rapporti parentali. Viceversa, da un lato, sarebbe illogico non tenere conto che l’attività lavorativa prestata, sia pure irregolarmente, presso la boutique della persona offesa poteva comportare che una parte del compenso fosse costituita da vestiario e, dall’altro, sussisterebbe una contraddittorietà del percorso argomentativo, laddove non rileva gli elementi a discarico rinvenibili nelle propalazioni dei collaboratori COGNOME e COGNOME, che lascerebbero escludere la compressione dell’autonomia negoziale della controparte.
4.2. Violazione dell’art. 416-bis.1, con riferimento alla ritenuta finalità di agevolazione mafiosa, poiché – al più – la ricorrente, in forza delle condotte contestate, avrebbe portato vantaggio solo a sé stessa, ma non all’associazione criminale.
5. Ricorso di NOME COGNOME
Mancanza di motivazione con riferimento alla ritenuta finalità di agevolazione mafiosa del delitto di cui al capo f), iché la Corte di appello non avrebbe offerto risposta alle doglianze che sottolineavano l’impossibilità configurare la suddetta
aggravante in assenza di alcuna esplicita condotta rilevante in tal senso da parte della ricorrente.
6. Ricorso di NOME COGNOME
Mancanza e manifesta illogicità della motivazione riguardo alla ribadita sussistenza di un consapevole apporto causale da parte del ricorrente. Risulterebbe meramente congetturale l’affermazione secondo cui l’iniziale richiesta da parte di COGNOME, priva di connotazioni intimidatorie (la stessa persona offesa avrebbe riferito di aver saputo che a RAGIONE_SOCIALE era riconducibile alla famiglia COGNOME solo successivamente), di rifornirsi presso l’impresa della figlia dovrebbe ritenersi oggettivamente e soggettivamente ricollegata all’iniziativa assunta un anno e mezzo dopo dal genero. Analogamente, si censura l’apodittica sussistenza del dolo eventuale, ipotizzando l’imputato quale «omnimodo facturus», senza una reale dimostrazione dell’esistenza e della permanenza di un accordo con i còrrei e dilatando incongruamente la cronologia degli eventi.
La parte civile Comune di Lamezia Terme ha depositato conclusioni scritte e nota spese.
All’odierna udienza pubblica, le parti presenti hanno concluso come riportato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ritiene il Collegio che i ricorsi non siano meritevoli di accoglimento.
2. Ricorso di NOME COGNOME
2.1. Quanto alla ribadita condotta minatoria, in entrambi i capi ascritti al ricorrente, l’apparato argomentativo della sentenza impugnata richiama correttamente la nozione di minaccia silente, premettendo (pp. 1-2, 10-14) un’ampia descrizione del contesto ambientale, connotato dalla pervasiva presenza della consorteria dominante nella zona (la cosca COGNOME, per l’appunto, espressione di un’organizzazione di tipo mafioso cosiddetta “storica”).
2.1.1. Invero, secondo un principio di diritto costantemente ribadito da questa Corte regolatrice, in un simile scenario, il messaggio intimidatorio non deve necessariamente esplicitare apertis verbis la consistenza della rappresaglia in cui incorrerebbe la vittima in difetto di ottemperanza alle richieste, sul presupposto che l’associazione criminale – ‘ndranghetistica, nel caso di specie – ha raggiunto, nel territorio interessato, una forza intimidatrice tale da rendere superfluo
l’avvertimento di tipo mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti di violenza o minaccia (Sez. 2, n. 51324 del 18/10/2023, COGNOME, Rv. 285669-01; Sez. 3, n. 44298 del 18/06/2019, COGNOME, Rv. 277182-01; Sez. 2, n. 26002 del 24/05/2018, COGNOME, Rv. 272884-01).
Ciò premesso, anche l’accenno della persona offesa del capo a) alla sua semplice volontà di «quieto vivere» altro non è, con ogni evidenza, che l’espressione eufemistica della supina accettazione della forza sopraffattrice dell’associazione ‘ndranghetistica. Questa conclusione non resta incisa dall’apparente serenità di rapporti, anche pregressi, tra estorsori e vittime (ciò che invece costituisce un’ulteriore riprova della minorata posizione delle vittime).
2.1.2. L’evocazione diretta dell’amministratore occulto, NOME COGNOME, figlio del capocosca locale, è stata, quindi, più che logicamente interpretata come prova della piena consapevolezza di usare strumentalmente la vis criminale del sodalizio. Peraltro, lo stesso NOME COGNOME, concorrente nel medesimo reato e poi divenuto collaboratore di giustizia, non ha contestato la propria responsabilità sul punto.
