Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 13002 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 13002 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ABBRUZZESE CELESTINO nato a FIRMO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 19/07/2023 del TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
RITENUTO IN FATTO
GLYPH Con ordinanza del 19 luglio 2023, il Tribunale di Catanzaro rigettava l’istanza di riesame avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro con la quale era stata applicata a COGNOME NOME, indagato per il reato di estorsione aggravata, la misura degli arresti domiciliari.
1.1 Avverso la predetta ordinanza ricorre per cassazione il difensore di COGNOME, rilevando come il Tribunale non avesse risposto adeguatamente ai rilievi difensivi relativi alla mancanza di motivazione circa l’autonoma valutazione delle esigenze cautelari e sui gravi indizi di colpevolezza, considerato che il giudice per le indagini preliminari aveva motivato sui capi 14, 15 e 16 delle imputazioni, delle quali solo il capo 14 era riferito al ricorrente; il tribunale aveva valorizzato le 10/15 volte in cui COGNOME si era recato presso la ditta RAGIONE_SOCIALE, senza specificare cosa gli sarebbe stato consegnato e non erano state acquisite le fatture che la ditta RAGIONE_SOCIALE avrebbe emesso ogniqualvolta venivano consegnati i materiali; il difensore rileva inoltre che l’intercettazione della conversazione tra COGNOME e COGNOME si prestava a letture non univoche, e che anche sulla ritenuta gravità della minaccia la motivazione era apparente.
1.2 II difensore lamenta la mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione sulla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., non essendo stato specificato in cosa sarebbe consistita l’agevo azione dell’attività della cosca e considerato che le asserite forniture di materiale non specificato ottenute da COGNOME (che non era affatto uno dei membri di spicco dell’associazione) erano a titolo personale.
1.3 Il difensore premette che erano state eccepite l’omessa valutazione delle esigenze cautelari e la mancata valutazione del tempo trascorso dalla commissione del reato, rilevando l’erroneità della statuizione del Tribunale sul punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
1.1 Relativamente ai primi due motivi di ricorso, giova premettere che il controllo di legittimità relativo ai provvedimenti de libertate, secondo giurisprudenza consolidata, è circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, la assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr., tra le tante, Sez. 2, sent. n. 56 del 07/12/2011, dep. 2012, Siciliano, Rv. 251760). La insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen., è, pertanto, rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento
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impugnato. Il controllo di legittimità, in particolare, non riguarda nè la ricostruzione dei fatti, nè l’apprezzamento del giudice di merito circa la attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono consentite le censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 1, sent. n. 1769 del 23/3/95, Ciraolo, Rv. 201177), sicché, ove venga denunciato il vizio di motivazione in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, è demandata al giudice di merito la valutazione del peso probatorio degli stessi, mentre alla Corte di Cassazione spetta solo il compito di verificare se il decidente abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che lo hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, sent. n. 22500 del 3/05/2007, COGNOME, Rv. 237012; si cfr. altresì Sez. U. sent. n. 11 del 21/04/1995, COGNOME ed altro, Rv. 202001).
Ciò premesso, a fronte della motivazione del Tribunale che ha evidenziato che il giudice per le indagini preliminari aveva dato atto della piena corrispondenza tra il contenuto delle conversazioni intercettate e le dichiarazioni a carico di COGNOME rese in sede di escussione dei soggetti coinvolti, riportando il contenuto delle conversazioni in cui COGNOME, responsabile del cantiere, aveva riferito a COGNOME che COGNOME si era recato presso il cantiere ed aveva preteso la fornitura di asfalto, suggerendogli di assumere delle “gocce” per gestire il proprio stato emotivo causato dalle continue visite presso il cantiere, e le dichiarazioni rese dallo stesso COGNOME sulle continue visite di COGNOME relative a richieste di materiale che non avrebbe mai pagato (pag.3); ha aggiunto anche le dichiarazioni di COGNOME secondo cui COGNOME era solito recarsi presso il cantiere al fine di prelevare varie tipologie di materiale, che venivano accettate per paura di ritorsioni; quanto alla idoneità della minaccia, il Tribunale ha correttamente richiamato la giurisprudenza di questa Corte in merito alla “estorsione ambientale”, osservando che i soggetti coinvolti acconsentivano alle richieste solo in ragione della nota caratura criminale di COGNOME; al riguardo deve ricordarsi che questa Corte (Sez. 2, n. 53652 del 10/12/2014, Rv. 261632) ha già osservato che per estorsione ambientale si intende quella particolare forma di estorsione che viene perpetrata da soggetti notoriamente inseriti in pericolosi gruppi criminali, che spadroneggiano in un determinato territorio e che è immediatamente percepita dagli abitanti di quella zona come concreta e di certa attuazione, stante la forza criminale dell’associazione di appartenenza del soggetto agente.
1.2 Relativamente alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., il Tribunale la ha ritenuta integrata sotto il profilo del metodo e non dell’agevolazione, per cui è irrilevante la mancata contestazione di un reato associativo: sul punto, si deve ribadire che la giurisprudenza di questa Corte è costante nel sostenere che l’art. 7 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203 (ora atrt.416-bis.1 cod.pen.), configura due ipotesi di circostanze aggravanti: nel caso qui di interesse, la prima è relativa al reato commesso dal soggetto, appartenente o meno all’associazione di cui all’art. 416bis cod. pen., che si avvale del metodo mafioso, ai fini della cui integrazione non è necessaria la prova l’esistenza della associazione criminosa, essendo sufficiente l’aver ingenerato nella vittima la consapevolezza che l’agente appartenga a tale associazione (vedi Sez.2, Sentenza n.49090 del 04/12/2015 Rv. 265515); “Ai fini della configurabilità dell’aggravante dell’utilizzazione del “metodo mafioso”, prevista dall’art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152 (conv. in I. 12 luglio 1991, n. 203), non è necessario che sia stata dimostrata o contes:ata l’esistenza di un’associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia richiamino alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo la forza intimidatrice tipicamente mafiosa del vincolo associativo.” (Sez.2, Sentenza n. 16053 del 25/03/2015 (dep. 17/04/2015 ) Rv. 263525); pertanto, correttamente il Tribunale ha ritenuto sussistente l’aggravante in quanto la persona offesa si determinava alla dazione della merce nella consapevolezza che tale richiesta proveniva da soggetto già intraneo ai locali contesti di criminalità organizzata.
1.3 Il Tribunale ha anche motivato sulla sussistenza delle esigenze cautelari e sulla irrilevanza del tempo trascorso, osservando “la pervicacia criminale e l’atteggiamento sprezzante nei confronti delle vittime, tanto da rendere recessivo il dato della risalenza nel tempo delle condotte”
2. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di € 3.000,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 31/01/2024