Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 11128 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 11128 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di DELLA COGNOME NOME nato a CASAL DI PRINCIPE il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 20/04/2023 della COGNOME APPELLO di NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; sentite le richieste del PG ASSUNTA COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; sentite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per il ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la COGNOME di appello di Napoli, in parziale riforma della pronuncia emessa in data 20 maggio 2022 Tribunale di Napoli Nord, ha rideterminato la pena inflitta a NOME COGNOME, per il reato di cui agli art 81, 110, 629 e 416-bis.1 cod. pen., confermando nel resto.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, articolando sette motivi di impugnazione, che qui si riassumono nei termini di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si deduce la violazione di legge e il difetto di motivazione in ordine alla ritenuta «ambientalità» dell’estorsione, in assenza di elementi di fatto che potessero giustificare la condotta tipica e avuto riguardo al travisamento della prova costituita dalle dichiarazioni della persona offesa NOME COGNOME e di NOME COGNOME.
La motivazione risulterebbe contraddittoria laddove la COGNOME di appello, riprende le dichiarazioni della persona offesa (che ha riferito di avere pagato sia per senso di umanità, sia per evitare problemi in futuro, conoscendone l’appartenenza alla criminalità organizzata locale), ma trascura la reale portata informativa del verbale di sit e della successiva escussione in dibattimento, da cui emerge l’inesistenza di comportamenti violenti o minacciosi, l’assenza di evocazione di consorterie camorristiche, la risalente amicizia con l’imputato, la mancata richiesta di somme ulteriori pur a fronte di lavori in essere per un fatturato molto consistente. Non a caso, nota la difesa, il Tribunale ha disposto, sul punto, la trasmissione degli atti in Procura. Analoghe indicazioni pro reo proverrebbero anche dalla narrazione offerta dal figlio di NOME COGNOME, NOMENOME
Si sottolinea ancora la discrasia tra il racconto della persona offesa, che ha riferito agli investigatori di plurime dazioni tra il 2016 e il 2019, e quanto rife dalla moglie di quest’ultimo alla coniuge dell’imputato (ove si parla di un’unica consegna di denaro); il che dovrebbe far escludere qualsiasi condizione di soggezione o di timore.
In ogni caso, la connotazione ambientale del delitto contestato non sarebbe stata adeguatamente illustrata dai giudici di merito.
2.2. Con il secondo motivo, la difesa censura, sempre sotto il duplice profilo della violazione di legge e del difetto di motivazione, la ritenuta sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso (dopo che, in grado di appello, era stata esclusa la finalità agevolatrice del clan). Sarebbe impossibile configurare la circostanze in questione in assenza di una minima condotta di esteriorizzazione e la COGNOME partenopea non offrirebbe che un generico richiamo alla figura dell’imputato, anche ventilando l’irrilevanza della questione quoad poenam, tenuto conto dei limiti imposti dall’art. 63, quarto comma, cod. proc. pen. (e viceversa non indifferente nella globale valutazione del fatto).
2.3. Con il terzo motivo si eccepisce, in merito all’aggravante ex art. 628, comma 3, n. 3, cod. pen., che la circostanza non può essere desunta unicamente dalla qualità solo risalente di associato. L’intraneità dovrebbe invece essere specificamente provata proprio in riferimento al momento di realizzazione delle condotte estorsive.
2.4. Con il quarto motivo, la difesa si duole della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, giustificata unicamente sulla scorta dell’elevata capacità a delinquere come desunta dalle precedenti condanne, omettendo di considerare la minima consistenza del danno e la mancanza di invasività della sfera personale della persona offesa, nonché i motivi a delinquere, da individuare nel bisogno di liquidità per il funzionamento dell’attività commerciale della moglie.
2.5. Il quinto motivo è diretto a contestare l’aumento per la recidiva, dal momento che il fatto per cui si procede non è riconducibile alle schema criminale che emerge dalle precedenti condanne, tenuto conto dell’esclusione dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa.
