Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 12450 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 12450 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/02/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
UP – 14/02/2025
R.G.N. 38755/2024
SANDRA RECCHIONE
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da
COGNOME Franco nato a Potenza il 16/06/1969 rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME di fiducia avverso la sentenza emessa 16/09/2024 dalla Corte di appello di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
preso atto che il procedimento si celebra nella forma della trattazione orale a seguito di rituale richiesta dei difensori del ricorrente ai sensi dell’art. 611, commi 1 -bis e 1-ter, cod. proc. pen. udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
udita la requisitoria con la quale il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso chiedendo declaratoria di inammissibilità dei ricorsi riportandosi alla memoria scritta già depositata in data 02/01/2025;
udita la discussione dell’avv. NOME COGNOME comparso in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME difensore delle parti civili che ha chiesto declaratoria di inammissibilità dei ricorsi e ha depositato conclusioni scritte con nota spese;
udita la discussione dei difensori del ricorrente, avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME che hanno chiesto l’accoglimento dei ricorsi;
letta la memoria scritta depositata in data 03/02/2025 dall’avv. NOME COGNOME COGNOME in replica a quella depositata dal sostituto Procuratore generale.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Salerno, giudicando a seguito di annullamento con rinvio per nuovo giudizio disposto con sentenza della Corte di cassazione in data 15/02/2024, confermava la pronuncia del 21/07/2020 del Tribunale di Potenza che aveva dichiarato COGNOME NOME responsabile del delitto di estorsione continuata in forma consumata e tentata, aggravata ai sensi dell’art. 416 bis.1 cod. pen. (capi A e C), con condanna alla pena di anni sei di
reclusione ed euro 2.000,00 di multa.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME COGNOME, tramite i difensori fiduciari.
Con atto a firma avv. NOME COGNOME sono proposti cinque motivi.
3.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione di legge in relazione alla regola di giudizio di cui all’art. 192 codice di rito e al disposto di cui all’art. 629 cod. pen., nonchØ contraddittorietà e illogicità della motivazione con riferimento al giudizio di responsabilità per l’addebito di estorsione, in forma consumata e tentata, contestato al capo A) di imputazione.
La Corte di appello non ha proceduto, o comunque lo ha fatto solo apparentemente, al vaglio di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa COGNOME COGNOME che avrebbe dovuto essere particolarmente penetrante atteso che questi ha denunciato le richieste estorsive a distanza di tempo da quando erano state avanzate e solo dopo gli episodi di esplosione della bomba carta e di aggressione in danno del cognato COGNOME, avvenuti nel marzo 2012, che lo avevano suggestionato e indotto ad individuare in COGNOME il responsabile degli stessi quale forma di ritorsione rispetto al mancato adempimento delle richieste. Tuttavia, COGNOME Ł stato assolto dal primo fatto, mentre il secondo fatto Ł collegato ad una vicenda del tutto estranea ai rapporti tra l’imputato e COGNOME
I giudici di secondo grado hanno omesso di considerare l’eventualità che le richieste di denaro avanzate dall’imputato fossero, invece, del tutto lecite e prospettate come meri atti di liberalità che la persona offesa ha, invece, ricostruito in termini estorsivi solo ex post e cioŁ a seguito dei due episodi di cui sopra.
Le dichiarazioni di COGNOME sono peraltro sfornite di riscontri in quanto accompagnate solo dal narrato de relato di COGNOME che, tuttavia, trova la sua fonte in quanto riferitogli dallo stesso COGNOME.
¨ macroscopicamente illogica la motivazione della sentenza impugnata laddove individua quale elemento di conferma il fatto che NOME, nel periodo di carcerazione, sia stato percettore di somme di denaro, in quanto la stessa persona offesa aveva riferito di non avere dato seguito alla richiesta di euro 5.000,00 da destinare al pagamento delle spese legali sostenute dal NOME.
3.2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione di legge in relazione alla regola di giudizio di cui all’art. 192 codice di rito e al disposto di cui all’art. 629 cod. pen., nonchØ carenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione con riferimento al giudizio di responsabilità per l’addebito di estorsione contestato al capo C) di imputazione.
Con riferimento alla vicenda oggetto dell’addebito estorsivo sub C), dalla stessa ricostruzione della vicenda operata dalla Corte di appello emerge che le persone offese avevano con l’imputato cointeressenze illecite con riferimento a truffe assicurative ed avevano rifiutato di rendere dichiarazioni mendaci strumentali alla realizzazione delle condotte fraudolente; costoro sono state indagate per tali reati, probatoriamente connessi con quelli oggetto del presente giudizio, con successiva archiviazione, sicchØ potevano essere escussi in qualità di testimoni ma le loro dichiarazioni richiedevano riscontri dovendosi applicare la regola di giudizio di cui all’art. 193, comma 3, cod. proc. pen. al pari degli imputati di reato connesso.
