Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 28337 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 28337 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 13/05/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
Sui ricorsi proposti da:
avverso la sentenza dell’08/07/2024 della Corte di Appello di Napoli udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni dei difensori del ricorrente NOME COGNOME Avv. NOME COGNOME ed Avv. NOME COGNOME che hanno insistito nei motivi di ricorso e chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato.
1.NOME COGNOME e NOME COGNOME a mezzo dei rispettivi difensori, propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza dell’08 luglio 2024 con la quale la Corte di appello di Napoli, ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Nola, in data 29 marzo 2023, li ha condannati alla pena di anni 8 di reclusione ed euro 8.0000,00 di multa in relazione al reato di cui agli artt. 629 e 416-bis.1 cod. pen.
I ricorrenti hanno presentato distinti ricorsi di identico contenuto (ad eccezione del settimo motivo proposto dal Visone in tema di determinazione del trattamento sanzionatorio) e per questo si procederà alla trattazione congiunta degli stessi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME con il primo ed il secondo motivo di impugnazione, lamentano violazione dell’art. 629 cod. pen. nonchØ carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento costitutivo dell’ingiusto profitto.
2.1. Assumono i ricorrenti che i giudici di merito abbiano erroneamente ritenuto integrato tale elemento costitutivo sulla base di argomentazioni apodittiche e ipotetiche, senza procedere a un’effettiva individuazione e qualificazione, in termini patrimoniali, del profitto asseritamente conseguito.
La motivazione si appaleserebbe, pertanto, carente e contraddittoria, in quanto fondata su un profitto del tutto indeterminato e privo di correlazione causale con le condotte attribuite ai
Sent. n. sez. 793/2025
UP – 13/05/2025
R.G.N. 5469/2025
ricorrenti,con conseguente travisamento della prova ‘per invenzione’ avendo i giudici di merito individuato come decisivi degli elementi probatori in realtà inesistenti (vedi pag. 11 del ricorso).
In particolare, la Corte territoriale avrebbe erroneamente valorizzato il vantaggio economico conseguito da NOME COGNOME oltre un anno dopo i fatti oggetto di contestazione, senza dimostrare nØ la concreta esistenza di tale profitto nØ la riferibilità causale dello stesso alla condotta degli imputati nØ tantomeno la sussistenza di rapporti o collegamenti tra costoro e il COGNOME.
La stessa persona offesa, infatti, avrebbe dichiarato di non essere a conoscenza dell’esistenza di legami tra COGNOME e gli imputati, precisando che il primo sarebbe intervenuto nella vicenda solo in un momento successivo ai fatti oggetto di imputazione. Analoga ricostruzione sarebbe emersa dalle dichiarazioni testimoniali dello stesso COGNOME, il quale avrebbe riferito di non conoscere i ricorrenti, di non aver mai avuto rapporti diretti con NOME COGNOME e di essersi relazionato esclusivamente con NOME COGNOME.
2.2. Sotto altro profilo, viene dedotta la carenza di prova in ordine al carattere contra ius e sine iure del profitto ipotizzato dai giudici di merito, atteso che la transazione del luglio 2014 e la successiva operazione economica conclusa da NOME COGNOME con NOME COGNOME non Ł stata mai contestata quanto alla sua legittimità.
Difetterebbe, altresì, la prova della consapevolezza degli imputati circa l’eventuale ingiustizia del vantaggio economico ottenuto da terzi, ciò anche in ragione del considerevole lasso temporale intercorso tra le condotte ascritte agli imputati e l’accordo intervenuto tra COGNOME e la persona offesa.
Da tali rilievi conseguirebbe, ad avviso della difesa, l’erroneità della sussunzione giuridica operata dai giudici di merito, i quali avrebbero qualificato le condotte ai sensi dell’art. 629 cod. pen., pur in assenza dell’elemento strutturale dell’ingiusto profitto. L’assenza di tale requisito avrebbe dovuto indurre la Corte di appello a riqualificare i fatti nel diverso delitto di violenza privata.