2.6. Il sesto motivo è incentrato sulla dosimetria della pena, sottolineandosi negativamente come risulti eccessivo l’aumento massimo disposto dalla COGNOME di appello ai sensi dell’art 64, quarto comma, cod. pen.
2.7. Con il settimo motivo, la difesa lamenta il mancato riconoscimento del vincolo della continuazione del delitto per cui si procede con i reati oggetto delle precedenti condanne, nonostante l’estorsione sia ritenuta sussistente proprio in forza della personalità dell’imputato «intriso di mafiosità».
All’odierna udienza pubblica, le parti hanno concluso come da epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo reitera doglianze già congruamente disattese dalla COGNOME partenopea con motivazione scevra da vizi logico-giuridici, che muove dalla ricostruzione in fatto, coerente con le emergenze processuali, fatta propria anche in primo grado.
Secondo i giudici di merito, è in primo luogo innegabile la caratura criminale dell’imputato, come richiamata da numerosi collaboratori di giustizia e come attestata dal casellario giudiziario, che annovera anche tre condanne per associazione di tipo mafioso. Alla persona offesa, tipico soggetto vulnerabile di fronte a consimili intimidazioni in quanto imprenditore edile con cantieri esposti ad eventuali avvertimenti o rappresaglie, tale connotazione personale è ben nota, per sua stessa ammissione. Su tale premessa soggettiva e nel contesto locale a fortissima infiltrazione camorristica, COGNOME non ha bisogno di esternare minacce al compaesano, e neppure di suggerirgliene la possibilità in forma implicita; gli è sufficiente presentarsi, regolarmente ogni Natale, a partire dal 2016, appena uscito dal carcere dopo l’ultima condanna, e per altre tre volte, e chiedere un contributo di una certa consistenza (euro 1.000). A fronte di ciò, la persona offesa, in stato di manifesta subordinazione, versa ogni volta quanto richiesto.
Il ragionamento giuridico che è alla base dell’affermazione di responsabilità riposa sulla consolidata esegesi di questa COGNOME regolatrice in tema di estorsione cosiddetta ambientale, ovvero quella perpetrata da soggetti notoriamente inseriti in pericolosi gruppi criminali che spadroneggiano in un determinato territorio e che è immediatamente percepita dagli abitanti di quella zona come concreta e di certa attuazione, stante la forza criminale dell’associazione di appartenenza del soggetto agente, quand’anche attuata con linguaggio e gesti criptici, a condizione che questi siano idonei ad incutere timore e a coartare la volontà della vittima (Sez. 2, n. 18566 del 10/04/2020, COGNOME, Rv. 279474-02; Sez. 2, n. 22976 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 270175; Sez. 2, n. 53652 del 10/12/2014, COGNOME, Rv. 261632). Pertanto, anche una richiesta estorsiva pur formalmente priva di contenuto minatorio, come nel caso di specie, ben può manifestare in realtà un’energica carica intimidatoria, chiaramente percepita come tale dalla vittima stessa, alla luce della sottoposizione del territorio in cui detta richiesta è formula all’influsso di notorie consorterie mafiose.
La narrazione dei due COGNOME posta alla base della suddetta ricostruzione è stata oggetto di attento scrutinio, discernendosi, tra le diverse affermazioni offerte all’Autorità giudiziaria, quelle miranti non a una veritiera rappresentazione della vicenda, ma a non esporsi a future e non improbabili vendette. D’altronde, la valutazione dell’attendibilità della persona offesa rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice – a contrario del caso di specie – sia incorso in manifeste contraddizioni (cfr., ex plurimis, Sez. 3, n. 3239 del 04/10/2022, dep. 2023, T., Rv. 284061; Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008, COGNOME Ritis, Rv. 240524). Analogo discorso può essere fatto per la lettura di alcune conversazioni intercettate, a proposito in particolare delle confidenze fatte dalla moglie di COGNOME a quella di COGNOME, giudicata una conferma della suddetta ricostruzione, alla luce del parziale mendacio, con l’intento di tranquillizzare l’interlocutrice e quindi, indirettamente, il pericoloso marito. Anche l’interpretazione del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non può essere sindacato nel giudizio di cassazione, se non nei limiti della eventuale – e insussistente nel caso di specie – manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389).
