Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 20487 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 20487 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/04/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a Enna il DATA_NASCITA, avverso la sentenza del 31/10/2023 della Corte di appello di Torino; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME; sentito il Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; sentito il difensore, AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Torino, in esito a giudizio abbreviato, ha confermato la sentenza del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Torino, emessa 1’11 marzo 2022, che aveva condannato il ricorrente alla pena di giustizia in relazione al reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso, per avere, in concorso con COGNOME NOME, separatamente giudicato, costretto COGNOME NOME a versare somme di danaro a titolo di pizzo in cambio di protezione per la sua persona fisica e per l’attività esercitata di noleggio automobili.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, deducendo:
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità.
La Corte avrebbe attribuito attendibilità alla persona offesa senza tenere conto della critiche difensive volte a mettere in luce come COGNOME NOME fosse soggetto pluripregiudicato, inserito in ambienti criminali, aduso alle truffe e interessato all’esito del processo;
violazione di legge e vizio di motivazione per non avere la Corte adeguatamente valorizzato la versione del ricorrente, secondo la quale le somme di danaro che la persona offesa aveva consegnato a NOME COGNOME, avrebbero fatto parte di un accordo lecito intercorso tra le parti, così come aveva ritenuto il Giudice per le indagini preliminari in fase cautelare, rilevando l’assenza di gravi indizi colpevolezza.
In particolare, non sarebbero stati chiariti i rapporti tra la vittima e NOME COGNOME, che la stessa persona offesa, in parte delle sue dichiarazioni ed in alcune intercettazioni, aveva ricostruito in chiave lecita e non estorsiva, quali somme per provvigioni dovute al procacciamento di clienti ai quali COGNOME NOME noleggiava automobili.
Inoltre, la Corte non avrebbe tenuto conto del rapporto di amicizia intercorrente tra quest’ultimo ed il ricorrente, siccome risultante da alcuni dialoghi intercetta da quest’ultimo.
Inoltre, la Corte avrebbe equivocato le ragioni del risentimento di COGNOME verso la persona offesa manifestato in un preciso incontro avvenuto tra le parti al ristorante “RAGIONE_SOCIALE“, non riferibile al fatto che la vittima non pagava le somme d danaro asseritamente estortegli ma ad altre causali alle quali il ricorrente era estraneo.
Ancora, la persona offesa in nessun caso aveva fatto riferimento a minacce o violenze ricevute da COGNOME o dall’imputato e del fatto di aver subito un danno. Infine, la Corte non avrebbe valutato a dovere la documentata natura amicale e disinteressata dei rapporti tra la persona offesa ed il ricorrente, idonea ad elider
anche l’elemento soggettivo del reato, non sovrapponibile a quello del coimputato COGNOME;
violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza dell’aggravante dell’uso del metodo mafioso ed al trattamento sanzionatorio.
Le emergenze processuali, oltre a dimostrare l’assenza di violenza o minaccia nei confronti della vittima, non avrebbero fatto emergere alcuna condotta dell’imputato evocativa della presenza di una associazione mafiosa, non riferibile al ricorrente e neanche all’COGNOME con riferimento al periodo di interesse processuale.
Si sarebbe erroneamente fatto riferimento al concetto di estorsione “ambientale” senza tenere conto della personalità della vittima e del contesto lecito di riferimento.
Infine, la Corte di appello, a seguito della sentenza della Corte costituzionale del 24 maggio 2023 n. 120, avrebbe dovuto ricondurre il fatto all’ipotesi di estorsione di lieve entità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è proposto per motivi nel complesso infondati.
1.1. E’ necessario premettere, per le refluenze decisive sull’esito del ricorso, che il ricorrente è stato condannato nei due gradi di merito con conforme giudizio.
La pacifica giurisprudenza di legittimità, ritiene che, in tal caso, le motivazioni de sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrino a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello, come nel caso in esame, abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Cass. pen., sez. 2″, n. 1309 del 22 novembre 1993, dep. 4 febbraio 1994, COGNOME ed altri, rv. 197250; sez. 3″, n. 13926 del 1 dicembre 2011, dep. 12 aprile 2012, NOME, rv. 252615).
Si osserva, ancora, che la doppia conformità della decisione di condanna dell’imputato, ha decisivo rilievo con riguardo ai limiti della deducibilità cassazione del vizio di travisamento della prova lamentato dal ricorrente.
E’ pacifico, infatti, nella giurisprudenza di legittimità, che tale vizio può ess dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta doppia conforme, sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo
giudice (cosa non verificatasi nella specie), sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, COGNOME; Sez.4, n. 44765 del 22/10/2013, COGNOME).
Nel caso in esame, il travisamento della prova sarebbe relativo alle dichiarazioni della persona offesa ed al contenuto delle intercettazioni.
In proposito, deve ricordarsi il principio, ancora di recente ribadito, secondo cui in tema di valutazione della prova testimoniale, l’attendibilità della persona offesa dal reato è questione di fatto, non censurabil in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo “id quod plerumque accidit”, ed insuscettibili di verific empirica, od anche ad una pretesa regola AVV_NOTAIO che risulti priva di una pur minima plausibilità (Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609).
