Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23116 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23116 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Napoli il 30/10/1997
avverso la sentenza emessa in data 24/09/2024 dalla Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che il procedimento si celebra con contraddittorio scritto, senza la presenza delle parti, in mancanza di rituale richiesta di trattazione orale secondo quanto disposto dagli artt. 610, commi 1 e 5 e 611, comma 1, cod. proc. pen.; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte depositate in data 19/05/2025 con le quali il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso;
preso atto che il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME non ha depositato conclusioni scritte.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza emessa in data 05/07/2022, all’esito di giudizio abbreviato, dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Napoli nei confronti di NOME COGNOME così statuiva:
-confermava il giu dizio di responsabilità a carico dell’imputato per il delitto di estorsione in danno di NOME COGNOME, aggravato dall’avere commesso il fatto in più persone riunite;
previo riconoscimento di attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla ritenuta aggravante, rideterminava la pena inflitta in anni due mesi quattro di reclusione ed euro 600,00 di multa, con revoca della pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per anni cinque.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, tramite il difensore di fiducia, articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) e e), cod. proc. pen., la violazione de ll’art. 629 cod. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per avere la Corte di appello ritenuto sussistente il delitto di estorsione con minaccia implicita, anziché riqualificare il fatto nella fattispecie di truffa.
Rileva il ricorrente che dalla querela sporta da NOME COGNOME emerge che costui si determinava a corrispondere la somma di euro 256,00 per effetto della condotta simulatoria dell’imputato e del correo che , con artifizi e raggiri, gli facevano credere di avere effettivamente cagionato un sinistro stradale.
La volontà di COGNOME non è stata, quindi, coartata ma piuttosto manipolata, tanto è vero che, a seguito della elargizione della somma a titolo di risarcimento del danno per il danneggiamento dello specchietto retrovisore, gli imputati avevano rilasciato una quietanza di avvenuto pagamento, condotta che non è certo sintomatica di un pagamento estorto.
Anche a volere ritenere che la persona offesa sia stata vittima di minaccia implicita, la Corte di appello non ha considerato il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui il delitto di estorsione non si configura se il destinatario della pretesa vessatoria non si trovi nelle condizioni di dovere adempiere a quanto richiesto come unico modo per evitare un pregiudizio diretto ed immediato. Lo stesso COGNOME ha riferito di avere chiesto agli imputati di seguirlo presso la sua abitazione ove custodiva il denaro da corrispondere e che costoro lo avevano assecondato attendendolo in un parco vicino, sicchè egli ben
avrebbe potuto non versare la somma richiesta e rimanere nella propria casa, avvisando le forze dell’ordine .
2.2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 62 n. 6 cod. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di mancato riconoscimento della attenuante del risarcimento del danno che avrebbe dovuto essere concessa atteso che l’imputato, ben prima del giudizio, e cioè a seguito della notifica dell’avviso di conclusione indagini, ha depositato presso la polizia giudiziaria la copia della missiva inviata alla persona offesa e del vaglia postale di euro 300,00 effettuato in favore di costei e costituente offerta reale.
Considerato che la medesima somma è stata offerta anche dal coimputato NOME COGNOME il danno cagionato alla persona offesa (che ha dichiarato di avere ricevuto la somma complessiva di euro 600,00 a titolo di risarcimento dei danni, come da comunicazione via mail allegata al presente ricorso) è stato integralmente risarcito in misura di gran lunga superiore a ll’importo estorto .
2.2. Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 629 cod. pen e la mancanza di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della attenuante della lieve entità, introdotta a seguito dell’intervento additivo della Corte Costituzionale operato con sentenza del 24/05/2023 n. 120.