3. I ricorrenti, con il terzo motivo di impugnazione, lamentano violazione dell’art. 629 cod. pen. nonchØ contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento costitutivo della coartazione della volontà della persona offesa. I giudici di appello avrebbero erroneamente affermato che il Viola, nel luglio 2014, sarebbe stato costretto a sottoscrivere una transazione a condizioni a lui meno favorevoli a causa delle condotte minatorie poste in essere dagli imputati nel gennaio 2013, condotte che avrebbero indotto NOME COGNOME ad interrompere le trattative con la persona offesa. A giudizio della difesa, mancherebbe la prova di un nesso causale tra le condotte attribuite agli imputati e la sottoscrizione della transazione da parte del Viola con conseguente insussistenza della necessaria costrizione della volontà della persona offesa, non potendosi ritenere idonea a perfezionare tale elemento costitutivo della fattispecie la ‘costrizione (sub specie provocata necessità) mediata e postuma (di piø di un anno e mezzo)’ ipotizzata dai giudici di merito (vedi pag. 14 del ricorso).
La Corte distrettuale non avrebbe individuato un comportamento costrittivo direttamente sfociante in una azione della persona offesa, ritenendo, con motivazione del tutto congetturale, che l’estorsione sarebbe frutto di una sorta di ‘stato di necessità’ o ‘stato di sopravvenuta opportunità’ (vedi pag. 15 del ricorso).
In realtà, la transazione in esame sarebbe il frutto di una libera determinazione del Viola e del Rea, in relazione alla quale gli imputati non avrebbero avuto alcun ruolo attivo, essendo del tutto estranei a tale fase negoziale. Anche a voler aderire alla prospettazione contenuta
nelle sentenze di merito, l’asserita interferenza delle condotte degli imputati si sarebbe tradotta, al piø, in un’interferenza verso un terzo (NOME COGNOME), senza che ciò possa integrare l’elemento strutturale della condotta tipica dell’estorsione, non essendo configurabile nel nostro ordinamento una forma di estorsione indiretta o mediata. A giudizio della difesa, l’istruttoria dibattimentale avrebbe dimostrato che l’abbandono della trattativa da parte di NOME COGNOME sarebbe dipeso da valutazioni esclusivamente imprenditoriali e non da timori generati dalle condotte ascritte agli imputati, come espressamente riferito dallo stesso imprenditore nel corso della deposizione dibattimentale. Ne conseguirebbe un ulteriore travisamento della prova ‘per invenzione’ da parte della Corte territoriale nella parte in cui Ł stato affermato, in modo del tutto apodittico, che la paura di cui il Perdono ha parlato- nel corso della prima fase della sua deposizione dibattimentalesarebbe riconducibile alle condotte degli imputati, circostanza del tutto ‘inventata’ perchØ fondata su un elemento probatorio diverso da quello effettivamente emerso nel corso dell’istruttoria dibattimentale.
4. I ricorrenti, con il quarto motivo di impugnazione, lamentano violazione dell’art. 629 cod. pen. nonchØ contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza del danno ingiusto subito dalla persona offesa.
I giudici di appello si sarebbero limitati ad ipotizzare che il Viola avrebbe subito un ipotetico ed indeterminato danno, facendo riferimento a ‘condizioni di ingiusta contrattualità…sicuramente svantaggiose’ (vedi pag. 23 della sentenza oggetto di ricorso) con conseguente motivazione apparente in ordine all’individuazione del danno patrimoniale effettivamente sofferto dal Viola, anche e soprattutto in considerazione della mancata dimostrazione di alcun collegamento causale tra le condotte dei ricorrenti e la sottoscrizione della transazione.
La motivazione sarebbe carente anche in ordine all’individuazione delle condizioni economiche in un primo tempo concordate dalla persona offesa e da NOME COGNOME con conseguente impossibilità di affermare che la transazione con il Rea contenesse condizioni contrattuali sfavorevoli alla persona offesa o comunque difformi da quelle proposte dal COGNOME.
5.I ricorrenti, con il quinto motivo di impugnazione, lamentano violazione dell’art. 629 cod. pen. nonchØ carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di estorsione.
La Corte territoriale non avrebbe indicato le emergenze processuali da cui desumere la consapevolezza e volontà degli imputati di procurare a loro o ad altri un ingiusto profitto e non avrebbe tenuto conto della mancanza di elementi probatori attestante un nesso causale tra le condotte degli imputati e la sottoscrizione, dopo piø di un anno, della transazione da parte del Viola.
A giudizio della difesa, la tesi sostenuta dai giudici di merito, secondo cui gli imputati fossero consapevoli che, minacciando la persona offesa avrebbero indotto NOME COGNOME ad abbandonare le trattative, sarebbe logicamente insostenibile e priva di riscontro nella realtà processuale, in considerazione dell’assenza di qualsivoglia collegamento tra il Rea e gli imputati, circostanza ignorata dalla Corte distrettuale, nonostante la comprovata assenza di contatti di qualsiasi tipo tra i predetti, come espressamente riferito dai testi NOME COGNOME ed NOME COGNOME nonchØ dalla stessa persona offesa.