3.3. Con il terzo e quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen, la violazione di legge in relazione alla regola di giudizio di cui all’art. 192 codice di rito e al disposto di cui all’art. 7 legge n. 203 del 1991, nonchØ carenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione con riferimento alla sussistenza della aggravante del c.d. metodo mafioso per gli
addebiti di estorsione contestati ai capi A) e C) di imputazione.
La Corte territoriale ha esaminato il profilo della aggravante contestata solo in relazione ai motivi di appello prospettati dal codifensore avv. COGNOMEil quale aveva censurato la sussistenza delle circostanze fattuali sulla scorta delle quali il giudice di primo grado aveva ritenuto di fondare l’aggravante in questione), omettendo di valutare la doglianza dedotta nell’appello a firma avv. COGNOME con la quale si censurava la inidoneità di dette circostanze fattuali, anche ove ritenute sussistenti, a configurare il c.d. metodo mafioso.
La sentenza impugnata ha apoditticamente affermato che le circostanze erano dimostrative del c.d. metodo mafioso, senza tuttavia argomentare sul punto e senza confrontarsi con gli approdi della giurisprudenza di legittimità secondo cui per integrare l’aggravante in parola non Ł sufficiente il mero collegamento degli autori della condotta estorsiva a contesti di criminalità organizzata o la mera ‘caratura mafiosa di costoro’ occorrendo, invece, l’impiego della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo in modo incidente e collegato causalmente alla consumazione del reato stesso.
Nel caso di specie, tali connotazioni non si rinvengono: non sono infatti significative di utilizzo del metodo mafioso la circostanza che in piø occasioni l’imputato si sia recato presso l’abitazione di Cerverizzo insieme a Troia NOME (ciò integra semplicemente l’aggravante dell’avere commesso il fatto in piø persone riunite), la fame criminale di COGNOME, la conversazione valorizzata dalla Corte di appello nella quale l’imputato riferisce a tale Andrea ‘se ti fa i nomi di NOME, NOME e NOME, devi dire: io sono parente a NOME; la richiesta a COGNOME (il quale aveva corrisposto di spontanea volontà la somma di 2.000,00 euro) di denaro per una colletta a favore degli ‘amici detenuti’.
L’imputato non ha mai alluso alla sua appartenenza ad associazione mafiosa, nØ la persona offesa ha mai percepito tale circostanza.
Del resto, la mera evocazione di appartenenza ad associazioni che utilizzano il metodo mafioso non Ł sufficiente a fondare l’aggravante, sicchØ anche con riferimento al capo C) essa non può essere identificata nella mera circostanza, valorizzata dalla Corte di appello, per cui la persona offesa COGNOME NOME Francesco sarebbe stato minacciato di essere sciolto nell’acido.
3.4. Con il quinto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione di legge in relazione all’art. 63, comma quarto, cod. pen. e l’assenza di motivazione in ordine alla censura proposta nell’atto di appello con la quale si deduceva che il primo giudice non aveva applicato il criterio moderatore previsto nel caso di concorso di piø circostanze ad effetto speciale.
Con atto a firma avv. NOME COGNOME sono proposti sei motivi.
4.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione di legge in relazione agli artt. 110 e 629 cod. pen., l’illogicità della motivazione e il travisamento delle prove con riferimento all’addebito estorsivo di cui al capo A).
La Corte di appello ha ritenuto infondata la tesi difensiva volta ad escludere la presenza dell’imputato COGNOME all’incontro tra COGNOME NOME e la persona offesa COGNOME avvenuto alla fine del 2001 (trattasi del primo degli episodi contestati al capo a), quando invece la stessa persona offesa (la cui narrazione Ł stata travisata) si Ł espressa proprio in tal senso.
In analogo travisamento sono incorsi i giudici di secondo grado con riferimento all’incontro presso l’Ospedale San Carlo: il teste COGNOME COGNOME non ha indicato, tra le persone presenti nell’occasione, l’imputato COGNOME il quale, dunque, non può avere pronunciato la frase ‘noi estorsioni non ne facciamo’ a lui attribuita.
Del pari travisata Ł la deposizione di COGNOME COGNOME il quale – ricevuta in prestito la somma di 5.000,00 euro da parte di COGNOME – avrebbe detto a quest’ultimo di non riferirlo a COGNOME e COGNOME in quanto temeva che costoro gli avrebbero sottratto tale denaro.