Le dichiarazioni della persona offesa, ritenute attendibili dai giudici di merit quand’anche non assistite da riscontri esterni – in questo caso, peraltro, presenti, essendo state richiamate diverse circostanze tratte dalle intercettazioni – possono anche da sole sostenere il giudizio di condanna, secondo pacifici principi da lungo tempo affermati ed oramai consolidati nella giurisprudenza di legittimità, a partire da Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, secondo la quale, le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in ta caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone.
Infine, è noto che secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, cui anche il Collegio aderisce, in materia di intercettazioni l’interpretazione de linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità se motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime d esperienza (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337; Sez.6 n.11794 del 11/02/2013, COGNOME, Rv. 254439).
1.2. Fatte queste premesse, rese necessarie dalla tipologia delle censure difensive, il Collegio non rileva macroscopici vizi di travisamento della prova dichiarativa e delle intercettazioni.
L’attendibilità della persona offesa COGNOME NOME è stata ampiamente esaminata dai giudici di merito, i quali l’hanno riconosciuta con conforme giudizio anche sulla base di una serie di riscontri esterni evidenziati dalla sentenza impugnata.
In primo luogo, risulta incontestata la circostanza che la vittima, a più riprese tra il mese di luglio del 2018 ed il Natale del 2019, aveva versato ad COGNOME NOME, anche per il tramite dell’odierno ricorrente, somme di danaro pari a 500 euro mensili o, in qualche caso, somme inferiori.
Tanto si rileva non solo dalle dichiarazioni del COGNOME, ma anche dal contenuto di alcuni dialoghi intercettati nei quali lo stesso COGNOME NOME, almeno in due occasioni avvenute nel marzo del 2019, si lamentava con due diversi interlocutori del fatto che la persona offesa non gli pagava più i 500 euro mensili. La figura di COGNOME NOME – coimputato separatamente giudicato che aveva rapporti diretti con il ricorrente, mai chiariti dalla difesa, il quale ultimo, volta, era in rapporti amichevoli con COGNOME NOME NOME è stata lumeggiata dalle sentenze di merito.
Si trattava di soggetto già condannato per associazione mafiosa, per avere avuto un ruolo di rilievo nell’ambito della storica famiglia di RAGIONE_SOCIALE, condannato al primo famoso nnaxi-processo a RAGIONE_SOCIALE del 1992 ed anche in altra sede, oltre che per il reato di omicidio.
Questi aveva scontato lunghi anni di reclusione (circa 30 si è specificato a fg. 13 della sentenza impugnata) e si trovava a Torino – luogo del commesso reato – in regime di sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno in epoca coeva ai fatti per cui si procede (fg. 3 della sentenza di primo grado) ed a Torino erano emersi i suoi rapporti con soggetti appartenenti ad ambienti criminali organizzati di matrice calabrese.
Lo spessore criminale di COGNOME NOME era noto alla persona offesa COGNOME NOME, altra circostanza non contestata dalla difesa del ricorrente.
Vi è un nucleo centrale delle dichiarazioni della vittima che i giudici di merit hanno valorizzato sopra ogni altro, attribuendogli un significato accusatorio che resiste ad ogni contraria obiezione.
A fronte delle emergenze oggettive appena indicate, la persona offesa aveva dichiarato che attraverso l’imputato – il quale aveva fatto intervenire COGNOME era riuscito a risolvere due situazioni conflittuali venutisi a creare con dei clie nell’ambito della sua attività lavorativa di noleggio di automobili (fg. 7 del sentenza impugnata).
Dopo questi episodi, COGNOME NOME aveva raccontato che, in una specifica occasione, aveva incontrato COGNOME ed COGNOME, i quali, nel ricordargli l’utili della loro “collaborazione”, gli avevano prospettato “una vera e propria protezione per i problemi attuali e quelli futuri, con il pagamento di mille euro a mese. COGNOME cercava di limitare i danni e consapevole che non avrebbe potuto respingere del tutto la pretesa, cercava di legarla alla presentazione di clienti da parte di COGNOME e di diminuire l’esborso a 500 euro per ogni contratto andato a buon fine” cosa che, tuttavia, non aveva modificato la “sostanza dell’accordo” (fgg. 7 e 8 della sentenza impugnata); “in pratica mi dissero che per stare tranquillo bastava la loro presenza a garantire la mia persona e la mia ditta da eventuali problemi” (fg. 11 della sentenza impugnata).
Si ha dunque, secondo la ricostruzione accusatoria delle sentenze di merito, una delle più classiche dinamiche estorsive di tipo mafioso: somme di denaro richieste ad un commerciante in cambio di protezione per la sua attività (il contratto di protezione ampiamente esaminato in numerose occasioni giudiziarie).
Per di più, la richiesta estorsiva – alla quale era seguita la dazione di danaro dell vittima – era stata veicolata, oltre che dall’imputato, da un soggetto criminale di rango mafioso il cui spessore era noto alla persona offesa, così da non doversi ricorrere ad alcuna minaccia esplicita; il quale soggetto (COGNOME NOME), peraltro – a conferma del suo ruolo – aveva già agito in favore della vittima in due occasioni, proprio a tutela della medesima da indebite azioni di terzi e, pertanto, proprio a sua protezione.
