Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 35692 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 35692 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/06/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nata a Reggio NOME il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Reggio NOME il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Reggio NOME il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Reggio NOME il DATA_NASCITA
avverso il decreto emesso il 23/01/2024 dalla Corte di appello di Reggio NOME visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione del AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto di dichiarare inammissibili i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con il decreto impugnato la Corte di appello di Reggio NOME ha rigettato l’appello e ha confermato il decreto emesso dal Tribunale di Reggio NOME in data 4 marzo 2020 di confisca del fondo c.d. Fornace sito a Reggio
NOME, nel quartiere Archi, alla INDIRIZZO, nei confronti di NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME.
AVV_NOTAIO‘AVV_NOTAIO, difensore dei proposti, ricorre avverso tale ordinanza e ne chiede l’annullamento.
Il difensore, con unico motivo di ricorso, denuncia la violazione dell’art. 4, comma 1, lett. b), del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 e la carenza assoluta della motivazione in ordine ai presupposti applicativi della confisca disposta e, segnatamente, in ordine alla pericolosità sociale qualificata dei ricorrenti e alla configurabilità di una fattispecie estorsiva aggravata ai sensi dell’art. 416 bis.1 cod. pen.
La Corte di appello, infatti, avrebbe motivato in termini solo apodittici in ordine alla pericolosità sociale qualificata dei ricorrenti, utilizzando elementi probatori privi di gravità, precisione e concordanza e, comunque, strutturalmente inidonei a raggiungere lo standard probatorio necessario per applicare la confisca di prevenzione; solo apparente sarebbe, inoltre, la motivazione sulla configurabilità nella specie di una fattispecie estorsiva aggravata dal metodo mafioso.
La Corte di appello, peraltro, non avrebbe dimostrato il coinvolgimento dei ricorrenti nella condotta estorsiva da altri perpetrata e, segnatamente, la consapevolezza della provenienza illecita del bene a loro pervenuto quali eredi dei diritti possessori vantati dai loro danti causa.
I ricorrenti evidenziano, inoltre, che l’interesse della loro famiglia sul fondo di cui si controverte risale a molti anni fa e che la condotta estorsiva ritenuta dalla Corte di appello sarebbe evanescente, in quanto non hanno tenuto alcuna condotta violenta o minatoria, essendosi limitati ad intervenire quali eredi nei dirit possessori vantati dai loro danti causa.
Acquirenti del fondo in parola, peraltro, sarebbero stati anche gli esponenti di altre famiglie (e, segnatamente, gli eredi COGNOME).
Difetterebbe, dunque, qualsivoglia elemento indiziario che consenta di collegare la stipula del contratto di acquisto alla consapevolezza dei proposti di dare compimento ad un disegno criminoso da altri iniziato e posto in essere.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 22 maggio 2024, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, NOME AVV_NOTAIO, ha chiesto di dichiarare inammissibili i ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi devono essere rigettati.
Nel delibare i motivi formulati dai ricorrenti, occorre premettere che nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3 ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575, e ribadito dall’art. 10, comma terzo, del d.lgs. 159 del 2011; ne consegue che, in tale ambito, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotes dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., poten esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4 legge n.1423 del 56, il caso della motivazione inesistente o meramente apparente (ex plurimis: Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, COGNOME, Rv. 260246; Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279435 – 01; Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266365).
Il sindacato di legittimità sui provvedimenti in materia di prevenzione è, dunque, limitato alla violazione di legge e non si estende al controllo dell’ite giustificativo della decisione, a meno che questo sia del tutto assente (ex plurimis: Sez. 6, n. 35044 del 08/03/2007, Bruno, Rv. 237277), e non può essere dedotta come vizio di motivazione mancante o apparente la sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o che, comunque, risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, COGNOME, Rv. 260246). Tale limitazione è, peraltro, stata ritenuta non irragionevole dalla Corte costituzionale, stante la peculiarità del procedimento di prevenzione rispetto a quello penale, sia sul terreno processuale che su quello sostanziale (sentenze n. 321 del 22/06/2004 e n. 106 del 15/04/2015 della Corte costituzionale).
Con unico e articolato motivo, il difensore deduce la violazione dell’art. 4, comma 1, lett. b), del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 e la carenza assoluta della motivazione in ordine ai presupposti applicativi della confisca disposta.
