Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7321 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 7321 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 12/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI PALERMO nel procedimento a carico di:
NOMECOGNOME nato a CASTELVETRANO il 24/08/1990
avverso l’ordinanza del 24/06/2024 del TRIBUNALE del RIESAME di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto P.G, NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Si dà atto che il ricorso è stato trattato in camera di consiglio senza la presenza delle parti in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini, secondo quanto disposto dagli artt. 610, comma 5, e 611, comma 1-bis, e ss. cod. proc. pen.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Palermo, sezione per il riesame, con ordinanza del 24 giugno 2024, in accoglimento della richiesta di riesame avanzata nell’interesse di NOME COGNOME annullava l’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Palermo del 24 maggio 2024 in relazione cui ai capi 1, 6 e 7 dell’imputazione provvisoria, limitatamente alla posizione dell’indagato, ordinando, per l’effetto, l’immediata scarcerazione dell’indagato ove non un detenuto per altra causa.
2. Avverso la suddetta decisione il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Palermo, propone ricorso per cassazione formulando un unico motivo ex art. 606, comma 1, lett.e), cod. proc. pen., per cui chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata. In particolare, il ricorrente lamenta il vizio di motivazione dell’ordinanza, avuto riguardo alle complessive risultanze probatorie che il Tribunale avrebbe dovuto considerare unitariamente e non limitarsi ad un’analisi di singoli fatti autonomamente esaminati, e, oltretutto, sganciati dal relativo contesto ambientale. Deduce, altresì, l’erronea valutazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa del reato di cui al capo 1) NOME COGNOME il quale avrebbe manifestato di aver paura per l’incolumità propria e della sua famiglia (sottolineando di aver paura di NOME COGNOME), temendo di subire danni alla propria azienda, ragion per cui non si era mai opposto a tale situazione di costrizione ambientale, né aveva mai chiesto la corresponsione di canoni congrui a titolo di corrispettivo per l’affitto dei terreni alla famiglia COGNOME; la descrizione questa situazione costituirebbe, ad avviso del P.M. ricorrente, proprio la tipica modalità di realizzazione della minaccia e della cosiddetta “estorsione ambientale”, tenuto conto che NOME COGNOME avrebbe sempre agito in nome e per conto di NOME COGNOME, quest’ultimo gravato da plurime sentenze di condanna definitive per il reato di partecipazione a un’associazione criminale di stampo mafioso, peraltro assumendo un ruolo direttivo all’interno del sodalizio criminoso.
Anche le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME sarebbero state sottovalutate dai giudici del Riesame. In primo luogo, evidenzia l’errore da parte del Tribunale sul punto relativo all’arresto del COGNOME avvenuto in realtà nel 2016 e non nel 2008, ragion per cui i fatti da lui riferiti non sarebbero, perciò, così risalen nel tempo, come ritenuto erroneamente dal Riesame. Inoltre, entrambi i collaboratori avrebbero narrato senza alcuna incertezza di una situazione di condizionamento di “tipo mafioso” risalente nel tempo, radicata e persistente sul quel territorio, delineando così un contesto ambientale evidentemente gravato dall’egemonia mafiosa delle famiglie COGNOME e COGNOME nella gestione dei fondi e delle relative attività agro-pastorali.
Quanto, poi, al capo 6) dell’imputazione il Tribunale per il Riesame avrebbe esaminato unicamente le dichiarazioni rese dalla persona offesa NOME COGNOME senza tener conto della querela per minacce presentata da NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME, coindagato insieme con NOME e NOME COGNOME
Infine, con riguardo al capo 7) si eccepisce il vizio della motivazione in quanto il Tribunale di Palermo si sarebbe limitato a esaminare unicamente la comunicazione intercettata il 17 agosto 2020 (da intendersi 17 giugno 2020) tra il coltivatore NOME COGNOME e l’imputato NOME COGNOME, sganciandola, però, del tutto
dall’analisi del contesto in cui si inseriva, e dagli altri elementi di prova quali, esempio, le dichiarazioni a riscontro rese da NOME COGNOME, altra proprietaria terriera della zona.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, nei termini di seguito illustrati.