4.2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione di legge in relazione all’art. 629 cod. pen., nonchØ l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione in merito all’episodio relativo alla richiesta di euro 2.000,00 alla persona offesa COGNOME a titolo di colletta per gli amici in carcere rispetto al quale la Corte territoriale ha ritenuto sussistente una minaccia implicita.
La stessa persona offesa ha affermato in dibattimento che l’unico fatto che lo aveva impaurito era stata la frase ‘se vuoi lavorare devi fare mangiare’ pronunciata da Troia (recatosi presso la sua abitazione con la moglie) e che il cambiamento delle proprie abitudini di vita era da collegarsi all’episodio di danneggiamento del furgone dal quale, tuttavia, l’imputato COGNOME Ł stato assolto.
I giudici di secondo grado hanno evidenziato, a sostegno della ritenuta minaccia implicita, che la persona offesa era consapevole della caratura criminale di COGNOME, senza tuttavia indicare gli elementi concreti dai quali desumere tale assunto.
4.3. Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) cod. proc. pen., la violazione di legge in relazione agli artt. 56-629 cod. pen. con riferimento al capo A) di imputazione.
L’ultimo degli episodi contestati al capo A) di imputazione riguarda un tentativo di estorsione nel quale Ł addebitato all’imputato COGNOME di essersi recato, dopo l’arresto del Troia, presso l’abitazione di Cerverizzo chiedendogli la somma di euro 5.000,00 per spese legali e minacciandolo di fargli passare un mare di guai, prospettazione che si era poi effettivamente concretizzata con il danneggiamento di un furgone di sua proprietà, avvenuta con colpi di pistola e di un autocarro del cognato, realizzato facendo esplodere una bomba carta collocata al suo interno.
Tuttavia COGNOME Ł stato assolto con riferimento a tali fatti, sicchØ, secondo la difesa ricorrente, sarebbe venuta meno l’idoneità degli atti diretti in modo non equivoco a costringere la vittima a corrispondere la somma di denaro, da identificarsi, appunto, negli episodi di danneggiamento non attribuibili all’imputato.
Il tentativo di estorsione, quindi, non sussiste e al piø si configura il reato di minaccia per il quale difetta la condizione di procedibilità.
4.4. Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., la violazione di legge in relazione alla regola di giudizio di cui all’art. 192 codice di rito e del disposto di cui all’art. 629 cod. pen., nonchØ il travisamento di prove decisive con riferimento alla sussistenza dell’elemento oggettivo della estorsione contestata al capo C) di imputazione.
Le condotte minatorie e violente narrate dalla persona offesa COGNOME sono riferibili alle questioni relative a truffe assicurative che con l’estorsione non hanno nulla a che fare e con le quali quindi non vi Ł alcun nesso eziologico; nella testimonianza delle persone offese e nella deposizione del testimone COGNOME COGNOME non vi Ł, del resto, traccia delle intimidazioni ed aggressioni fisiche e comunque di richieste di denaro perentorie.
La ritenuta sussistenza di una minaccia funzionale ad ottenere una elargizione economica non si concilia, dunque, con le risultanze processuali.
4.5. Con il quinto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., la violazione di legge in relazione alla regola di giudizio di cui all’art. 192 codice di rito e all’art. 7 legge n. 203 del 1991, nonchØ la illogicità della motivazione con riferimento alla sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso la cui esclusione determinerebbe, da un lato, l’estinzione dei reati di estorsione per intervenuta prescrizione (maturata – con riferimento all’episodio tentato prima della sentenza di primo grado con i conseguenti risvolti in punto di statuizioni civili), dall’altro, la possibilità comunque di riconoscere in relazione all’estorsione di cui al capo C) l’attenuante del fatto lieve introdotta dalla Corte costituzionale con sentenza n. 120 del 2023 considerando che il profitto del reato Ł pari a soli 200 euro.
Rileva il ricorrente che la simultanea presenza dell’imputato COGNOME e del Troia agli incontri
con COGNOME non Ł stata accertata in dibattimento e, pur a volerla ritenere dimostrata, non Ł idonea ad integrare l’aggravante del metodo mafioso; che non si vede in cosa consista la ‘nomea criminale’ di COGNOME il quale non appartiene ad alcuna consorteria mafiosa, essendo stato assolto nel processo ‘COGNOME‘ ove era imputato anche COGNOME; che le richieste avanzate per sostenere i carcerati era giustificata, come riferito dalla stessa persona offesa, da un pregresso rapporta di conoscenza; che la frase di COGNOME nei confronti di COGNOME (‘ti sciolgo nell’acido’) si riferisce ad una vicenda diversa e cioŁ ad una rissa avvenuta in una sala slot per la quale l’imputato Ł stato assolto).