Il dolo di legge, anche in ordine alla coscienza e volontà di porre in essere una condotta inequivocabilmente minatoria (oltre che in tema di ingiusto profitto con altrui danno: cfr. infra, sub 2.2), risulta, con ogni evidenza, sussistere.
2.1.3. Il richiamo alla pronuncia liberatoria del coimputato COGNOME risulta del tutto generico, anche a fronte dell’accenno nella sentenza impugnata alle ragioni esclusivamente personali poste a sostegno di tale decisione (p. 3).
Inoltre, le pronunce favorevoli, rese nei precedenti procedimenti cautelari, anche in caso di annullamento dell’ordinanza cautelare personale o reale o di formazione del giudicato cautelare, non possono travalicarne i limiti, tanto da produrre un effetto vincolante sulle determinazioni del giudice della cognizione, il quale provvede, con piena autonomia, a rivalutare tutti gli elementi di prova e tutte le relative questioni (Sez. 3, n. 1125 del 25/11/2020, dep. 2021, S., Rv. 280271-01; Sez. 1, n. 18215 del 11/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 276527-04; Sez. 3, n. 4976 del 18/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275694-02).
2.1.4. Per il resto, la motivazione, che richiama congruamente dichiarazioni delle persone offese e intercettazioni, è censurata solo con motivi prettamente rivalutativi. D’altro canto, nella motivazione della sentenza, il giudice del gravame non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del proprio convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; debbono pertanto considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 34532 del 22/06/2021, COGNOME, Rv 281935-01).
2.1.5. Gli articolati profili di censura contenuti nel primo motivo e nel quarto motivo sono, in conclusione, complessivamente infondati.
2.2. Il secondo motivo è reiterativo e manifestamente infondato, al pari delle analoghe censure richiamate nel quinto motivo.
I giudici di merito hanno più che adeguatamente sottolineato come la conclusione dei contratti di somministrazione fosse conseguita soltanto all’intimidazione degli imputati. Anche a prescindere, dunque, da pregressi contatti e conoscenze, gli accordi commerciali con la GT distribuzione, come oggetto di contestazione, discendono direttamente dalla capacità intimidatrice del retroscenico gruppo criminale.
Nel delitto di estorsione cosiddetta contrattuale, che si realizza quando al soggetto passivo sia imposto di porsi in rapporto negoziale di natura patrimoniale con l’agente o con altri soggetti, l’elemento dell’ingiusto profitto con altrui danno è implicito nel fatto stesso che il contraente-vittima sia costretto al rapporto in violazione della propria autonomia negoziale, essendogli impedito di perseguire i propri interessi economici nel modo da lui ritenuto più opportuno (Sez. 5, n. 1704 del 25/10/2025, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 39200 del 25/09/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 12434 del 19/02/2020, COGNOME, Rv. 278998-01; Sez. 5, n. 9429 del 13/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269364-01; Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, COGNOME, Rv. 258168-01; Sez. 6, n. 9185 del 25/01/2012, COGNOME, Rv. 252283-01).
2.3. Prima ancora che manifestamente infondata (poiché i profili organizzativi, asseritamente assenti nella vicenda, emergono prepotentemente dalla ribadita sussistenza dell’aggravante mafiosa, in ogni caso idonea di per sé a connotare di rilevante offensività il fatto), la censura contenuta nel terzo motivo, e richiamata nel quinto, non risulta previamente dedotta al giudice di appello, nonostante la sentenza della Corte costituzionale fosse già da tempo in vigore al momento della discussione di secondo grado.
3. Ricorso di NOME COGNOME
3.1. Fermo restando quanto già illustrato con riferimento alla posizione di COGNOME in relazione al capo b), per quel che concerne il consapevole contributo offerto da COGNOME all’estorsione in danno di COGNOME, occorre rilevare, innanzitutto, l’aspecificità delle doglianze, laddove non si misurano con l’effettivo apparato motivazionale che si fonda, in primo luogo, sulle dichiarazioni della persona offesa, secondo cui «dopo ripetuti dinieghi e reticenze e solo a fronte dell’ascolto dell’intercettazione n. 76 anche se ho forte timore della personalità
di COGNOME NOME e dei suoi accoliti, come il COGNOME NOME e il COGNOME ed altri, già noti all’opinione pubblica, debbo dire che nel 2010 COGNOME e COGNOME NOME, allorquando vennero nella citata occasione del 27.04.2010 a farmi visita al mio locale basando tutto sul fatto che COGNOME NOME rappresenta una potente locale cosca di ‘ndrangheta, mi hanno detto che dovevo prendere qualche ordine dalla RAGIONE_SOCIALE, perché era una ditta dei COGNOME e quindi i commercianti non potevano mancare di rispetto alle famiglie. Io, del resto, ho cercato di limitare i danni».
