Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25434 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25434 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 10/06/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
Voci NOME NOME n. a Gasperina il 15/1/1965
avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro in data 28/11/2024
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del Cons. NOME COGNOME
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sost. Proc.Gen. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, Avv. NOME COGNOME che ha illustrato i motivi, chiedendone l’accoglimento;
dato atto che il difensore della parte civile, Avv. NOME COGNOME ha depositato memoria e conclusioni scritte, corredate da nota spese
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’impugnata sentenza la Corte di Appello di Catanzaro, in parziale riforma della decisione del locale Tribunale in data 19/5/2021, dichiarava l’estinzione per maturata prescrizione del delitto di lesioni aggravate ascritto a NOME COGNOME confermava la responsabilità dello stesso in ordine al delitto
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di estorsione e le statuizioni civili rese dal primo giudice, rideterminando la pena nella misura di anni tre, mesi quattro di reclusione.
Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato, Avv. NOME COGNOME il quale ha dedotto:
2.1 il vizio cumulativo della motivazione e la violazione degli artt. 56,629 cod.pen. nonché degli artt. 597 cod.proc.pen. e 53 L 689/81.
Il ricorrente sostiene che i giudici di merito hanno travisato le prove dichiarative e, in particolare, le testimonianze della p.o. COGNOME NOME e di COGNOME NOME, apprezzando in maniera incompleta le dichiarazioni da costoro rese con specifico riguardo alla avvenuta rinunzia da parte del COGNOME, in epoca precedente l’episodio contestato, a quanto di sua spettanza per effetto della pronunzia civile n. 1886/2011. Il difensore deduce che la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto sussistente l’elemento della costrizione in relazione all’oggetto, costituito dalla rinunzia alla pretesa risarcitoria, in realtà inesistent e che il denunziato travisamento incide sulla ravvisabilità dell’elemento psicologico del reato, essendo emerso in dibattimento che la discussione tra le parti verteva non sull’esecuzione della sentenza civile che riconosceva al Paparazzo anche una somma di danaro, cui aveva rinunciato, ma piuttosto sul pagamento delle spese legali e dell’onorario all’avvocato difensore.
Inoltre, secondo il ricorrente il corretto apprezzamento delle prove dichiarative avrebbe dovuto condurre alla riqualificazione del fatto alla stregua del delitto tentato. La Corte di merito ha evaso le doglianze difensive sul punto con motivazione inadeguata, trascurando la parte della deposizione della p.o. in cui la stessa non si mostrava affatto intimidita dalle richieste dell’imputato sicché, anche a voler ritenere la sussistenza dei requisiti del delitto ex art. 629 cod.pen. in relazione alla coartazione a rinunciare al pagamento delle spese legali, la condotta si sarebbe comunque arrestata alla soglia del tentativo in quanto il Paparazzo non si è sentito costretto né ha fatto o omesso alcunché rispetto a quanto richiesto dal ricorrente.
Il difensore deduce ulteriormente la violazione dell’art. 597 cod.proc.pen. in quanto i giudici d’appello, in contrasto con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, hanno ritenuto di non poter ridurre il trattamento sanzionatorio attraverso il riconoscimento delle attenuanti generiche, argomentando circa l’avvenuta illegittima determinazione della pena base in misura inferiore al minimo edittale e operando un’indebita forma di compensazione che vanifica l’effettività del diritto di difesa.
Il difensore lamenta, infine, l’omessa motivazione circa la richiesta di sostituzione della pena detentiva con la pena sostitutiva del lavoro di pubblica
utilità formulata nella memoria difensiva trasmessa a mezzo PEC in data 13/11/2024, della quale non si rinviene cenno nella sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Le censure in punto di responsabilità e qualificazione giuridica dei fatti contestati sono manifestamente infondate. La Corte territoriale ha disatteso i rilievi formulati sul punto dalla difesa del ricorrente con motivazione ampia e persuasiva che ha condiviso l’esaustivo giudizio di attendibilità della p.o. già formulato dal primo giudice (pagg. 5-7) e corredato dal richiamo ai plurimi riscontri esistenti in atti. La ricostruzione dell’episodio delittuoso accertata in sede di merito smentisce la sussistenza dei denunziati travisamenti, tantomeno decisivi, delle prove dichiarative e palesa il tentativo di sollecitare una rilettura del compendio probatorio, in questa sede preclusa a fronte del corretto scrutinio delle emergenze acquisite.
