Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 44728 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 44728 Anno 2024
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo nel procedimento a carico di
COGNOME PasqualeCOGNOME nato a Santa Margherita di Belice il 05/04/1966
avverso l’ordinanza del 24/06/2024 del Tribunale di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
letta la memoria degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME per NOME COGNOME che hanno chiesto la declaratoria di inammissibilità o il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Palermo, in funzione di Tribunale del riesame, ha solo parzialmente confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo in data 24 maggio 2024, che aveva disposto la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME annullando
tale provvedimento in relazione ai reati di cui agli artt. 81-629 cod. pen. (capi 2 e 9), escludendo l’aggravante dell’agevolazione mafiosa con riferimento al delitto di cui all’art. 610 (capo 8) e sostituendo la misura intramuraria con l’obbligo di dimora nel comune di residenza e l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, articolando quattro motivi di ricorso, che qui si riassumono nei termini di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Quanto al capo 2, si deduce mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. I giudici della cautela avrebbero errato nel datare l’inizio della carcerazione del collaboratore COGNOME (e, comunque, costui e l’altro collaboratore COGNOME, pur senza scendere in particolari in ordine ai reati per cui si procede, avrebbero disegnato un contesto ambientale connotato dal capillare e ineludibile controllo mafioso delle attività agricole nel territorio di riferimento). Un simile scenario emergerebbe anche dalle sommarie informazioni rese – con la fatica e la prudenza tipica di un ambiente forzatamente omertoso – da NOME COGNOME, COGNOME e COGNOME. Correttamente interpretate, anche le dichiarazioni della persona offesa apparirebbero assai meno tranquillizzanti, ben potendosi evincerne plurimi accenni a pressanti intimidazioni per acclarate finalità predatorie, senza escludere neppure atti di violenza fisica.
2.2. Quanto al capo 8, l’Ufficio ricorrente censura il mancato riconoscimento dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa. Alla luce della risalente presenza di Cosa Nostra nella valle del Belice e della qualità di partecipe della locale articolazione in capo all’indagato (circostanze entrambe accertate giudiziariamente), non potrebbe non ritenersi che fosse stata ab origine l’organizzazione criminale a disegnare i confini tra le aree di pascolo, essendo il terreno un simbolo identitario del sodalizio mafioso, né che, accanto alle indubitabili finalità personali, si coniugasse anche il dolo specifico di rafforzare il potere dell’associazione sul territorio. Peraltro, presso l’ovile di Ciaccio si sarebbero svolti anche rilevanti incontri tra gli associati.
2.3. Quanto al capo 9, il Procuratore della Repubblica censura – sotto il profilo del vizio di motivazione – la mancata affermazione di sussistenza di una estorsione ambientale, avuto riguardo al contenuto delle conversazioni intercettate, solo in apparenza caratterizzate da toni distesi e amichevoli, ma che in realtà ben lascerebbero intendere la coercizione esercitata implicitamente dall’indagato, noto e temuto criminale.
2.4. Quanto alle esigenze cautelari (rectius, all’adeguatezza delle misure non custodiali applicate), si duole l’Ufficio ricorrente dell’asserita inottemperanza al
rigoroso obbligo motivazionale richiesto per superare la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Si è proceduto con trattazione scritta, ai sensi dell’art. 611, comma 1, cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, nei termini di seguito illustrati.
Il primo e il terzo motivo, entrambi diretti a censurare il mancato riconoscimento della gravità indiziaria in relazione ai due delitti di estorsione provvisoriamente ascritti all’indagato, possono essere esaminati congiuntamente.
Al netto delle ampie censure schiettamente fattuali svolte dal pubblico ministero per quanto attiene al capo 2, emerge nitidamente dall’intero apparato argomentativo dell’ordinanza impugnata un’insanabile contraddittorietà logica, derivante dal concorso di proposizioni testuali concernenti punti decisivi e assolutamente inconciliabili tra loro (cfr. Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255141-01, in motivazione). In particolare, risulta evidente il contrasto tra la descrizione, ampia e rigorosa, del contesto generale in cui agiscono i vari soggetti, attivi e passivi, e la minimale valutazione delle singole condotte poste in essere in tale scenario.
Da un lato, il Tribunale concorda con quanto espresso nell’ordinanza genetica quanto all’indiscusso potere esercitato, da epoche assai risalenti, dalle locali articolazioni di Cosa Nostra sulla pastorizia e su ogni altro settore economico nella valle del Belice. L’organizzazione criminale avrebbe sovrinteso alla suddivisione dei terreni tra i diversi pastori, conculcando la libertà contrattuale dei proprietari e subordinando all’assenso del gruppo criminale dominante l’ingresso di nuovi operatori economici di settore. Le condotte intimidatrici si estendevano abitualmente anche ad altre forme di taglieggiamento, come la predazione della paglia e degli scarti della mietitura. L’apparente libertà di non ottemperare alle richieste e comunque di rispettare lo status quo era radicalmente incisa dalle intuibili conseguenze negative per i disallineati (p. 11: «Ci può provare a rifiutarsi. E che succede se si rifiuta? E poi piange le conseguenze, no?»). Neppure è revocata in dubbio la fama criminale di Ciaccio e la sua intraneità (quantomeno in precedenza) al sodalizio mafioso, perfettamente risaputa nella comunità del luogo. NOME COGNOME in virtù della militanza associativa, era, anzi, insieme a NOME COGNOME il soggetto più influente nell’area di Santa Margherita di Belice, per quel che riguardava tali questioni agropastorali.
