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Estorsione consumata: la Cassazione chiarisce quando

Un individuo, condannato per estorsione aggravata, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che il reato fosse solo tentato e che le intercettazioni utilizzate fossero illegittime. La Corte Suprema ha respinto il ricorso, stabilendo che si ha estorsione consumata nel momento in cui la vittima, sotto minaccia, assume un’obbligazione patrimoniale, come promettere la consegna di beni. La successiva dazione di un campione ha ulteriormente confermato la consumazione del delitto, rendendo irrilevante l’argomento della desistenza volontaria.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Estorsione Consumata: Quando la Promessa Diventa Reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti su un tema cruciale del diritto penale: il momento esatto in cui un’estorsione consumata può dirsi perfezionata. Analizzando un caso di minacce per un debito di droga, la Corte ha stabilito che la costrizione a promettere una prestazione futura è sufficiente a integrare il reato, senza che sia necessaria la consegna integrale del bene.

I Fatti del Caso: Dalla Minaccia alla Promessa Coatta

Il caso ha origine da una vicenda di criminalità comune. Un uomo è stato accusato di aver costretto un’altra persona, con violenza e minacce, a promettere la consegna settimanale di un chilo di sostanza stupefacente. L’azione era finalizzata a estinguere un debito pregresso di 9.000 euro, maturato nell’ambito di una precedente fornitura di droga. L’imputato aveva prelevato la vittima in auto, l’aveva condotta in un luogo isolato e lì l’aveva forzata a impegnarsi alla consegna.

Condannato in primo e secondo grado per estorsione aggravata, l’imputato ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, basando la sua difesa su tre argomenti principali.

I Motivi del Ricorso: Intercettazioni e Reato Tentato

La difesa ha contestato la sentenza d’appello su tre fronti:

1. Inutilizzabilità delle intercettazioni: Si sosteneva che le conversazioni, prova principale del reato, fossero state acquisite in un altro procedimento penale e che i decreti autorizzativi non fossero stati depositati integralmente, impedendo una valutazione completa della loro legittimità.
2. Errata qualificazione del reato: Secondo la difesa, il reato non si era consumato ma era rimasto allo stadio di tentativo, poiché non vi era prova che la vittima avesse effettivamente accettato la proposta o effettuato la consegna.
3. Desistenza volontaria: Si affermava che l’intervento dell’imputato avesse posto fine all’aggressione, configurando una desistenza volontaria che esclude la punibilità per il tentativo.

La Decisione della Cassazione sull’Estorsione Consumata

La Corte Suprema ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendo tutti i motivi infondati e, in parte, generici. La sentenza fornisce chiarimenti fondamentali su ciascuno dei punti sollevati.

Validità delle Intercettazioni da Altro Procedimento

Sul primo punto, la Corte ha ribadito un principio consolidato: per l’utilizzo di intercettazioni provenienti da un diverso procedimento, la legge richiede il deposito delle registrazioni e dei verbali, non necessariamente dei decreti autorizzativi integrali. L’esistenza di un decreto, anche se parzialmente secretato per proteggere altre indagini, è sufficiente a garantire il controllo giurisdizionale. La Corte ha inoltre specificato che la difesa non aveva dimostrato quale concreto pregiudizio avesse subito dal deposito parziale.

Il Momento Perfezionativo dell’Estorsione Consumata

Questo è il cuore della decisione. La Cassazione ha spiegato che il delitto di estorsione si consuma nel momento in cui l’agente consegue l’ingiusto profitto con altrui danno. Tale profitto non deve essere necessariamente materiale o immediato. Anche l’assunzione di un’obbligazione di natura patrimoniale da parte della vittima, se ottenuta con la forza, costituisce un profitto ingiusto che perfeziona il reato.

Nel caso specifico, la promessa di consegnare la droga, estorta con violenza, è stata considerata sufficiente a integrare l’estorsione consumata. A ciò si aggiungeva un elemento decisivo emerso dalle intercettazioni: la vittima aveva consegnato un quantitativo di sostanza a titolo di “assaggio” e prova di qualità per le future forniture. Questa consegna, seppur parziale, è stata ritenuta la prova definitiva della consumazione del reato.

L’Inapplicabilità della Desistenza Volontaria

Di conseguenza, anche il terzo motivo è stato respinto. La desistenza volontaria è una figura giuridica che si applica esclusivamente al delitto tentato. Poiché la Corte ha accertato che il reato di estorsione si era già consumato con la promessa coatta e la consegna del campione, non era logicamente possibile parlare di desistenza da un reato già perfezionato.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano su una lettura sostanziale del reato di estorsione. Il patrimonio della vittima, inteso in senso ampio come l’insieme dei rapporti giuridici attivi e passivi, viene leso non solo da una perdita economica immediata, ma anche dall’assunzione forzata di un debito o di un’obbligazione futura. La violenza o la minaccia che costringono la vittima a impegnarsi in tal senso realizzano già l’ingiusto profitto per l’estorsore e il danno per la vittima.

La Corte ha inoltre sottolineato la genericità del ricorso, che si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già respinte dalla Corte d’Appello, senza confrontarsi specificamente con la logica e completa motivazione della sentenza impugnata. Questo approccio, secondo i giudici, equivale a chiedere un riesame del merito, inammissibile in sede di legittimità.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

La sentenza consolida un importante principio: per aversi estorsione consumata, non è necessario attendere l’adempimento completo della prestazione estorta. Il reato è già perfetto quando la volontà della vittima viene piegata dalla minaccia, costringendola a entrare in un rapporto obbligatorio svantaggioso. Questa pronuncia ha implicazioni significative, poiché rafforza la tutela delle vittime e chiarisce che anche la sola promessa estorta, se provata, è sufficiente per una condanna per il reato consumato, non solo tentato.

Quando si considera consumato il reato di estorsione?
Il reato di estorsione si considera consumato nel momento in cui l’autore consegue l’ingiusto profitto. Secondo la sentenza, questo avviene non solo con la ricezione materiale di un bene, ma anche quando la vittima, a causa della violenza o della minaccia, assume un’obbligazione patrimoniale, come quella di promettere una futura consegna.

Le intercettazioni disposte in un altro procedimento penale sono sempre utilizzabili?
Sì, a condizione che vengano rispettati i requisiti procedurali. La Corte ha chiarito che è sufficiente depositare le registrazioni e i verbali delle intercettazioni. Il deposito solo parziale del decreto di autorizzazione, specialmente se parti di esso sono secretate, non rende automaticamente la prova inutilizzabile, a meno che la difesa non dimostri un concreto pregiudizio al proprio diritto.

È possibile invocare la desistenza volontaria se il reato di estorsione è già stato consumato?
No. La Corte ha specificato che la desistenza volontaria è una causa di non punibilità applicabile esclusivamente al delitto tentato. Una volta che l’estorsione si è perfezionata (in questo caso, con la promessa estorta e la consegna di un campione), il reato è consumato e non è più possibile “desistere” da un’azione criminale già completata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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