1.2. La sentenza impugnata, sulla base di tali emergenze, ha ritenuto integrato il reato contestato, uniformandosi alla pacifica giurisprudenza di legittimità neanche contestata in ricorso.
I giudici della Corte di appello e del Tribunale hanno anche mostrato di tenere in considerazione la diversa ricostruzione difensiva, basata sui tentativi della persona offesa, successivi alle prime dichiarazioni accusatorie, di minimizzare l’accaduto e di alleggerire la posizione del ricorrente, del quale era e continuava ad essere amico (circostanza idonea, letta a favore dell’accusa, ad elidere il rischio di dichiarazioni calunniose contro l’imputato ed a giustificare la mancata costituzione di parte civile e, con essa, ad escludere ogni interesse per l’esito del processo in capo alla vittima, come evidenziato dai giudici di merito con logica deduzione).
Tuttavia, il nucleo decisivo delle prove a carico non è risultato scalfito e ciò pe il fatto che NOME NOME non aveva mai rinnegato gli elementi decisivi prima sintetizzati.
La Corte ha, inoltre, escluso – nel merito ed anche esaminando la tempistica delle dazioni di danaro ad COGNOME riferite dalla persona offesa (anche a Pasqua ed a Natale del 2019, su sollecitazione del ricorrente) e non contestate in ricorso – che gli esborsi potessero collegarsi ad attività lecita di procacciatore di clien svolta dal coimputato in favore del COGNOME, mai documentata in modo adeguato e comunque non proporzionata al numero delle dazioni.
Con il che, la sentenza impugnata non soffre di vizi logico-ricostruttivi e giuridic con assorbimento di ogni altra censura difensiva inerente al giudizio di responsabilità, anche con riguardo alla sussistenza del dolo, avendo il ricorrente ampiamente dimostrato il suo concorso nel reato che aveva visto come protagonista COGNOME NOME, partecipando all’incontro decisivo nel quale era stata pianificata l’estorsione e sollecitando la persona offesa a pagare alcune rate in favore del correo, secondo quanto sintetizzato a fg. 11 della sentenza impugnata.
Il secondo motivo è manifestamente infondato.
2.1. Le dinamiche interne alla vicenda processuale, siccome ricostruita nei termini detti, hanno condotto i giudici di merito a ritenere sussistente l’uso del metodo mafioso nel semplice fatto, per nulla velato, che ad agire era stato un soggetto criminale di notevole spessore, il cui ruolo in RAGIONE_SOCIALE – quand’anche non attuale secondo la difesa – era noto alla vittima; costui era stato affiancato dal ricorrente, il quale si rapportava più amichevolmente alla persona offesa per indurla a rispettare il patto illecito, consistente nell’assicurare protezione cambio di danaro, prospettiva possibile solo attraverso la capacità di controllo del territorio tipico delle associazioni criminali mafiose, così implicitament evocate dalla stessa natura del patto.
Di tal che, non si aveva avuta necessità di alcuna esplicita minaccia, senza che questa circostanza di fatto potesse escludere la sussistenza del reato e dell’aggravante contestata.
Ne consegue che i giudici di merito, con conforme giudizio, hanno reso una motivazione conforme alle regole giurisprudenziali, secondo le quali la minaccia estorsiva può essere anche implicita o addirittura “silente” ed è permeata da metodo mafioso quando il tenore della minaccia, calata in un determinato contesto ambientale, faccia implicitamente evocare che essa non sia frutto di una azione isolata del singolo artefice, ma si inserisca o alluda ad un contesto criminale di tipo organizzato (cfr., Sez. 5, Sentenza n. 17081 del 26/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263701 Massime precedenti Conformi: N. 38964 del 2013 Rv. 257760; Sez. 1, n. 17532 del 02/04/2012, COGNOME, Rv. 252649. Vedi, anche, Sez. 2, n. 21707 del 17/04/2019, COGNOME, Rv. 276115; Sez. 2, n. 26002 del 24/05/2018, COGNOME, Rv. 272884; Sez. 3, n. 44298 del 18/06/2019, COGNOME, Rv. 277182).
2.2. Il trattamento sanzionatorio, tenuto conto della sussistenza dell’aggravante “privilegiata” dell’uso del metodo mafioso, è al minimo edittale e di tanto il ricorrente non ha ragione di dolersi.
2.3. Che l’estorsione per cui si procede possa essere ascritta all’ipotesi di lieve entità, oltre ad essere una invocazione difensiva che non risulta essere stata prospettata alla Corte di appello in sede di discussione – tenutasi dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 120 del 24 maggio 2023 – è una prospettiva giuridicamente incompatibile con la ritenuta aggravante, che dimostra la gravità del fatto.
In questo senso si è già espressa la giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, n. 32569 del 16/06/2023, Aguì, Rv. 284980).
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 17.04.2024.