Il contatto iniziale da parte di COGNOME è stato ritenuto – proprio sulla scorta dell’indicazione della piena conoscenza della contiguità di costui alla cosca COGNOME e della chiara comprensione del messaggio ricattatorio sottinteso alla richiesta, inequivocabilmente ammesse dalla persona offesa – un primo segmento della concertata azione estorsiva. Peraltro, la valutazione delle dichiarazioni della persona offesa rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (ex plurimis, Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008, De Ritis-01, Rv. 240524; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, COGNOME, Rv. 239342-01).
In ogni caso, tra le due richieste all’imprenditore da parte prima di Meliadò e poi di COGNOME non passa certo un lunghissimo intervallo, come affermato nel ricorso, posto che, per come emerge dalla sentenza impugnata, COGNOME, sentito nel settembre 2012, colloca il colloquio con l’odierno ricorrente circa un anno e mezzo prima e le captazioni datano la visita di COGNOME e COGNOME incontestabilmente all’aprile 2010. Salva un’imprecisione cronologica della persona offesa, quindi, la visita di Meliadò potrebbe essere addirittura successiva a quella dei concorrenti.
3.2. Il concorso di persone nel reato, nelle sue variegate possibilità di manifestazione, non può mai prescindere, alternativamente, da un preventivo accordo, dall’istigazione o determinazione all’esecuzione del delitto, dall’agevolazione alla sua preparazione o consumazione, dal rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, dalla mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso, dall’agevolazione della esecuzione del delitto o dalla materiale esecuzione di una sua parte (Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, COGNOME, Rv. 226101-01). Nella formula dell’art. 110 cod. pen., invero, sono presupposte tutte le diverse forme ed i diversi gradi della partecipazione criminosa, indipendentemente dall’importanza di quest’ultima nella determinazione dell’evento.
Sul piano soggettivo, la volontà di concorrere non presuppone, però, necessariamente un previo accordo e neppure la reciproca consapevolezza del concorso altrui, ma è necessario dimostrare che ciascuno di essi abbia agito per
una finalità unitaria con la consapevolezza del ruolo svolto dagli altri e con la volontà di agire in comune (Sez. 3, n. 37640 del 11/04/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 3, n. 19634 del 01/02/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 6, n. Sez. 1, n. 15860 del 09/12/2014, COGNOME, Rv. 263089-01; Sez. 6, n. 46309 del 09/10/2012, COGNOME, Rv. 253984-01). La coscienza del contributo fornito all’altrui condotta può esistere anche unilateralmente, con la conseguenza che essa può indifferentemente manifestarsi o come previo concerto o come intesa istantanea ovvero come semplice adesione all’opera di un altro che rimane ignaro (Sez. U, n. 31 del 22/11/2000, COGNOME, Rv. 218525-01).
È, dunque, priva di rilievo, avuto riguardo anche al superiore interesse associativo perseguito, l’ipotetica mancanza di prova del concerto tra i concorrenti, alla luce dell’indubitabile convergenza psicologica sull’evento finale e, in ogni caso, della consapevole volontà di contribuire, anche solo agevolandola, alla verificazione del fatto criminoso.
3.3. In conclusione, il ricorso, nel suo complesso, non risulta fondato.
4. Ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME
4.1. Il primo motivo di NOME COGNOME risulta del tutto aspecifico e, in parte, non consentito, poiché la Corte catanzarese – pp. 10-14 e 20-23 (capo F), 24-25 (capo G) – non fonda la conferma della condanna su una generica contiguità alla consorteria dominante sul territorio (circostanza, peraltro, emersa nitidamente dal compendio istruttorio)
4.1.1. Quanto al capo f), l’affermazione di responsabilità si basa, soprattutto, sulle puntuali accuse della persona offesa NOME COGNOME che annovera la ricorrente tra «i soggetti legati alla c. o. ed in particola alla cosca COGNOME e che venivano a fare acquisti nei miei negozi usufruendo dei suddetti sconti del 50%» (della cui natura estorsiva – non revocata in dubbio neppure dalla ricorrente – non è dato dubitare). La versione alternativa della datio in solutum dei capi di abbigliamento, a titolo di remunerazione del lavoro “in nero”, risulta esposta solo nell’atto di ricorso e non può quindi ritenersi deducibile nel giudizio di cassazione, postulando una rivalutazione in fatto.