4. Il motivo è infondato.
4.1. Il Tribunale di Reggio NOME ha posto a fondamento della confisca il giudizio di pericolosità qualificata, ai sensi dell’art. 4, lett. b), d.lgs. n. 1 2011, di NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME, ritenuti indiziati della commissione del delitto di estorsione aggravata ai sensi dell’art. 7 d.l. 13 maggio 1991 n. 152, convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203 (attualmente trasfuso nell’art. 416-bis.1 cod. pen.).
Questo giudizio è stato fondato sulle dichiarazioni rese al Pubblico Ministero
da NOME COGNOME, proprietario del fondo oggetto di confisca (un’area di circa 100.000 quadrati, su parte della quale insisteva un opificio industriale per la produzione di laterizi) sino al 14 giugno 2007, allorquando il fondo è stato «svenduto» all’imprenditore NOME COGNOME, che di seguito lo ha ceduto a titolo gratuito ai proposti con atto del 15 luglio 2009.
NOME ha dichiarato che il fondo, originariamente di proprietà di suo padre, era da decenni appetito dalle famiglie mafiose COGNOME, COGNOME e COGNOME, che, negli anni, ne avevano occupato di fatto porzioni crescenti, sfruttando la mancata opposizione di suo padre, timoroso di possibili ritorsioni.
NOME, divenuto titolare del fondo per successione mortis causa, aveva deciso di alienare il fondo, ancorché ad un prezzo largamente inferiore al suo valore venale, in quanto impossibilitato a goderne in fatto.
L’unico acquirente si era manifestato nella persona di NOME COGNOME, imprenditore vicino a tali famiglie mafiose, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa e sottoposto a sequestro di prevenzione sulla base di un giudizio di pericolosità sociale qualificata dall’appartenenza ad una cosca mafiosa. COGNOME, a sua volta, acquisita la titolarità del fondo, ne aveva ceduto una porzione agli eredi della famiglia COGNOME–COGNOME.
Secondo i Giudici di merito, le dichiarazioni di NOME COGNOME hanno trovato riscontro in quanto dichiarato in sede di interrogatorio da COGNOME e dalle stesse risultanze degli atti immobiliari.
A pag. 4 del decreto impugnato si rileva, inoltre, che nell’atto di compravendita immobiliare del 14 giugno 2007 intercorso tra COGNOME e COGNOME, quest’ultimo si era obbligato espressamente a trovare un accordo con gli occupanti e possessori del fondo, gli eredi della famiglia COGNOME, e a provvedere alla cessione a titolo gratuito di parte del fondo agli stessi, che medio tempore ne avrebbero maturato l’usucapione; tale atto, stipulato in data 15 luglio 2009 da COGNOME in favore degli eredi COGNOME–COGNOME, aveva, tuttavia, ad oggetto un’area pari al doppio di quella originariamente indicata.
La Corte di appello di Reggio NOME ha, dunque, motivato compiutamente in ordine agli elementi che inducono a ritenere sussistente la pericolosità sociale qualificata in capo ai ricorrenti, sulla base di elementi probatori pienamente utilizzabili nella disciplina delle misure di prevenzione (le dichiarazioni di COGNOME e COGNOME, i successivi atti di trasferimento del fondo).
Secondo la Corte di appello e il Tribunale, dunque, i proposti, molto vicini alla cosca COGNOME e nipoti di NOME COGNOME “Il Supremo” e tutti, salvo NOME COGNOME, condannati in via definitiva per associazione mafiosa, con la condotta apparentemente lecita di partecipazione ad un ordinario atto di transazione immobiliare, avrebbero posto in essere il segmento finale di un
progetto criminoso deliberato e iniziato anni prima con l’occupazione abusiva di tale fondo, ponendo in essere una condotta di estorsione ambientale aggravata ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen.
I Giudici di merito hanno, inoltre, ritenuto sussistente, sulla base di elementi congruamente individualizzanti, la correlazione temporale tra la pericolosità sociale dei proposti e l’acquisto dei beni, in quanto la pericolosità dei proposti si è concretata proprio all’atto «dell’esproprio gratuito» del fondo (pag. 17 del decreto impugnato).