Dall’altro, ciò premesso (e pur tenuto conto della sfumatura almeno parzialmente volontaristica che potrebbe essere riconosciuta, secondo il Tribunale, a questo assetto del territorio), appaiono incoerenti i successivi passaggi motivazionali attinenti alla mancata individuazione di «specifiche condotte del COGNOME o del coindagato COGNOME, che costituiscano manifestazione della forza di intimidazione del vincolo associativo» (cfr. pp. 11, 14-15, 25-26). Come correttamente già evidenziato dal Giudice per le indagini preliminari, appare quanto meno in astratto, salva la disamina propria del giudice di merito pienamente configurabile una estorsione cosiddetta ambientale..
Invero, secondo la consolidata esegesi di questa Corte regolatrice, costituisce una estorsione “ambientale” quella particolare azione estorsiva perpetrata da soggetti notoriamente inseriti in pericolosi gruppi criminali che spadroneggiano in un determinato territorio e che è immediatamente percepita dagli abitanti della zona come concreta e di certa attuazione, stante la forza criminale dell’associazione di appartenenza del soggetto agente, quand’anche attuata con linguaggio e gesti criptici, a condizione che questi siano idonei ad incutere timore e a coartare la volontà della vittima (Sez. 2, n. 18566 del 10/04/2020, COGNOME, Rv. 279474-02; Sez. 2, n. 22976 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 270175-01; Sez. 2, n. 53652 del 10/12/2014, COGNOME, Rv. 261632-01).
Pertanto, in primo luogo, anche una richiesta estorsiva pur formalmente priva di contenuto minatorio – come nel caso di specie, anche a prescindere dai toni apparentemente rilassati – ben può manifestare in realtà un’energica carica intimidatoria, chiaramente percepita come tale dalla vittima stessa, alla luce della sottoposizione del territorio in cui la richiesta è formulata all’influsso di notorie consorterie criminali.
D’altronde, in ambienti ad altissima infiltrazione mafiosa, il delitto di cui all’art. 629 cod. pen. potrebbe configurarsi persino in assenza di un’esplicita richiesta, ovvero – come nel caso di specie – per il solo tramite di un semplice richiamo a pretese consuetudini locali, tutte unidirezionalmente dirette a favorire i domini mafiosi e i pastori da loro sponsorizzati, a danno dei proprietari dei fondi (cfr. Sez. 2, n. 51324 del 18/10/2023, COGNOME, Rv. 285669-01, secondo cui, in tema di estorsione, è configurabile l’aggravante del metodo mafioso anche a fronte di un messaggio intimidatorio “silente”, nel caso in cui la consorteria abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l’avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti violenti o minacciosi. In termini, Sez. 3, n. 44298 del 18/06/2019, COGNOME, Rv. 277182-01; Sez. 2, n. 26002 del 24/05/2018, COGNOME, Rv. 272884-01; Sez. 2, n. 20187 del 03/02/2015, COGNOME, Rv. 263570-01. Sempre in tema di estorsione ambientale, Sez. 2, n. 22976 del 13/04/2017, COGNOME Rv. 270175-01 ha ritenuto sussistere un
tentativo di estorsione ambientale in relazione alla condotta degli imputati – di cui uno appartenente ad una cosca di ‘ndrangheta – che avevano effettuato una richiesta anomala di informazioni, con fissazione unilaterale di un appuntamento a distanza di pochi giorni, al responsabile di un’impresa impegnata in lavori nel territorio).
Peraltro, ai fini del riconoscimento della estorsione ambientale, non è necessario che nella contestazione sia contenuta l’espressa qualificazione dei fatti in tal senso, essendo sufficiente l’indicazione dei requisiti oggettivi e soggettivi del delitto, come declinati nel caso concreto (Sez. 2, n. 18566 del 10/04/2020, Abbruzzese, Rv. 279474-02).
Questa aporia argomentativa dovrà essere risolta, nella pienezza del merito cautelare, rivalutando l’intero quadro investigativo alla luce dei principi di diritto sopra riportati.
Restano assorbite, in quanto strettamente connesse all’ulteriore ponderazione sopra accennata, le ulteriori censure concernenti la mancata applicazione della circostanze di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. al capo 8 (dati i riflessi anche in merito al compiuto accertamento che le ripartizioni dei pascoli fossero state fissate dalla famiglia mafiosa di Santa Margherita di Belice ovvero che l’indagato avesse agito per finalità predatorie schiettamente private senza il contemporaneo scopo di riaffermare il controllo mafioso del territorio) e la complessiva valutazione delle esigenze cautelari e dell’adeguatezza delle misure non custodiali applicate (ferma restando la doppia presunzione relativa ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen., per i reati di “contesto mafioso”, aggravati ex art. 416-bis.1 cod. pen. e diversi da quelli di partecipazione o concorso nell’associazione prevista dall’art. 416-bis cod. pen., – cfr. Sez. 2, n. 6574 del 02/02/2016, COGNOME, Rv. 266236-01; Sez. 1, n. 29530 del 27/06/2013, De COGNOME, Rv. 256634-01; Sez. 2, n. 30704 del 12/04/2013, COGNOME, Rv. 256558-01).
L’ordinanza impugnata deve essere, pertanto, annullata, con rinvio al Tribunale di Palermo, quale Tribunale del riesame, che, nel procedere ad un nuovo giudizio, terrà conto dei rilievi sopra indicati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Palermo competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, c.p.p.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. Così deciso il 14 novembre 2024
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