4.1.2. Quanto al capo g), la convergente narrazione dei due collaboratori, vicendevolmente riscontrantisi (e definitivamente confortata dall’accesso degli operanti, allorquando l’imputata coadiuvò come commessa gli acquisti di un’agente in borghese e fu verificato che aveva lasciato la borsa in un luogo non accessibile al pubblico) non presenta elementi positivamente valutabili pro rea.
La formula di cortesia apparentemente usata da NOME COGNOME nei confronti della persona offesa («se poteva assumere») non muta l’effettivo contenuto del resoconto dei suoi buoni uffici, spesi su incarico di NOME COGNOME per imporre
l’assunzione della ricorrente («COGNOME non poteva rifiutarsi di assumere COGNOME NOME in quanto sapeva che la richiesta proveniva da esponenti del clan COGNOME»). Conformi risultano le dichiarazioni di NOME COGNOME che riferisce addirittura di ulteriori incombenti svolti dall’imputata a favore delle attivit criminali della cosca. In maniera logica, la sentenza impugnata chiarisce altresì l’univoca valenza dimostrativa da riconoscere alle – pur reticenti – dichiarazioni di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, valutate espressione del «soffocante controllo che la criminalità lametina riesce ad imporre agli imprenditori della loro zona di riferimento» (p. 24 della sentenza di appello e p. 44 della sentenza di primo grado).
4.2. Il secondo motivo di NOME COGNOME e l’unico motivo di NOME COGNOME incentrati entrambi sulla asserita erronea applicazione dell’art. 416-bis.1, possono essere esaminati congiuntamente.
Correttamente, i giudici di appello richiamano, per integrale condivisione, le riflessioni del Giudice dell’udienza preliminare: «l’aggravante è stata ritenuta sussistente sotto il profilo della finalità agevolatrice, sul rilievo che beneficiare scientemente e sistematicamente di questa forma di “rispetto” da parte dei commercianti rafforza la fama criminale della cosca e ne rinsalda il diffuso potere di assoggettamento» (p. 23).
Appare, invero, evidente l’effetto agevolatore dell’azione predatoria, avuto riguardo alla altrettanto palese consapevolezza di rafforzare la supremazia dell’associazione criminale sul territorio, anche reiterando, pressoché quotidianamente e anche de minimis , la prospettazione alla collettività locale dell’assoluto dominio della consorteria in tale ambito territoriale. In ogni caso, il profilo circostanziale in esame non è escluso dal fatto che l’agente abbia perseguito anche l’ulteriore scopo di trarre un vantaggio proprio (Sez. 6, n. 1623 del 02/12/2022, dep. 2023, COGNOME, non mass.; Sez. 4, Sentenza n. 37179 del 23/06/2022, COGNOME, non mass.; Sez. 6, n. 21624 del 03/11/2021, dep. 2022, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 9142 di 13/01/2016, COGNOME, Rv. 266464-01).
Quanto, inoltre, alla mancanza di necessità di un’esplicita condotta minatoria ai fini della sussistenza del metodo mafioso, viceversa affermata dalla difesa di NOME COGNOME, si rinvia a quanto già accennato al precedente paragrafo 2.1 (sulla piena configurabilità dell’aggravante, anche in caso di minaccia silente, cfr. Sez. 2, n. 21616 del 18/04/2024, Armenio, Rv. 286433-01; Sez. 2, n. 15429 del 08/03/2024, Zagaria, Rv. 286280-01).
5. I ricorsi, pertanto, devono essere dichiarati rigettati, con condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
Gli imputati non devono, però, essere condannati al pagamento delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile Comune di Lamezia Terme,
richiesto mediante conclusioni scritte, senza partecipazione all’odierna udien
Invero, nel giudizio di cassazione con trattazione orale, non va disposta condanna dell’imputato al rimborso delle spese processuali in favore della par
civile che non sia intervenuta nella discussione in pubblica udienza, ma si limitata a formulare la richiesta di condanna mediante il deposito di una memori
in cancelleria con l’allegazione di nota spese (Sez. U, n. 27727 del 14/12/202
dep. 2024, COGNOME, Rv. 286581-03).
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processual
Rigetta la richiesta di rifusione della spese di rappresentanza e dif sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Comune di Lamezia Terme in
persona del Sindaco p.t.
Così deciso il 18 marzo 2025.