Le censure sono quindi generiche, siccome meramente reiterative, non consentite, in quanto fondate su valutazioni schiettamente fattuali, e comunque manifestamente infondate.
Quanto alla asserita incompatibilità dell’aggravante del metodo mafioso con la mancanza di ogni minima allusione a un contesto di criminalità camorristica, la circostanza è pienamente configurabile qualora l’agente veicoli un messaggio intimidatorio anche “silente”, cioè privo di una esplicita minaccia (Sez. 2, n. 26002 del 24/05/2018, COGNOME, Rv. 272884; Sez. 2, n. 20187 del 03/02/2015, COGNOME, Rv. 263570; Sez. 5, n. 21562 del 03/02/2015, COGNOME, Rv. 263706).
Per la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso, è infatti sufficiente un comportamento minaccioso tale da richiamare alla mente e alla sensibilità del soggetto passivo quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga ad un sodalizio del genere anzidetto e ad esercitare sulle vittime del reato una particolare coartazione psicologica (Sez. 2, n. 22096 del 03/07/2020 COGNOME, Rv. 279771, in motivazione; Sez. 5, n. 22554 del 09/03/2018, COGNOME, Rv. 273190; Sez. 6, n. 41772 del 13/06/2017, Vicidomini; Sez. 2, n. 45321 del 14/10/2015, COGNOME, Rv. 264900. Sez. 2, n. 10255 del 29/11/2019, dep. 2020, Fasciani, Rv. 27874502 precisa che si tratta di una condotta “a forma libera”).
È pienamente allineata con questi principi di diritto la conclusione dei giudici di appello che, con adeguata contestualizzazione dei fatti, chiarisce: «COGNOME COGNOME che ha una caratura criminale e camorristica indiscussa, e ben conosciuta dal compaesano, da un lato, non ha bisogno di evocare contesti criminali di appartenenza perché essi sono noti alla persona offesa, dall’altro non ha bisogno di spendere molte parole per ottenere quello che chiede, con puntualità, ogni Natale al compaesano e vicino di casa: quest’ultimo si deve piegare alla richiesta, metodica, che fa paventare, evidentemente, problemi di una certa entità nel caso in cui non venga soddisfatta; in definitiva, la persona offesa subisce una particolare coartazione psicologica, che deriva dal richiamo implicito a associazioni mafiose molto forti, operanti nel territorio di Casal di Principe dove abita la persona offesa».
Inoltre, la COGNOME territoriale ha ridotto gli aumenti inflitti per le aggravanti ad effetto speciale, comprimendoli entro il limite di legge di un terzo, anche espressamente riconsiderando l’espunzione della circostanza dell’agevolazione mafiosa e illustrando la maggiorazione della pena con riferimento agli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (in particolare, la gravità dei precedent
Il motivo è dunque reiterativo e manifestamente infondato.
L’aggravante della commissione del fatto ad opera di partecipe ad associazione di tipo mafioso è stata ritenuta sussistente dalla COGNOME partenopea con accertamento incidentale della condotta associativa temporalmente coincidente con la perpetrazione dei delitti per cui si procede, sulla base di tre precedenti condanne per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. (e dunque con l’accertamento definitivo della partecipazione, senza soluzione di continuità, sino al 2014, a fronte di estorsioni commesse tra il 2016 e il 2019) e delle concordi
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che lo indicano come uno degli elementi di spicco del clan. Le conclusioni dei giudici di appello sono tutt’altro che illogich e risultano conformi alla giurisprudenza di legittimità che evidenzia il carattere permanente dell’affiliazione a una delle cosiddette “mafie storiche”, che può venir meno solo a seguito di un esplicito recesso o di un atto di chiara dissociazione, di cui tuttavia deve constare specifica prova (cfr. Sez. 2, n. 12197 del 14/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284474; Sez. 2, n. 23446 del 20/04/2017, COGNOME, Rv. 270319).