Al netto delle ampie censure di merito svolte dal pubblico ministero, si ritiene, tuttavia, che il ricorso evidenzia un’insanabile contraddittorietà logica dell’ordinanza impugnata, che da un lato ha descritto in maniera piuttosto evidente l’esistenza di un contesto di condizionamenti ambientali derivanti dalla presenza radicata di gruppi familiari appartenenti all’associazione mafiosa denominata “RAGIONE_SOCIALE“, operante proprio nel territorio di Santa Margherita di Belice, e dall’altro ha sminuito le singole condotte dei vari protagonisti, tra cui il ricorrente NOME COGNOME limitandosi ad una valutazione atomistica e parcellizzata delle varie risultanze investigative.
In primis, giova ricordare che, secondo la consolidata esegesi di questa Corte regolatrice, «…costituisce un’estorsione “ambientale” quella particolare azione estorsiva perpetrata da soggetti notoriamente inseriti in pericolosi gruppi criminali che spadroneggiano in un determinato territorio e che è immediatamente percepita dagli abitanti della zona come concreta e di certa attuazione, stante la forza criminale dell’associazione di appartenenza del soggetto agente, quand’anche attuata con linguaggio e gesti criptici, a condizione che questi siano idonei ad incutere timore e a coartare la volontà della vittima (Sez. 2, n. 18566 del 10/04/2020, COGNOME, Rv. 279474-02; Sez. 2, n. 22976 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 270175-01; Sez. 2, n. 53652 del 10/12/2014, COGNOME, Rv. 261632-01). Pertanto, in primo luogo, anche una richiesta estorsiva pur formalmente priva di contenuto minatorio – come nel caso di specie, anche a prescindere dai toni apparentemente rilassati – ben può manifestare in realtà un’energica carica intimidatoria, chiaramente percepita come tale dalla vittima stessa, alla luce della sottoposizione del territorio in cui la richiesta è formulata all’influsso di notori consorterie criminali. D’altronde, in ambienti ad altissima infiltrazione mafiosa, il delitto di cui all’art. 629 cod. pen. potrebbe configurarsi persino in assenza di un’esplicita richiesta, ovvero – come nel caso di specie – per il solo tramite di un semplice richiamo a pretese consuetudini locali, tutte unidirezionalmente dirette a favorire i domini mafiosi e i pastori da loro sponsorizzati, a danno dei proprietari dei fondi (così, in un caso del tutto analogo Sez.2, n.44728 del 14/11/2024, COGNOME, n.m.; cfr. anche Sez. 2, n. 51324 del 18/10/2023, COGNOME, Rv. 285669-01, secondo
cui, in tema di estorsione, è configurabile l’aggravante del metodo mafioso anche a fronte di un messaggio intimidatorio “silente”, nel caso in cui la consorteria abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l’avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti violenti o minacciosi. In termini, Sez. 3, n. 44298 del 18/06/2019, COGNOME, Rv. 277182-01; Sez. 2, n. 26002 del 24/05/2018, COGNOME, Rv. 272884-01; Sez. 2, n. 20187 del 03/02/2015, COGNOME, Rv. 263570-01. Sempre in tema di estorsione ambientale, Sez. 2, n. 22976 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 270175-01)».
In questo quadro generale, il Tribunale del riesame non ha adeguatamente tenuto conto nella sua globalità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa del reato di cui al capo 1), tale NOME COGNOME il quale aveva dichiarato, tra le altre cose, di essere «…stato costretto, malgrado fossi consapevole di subire un danno economico» e che non si era mai opposto a tale situazione di costrizione ambientale, né aveva mai chiesto la corresponsione di canoni congrui a titolo di corrispettivo per l’affitto dei terreni alla famiglia COGNOME, « ….per evitare di andare incontro a ritorsioni», tenuto conto che il NOME COGNOME ha sempre agito in nome e per conto di NOME COGNOME, gravato da plurime condanne per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. La persona offesa NOME ha, quindi, fatto implicitamente intendere che le condizioni economiche del settore della pastorizia erano del tutto sottratte alla libera contrattazione dei prezzi, proprio in virtù del pressante controllo sul territorio esercitato sempre da soggetti legati alle famiglie COGNOME e COGNOME, note per essere espressione di sodalizi criminosi di stampo mafioso, pur non descrivendo specifiche e circostanziate condotte minacciose o violente.