4.6. Con il sesto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione di legge in relazione all’art. 62-bis cod. pen. ed il vizio di motivazione.
La Corte di appello ha escluso il riconoscimento di attenuanti generiche effettuando un mero rinvio alla sentenza di primo grado, senza svolgere alcuna autonoma valutazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va complessivamente rigettato essendo i motivi proposti inammissibili, fatta, tuttavia, eccezione per quelli relativi alla sussistenza della aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. che sono, invece, infondati.
Il primo motivo del ricorso a firma avv. COGNOME ed il primo, il secondo ed il terzo motivo di quello a firma avv. COGNOME possono essere valutati congiuntamente in quanto correlati tra loro e riguardanti il giudizio di responsabilità in ordine ai reati di estorsione consumata e tentata contestati al capo A).
Si tratta di doglianze meramente reiterative di quelle già dedotte nell’atto di appello, oltre che volte a sollecitare in questa sede una non consentita rivisitazione di profili attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio, già vagliati ed affrontati con adeguata e logica motivazione dalla Corte di appello che non risulta essere incorsa nel travisamento delle prove e che ha correttamente ricondotto i fatti contestati al capo di imputazione sub A) nello schema legale della fattispecie di estorsione consumata e tentata.
2.1. Come Ł noto, per giurisprudenza pacifica di questa Corte, Ł inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa ripetizione di quelli già proposti nel giudizio di secondo grado e motivatamente disattesi, dovendo gli stessi considerarsi non specifici ma soltanto apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di impugnazione e difettano pertanto dei requisiti di cui all’art. 581, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. che impone l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta (cfr., ex multis, Sez. 2 n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710; Sez. 2 n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970; Sez. 3 n. 44882 del 10/07/2014, COGNOME, Rv. 260608; Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, COGNOME, Rv. 244181; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, COGNOME, Rv. 231708).
E’ altrettanto noto che non rientra nei poteri del giudice di legittimità quello di effettuare una rilettura degli elementi storico-fattuali posti a fondamento del motivato apprezzamento al riguardo svolto nell’impugnata decisione di merito, essendo il relativo sindacato circoscritto alla verifica dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari aspetti o segmenti del percorso motivazionale ivi tracciato (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794, successivamente Sez. 4, n. 31224 del 16/06/2016, Gorgoglione non mass; Sez. 2, n. 21644 del 13/02/2013, COGNOME ed altri, Rv. 255542, in motivazione).
L’accertamento di fatto Ł riservato esclusivamente alla fase della cognizione, sicchØ le censure
di merito agli apprezzamenti singoli e complessi sul materiale probatorio costituiscono motivi diversi da quelli consentiti (art. 606, comma 3, cod. proc. pen.). Il giudizio sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova Ł devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e la scelta che essi compiono, per giungere al proprio libero convincimento, con riguardo alla prevalenza accordata a taluni elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza od attendibilità degli assunti difensivi, quando non sorretta da affermazioni apodittiche od illogiche, si sottrae al controllo di legittimità della Corte Suprema.
Sono, pertanto, inammissibili tutte le doglianze che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove e che evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti della attendibilità, della credibilità e dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. In particolare, va richiamato e ribadito l’orientamento di questa Corte secondo il quale le doglianze relative alla violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., riguardanti la valutazione delle risultanze probatorie possono essere dedotte non con il motivo di violazione di legge, ma solo sotto l’aspetto del vizio motivazionale(Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191; Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 271294; Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567; Sez. 6, n. 7336 del 08/01/2004, Meta, Rv. 229159). Di recente, anche le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito detto principio, affermando che non Ł «consentito il motivo di ricorso con cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., ed in difetto di una espressa sanzione di inutilizzabilità, nullità, inammissibilità, decadenza» (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME Rv. 280027-04, in motivazione).
Quanto al vizio di travisamento, esso consiste in un errore percettivo (e non valutativo) della prova tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice ed il sillogismo che ad esso presiede e cioŁ nell’affermare come esistenti fatti certamente non esistenti ovvero come inesistenti fatti certamente esistenti. Come affermato dalla pronuncia Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, non mass. sul punto, il travisamento della prova sussiste quando emerge che la sua lettura sia affetta da errore “revocatorio”, per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformita cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato)’.
Allorquando si deduca il travisamento della prova, l’atto processuale che la incorpora deve essere allegato al ricorso (ovvero integralmente trascritto nel suo contenuto) e il dedotto errore sul significante deve essere tale da scardinare la logica del provvedimento creando una insanabile frattura tra il giudizio e le sue basi fattuali, così da incidere, quindi, sulla tenuta della motivazione.