4.2. Quanto alla censura relativa alla mancanza di una condotta violenta o minatoria dei ricorrenti e, comunque, di un accordo con gli autori della ritenuta estorsione, la Corte di appello ha rilevato, nei limiti delibatori propri della discipli delle misure di prevenzione, che nel caso di specie i proposti, acquisendo le porzioni del fondo a titolo gratuito, hanno posto in essere un’estorsione ambientale.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, risponde di concorso nel reato di estorsione e non di favoreggiamento personale colui che sia stato incaricato soltanto della riscossione delle somme dalla vittima, in quanto tale condotta non costituisce un post factum rispetto alla commissione del reato, ma influisce sull’evento costitutivo dello stesso, contribuendo al conseguimento della coartazione perpetrata nei confronti della vittima e a portare così a temine la condotta delittuosa (ex plurimis: Sez. 2, n. 36115 del 27/06/2017, COGNOME, Rv. 271005 – 01).
In tema di estorsione cd. ambientale, inoltre, integra la circostanza aggravante del metodo mafioso di cui all’art. 7, dl. 13 maggio 1991, n. 152, conv. nella legge 12 luglio 1991, n. 203 (ora art. 416-bis.1 cod. pen.), la condotta di chi, pur senza fare uso di una esplicita minaccia, pretenda dalla persona offesa il pagamento di somme di denaro per assicurarle protezione, in un territorio notoriamente soggetto all’influsso di consorterie mafiose, senza che sia necessario che la vittima conosca l’estorsore e la sua appartenenza ad un clan determinato (ex plurimis: Sez. 2, n. 21707 del 17/04/2019, COGNOME, Pv. 276115 – 01; Sez. 2, n. 22976 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 270175 – 01).
La Corte di appello ha, inoltre, correttamente rilevato che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di concorso di persone nel reato, la volontà di concorrere non presuppone necessariamente un previo accordo o, comunque, la reciproca consapevolezza del concorso altrui, essendo sufficiente che la coscienza del contributo fornito all’altrui condotta esista unilateralmente, con la conseguenza che essa può indifferentemente manifestarsi o come previo concerto o come intesa istantanea ovvero come semplice adesione all’opera di un altro che rimane ignaro (ex plurimis: Sez. U, n. 31 del 22/11/2000
(dep. 2001), COGNOME, Rv. 218525 – 01).
Sussiste, dunque, il concorso di persone nel reato di estorsione anche quando il contributo del correo sia limitato alla fase finale dell’attività delittu (Sez. 2, n. 36115 del 27/06/2017, COGNOME, Rv. 271005 – 01; Sez. 2, n. 10778 del 25/01/2002, COGNOME, Rv. 221123 – 01).
4.3. Infondato è, inoltre, il rilievo secondo il quale la Corte di appello non avrebbe motivato in ordine alla consapevolezza dei proposti dell’illecita provenienza del bene acquistato.
La Corte di appello ha, infatti, rilevato che vittima dell’estorsione mafiosa è stato non solo COGNOME, ma anche COGNOME, in quanto l’estorsione è stata commessa anche dai ricorrenti.
La cessione a titolo gratuito da COGNOME ai proposti di una porzione di terreno più ampia (e, anzi, doppia) di quella originariamente occupata di fatto, secondo la Corte di appello, infatti, si giustifica nel peculiare contesto ambientale in cui si sviluppata la vicenda, costituendo la realizzazione da parte dei proposti di una ulteriore condotta estorsiva.
Lo stesso NOME COGNOME ha confermato agli inquirenti di essere stato vittima di una estorsione, in quanto i ricorrenti hanno preteso la cessione di porzioni del fondo più estese di quanto previsto nell’atto stipulato con l’RAGIONE_SOCIALE nel 2007; il COGNOME ha, infatti, precisato che i ricorrenti «hanno esagerato, hanno voluto qualcosa in più» e che ha accettato «per avere un’armonia, per avere tranquillità…certe volte meglio spendere una cosa per non avere problemi» (pag. 15 del decreto impugnato).
4.4. Le censure di violazione di legge proposte dai ricorrenti sono, dunque, tutte manifestamente infondate e inammissibili, nella parte in cui propongono una diversa interpretazione delle risultanze probatorie delineate nel decreto impugnato.
Alla stregua di tali rilievi, i ricorsi devono essere complessivamente rigettati.
I ricorrenti devono, pertanto, essere condannati, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 21 giugno 2024.