6.I ricorrenti, con il sesto motivo di impugnazione, eccepiscono violazione degli artt. 416bis.1 e 629 cod. pen. nonchØ carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dell’aggravante dell’uso del metodo mafioso.
Gli elementi indicati a fondamento del riconoscimento della menzionata aggravante (pluralità di autori del reato, esibizione di arma da sparo in luogo distante dal centro urbano) non sarebbero idonei a dimostrare l’uso del metodo mafioso, comportando una inammissibile automatismo applicativo di tale aggravante correlato alla mera presenza di piø persona armate in Campania.
I giudici di appello avrebbero, inoltre, inspiegabilmente ignorato che il teste NOME COGNOME ha riferito che il fratello, subito dopo l’incontro con gli imputati, menzionò esclusivamente la presenza di ‘mazze’ e non di armi da fuoco.
Inoltre, la Corte di merito avrebbe omesso di valutare la significativa inimicizia nutrita da NOME COGNOME nei confronti del COGNOME, elemento riferito da NOME COGNOME e sicuramente rilevante ai fini dell’apprezzamento della attendibilità del teste
NOME COGNOME con il settimo motivo di impugnazione, lamenta inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 62bis , 132 e 133 cod. pen. nonchØ carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed alla determinazione del trattamento sanzionatorio.
La Corte territoriale, con motivazione insufficiente ed illogica, avrebbe omesso di argomentare circa la congruità e non eccessività della pena inflitta nonchØ in ordine ai motivi posti a fondamento del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
La motivazione sarebbe contraddittoria ed illogica laddove i giudici di merito avrebbero ‘ inventato il dato della caratura criminale del Visone ‘ e della appartenenza ‘ ad organizzazioni criminali note sul territorio ‘ (vedi pag. 34 del ricorso), affermazione che troverebbe inconfutabile smentita nell’incensuratezza del ricorrente.
Il difensore di NOME COGNOME in data 07 maggio 2025, ha depositato conclusioni scritte con le quali ha insistito nei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I primi cinque motivi dedotti dai ricorrenti, che possono essere trattati congiuntamente avendo ad oggetto la ritenuta insussistenza degli elementi costitutivi del contestato reato di estorsione, sono infondati.
Deve essere preliminarmente evidenziato che la sentenza di appello e quella di primo grado sono conformi in ordine alle statuizioni oggetto di ricorso, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente, costituendo un unico corpo decisionale ed essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza di appello a quella del Tribunale, sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595, Sez. 2, n. 6560 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 280654 01).
Entrambe le sentenze hanno dato adeguatamente conto delle ragioni che hanno indotto i giudici di merito ad affermare che i ricorrenti abbiano commesso il reato di estorsione in danno di NOME COGNOME a seguito di una valutazione degli elementi probatori che appare rispettosa dei canoni di logica e dei principi di diritto che governano l’apprezzamento delle prove, confutando peraltro tutte le doglianze fattuali e giuridiche prospettate dalla difesa con l’atto di appello.
1.1. Stante la complessità della vicenda oggetto di giudizio conviene sintetizzare, in esordio, la ricostruzione dei fatti posta a fondamento della decisione oggetto di impugnazione.
I giudici di merito hanno evidenziato che, nell’anno 2008, veniva stipulato un contratto di appalto tra l’architetto NOME COGNOME e NOME COGNOME amministratore di fatto della società di costruzioni RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto la realizzazione di un complesso edilizio nel
Comune di Volla. Il contratto prevedeva la costruzione di sedici appartamenti su un terreno di proprietà degli eredi di NOME COGNOME al prezzo di 780.000,00 euro.
La persona offesa riferiva, in proposito, che l’esecuzione dei lavori era proseguita regolarmente fino al marzo 2009, allorchØ gli eredi COGNOME rifiutavano di stipulare il contratto definitivo, circostanza che determinava l’instaurazione di un giudizio civile da parte dell’COGNOME nei confronti dei proprietari. A tale giudizio interveniva anche il COGNOME, il quale vantava un rilevante credito nei confronti dell’COGNOME, non essendo stato saldato il prezzo complessivo dell’appalto.
Nel novembre del 2012, su iniziativa dello stesso COGNOME, veniva coinvolto nella vicenda l’imprenditore NOME COGNOME affinchØ, nelle vesti di finanziatore, costituisse una nuova società e consentisse all’architetto COGNOME di onorare i propri debiti nei confronti degli eredi COGNOME e del COGNOME. La trattativa intercorsa con il COGNOME prevedeva, in particolare, che il COGNOME avrebbe ricevuto, al completamento dei lavori, un compenso per l’attività svolta pari a 450.000,00 euro.