2.2. Fatte queste premesse, necessarie in ragione della peculiare natura dei motivi in esame, Ł inammissibile la dedotta violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. in punto di valutazione delle risultanze probatorie, dovendo tale giudizio essere, in questa sede, riguardato esclusivamente sotto il profilo dell’eventuale vizio motivazionale.
In tale prospettiva, Ł in primo luogo manifestamente infondata la doglianza relativa al mancato (o quantomeno apparente) vaglio di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa COGNOME COGNOME
La Corte di appello ha accuratamente esaminato tale portato dichiarativo ritenendolo credibile e sviluppando sul punto un apparato argomentativo congruo e logico (pagg. da 8 a 11 e da 12 a 14) con il quale il ricorrente non si confronta.
In particolare, il collegio di merito ha riportato il racconto di COGNOME evidenziandone, sul piano della attendibilità intrinseca, il carattere lineare e dettagliato e attribuendo logica
giustificazione alla tardività della denuncia delle condotte estorsive sottolineata dalla difesa nell’atto di appello.
La Corte territoriale ha quindi evidenziato che le dichiarazioni di COGNOME trovavano precisa conferma nella deposizione del cognato COGNOME NOME la quale – per quanto riportato in sentenza non può essere considerata una mera testimonianza de relato poichØ essa contiene anche la rappresentazione di quanto COGNOME aveva personalmente appreso nell’incontro presso l’ospedale San Carlo di Potenza. Ulteriore riscontro esterno Ł stato individuato nel racconto versato dalla moglie COGNOME NOME la quale aveva riferito di avere personalmente assistito al colloquio tra il marito e COGNOME (presentatosi presso la loro abitazione in compagnia di Troia) nel corso del quale era stato rappresentato al coniuge che ‘se voleva lavorare doveva far mangiare anche loro’; la donna aveva altresì narrato di essere stata presente al successivo incontro nel quale COGNOME, dopo l’arresto del Troia, aveva chiesto al marito la somma di 5.000,00 euro per le ‘spese legali’ da affrontare in vista della detenzione di costui e, al rifiuto, aveva proferito la frase ‘ti devo far passare tanti di quei guai che non sai neanche da dove devono arrivare’.
Valenza di conferma esterna Ł stata attribuita anche alla circostanza (emersa nel corso delle indagini) che NOME – durante la detenzione – avesse ricevuto ingenti somme di denaro incompatibili con la condizione di indigenza economica della sua famiglia. Al riguardo, con il primo motivo di ricorso a firma avv. COGNOME si deduce che la valorizzazione di tale circostanza rappresenterebbe un assunto macroscopicamente illogico in quanto la stessa persona offesa aveva riferito di non avere dato seguito alla richiesta di euro 5.000,00 da destinare al pagamento delle spese legali del Troia. Così non Ł: alla circostanza in questione la Corte territoriale ha attribuito rilievo in quanto essa, sul piano logico, rendeva del tutto plausibile il racconto di COGNOME nella parte in cui aveva indicato la causale della pretesa (alla quale non aveva dato seguito) nella necessità di dare assistenza economica ad ‘amici carcerati’ di Mancino.
La sentenza impugnata ha dunque condotto un autonomo accurato vaglio dell’intera testimonianza offerta dalla persona offesa, senza incorrere in alcuna manifesta contraddizione ed anzi applicando correttamente il principio ampiamente consolidato di questa Corte secondo cui, in tema di valutazione della prova testimoniale, le dichiarazioni della persona offesa possono essere poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e della attendibilità intrinseca del suo racconto, non essendo richiesta la presenza di riscontri che si reputano opportuni ma, tuttavia, non necessari solo nel caso in cui la persona si sia costituita parte civile e che, in ogni caso, non debbono assistere ogni segmento della narrazione in quanto la loro funzione Ł quella di asseverare la credibilità soggettiva, così come non debbono riguardare ogni aspetto oggettivo e soggettivo della vicenda ma piuttosto apparire idonei a sorreggere la ragionevole convinzione che il dichiarante non abbia mentito (Sez. U n. 41461 del 19/07/2012, COGNOMEArte Rv. 253214, successivamente Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, COGNOME, Rv.265104 e Sez. 5 n. 21135 del 26/03/2019, Rv. 275312).
Proprio a fronte della ricostruzione offerta dalla persona offesa, ritenuta particolarmente attendibile in virtø dei precisi riscontri esterni, la Corte di appello – con argomentazione tutt’altro che manifestamente illogica – ha ritenuto ininfluente, ai fini della configurazione della condotta contestata al capo A) di imputazione, il fatto che l’aggressione al cognato NOME avesse avuto causali estranee alla vicenda estorsiva e altrettanto irrilevante l’ulteriore circostanza che non fosse stata raggiunta prova della attribuibilità a COGNOME del danneggiamento del furgone di Cerverizzo (attinto da colpi di arma da fuoco) e dell’autocarro di Aquino (mediante inserimento nell’abitacolo di una bomba carta).