Rileva il ricorrente che la pronuncia di cui sopra è intervenuta successivamente al deposito dell’atto di appello, la richiesta di riconoscimento di tale diminuente è stata avanzata in sede di discussione nel giudizio di appello ed il collegio di merito non si è pronunciato su tale istanza che era accoglibile in ragione della scarsa caratura criminale dell’imputato e del modesto esborso di denaro da parte della persona offesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto si risolve nella pedissequa reiterazione di censura di merito già prospettata nell’atto di appello e disattesa dalla Corte di appello con argomentazioni corrette in punto di ricostruzione della vicenda (aderente ai dati probatori, non contestati dal ricorrente) ed in punto di qualificazione giuridica del fatto in termini di estorsione nella forma della minaccia implicita, anziché in truffa.
Con tale apparato motivazionale il ricorrente non si confronta, sicchè la doglianza deve considerarsi, da un lato, non specifica in quanto omette di assolvere la tipica funzione di critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso e, dall’altro, volta di fatto a sollecitare una rilettura degli elementi di prova che non è consentita
in questa sede laddove il giudice di merito abbia proceduto, come nella specie, ad una valutazione degli stessi, puntuale e non manifestamente illogica.
La Corte di appello (pagine da 4 a 7 della sentenza), con indagine di merito effettuata prendendo in esame le connotazioni concrete del fatto, così come ricostruito sulla scorta della deposizione della persona offesa (la cui attendibilità non è contestata dal ricorrente), ha evidenziato che la condotta dell’imputato e del correo era consistita non in una manipolazione, bensì in una progressiva coercizione della volontà di NOME COGNOME nella forma della minaccia implicita. Operando in una corretta ottica di valutazione congiunta (anziché parcellizzata) delle risultanze processuali, il collegio di merito ha descritto compiutamente la concreta efficacia via via coercitiva e non meramente fraudolenta dell’azione nei confronti della persona offesa dando rilievo alle circostanze di tempo e di luogo dell’avvicinamento ( avvenuto di notte, in zona isolata) da parte di tre soggetti (di evidente superiorità fisica) che dapprima le intimavano perentoriamente di scendere dall’auto e le puntavano il cellulare allo scopo di farle credere che la sua condotta di guida fosse stata registrata, poi avanzavano una richiesta di denaro per un asserito danno allo specchietto del veicolo sul quale i tre viaggiavano e progressivamente ribadivano tale pretesa economica in modo sempre più aggressivo chiedendole di seguirli dal proprio meccanico di fiducia ed arrivando ad accerchiarlo. In tale contesto, COGNOME aveva riferito che -ancorchè certo di non avere cagionato alcun danno (elemento già di per sé idoneo ad escludere l’induzione in errore che contraddistingue il reato di truffa) , ma assai impaurito e temendo atti violenti -aveva maturato il convincimento di non avere altra alternativa se non quella di corrispondere la somma richiesta, prelevata dalla sua abitazione ove i tre soggetti lo avevano seguito, venendo in tal modo anche a conoscenza del suo luogo di dimora, sicchè il pagamento aveva costituito l’unico modo per evitare un pregiudizio diretto ed immediato.
Si tratta di un costrutto argomentativo non solo privo di profili contraddittori ed incoerenti, ma anche in linea con le indicazioni ermeneutiche dettate dalla giurisprudenza di legittimità (che il Collegio condivide) secondo cui il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione è rappresentato dalla concreta efficacia coercitiva, e non meramente manipolativa, della condotta minacciosa rispetto alla volontà della vittima, da valutarsi con verifica “ex ante”, che prescinde dalla effettiva realizzabilità del male prospettato (Sez. 2, n. 11453 del 17/02/20216, COGNOME, Rv. 267124; Sez. 2, n. 46084 del 21/10/2015, COGNOME, Rv. 265362; Sez. 2, n. 7662 del 27/01/2015, COGNOME, Rv. 262574).
Si è affermato, in particolare, che l’inquadramento del fatto in truffa piuttosto che in estorsione è un’indagine di merito che deve essere effettuata prendendo in esame proprio le circostanze del caso concreto ovvero il diverso modo di
atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva della vittima: ricorre la prima ipotesi delittuosa se il male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non è coartata, ma si determina alla prestazione, costituente l’ingiusto profitto dell’agente, perché indotta in errore dalla esposizione di un pericolo inesistente; mentre si configura l’estorsione se la volontà risulta non manipolata, ma piegata dal male prospettato (indicato come certo e realizzabile ad opera del reo), sicchè la persona offesa è posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all’agente il preteso profitto o di subire il male minacciato.