Nel corso della trattativa, il COGNOME, mentre si trovava all’estero per motivi di lavoro, veniva informato dal fratello NOME COGNOME che tale NOME COGNOME si era rivolto al Perdono, vantando un inesistente credito insoluto nei confronti dell’COGNOME, e pretendendone il pagamento nel caso in cui la trattativa commerciale fosse andata a buon fine.
Successivamente il COGNOME, dopo aver incontrato per caso l’imprenditore NOME COGNOME, si recava su indicazione di quest’ultimo presso un fornitore di legname. Giunto in loco, il COGNOME non trovava l’COGNOME, bensì veniva affrontato da quattro individui, successivamente identificati in NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
In tale contesto gli odierni ricorrenti minacciavano di morte il COGNOME con le seguenti espressione: « Hai fatto una cazzata a trattare con Perdono. Devi morire tu e tuo fratello » mentre il COGNOME imbracciava un fucile e l’COGNOME impugnava una pistola calibro 38, intimando alla persona offesa di salire su un’autovettura, poichØ – secondo quanto riferito dal COGNOME – COGNOME aveva disposto che l’eventuale esecuzione dell’omicidio non dovesse avvenire in quel luogo. Solo grazie a un momento di confusione, conseguente all’intervento di una donna affacciatasi ad un balcone, il NOME riusciva a sottrarsi agli aggressori e a fuggire.
Informato dell’accaduto, NOME COGNOME si determinava ad abbandonare la trattativa con l’COGNOME e con i fratelli COGNOME, facendo così naufragare l’operazione commerciale. Ormai privo di alternative, la persona offesa decideva di chiudere la vicenda a qualunque condizione, pur di liberarsi dalle conseguenze economiche che andavano aggravandosi. A circa un mese di distanza dal ritiro di NOME COGNOME, faceva ingresso nella vicenda l’imprenditore NOME COGNOME, il quale si mostrava improvvisamente interessato a prendere il posto del COGNOME nonostante in occasione di un precedente incontro con il Viola avesse manifestato totale disinteresse all’affare.
La persona offesa riferiva, inoltre, che il Rea durante le trattative, protrattesi per alcuni mesi, proponeva condizioni contrattuali piø gravose per il Viola – in particolare la riduzione del suo corrispettivo e la cessazione delle attività del cantiere- e profferiva le seguenti espressioni intimidatorie: « Nel momento in cui io voglio questi cantieri, tu firmi e te ne vai, non ti preoccupare ».
Nel luglio 2014, veniva sottoscritta una transazione (definita ‘tombale’ dalla persona offesa) tra COGNOME, COGNOME e COGNOME con rinuncia a ogni contenzioso da parte dei firmatari. In particolare, l’accordo prevedeva il pagamento di un assegno di € 110.000,00 e l’emissione di cambiali per ulteriori € 140.000,00 in favore della persona offesa con la condizione che i
lavori sarebbero proseguiti mediante una ditta riconducibile al Viola.
I giudici di merito hanno, peraltro, evidenziato che tale accordo – secondo quanto riferito dalla persona offesa -non veniva onorato: la società riconducibile al RAGIONE_SOCIALE incassava, infatti, solo una minima parte dell’importo dovuto (140.000,00 euro) ed i lavori vennero effettuati dalla società RAGIONE_SOCIALE facente capo al RAGIONE_SOCIALE.
Il Viola ha, inoltre, precisato che la minaccia subita il 4 gennaio 2013 aveva influito in modo determinante sulla sua scelta di rinunciare a ogni pretesa economica e di accettare l’accordo con Rea.
L’inadempimento di tale accordo, a dire della persona offesa, ha avuto conseguenze patrimoniali per lui disastrose, in ragione delle pressioni esercitate dai subfornitori che richiedevano il pagamento delle commesse a suo carico. Solo nel 2015, a seguito del fallimento della società riconducibile ad NOME COGNOME e dopo vani tentativi di recupero del credito, la persona offesa si decideva, pertanto, a formalizzare querela per i fatti occorsi nel gennaio 2013.