Le deduzioni relative al travisamento di prova nel quale sarebbe incorsa la sentenza impugnata, contenute nel primo motivo di ricorso a firma avv. COGNOME sono inammissibili in quanto
genericamente formulate.
Esse attengono alla testimonianza di COGNOME sulla presenza dell’imputato COGNOME all’incontro relativo al primo episodio estorsivo, alle dichiarazioni di COGNOME Daniele sulla presenza di COGNOME presso l’ospedale San Carlo e a quelle di COGNOME Vito.
Al ricorso non Ł allegato il verbale integrale delle dichiarazioni rese dai soggetti il cui portato dichiarativo sarebbe stato travisato, nØ esse sono state comunque riprodotte nella loro interezza all’interno dell’atto di impugnazione ove sono, invece, selezionati solo alcuni passi dei verbali stenotipici ovvero Ł operato il semplice rimando a talune pagine degli stessi: ciò non consente di apprezzare il contenuto complessivo di tali portati dichiarativi e di verificare l’eventuale errore ‘sul significante’ nel quale sarebbe caduti i giudici di secondo grado (non sul “significato”, atteso il divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell’elemento di prova).
Va ricordato, in proposito, il consolidato orientamento di legittimità, che qui si ribadisce, secondo cui sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell’atto processuale (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2024, COGNOME, Rv. 263601; Sez. 2, n. 20677 del 11/0/ 2017, COGNOME, Rv.270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, COGNOME, Rv. 265053).
In ogni caso, il ricorrente non ha argomentato in ordine alla decisività dei dedotti travisamenti e cioŁ come ciascuno di essi, ove effettivo, abbia concretamente inciso sulla tenuta logica della motivazione, considerato che la Corte di appello, con riferimento al primo episodio di natura estorsiva, ha attribuito dirimente rilievo alla testimonianza resa da COGNOME COGNOME (non attinta dalla censura di travisamento) la quale aveva confermato che nell’anno 2011 l’imputato COGNOME si era personalmente recato, in compagnia di Troia, presso la sua abitazione e che i due avevano discusso con il marito al quale uno di loro aveva detto che, se voleva lavorare, ‘doveva farli mangiare’.
Quanto alla dedotta assenza di minaccia con riferimento alla richiesta rivolta a COGNOME di corrispondere la somma di euro 2.000,00 per il sostegno economico degli ‘amici in carcere’ (oggetto del secondo motivo del ricorso a firma avv. COGNOME), la doglianza Ł generica in quanto non si confronta con la sentenza impugnata che ha ritenuto integrata la minaccia implicita, sufficiente ad integrare la fattispecie estorsiva, in conformità dell’orientamento consolidato di legittimità che il Collegio condivide secondo cui, appunto, la minaccia costitutiva del delitto di estorsione oltre che essere esplicita, palese e determinata, può essere manifestata in modi e forme differenti, ovvero in maniera implicita, larvata, indiretta ed indeterminata, purchØ sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima ed alle condizioni ambientali in cui opera (Sez. 2, n. 11912 del 12/12/2012, COGNOME, Rv. 254797, Sez. 2, n. 19724 del 20/05/2010, COGNOME, Rv. 247117; Sez. 2, n. 37526 del 16/6/2004, COGNOME, Rv. 229727).
Proprio con riferimento alle connotazioni concrete del fatto, come ricostruito in sentenza sulla scorta della attendibile deposizione della persona offesa, la Corte territoriale ha tratto la conclusione, non manifestamente illogica e coerente, che la somma di denaro pari a 2.000,00 euro corrisposta da COGNOME a COGNOME per ‘aiutare’ amici di quest’ultimo che si trovavano in carcere non aveva affatto rappresentato un mero atto di liberalità, ma era stato il frutto di una coartazione della volontà.
COGNOME si era infatti candidamente espresso in tal senso (‘sapevo che non era una richiesta benevola, mi sentivo costretto perchØ non sta nØ in cielo nØ in terra che io ti debba dare i soldi per gli amici in carcere , io di amici in carcere non ne ho’), egli aveva altresì riferito del calibro delinquenziale di COGNOME ed era certamente consapevole della sua indole violenta (palesata ai suoi occhi dalla aggressione al cognato COGNOME), sicchØ il contesto nel quale la richiesta di denaro
(effettivamente corrisposto) era da valutarsi come idonea ad incutere timore.