Il ricorso evidenzia, tra l’altro, che l’ordinanza impugnata è incorsa in un evidente travisamento del fatto relativamente alla data di arresto del collaboratore di giustizia COGNOME, avvenuto in realtà nel 2016 e non già nel 2008, come ritenuto erroneamente dal Tribunale del Riesame, ragion per cui i fatti da lui riferiti non sono, perciò, così risalenti nel tempo. Peraltro, entrambi i collaboratori di giustizia sentiti COGNOME e COGNOME, hanno riferito senza alcuna incertezza dell’esistenza di una situazione di condizionamento di “tipo mafioso” risalente nel tempo, radicata e persistente sul quel territorio, descrivendo così un contesto ambientale evidentemente gravato dall’egemonia mafiosa delle famiglie COGNOME e COGNOME nella gestione dei fondi e delle relative attività agro-pastorali, precisando che nessuno dei proprietari terrieri della zona era in grado di opporsi alle richiesta dei membri di quelle famiglie «… perché hanno paura, basta che si presentano loro, gli dicono di sì. Se non lo fanno si piangono le conseguenze», pur non essendo in grado di riferire specifiche azioni ritorsive o estorsive.
Anche con riguardo, poi, alla contestazione di cui al capo 6) dell’imputazione provvisoria si riscontra un evidente vizio motivazionale, laddove il Tribunale di Palermo ha preso in considerazione solo le dichiarazioni rese dalla persona offesa NOME COGNOME trascurando la complessità della vicenda sottesa, come, invece, ricostruita dal G.I.P., in particolare ignorando di fatto quanto emerso dalla querela presentata in data 15 agosto 2018 dall’agricoltore NOME COGNOMEche aveva ricevuto l’incarico da COGNOME di effettuare dei lavori sui suoi fondi agricoli), per l minacce ricevute da COGNOME, coindagato nel procedimento per il medesimo reato ed in stretta e risalente relazione con i componenti della famiglia COGNOME Non è stato, quindi, congruamente valutato dai giudici del riesame se gli atti intimidatori perpetrati da COGNOME ai danni di NOME COGNOME così come quelli successivamente patiti dal medesimo COGNOME e da NOME COGNOME siano o meno da inquadrarsi congiuntamente in un chiaro, comune e condiviso disegno criminoso riconducibile all’esigenza di tutti gli indagati di rivendicare il totale controllo economico delle attività agricole da effettuare negli appezzamenti di terreno della zona, tra cui quelli di NOME COGNOME il quale, peraltro, ebbe a dichiarare «Non ho mai ricevuto minacce o pressioni. Non ho paura. Mi rassegno…. la situazione è questa. L’abitudine diventa legge, devono fare quello che vogliono, ognuno ha un suo territorio e si dividono i terreni. Io posso decidere di non darglieli ma non l’ho mai fatto e non so dire il perché…. Inconsciamente ho paura, perché sono dei mafiosi, c’è timore e uno accetta il prezzo…..», in tal modo descrivendo un quadro di evidente condizionamento della sua volontà di scegliere come comportarsi.
Anche con riguardo al capo 7) l’ordinanza impugnata si sofferma principalmente ad evidenziare l’assenza di intimidazioni implicite da parte di NOME COGNOME nei confronti del pastore NOME COGNOME per essersi rivolto direttamente ai padroni dei terreni e non già a lui per imballare la paglia, senza, però, motivare adeguatamente sull’atteggiamento completamente remissivo di NOME COGNOME, che lascia, invece, intendere in capo a quest’ultimo la consapevolezza di confrontarsi con il figlio di NOME COGNOME, appartenente con un ruolo di vertice all’organizzazione “Cosa Nostra”. In conclusione, il Collegio reputa che ai fini del riconoscimento della cosiddetta estorsione ambientale, è sufficiente che la richiesta estorsiva, pur formalmente priva di contenuto minatorio, ben possa manifestare un’energica carica intimidatoria come tale percepita dalla vittima stessa – alla luce della sottoposizione del territorio in cui detta richiesta è formulata all’influsso di notorie consorterie mafiose (cfr. Sez.2, n.22976 del 13/04/2017, Rv.270175-01; nonché la già citata Sez.2, n.44728 del 14/11/2024, COGNOME, n.m.).
Le aporie argomentative sopra evidenziate dovranno, perciò, essere risolte, nella pienezza del merito cautelare, rivalutando l’intero quadro investigativo alla luce dei principi di diritto sopra riportati, svolgendo una valutazione complessiva delle risultanze processuali e non operando quindi in termini parcellizzati.
Per le considerazioni sin qui svolte, si annulla l’ordinanza impugnata e si rinvia per un nuovo giudizio al Tribunale di Palermo competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per un nuovo giudizio al Tribunale di Palermo competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 12 dicembre 2024
GLYPH