1.2. Tutto ciò premesso va rimarcato che i giudici di appello, con motivazione esaustiva e conforme alle risultanze processuali, che riprende le argomentazioni del giudice di primo grado come Ł fisiologico in presenza di una doppia conforme, hanno indicato la pluralità di elementi (dichiarazioni rese NOME COGNOME riconoscimento fotografico effettuato dalla persona offesa, dichiarazioni rese dai testimoni NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME attestanti il coinvolgimento del Barone nel settore delle estorsioni per conto del clan camorristico, sentenze irrevocabili di condanna attestanti la sussistenza del clan camorristico COGNOME, sentenza emessa dalla Corte di Appello di Napoli in data in data 13/02/2013 nei confronti del COGNOME e del COGNOME per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., documentazione acquisita nel corso del dibattimento).
I giudici di appello, al pari di quelli del Tribunale, hanno affermato la piena attendibilità delle dichiarazioni di NOME COGNOME in ordine al nucleo essenziale del thema probandum. La versione dei fatti offerta dalla persona offesa risulta essere stata valutata dai giudici di appello in maniera logica, congrua e lineare, anche in considerazione della portata dei rimanenti elementi di prova che non hanno evidenziato alcun profilo di contrasto significativo con le dichiarazioni rese dal COGNOME.NØ sono emerse, nØ sono state allegate dagli imputati in sede di dichiarazioni spontanee, ragioni di astio personale che potessero giustificare un intento calunnioso da parte della persona offesa.
I giudici di merito, con motivazione coerente con il compendio probatorio ed esente da contraddizioni, hanno evidenziato come le minacce e le violenze esercitate dagli imputati ai danni della persona offesa abbiano dapprima provocato il fallimento della trattativa con il Perdono (come riferito da quest’ultimo e dalla stessa persona offesa) ed, in seguito, costretto il COGNOME ad accettare la proposta avanzata da NOME COGNOME nonostante le condizioni evidentemente deteriori ed il conseguente significativo danno economico subito dalla persona offesa (vedi pagg. da 7 a 13 della sentenza impugnata e pagg. 28 e 29 della sentenza di primo grado).
L’iter argomentativo appare esente da vizi logici, fondandosi su di una compiuta e logica analisi critica delle dichiarazioni del COGNOME in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità, univocità e coerenza, in quanto conducenti all’affermazione di piena credibilità delle asserzioni della persona offesa.
1.3. A differenza di quanto affermato dalle difese, i giudici di merito hanno correttamente
ritenuto la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di estorsione.
La Corte territoriale, con motivazione logica ed articolata che si ricollega a quanto in precedenza affermato dal primo giudice, ha rimarcato come il contenuto delle minacce proferite, le modalità dell’azione intimidatoria, i pregressi rapporti di conoscenza tra gli imputati e NOME COGNOME nonchØ tra il Barone ed il COGNOME, inducano a ritenere che l’aggressione a mano armata subita dal COGNOME fosse finalizzata a ostacolare la trattativa con il COGNOME e a favorire l’inserimento di soggetti terzi nell’affare e, di conseguenza, estromettere il COGNOME dalla realizzazione delle villette commissionate dall’architetto COGNOME. Tale ricostruzione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della conseguenzialità, Ł fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità.
1.4. Sotto il profilo oggettivo, entrambe le sentenze di merito hanno correttamenteevidenziato la concreta idoneità delle condotte violente e minacciose poste in essere dagli imputati a compromettere la libertà negoziale del Viola, al fine di coartarne la volontà contrattuale, determinandolo ad abbandonare la trattativa economica lecitamente in corso con l’imprenditore NOME COGNOME.
¨ stato, in proposito, sottolineato come l’aggressione a mano armata descritta dal COGNOME si collochi all’interno di una piø ampia strategia di pressione, tesa a creare un clima di costante tensione e timore nei confronti del diretto destinatario delle intimidazioni e dei suoi familiari, costringendo di fatto il COGNOME ad acconsentire alla conclusione di un accordo contrattuale con il Rea, a condizioni sensibilmente deteriori rispetto a quelle in precedenza concordate con NOME COGNOME, pur di chiudere definitivamente la vicenda.
Il Collegio intende ribadire, sul punto, il principio di diritto secondo cui la minaccia costitutiva del delitto di estorsione può essere manifestata anche in maniera indiretta, ovvero implicita ed indeterminata, purchØ sia idonea, come nel caso di specie, ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima ed alle condizioni ambientali in cui opera (Sez. 2, n. 2702 del 18/11/2015, COGNOME, Rv. 265821-01; Sez. 2, n. 27649 del 09/03/2021, Salvia, Rv. 281467-01; da ultimo Sez. 2, n. 42530 del 24/10/2024, Bassano, non massimata).