L’apparato motivazionale della sentenza impugnata è altrettanto in linea con l’indirizzo interpretativo consolidato di questa Corte (che si ribadisce) secondo cui la minaccia costitutiva del delitto di estorsione oltre che essere esplicita, palese e determinata, può essere manifestata – proprio come avvenuto nel caso di speciein maniera implicita, larvata, indiretta ed indeterminata, laddove – in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima ed alle condizioni ambientali in cui opera- essa sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo (Sez. 2, n. 11912 del 12/12/2012, COGNOME, Rv. 254797, Sez. 2, n. 19724 del 20/05/2010, COGNOME, Rv. 247117; Sez. 2, n. 37526 del 16/6/2004, COGNOME, Rv. 229727).
E’ invece fondato il secondo motivo di ricorso in punto di mancato riconoscimento da parte della Corte di merito dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen.
La diminuente era invocata con l’atto di appello al quale risulta allegata documentazione attestante che l’imputato ed il correo avevano corrisposto, ciascuno, alla persona offesa la somma di euro 300,00, materialmente ricevuta ed accettata da quest’ultima ; agli atti del fascicolo emerge inoltre, come richiamato nell’atto di gravame, l’avvenuto deposito in sede di udienza preliminare (verbale 22/02/22) di invio di contrassegno per euro 300,00 da parte dell’odierno ricorrente in favore di NOME COGNOME avvenuto in data 8 gennaio 2021 e, cioè, in epoca addirittura antecedente alla richiesta di rinvio a giudizio.
Il collegio di merito non si è confrontato con tale documentata deduzione difensiva, limitandosi ad un diniego della invocata attenuante in quanto, a prescindere dalla congruità della somma corrisposta, l’azione riparatoria non era avvenuta prima del giudizio, così omettendo la valutazione del carteggio introdotto nel corso dell’udienza preliminare (prima dell’ammissione al rito abbreviato) e quello successivamente allegato all’atto di appello.
La sentenza impugnata va dunque annullata sul punto con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli che, alla luce della documentazione difensiva, rivaluterà il carattere tardivo o meno dell’azione riparatoria e la sua portata integralmente risarcitoria, anche in considerazione della natura plurioffensiva dell’illecito contestato.
Inammissibile perché non consentito è il terzo motivo di gravame con il quale si censura il mancato riconoscimento della attenuante della lieve entità introdotta a seguito dell’intervento additivo della Corte Costituzionale operato con sentenza del 24/05/2023 n. 120, emessa successivamente alla proposizione dell’atto di appello (depositato presso il giudice a quo in data 17/11/2022) .
Dall’esame del fascicolo processuale, non risulta (né tantomeno il ricorso lo documenta) che la questione sia stata dedotta dinanzi al giudice di secondo grado in sede di motivi aggiunti, che pure sarebbe stato possibile, ovvero in sede di conclusioni scritte rassegnate per l’udienza del 24/09/2024 , essendosi definito il giudizio nelle forme del c.d. rito cartolare, sicché non è deducibile in questa sede l’omessa motivazione del giudice di appello in ordine al denegato riconoscimento di tale diminuente ove la questione, già proponibile in quella sede, non è stata prospettata (in tal senso Sez. 2, n. 19543 del 27/03/2024, G., Rv. 286536 ed anche Sez. 2, n. 44819 del 20/11/2024, Rodi, non mass. con riferimento alla analoga diminuente prevista per il reato di rapina).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’applicabilità dell’art. 62 n. 6 cod. pen. con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Napoli. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto. Dichiara definitivo l’accertamento di responsabilità.
Così deciso il giorno 04/06/2025