Parimenti generica Ł la deduzione contenuta nel terzo motivo del ricorso a firma avv. COGNOME relativo alla insussistenza del tentativo di estorsione con riferimento all’ultimo episodio contestato al capo A).
Tale doglianza non si confronta con la circostanza che la richiesta rivolta dall’imputato a COGNOME di corrispondere l’ulteriore somma di euro 5.000,00 per sostenere le spese legali del detenuto Troia era stata accompagnata – come ben evidenziato dalla Corte di appello – dalla frase (‘ti faccio passare un mare di guai’), evidentemente idonea, di per sØ sola e secondo il noto criterio di valutazione ex ante, a sortire un effetto intimidatorio (a prescindere dal fatto che i ‘guai’, effettivamente concretizzati, non fossero attribuibili con certezza a COGNOME) e diretta in modo non equivoco a costringere COGNOME a versare denaro non dovuto.
Correttamente, dunque, i giudici di secondo grado hanno ricondotto tale quadro fattuale nello schema legale di una condotta estorsiva che si era, tuttavia, arrestata allo stadio del tentativo non avendo la minaccia raggiunto il risultato di costringere al facere ingiunto.
Anche il secondo motivo del ricorso a firma avv. COGNOME ed il quarto di quello a firma avv. COGNOME possono essere valutati congiuntamente in quanto correlati tra loro e riguardanti il giudizio di responsabilità in ordine al delitto di estorsione contestato al capo C).
Ribadita l’inammissibilità della denunciata violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. in punto di valutazione delle risultanze probatorie, non si ravvisa alcuna mancanza, contraddittorietà e/o illogicità della motivazione, nØ il travisamento delle prove, quest’ultimo dedotto, ancora una volta, in modo del tutto generico.
Con riferimento alla condotta estorsiva contestata al capo C), la sentenza impugnata (pagg. da 20-24) ha sviluppato un ampio e logico apparato argomentativo evidenziando che le risultanze processuali dimostravano come la corresponsione di denaro da parte delle persone offese COGNOME e COGNOME non fossero correlate ad illecite interessenze di queste ultime con l’imputato COGNOME nell’ambito di truffe assicurative ed in particolare non costituissero il corrispettivo di dichiarazioni mendaci strumentali a tali azioni fraudolente, bensì rappresentassero emolumenti pretesi allo scopo di sostenere le necessità economiche degli ‘amici in galera’ di COGNOME.
A fondamento di tale assunto la Corte territoriale ha posto le testimonianze delle due persone offese, riportate in sentenza e valutate in termini di attendibilità.
Al riguardo, diversamente da quanto si deduce nel secondo motivo di ricorso a firma avv. COGNOME il Collegio di merito ha ben evidenziato come tali portati dichiarativi – provenienti da soggetti a carico dei quali era stata disposta l’iscrizione nel registro degli indagati per il reato di frode assicurativa, successivamente archiviata – non solo si riscontravano reciprocamente ma trovavano precisa ed autonoma conferma esterna nella testimonianza di COGNOME.
Anche con riferimento a tale addebito, i giudici di primo grado hanno ravvisato la minaccia implicita argomentando al riguardo – sulla scorta dei portati dichiarativi di cui sopra – che la elargizione di denaro (non dovuta) era stata richiesta con fare perentorio, così da non ammettere repliche e che ciò era avvenuto dopo soli due giorni dai pestaggi subiti dalle persone offese a seguito del rifiuto da loro opposto di dichiarare il falso dinanzi al Giudice di Pace in relazione a talune cause risarcitorie per incidenti stradali non veritieri, con la conseguenza che le modalità in concreto adoperate erano state idonee a incutere timore ed a coartare la volontà dei soggetti passivi.
Si tratta di una valutazione di merito non manifestamente illogica, in linea con le risultanze probatorie e conforme con ai già ricordati principi giurisprudenziali di legittimità in ordine alle forme e modi della minaccia, quale elemento costitutivo della fattispecie di estorsione, sicchØ tale giudizio non Ł sindacabile in questa sede.
4. Sono infondati il terzo ed il quarto motivo del ricorso a firma avv. COGNOME ed il quinto di quello a firma avv. COGNOME da esaminare congiuntamente in quanto riguardanti la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., contestata per entrambi i delitti di estorsione.
La sentenza impugnata (pagg. 26 e 27) ha indicato plurime circostanze fattuali emerse dal compendio probatorio, ritenute idonee – nel loro complesso e, quindi valutate congiuntamente – ad integrare l’aggravante del metodo mafioso.