1.5. I giudici di merito hanno correttamente ritenuto sussistenti gli elementi costitutivi dell’ingiusto profitto perseguito dagli imputati e del correlato danno patrimoniale patito dalla persona offesa.
Non Ł revocabile in dubbio, infatti, che il nucleo centrale della pretesa estorsiva avanzata dagli imputati consistesse nell’imporre, attraverso una minaccia di morte esplicitamente proferita, l’interruzione delle relazioni commerciali tra il RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, ostacolando un’iniziativa imprenditoriale pienamente lecita e potenzialmente vantaggiosa per la persona offesa.
1.5.1. Entrambi i giudici di merito hanno correttamente applicato il principio di diritto secondo cui, in tema di estorsione contrattuale, l’ingiustizia del profitto e il danno per la vittima si identificano proprio nella violazione dell’autonomia negoziale, laddove il contraente sia stato costretto a prestare consenso in condizioni non liberamente scelte.
Il Collegio intende ribadire, in proposito, il principio di diritto secondo cui, in caso di estorsione contrattuale, l’elemento dell’ingiusto profitto con altrui danno risulti implicito nel solo fatto che la persona offesa venga costretta a concludere un accordo negoziale in violazione della libertà di autodeterminazione e, di conseguenza, della propria autonomia negoziale. In tale prospettiva, il danno subito dalla persona offesa non si identifica
necessariamente in un pregiudizio patrimoniale immediato potendo consistere nella compressione della libertà negoziale e nella conseguente impossibilità di perseguire i propri interessi economici secondo la logica del mercato e secondo criteri di opportunità e convenienza liberamente autodeterminati (Sez. 2, n. 9429 del 13/10/2016, P.g. in proc. COGNOME, Rv. 269364-01; Sez. 2, n. 12434 del 19/02/2020, P.m. in proc. COGNOME, Rv. 278998- 01).
1.5.2. La compressione della volontà contrattuale conseguente alla prospettazione della minaccia, integra, pertanto, un danno al soggetto passivo rilevante ex art. 629 cod. pen., essendo evidentemente alterato il naturale equilibrio delle relazioni economiche su cui si fonda la validità del consenso negoziale con conseguente infondatezza delle doglianze con cui le difese affermano l’insussistenza di tale elemento costitutivo della fattispecie criminosa. La lesione patrimoniale, in simili ipotesi, non necessita, infatti, di essere attuale o immediata, potendo consistere in una perdita di chances o nella rinuncia forzata a un’opportunità economica legittimamente coltivata: integra, di conseguenza, il reato di estorsione la minaccia finalizzata a costringere la vittima a rinunciare a una propria legittima aspettativa, giacchØ in tal caso il danno patrimoniale si configura come danno futuro, inteso quale perdita di una possibilità economica potenzialmente realizzabile (Sez. 2, n. 18508 del 16 febbraio 2017, NOME Rv. 270209-01; da ultimo Sez. 2, n. 11136 del 28/02/2024, Forte, non massimata).
1.5.3. Quanto alla pretesa ingiustizia del profitto, anch’essa risulta puntualmente dimostrata dalle risultanze processuali.
La rinuncia della persona offesa alla trattativa con COGNOME si Ł tradotta, nei fatti, nella coartata accettazione di una proposta negoziale alternativa, proveniente da NOME COGNOME la cui subentrata posizione contrattuale ha determinato un profitto – a favore di quest’ultimo in condizioni particolarmente vantaggiose, e, per contro, un danno patrimoniale certo in capo alla persona offesa, la quale ha ricevuto solo parzialmente quanto previsto dall’accordo in precedenza raggiunto con NOME COGNOME e ha dovuto rinunciare a significative pretese economiche maturate nel tempo.
La struttura offensiva del reato di cui all’art. 629 cod. pen. resta, infatti, integrata anche laddove il vantaggio economico non sia conseguito dagli autori materiali dell’estorsione, bensì da soggetti terzi, essendo sufficiente che il profitto, pur goduto da altri, costituisca l’esito della costrizione realizzata dagli imputati, nella piena consapevolezza e volontà di determinare tale effetto. L’elemento del profitto non implica necessariamente un arricchimento personale dell’agente, potendo consistere in qualsiasi utilità destinata a sØ o ad altri, purchØ ingiusta e conseguita mediante la costrizione della vittima. ¨, infatti, principio giurisprudenziale costantemente affermato dalla Corte di Cassazione che, ai fini della configurabilità del delitto di estorsione, il profitto non deve necessariamente essere destinato all’autore materiale della condotta, potendo lo stesso essere realizzato da un soggetto terzo a condizione che la condotta originaria sia coscientemente orientata al conseguimento di tale effetto (Sez. 5, n. 8352 del 13/01/2016, COGNOME, Rv. 266066 – 01; Sez. 5, n. 14936 del 18/01/2024, COGNOME, non massimata).