1.1 I! Tribunale ha dato conto del contenzioso civile esistente tra le parti e degli esiti consacrati nella sentenza n. 1886/2011 del Tribunale di Catanzaro che aveva condannato l’imputato, in accoglimento della domanda riconvenzionale del Paparazzo, a corrispondergli la somma di euro 2.859,10 a titolo di risarcimento ovvero ad eliminare integralmente i vizi dell’opera. Attesa la mancata spontanea esecuzione della cennata decisione, il COGNOME a mezzo del difensore, nell’aprile 2014, intimava mediante precetto, rimasto senza esito, l’adempimento delle relative statuizioni. Alla luce di quanto riferito dalla p.o., il primo giudic evidenziava che in occasione dell’incontro presso un distributore di carburante del 18/12/2014 il Voci chiese minacciosamente alla p.o. di “bloccare tutto”, prospettando in caso contrario di farlo sparire, di spezzargli le gambe e le braccia e aggredendolo fisicamente, aggiungendo che nella circostanza “la p.o. aveva manifestato al Voci la volontà di rinunciare alla somma dovuta a condizione del ripristino dell’opera” e che “l’imputato stesso oltre a non aver ottemperato alle statuizioni civili non aveva nemmeno provveduto a liquidare gli onorari dovuti all’avvocato” (pag. 4).
La tesi di una pregressa rinunzia ai diritti discendenti dall’accertamento giudiziario e dell’integrale assolvimento anche delle spese legali è stata introdotta nel processo dalla teste NOMECOGNOME figlia dell’imputato, che il Tribunale ha giudicato non credibile in ragione del rapporto con il prevenuto e della inverosimiglianza ed apoditticità delle circostanze riferite (pag. 4) nonché delle contrarie dichiarazioni del legale interessato.
Né una diversa lettura dell’occorso risulta autorizzata dalle dichiarazioni della teste COGNOME debitamente scrutinate e reputate idonee a riscontrare la ricostruzione della vittima, sicché deve escludersi la considerazione parziale e travisata delle fonti orali denunziata dalla difesa, stante l’accertata “volontà (del
Paparazzo) di tacitare ogni pretesa risarcitoria a condizione dell’eliminazione dei vizi dell’opera” (pag. 6).
1.2 Con riguardo alle doglianze in punto di qualificazione dei fatti alla stregua di tentativo, si tratta di rilievi già introdotti nelle fasi di merito e disattesi corretti argomenti giuridici con i quali la difesa non si rapporta in termini puntuali. Infatti, deve evidenziarsi che l’asserito difetto di attitudine coercitiva della condotta violenta e minacciosa dell’imputato è in concreto smentita dalle dichiarazioni della parte civile (pag. 6 sent. Tribunale) e, comunque, riposa su presupposti giuridicamente erronei poiché, per costante avviso della giurisprudenza di legittimità, l’efficacia coercitiva della minaccia deve essere valutata secondo criteri di prognosi postuma ed a prescindere dalla specifica capacità di resistenza della p.o. (Sez. 2, n. 24166 del 20/03/2019, COGNOME, Rv. 276537-01; n. 11453 del 17/02/2016, COGNOME, Rv. 267124 – 01; n. 12568 del 05/02/2013, COGNOME, Rv. 255538 – 01).
Quanto al perfezionamento del reato mediante l’attingimento del profitto ingiusto perseguito, la Corte di merito ha rassegnato un’adeguata motivazione, in linea con la giurisprudenza di questa Corte. Infatti nella specie, alla stregua degli accertamenti di merito, alla condotta illecita del prevenuto è conseguita la rinunzia della vittima all’azione esecutiva intrapresa con l’intimazione del precetto con ravvisabilità del profitto ingiusto in capo all’agente e del correlativo danno patrimoniale della p.o., avendo la giurisprudenza di legittimità chiarito che in materia di estorsione il requisito dell’altrui danno, con connotazione necessariamente patrimoniale, comprende anche la desistenza dal tempestivo esercizio di un’azione giudiziaria finalizzata a tutelare un diritto o un interesse, posto che il patrimonio va inteso come un insieme non di beni materiali, ma di rapporti giuridici attivi e passivi aventi contenuto economico, unificati dalla legge in ragione dell’appartenenza al medesimo soggetto (Sez. 2, n. 32083 del 12/05/2023, Pm c. COGNOME, Rv. 285002 – 01; n. 43769 del 12/07/2013, Ventimiglia, Rv. 257303 – 01).