La Corte territoriale ha evidenziato in primo luogo come le testimonianze raccolte presso le vittime delle condotte estorsive davano conto della piena consapevolezza delle stesse in ordine all’inserimento in un contesto malavitoso di Mancino il quale, in una conversazione intercettata, vi aveva fatto espressamente riferimento invitando il suo interlocutore di riferire che lui era ‘parente a NOME‘; ha inoltre posto in luce come la stessa natura delle richieste di denaro avanzate dall’imputato alle persone offese – espressamente indicate come funzionali all’assistenza economica dei propri amici detenuti – erano chiaramente evocative dell’inserimento dell’odierno ricorrente in ambienti criminali organizzati; ha anche stigmatizzato – in chiave univocamente idonea a far percepire il tipico agire mafioso – le minacce di morte rivolte proprio da COGNOME a COGNOME NOME prospettandogli di ‘scioglierlo nell’acido’ con chiaro espresso riferimento, quindi, alla nota uccisione del piccolo NOME COGNOME da parte della mafia siciliana.
Si tratta di un costrutto argomentativo in linea con i principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di aggravante del c.d. metodo mafioso che non presuppone necessariamente un’associazione di tipo mafioso costituita, nØ che l’agente ne faccia parte, essendo proprio sufficiente, ai fini della sua configurazione, il ricorso a modalità della condotta che evochino la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso e cioŁ che l’agente si comporti da mafioso oppure ostenti una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi quella particolare coartazione e conseguente intimidazione propria della organizzazione di tal fatta e ponga quindi la vittima in una condizione di soggezione ulteriore ben piø penetrante, energica ed efficace rispetto a quella solitamente derivata dall’agire di un delinquente comune, richiamando alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo la forza intimidatrice tipica del vincolo associativo (Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, in motivazione; successivamente Sez. 2, n. 32564 del 14/04/2023, COGNOME, Rv. 285018; Sez. 2, n. 20320 del 15/05/2024, COGNOME, Rv. 286426; Sez. 2, n. 28061 del 22/05/2024, COGNOME, Rv. 286723).
5. Inammissibile, in quanto manifestamente infondato, Ł il quinto motivo del ricorso a firma avv. COGNOME con il quale si censura la violazione di legge per mancata applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 63, comma quarto, cod. pen. e l’assenza di motivazione sul punto.
La Corte di appello (pag. 28 della sentenza impugnata) ha implicitamente argomentato al riguardo laddove, esaminando il profilo della dosimetria della pena irrogata dal primo Giudice, ha dato conto che – stante la disapplicazione della recidiva reiterata ed infraquinquennale e la mancata contestazione, anche in fatto, dell’avere commesso l’estorsione consumata e quella tentata di cui al capo A) – residuava la sola aggravante ad effetto speciale del c.d. metodo mafioso, il che esclude, evidentemente, la ricorrenza dei presupposti per l’operatività del criterio moderatore di cui all’art. 63, comma quarto, cod. pen.,applicabile esclusivamente nei casi di concorso di piø aggravanti ad effetto speciale.
E’ infine inammissibile il sesto motivo del ricorso a firma avv. COGNOME con il quale si deduce la violazione dell’art. 62 bis cod. pen. ed il vizio di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche.
A fronte delle generiche deduzioni svolte negli atti di appello (quello a firma avv. COGNOME si limitava ad invocare la diminuente in questione valorizzando a tal fine la necessità di mitigare ‘l’asprezza’ della pena inflitta, mentre quello a firma avv. COGNOME lamentava la contraddittorietà della pronuncia di primo grado che aveva escluso le attenuanti generiche nonostante la disapplicazione della recidiva), la Corte di appello ha condiviso le ragioni del diniego espresse dal Tribunale, fondate anche, e soprattutto, sulla modalità delle condotte che avevano ingenerato nelle persone offese un grave timore.
In risposta alla specifica deduzione difensiva, ha osservato che l’esclusione della diminuente non si poneva in contrasto con la disapplicazione della recidiva, affermazione da ritenersi corretta essendo diverse le argomentazioni poste a base del diniego della prima (la gravità dei reati contestati) e quelle fondanti l’esclusione della seconda (la risalenza nel tempo e la non specificità dei precedenti penali).
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio e alla refusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile NOME COGNOME che si liquidano in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Va invece rigettata la richiesta di liquidazione delle spese avanzata dalla parte civile COGNOME COGNOME persona offesa dei reati contestati ai capi B) e D) per i quali l’imputato COGNOME Ł stato assolto dal Giudice di primo grado per insussistenza dei fatti.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME COGNOME che liquida in complessivi euro 3.686, oltre accessori di legge. Rigetta la richiesta di liquidazione delle spese proposta da COGNOME NOME.
Così deciso il 14/02/2025.
Il Presidente NOME COGNOME COGNOME