In tale contesto giurisprudenziale non assume rilievo ostativo il fatto che, nel caso di specie, il profitto non sia stato acquisito dagli imputati, essendo ritenuta provata la piena volontà del COGNOME e del Barone di procurarlo ad altri mediante condotte violente e minatorie poste in essere in danno della vittima.
1.6. Sotto il profilo soggettivo, i giudici di merito hanno correttamente ritenuto integrato l’elemento psicologico del reato di estorsione, essendo emersa dalle prove utilizzabili per la
decisione la coscienza e volontà del COGNOME e del Barone di utilizzare la minaccia come strumento per costringere il Viola a desistere da una condotta lecita (la trattativa con Perdono) e ad accettarne un’altra a lui pregiudizievole, con conseguente profitto ingiusto e danno patrimoniale per la persona offesa.
Deve essere rimarcato, in proposito, che non Ł emerso alcun elemento logico-probatorio che avrebbe potuto ingenerare nei ricorrenti la ragionevole opinione di far valere un diritto stante l’illiceità della pretesa avanzata (‘togliere le mani da quello stabile’) dal COGNOME e dal COGNOME, i quali erano pienamente consapevoli di esercitare una minaccia per ottenere il soddisfacimento dell’ingiusto profitto derivante da una pretesa contra ius .
1.7. In definitiva, la decisione impugnata risulta pienamente conforme ai principi affermati dalla Corte di Cassazione in tema di estorsione contrattuale, sotto il profilo della coartazione della libertà negoziale, della configurabilità del profitto ingiusto, anche se riferibile a terzi, nonchØ della configurabilità del danno patrimoniale, anche in termini prospettici e potenziali. Deve essere, di conseguenza, affermato che la motivazione contiene una valutazione globale e completa in ordine a tutti gli elementi rilevanti del giudizio nonchØ una corretta attribuzione di significato dimostrativo agli elementi probatori valorizzati nell’ambito del percorso seguito dai giudici di appello, al contempo non risultano esservi errori nell’applicazione delle regole della logica, contraddizioni interne tra i diversi momenti di articolazione del giudizio ovvero incompatibilità logiche tra le argomentazioni poste a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità del Visone e del Barone.
Ne consegue che debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata dai giudici di merito (Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, COGNOME, Rv. 275500-01; Sez. 2, n. 35817 del 10/07/2019, Sirica, Rv. 276741-01).
Il sesto motivo di impugnazione, con cui i ricorrenti lamentano l’erroneo riconoscimento della circostanza aggravante del metodo mafioso, Ł manifestamente infondato.
2.1. Il compendio probatorio riportato nelle conformi sentenze di primo e secondo grado ha correttamente indotto i giudici di merito ad affermare, con argomentazioni prive di manifesta illogicità, la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso.
La Corte distrettuale, con percorso argomentativo privo di vizi logici e giuridici, ha ritenuto le modalità esecutive dell’azione delittuosa e segnatamente, il contenuto intimidatorio del messaggio veicolato alla persona offesa, la disponibilità di armi da fuoco da parte degli agenti, la pluralità dei soggetti coinvolti nell’azione e la tipologia dell’agguato, evocative della particolare forza intimidatrice tipica dei sodalizi di stampo mafioso (vedi pag. 13 della sentenza di appello e pagg. 30 e 31 della sentenza del Tribunale) idonee a evocare, nella persona offesa, un’efficacia coercitiva e intimidatoria particolarmente penetrante, specie ove si consideri che il destinatario della minaccia, non estraneo a simili dinamiche delinquenziali, era pienamente in grado di cogliere la gravità implicita nella richiesta di interrompere ogni rapporto commerciale con NOME COGNOME percependo il messaggio come un segnale tipico del metodo mafioso, volto a imporre un controllo esterno sulla libera autodeterminazione imprenditoriale.
La natura mafiosa della condotta risulta, peraltro, ulteriormente confermata dall’atteggiamento processuale della persona offesa e del teste NOME COGNOME, i quali in una prima fase – hanno tentato di minimizzare la portata offensiva dell’accaduto, salvo poi riconoscere, in sede dibattimentale, l’efficacia intimidatoria dell’episodio e le rilevanti conseguenze che da esso sono derivate sul piano delle relazioni economiche originariamente in essere.