2.Le censure difensive in punto di trattamento sanzionatorio sono destituite di fondamento. La Corte territoriale ha rilevato la determinazione della pena base in misura inferiore al minimo edittale e la conseguente impossibilità di emendare l’errore in assenza di impugnazione del P.g., tuttavia, a pag. 8, ha condiviso le ragioni del diniego delle attenuanti generiche già esposte dal primo giudice, richiamando la gravità del fatto e le ragioni alla base dell’azione delittuosa, ritenute espressive di pericolosità sociale. A fronte di siffatta valutazione appare recessivo lo stato di incensuratezza dell’imputato che, per espressa previsione normativa, è insuscettibile da solo di fondare l’invocato riconoscimento delle attenuanti ex art. 62 bis cod.pen.
Le conclusive censure concernenti l’omessa motivazione in ordine alla richiesta di applicazione delle pene sostitutive sono destituite di giuridico fondamento. Contrariamente a quanto assume il difensore, nella memoria in data 13/11/2024 si chiedeva espressamente “la sostituzione della pena detentiva, comunque irrogata, con taluna delle pene sostitutive di cui all’art. 53 della L. 689/81, manifestando il consenso dell’imputato”. Si tratta di una richiesta del tutto generica che non differenzia tra le varie pene sostitutive e non ne argomenta i presupposti in relazione alla concreta fattispecie, in contrasto con il principio in più occasioni enunziato da questa Corte che, escludendo la possibilità di un’applicazione ex officio della sostituzione, ha richiamato la necessità di una specifica e motivata richiesta al riguardo, non rientrando la conversione della pena detentiva nel novero dei benefici e delle diminuenti tassativamente indicati dall’art. 597, comma 5, cod. proc. pen., che costituisce disposizione derogatoria, di natura eccezionale, al principio devolutivo dell’appello (Sez. 2, n. 14168 del 25/03/2025, Consoli, Rv. 287820 – 01; n. 1188 del 22/11/2024, dep. 2025, Rv. 287460 -01;Sez. 6, n. 9154 del 30/01/2025, Rv. 287702-01). Siffatto principio spiega i suoi effetti anche in relazione alle ipotesi, quale quella a giudizio, assoggettate alla disciplina transitoria contenuta nell’art. 95 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, stante l’affermata necessità di un’espressa richiesta di sostituzione dell’imputato, che non dev’essere formulata necessariamente con l’atto di impugnazione o con la presentazione di motivi nuovi ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen., ma deve intervenire, al più tardi, nel corso dell’udienza di discussione del gravame (Sez. 2, n. 12991 del 01/03/2024, Generali, Rv. 286017 – 01; Sez. 4, n. 4934 del 23/1/2024, Rv. 285751-01), e deve essere in ogni caso supportata dall’individuazione in concreto della pena sostitutiva richiesta (o delle pene alternativamente fruibili) e da specifiche deduzioni illustrative, pena l’inammissibilità della richiesta per genericità. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La mancata valutazione di una richiesta ab origine inammissibile, e quindi insuscettibile di devolvere la questione al giudice d’appello, rende incensurabile in questa sede l’omesso scrutinio della stessa, difettando in radice l’interesse all’impugnazione sul punto.
Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguenti statuizioni ex art. 616 cod.proc.pen.
4.1 Non può accedersi alla richiesta di liquidazione delle spese del grado avanzata dal patrono di parte civile, avendo questa Corte autorevolmente chiarito che nel giudizio di cassazione con trattazione orale non va disposta la condanna dell’imputato al rimborso delle spese processuali in favore della parte civile che non sia intervenuta nella discussione in pubblica udienza, ma si sia limitata a formulare la richiesta di condanna mediante il deposito di una memoria in
cancelleria con l’allegazione di nota spese (Sez. U, n. 27727 del 14/12/2023, dep.
2024, COGNOME, Rv. 286581 – 03).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Nulla per le spese di parte civile.
Così deciso in Roma, 10 giugno 2025
Il Consigliere estensore
COGNOME Il Presidente