La sentenza impugnata ha viceversa escluso la cosiddetta “agevolazione mafiosa”, dal momento che il delitto è stato commesso, pur con modalità tipicamente mafiose e nella persistente qualità di associato, per finalità di arricchimento personale e familiare, in maniera del tutto indipendente dalle dinamiche criminali della cosca di appartenenza.
La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è giustificata da motivazione – fondata sui precedenti dell’imputato, estremamente significativi, come accennato – esente da manifesta illogicità, e ciò rende la statuizione insindacabile in sede di legittimità (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi, Rv. 242419).
Va, in particolare, ribadito il principio secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferim a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549-02; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, COGNOME e altri, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, COGNOME, Rv. 248244).
La doglianza è dunque meramente confutativa e manifestamente infondata.
La COGNOME partenopea stigmatizza la sistematicità nel delinquere, l’affinità degli illeciti (tutti riconducibili a una matrice predatoria e violenta) e l’indiffer alla risposta punitiva dello Stato, tali da giustificare l’applicazione della recidiv Resta indifferente, in questo percorso giustificativo, che il fine di profit dell’estorsione fosse esclusivamente personale e non esteso anche al sodalizio mafioso. La motivazione di appello dà dunque congruamente conto di come i fatti per cui si procede siano espressione – per i mezzi, le modalità, i danni provocati e la reiterazione nel tempo – di un’aumentata pericolosità sociale, che emerge da una sequenza recidivante di chiara pregnanza. Il nuovo delitto, data la tipologia, l’omogeneità, la non occasionalità, la collocazione temporale dei reati precedenti
e l’insussistenza di emenda, risulta senza dubbio espressivo di una maggiore pericolosità e di una più accentuata colpevolezza del reo.
Le censure dirette a contestare la tenuta logica delle argomentazioni della sentenza impugnata in tema di recidiva e la asserita non conformità al paradigma normativo sono dunque affatto generiche e manifestamente infondate.
La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.
È pertanto inammissibile ogni censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142), ciò che – nel caso di specie – non ricorre. La COGNOME di merito nota, infatti, come il Tribunale sia partito dal minimo edittale pe computare la pena finale e illustra poi, come accennato, l’entità degli aumenti per le gravi e numerose aggravanti, sempre mantenuti entro i limiti di cui all’art. 63, quarto comma, cod. pen.
Anche il sesto motivo è dunque generico e manifestamente infondato.
La COGNOME territoriale ha affermato la mancanza di elementi necessari per riscontrare l’unicità del disegno criminoso rispetto a precedenti condanne per reato associativo, rilevando che il ragionamento difensivo si ancorava alla sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa. Caduta quest’ultima, lo iato temporale tra i diversi fatti delittuosi consente di escludere un medesimo disegno criminoso iniziale, a fortiori poiché le condotte sono state poste in essere per esclusivi fini personali.
Con tale congrua argomentazione, il ricorrente evita di confrontarsi, richiamando solo le precedenti condotte associative e invocando una lettura globale della propria personalità. Il motivo è dunque del tutto generico (anche perché incombe comunque sull’interessato l’onere di allegazione degli specifici elementi dai quali possa desumersi l’identità del disegno criminoso – cfr. Sez. 6, n. 43441 del 24/11/2010, Podda, Rv. 248962) e comunque manifestamente infondato.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i profili di colpa emergenti dall’impugnazione (COGNOME cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18 gennaio 2024
Cønsifliere estensore
La Presidente