2.2. Ne consegue che i giudici di appello hanno correttamente fatto uso del principio di diritto secondo cui, ai fini della configurabilità di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., Ł sufficiente, in un territorio in cui Ł radicata un’organizzazione mafiosa storica, che il soggetto agente si riferisca implicitamente al potere criminale della consorteria, in quanto tale potere Ł di per sØ noto alla collettività, pur non essendo necessario che il soggetto agente appartenga a un sodalizio criminale di tal genere(vedi Sez. 2, n. 34786 del 31/05/2023, Rv. 284950 – 01; Sez. 2, n. 20320 del 15/05/2024, COGNOME, Rv. 286426 – 01).
Il Collegio, peraltro, intende dare seguito all’univoco orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui la circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1, cod. pen., risponde, nello stigmatizzare un metodo e non un fatto, alla avvertita esigenza di prevedere un trattamento sanzionatorio piø severo tutte le volte in cui l’evocazione della contiguità ad una organizzazione mafiosa pone la vittima in una condizione di soggezione ulteriore rispetto a quella solitamente derivata dalla condizione di vittima di estorsione (Sez. 2, n. 19245 del 30/3/2017, COGNOME, Rv. 269938-01; Sez. 2, n. 34786 del 31/05/2023, NOME, Rv. 284950 01).
La circostanza aggravante in esame ha, infatti, la funzione di reprimere il «metodo delinquenziale mafioso» ed Ł connessa non alla struttura e alla natura del delitto rispetto al quale Ł contestata, quanto, piuttosto, alle modalità della condotta, che devono evocare la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso.
¨ configurabile, quindi, l’aggravante laddove la condotta delittuosa sia stata, come nel caso di specie, oggettivamente funzionale a creare nella vittima la peculiare condizione di assoggettamento derivante dal prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici, provenienti non da un singolo criminale comune ma da un gruppo mafioso.
Il settimo motivo di ricorso proposto dal solo NOME COGNOME con cui si lamenta violazione degli artt. 62bis, 132 e 133 cod. pen. nonchØ vizio di motivazione in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio ed alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, Ł aspecifico e non consentito in sede di legittimità.
3.1. I giudici di appello hanno correttamente valorizzato, ai fini del diniego delle invocate attenuanti, la gravità dei fatti, la mancata resipiscenza e l’assenza di elementi favorevoli alla mitigazione della pena (vedi pagg. 14 e 15 della sentenza impugnata e pagg. 32 e 33 della sentenza di primo grado),elementi con i quali il ricorso ha omesso di confrontarsi adeguatamente con conseguente aspecificità della doglianza.
Deve essere, in proposito, ribadito il principio affermato da questa Corte secondo cui non Ł necessario che il giudice di merito, nel motivare il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma Ł sufficiente che, come nel caso di specie, la motivazione faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, COGNOME, Rv. 282693 – 01; Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02).
Il Collegio intende, peraltro, dare seguito al consolidato indirizzo ermeneutico che esclude che la concessione delle attenuanti generiche possa conseguire automaticamente alla condizione di incensuratezza dell’imputato, condizione indicata dalla difesa come profilo di meritevolezza erroneamente valutato dalla Corte territoriale (vedi Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986 – 01; Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01).
3.2. L’ulteriore doglianza con cui il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena in misura superiore al minimo edittale,
non Ł consentita in sede di legittimità in quanto mira ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione, sorretta da sufficiente motivazione, non Ł stata frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (vedi Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 2, n. 47512 del 03/11/2022, COGNOME, non massimata).
La Corte territoriale, con argomentazioni coerenti con le risultanze processuali ed immuni da illogicità manifeste, ha ritenuto congrua la pena determinata dal primo giudice in misura di poco superiore al minimo edittale in ragione della gravità del reato, dell’intensa capacità criminale dimostrata e dell’assenza di resipiscenza da parte del Visone (vedi pagg. 14 e 15 della sentenza impugnata e pagg. 32 e 33 della sentenza di primo grado).
Il Collegio intende ribadire, in proposito, il principio di diritto secondo cui la determinazione della pena costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicchØ l’obbligo di una motivazione rafforzata sussiste solo allorchØ la pena si discosti significativamente dal minimo edittale, mentre, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media, Ł sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288 – 01; Sez. 5, n. 47783 del 27/10/2022, COGNOME, non massimata).
Al rigetto dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così Ł deciso, 13/05/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME