Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 37163 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 37163 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
COGNOME NOME NOME NOME TAURIANOVA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/11/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le richieste del PG COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile;
sentite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per la parte civile NOME COGNOME, che ha chiesto la conferma della sentenza impugnata, anche in relazione alle disposizioni civili, con condanna dell’imputato al risarcimento dei danni morali, danni patrimoniali e non, ed al pagamento delle spese processuali di costituzione e difesa, come da nota spese già depositata;
sentite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per il ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della pronuncia di condanna emessa in data 23 novembre 2022 dal Tribunale di Palmi, ha ridetermiNOME la pena detentiva inflitta a NOME COGNOME per il reato di cui agli artt. 56-110-629 cod. pen., confermando nel resto.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, formulando dodici motivi di impugnazione, che qui si riassumono nei termini di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 178 e 454 cod. proc. pen., nonché vizi di motivazione, poiché nel decreto di fissazione del giudizio immediato mancava l’avviso che l’imputato avrebbe potuto richiedere l’applicazione della pena.
2.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 178, 80, 444 e 456 cod. proc. pen., nonché vizi di motivazione, eccependosi la nullità del decreto di giudizio immediato, in presenza di indagini incomplete e prova non evidente, ovvero comunque l’inutilizzabilità di tutti gli atti non tempestivamente prodotti da Pubblico Ministero.
2.3. Violazione di legge in relazione agli artt. 178, 192 e 546, lett. e), cod. proc. pen. e 629 cod. pen., nonché vizi di motivazione, eccependosi la nullità della motivazione per mancanza dei risultati acquisiti, dei criteri di valutazione delle prove e delle ragioni per cui non sono state ritenute attendibili le prove contrarie.
2.4. Violazione di legge in relazione agli artt. 191 e 192 cod. proc. pen., nonché vizi di motivazione, in merito alla ritenuta credibilità della persona offesa.
2.5. Violazione di legge in relazione agli artt. 191, 192, 234, 266, 267 e 271 cod. proc. pen., nonché vizi di motivazione, in merito alla genuinità delle registrazioni effettuate dalla persona offesa.
2.6. Violazione di legge in relazione agli artt. 191, 192, 234, 266, 267 e 271 cod. proc. pen., nonché vizi di motivazione, contestando l’utilizzabilità delle intercettazioni ambientali.
2.7. Violazione di legge in relazione agli artt. 191 e 192 cod. proc. pen. e 56, terzo comma, cod. pen., nonché vizi di motivazione, in merito al mancato riconoscimento della desistenza volontaria.
2.8. Violazione di legge in relazione agli artt. 191 e 192 cod. proc. pen. e 629 cod. pen., nonché vizi di motivazione, ravvisandosi un travisamento della prova per quel che riguarda la richiesta di denaro e rilascio dell’immobile.
2.9. Violazione di legge in relazione agli artt. 191 e 192 cod. proc. pen. e 629 cod. pen., nonché vizi di motivazione, ravvisandosi un travisamento della prova per quel che riguarda la sussistenza delle minacce.
2.10. Violazione di legge in relazione agli artt. 629 e 393 cod. pen., nonché vizi di motivazione, ravvisandosi un travisamento della prova per quel che riguarda la configurabilità del fatto a titolo di estorsione.
2.11. Violazione di legge in relazione agli artt. 629 e 416-bis.1 cod. pen., nonché vizi di motivazione, ravvisandosi un travisamento della prova per quel che riguarda la sussistenza del metodo mafioso.
2.12. Violazione di legge in relazione agli artt. 99, 133 e 133-bis cod. pen., nonché vizi di motivazione, in ordine alla ritenuta recidiva, alla mancata concessione delle circostanze di cui all’art. 62-bis cod. pen. e all’applicazione dell’aggravante dell’aver agito in più persone riunite.
2.13. Il difensore ha depositato motivi aggiunti, allegando documentazione a supporto.
2.13.1. Violazione degli artt. 546, comma 1, lett. e), 178 e 192 cod. proc. pen. e 629 cod. pen., nonché vizio di motivazione, in merito alla qualificazione giuridica dei fatti e all’asserito travisamento della prova in ordine alla richiesta denaro e rilascio dell’immobile.
2.13.2. Violazione degli artt. 191 e 192 cod. proc. pen. e 629 cod. pen., nonché vizio di motivazione, in relazione all’asserito travisamento delle dichiarazioni del teste NOME COGNOME e del co-imputato COGNOME, in ordine alla titolarità dell’immobile dove la persona offesa esercitava l’attività di ristorazione.
All’odierna udienza pubblica, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, perché proposto con motivi manifestamente infondati, generici e non consentiti.
Il primo motivo non appare sorretto da un interesse concreto ad impugnare.
L’imputato, infatti, aveva tempestivamente rilasciato procura speciale al difensore e chiesto formalmente l’applicazione della pena, seppure la richiesta non avesse avuto buon fine, per il dissenso espresso dal Pubblico Ministero (cfr. sentenza di primo grado, pp. 5-7. Peraltro, con argomentazione speculare rispetto al caso di specie, Sez. 6, n. 9062 del 16/12/2022, dep. 2023, Andolfi, Rv. 28441701, ha affermato, condivisibilmente, che anche la nullità – a regime intermedio nel decreto di citazione per il giudizio immediato, discendente dall’errata indicazione di un termine più breve per la richiesta di riti alternativi, è sanata l’imputato non abbia formulato istanza di rito alternativo).
Risultano, dunque, del tutto astratta e inconferente con quanto qui rileva la distinzione avanzata dal ricorrente tra difesa tecnica e difesa personale e meramente congetturale l’affermazione, ribadita anche in sede di discussione, per cui sarebbe mancato il tempo per proporre una nuova istanza.
3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Il giudizio è stato celebrato nelle forme del cosiddetto immediato custodiale, dove pure permane il necessario requisito prodromico dell’evidenza della prova. Tuttavia, la decisione con la quale il giudice per le indagini preliminari dispone i giudizio ai sensi dell’art. 455 cod. proc. pen. non può essere oggetto di ulteriore sindacato, salva l’ipotesi – che qui non rileva – in cui la richiesta del rito non stata preceduta da un valido interrogatorio o dall’invito a presentarsi (Sez. U, n. 42979 del 26/06/2014, COGNOME, Rv. 260018-01; Sez. 3, n. 1482 del 20/09/2017, dep. 2018, P., Rv. 271981-01; Sez. 6, n. 18193 del 21/03/2018, COGNOME, Rv. 272986-01).
Ciò premesso, l’introduzione delle prove in dibattimento prescinde dai requisiti di ammissione al rito speciale e segue unicamente la disciplina dettata dall’art. 493 cod. proc. pen., non potendosi costringere contra legem le facoltà istruttorie della parte pubblica nel più ristretto perimetro dei soli esiti d’indagine rilevanti p il distinto requisito dell’evidenza della prova ex art. 453 cod. proc. pen.; non si rileva nessuna ragione, neppure di ordine sistematico, per impedire, nella fase dibattimentale, l’utilizzo di atti di altri procedimenti, fermo il necessario rispe delle regole processuali di acquisizione del materiale probatorio al fascicolo del dibattimento. In ogni caso, la facoltà del pubblico ministero di procedere a separazione o a riunione dei procedimenti, anche in fase di indagine, è desumibile dall’art. 130 disp. att. cod. proc. pen., che attribuisce al magistrato inquirente potere di agire congiuntamente o separatamente nei confronti di persone accusate di concorso nel medesimo reato ovvero in ordine a diverse imputazioni relative alla medesima persona, senza adottare alcuno specifico provvedimento, con l’unico limite – che qui non rileva, in difetto di specifiche deduzioni – de previsione dell’art. 17 cod. proc. pen, secondo cui può esercitarsi contestualmente l’azione penale per notizie di reato distinte, purché ricorra almeno una delle ipotesi in cui è ammessa la riunione (Sez. 1, n. 48417 del 23/11/2012, Barbaro, Rv. 254099-01).
La scelta del rito ordinario da parte dell’imputato non può che tener conto di questa possibilità di evoluzione degli scenari processuali. (Peraltro, già il sol compendio investigativo posto a fondamento della richiesta di giudizio abbreviato aveva spinto il ricorrente ad optare – sia pure infruttuosamente – per l’applicazione della pena.)
Il terzo motivo è manifestamente infondato.
La doppia conforme motivazione dei giudici di merito, saldata in un unicum argomentativo, chiarisce nettamente come siano del tutto attendibili le dichiarazioni della persona offesa, peraltro solidamente riscontrate dai suoi parenti e, soprattutto, dalle registrazioni (sentenza di appello, pp. 5 e 10-12; sentenza di primo grado, pp. 15ss, 40-67,70ss, nonché 26ss sui testi addotti dalla difesa).
La portata informativa dei testi a discarico risulta, poi, già di per sé, di scarsa rilevanza, secondo le stesse deduzioni del ricorrente (avendo per oggetto non direttamente i fatti, ma la sola «rivisitazione» del passato criminale dell’imputato), e appare, soprattutto, del tutto incompatibile con l’impianto motivazionale sopra accenNOME, di modo che i motivi di gravame devono considerarsi, in ogni caso, implicitamente assorbiti e disattesi (cfr., Sez. 6, n. 2972 del 4/12/2020, dep. 2021, G., Rv. 280589-02; Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 27759301; Sez. 1, Sentenza n. 37588 del 18/06/2014, Amaniera, Rv. 260841-01).
Il quarto motivo non è consentito, involgendo una nuova ponderazione delle emergenze istruttorie, preclusa nel giudizio di cassazione.
La valutazione della attendibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice – al contrario che nel caso di specie, connotato da una serena disamina della fonte dichiarativa (cfr. pp. 1-5, ove si sottolinea, anche e soprattutto, la sussistenza di concreti e definitivi riscontri oggettivi) – non incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008, COGNOME, Rv. 240524-01; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, COGNOME, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, dep. 2005, COGNOME, Rv. 230899-01).
Il quinto motivo, parimenti, non è consentito, poiché le deduzioni relative alla «genuinità» dei dialoghi registrati dalla persona offesa hanno, in effetti, pe oggetto esclusivamente il loro contenuto, di cui si invoca un’alternativa rilettura pro reo.
Costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, anche l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715-01; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337-01; Sez. 2, n. 50701 del
04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389-01; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 258164-01).
Analogamente, risulta meramente fattuale il sesto motivo, laddove reitera considerazioni relative al contenuto dei dialoghi, nonché manifestamente infondato, in merito all’equiparazione delle registrazioni effettuate dalla persona offesa a intercettazioni ambientali.
Invero, la volontà, in capo alla persona offesa “microfonata” con l’ausilio degli investigatori, di sollecitare risposte autoaccusatorie da parte dell’indagato è connotato fisiologico delle operazioni finalizzate alla registrazione fonografica di colloqui tra presenti, eseguita di iniziativa da uno dei partecipi alle conversazioni, anche se su impulso della polizia giudiziaria e con strumenti forniti da quest’ultima. Secondo il consolidato e condivisibile orientamento di legittimità, tale attività d indagine non è qualificabile come intercettazione “ambientale” soggetta alla disciplina degli artt. 266ss. cod. proc. pen, ma costituisce una semplice prova documentale (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 40148 del 06/07/2022, COGNOME, Rv. 283977-01; Sez. 2, n. 12347 del 10/02/2021, COGNOME, Rv. 280996-01; Sez. 2, n. 3851 del 21/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269089-01).
Anche le rivelazioni fatte ai familiari in merito alle investigazioni in corso non incidono, di conseguenza, sulle conclusioni già raggiunte. Le riflessioni articolate sul punto dalla difesa devono essere ricondotte nel più ampio alveo della valutazione di attendibilità del dichiarante già sopra ricordata.
Il settimo motivo non risulta – come può agevolmente evincersi dall’atto di gravame (in particolare, pp. 87-93, relative alla qualificazione in iure della vicenda storica) – previamente a suo tempo dedotto in sede di appello e non supera, quindi, la soglia di ammissibilità fissata dal combiNOME disposto degli articoli 606, comma 3, e 609, comma 2, cod. proc. pen.
Ad ogni buon conto, sin dall’imputazione e fino alla definitiva ricostruzione operata dai giudici di merito, si precisa come l’evento di danno non si sia verificato esclusivamente per la ferma opposizione della persona offesa.
Anche l’ottavo motivo non è consentito, in quanto consiste in una richiesta di rilettura delle emergenze procedimentali (registrazioni, denuncia-querela, contratto), a fronte di una congrua motivazione della Corte territoriale in merito alla pretesa di farsi corrispondere somme non dovute e di ottenere il rilascio dell’immobile ove era esercitata l’attività commerciale della persona offesa, emersa in maniera inequivocabile dalle conversazioni registrate (sentenza di appello, p. 10).
Può ancora osservarsi, per completezza, con riflessioni estendibili anche alle ulteriori doglianze di travisamento della prova affrontate nei paragrafi che seguono, come, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, un simile vizio, derivante dall’utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o dall’omessa valutazione di una prova decisiva, possa essere dedotto con il ricorso per cassazione solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiamando dati probatori non esaminati dal primo giudice (Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, S., Rv. 283777-01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217-01; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014, Capuzzi, Rv. 258438-01).
Il nono motivo risulta generico, in quanto reitera deduzioni già ampiamente sconfessate dalla sentenza impugnata, e, comunque, meramente fattuale e confutativo, in presenza di un apparato motivazionale tutt’altro che illogico o contraddittorio.
La sussistenza e l’efficacia coercitiva delle reiterate intimidazioni è ampiamente illustrata dai giudici di merito, che riportano per esteso plurime minacce dall’inequivoco significato; per tutte, basti citare: «Ti ammazzo, ti sparo dentro la testa, esci fuori subito, vattene subito dal locale ora, che ora ti ammazzo» (sentenza di appello, pp. 10-11; sentenza di primo grado pp. 70-73).
Tali conclusioni non sono logicamente incompatibili con atteggiamenti apparentemente spavaldi della persona offesa (ma assunti solo in privato, davanti a moglie e figlio) e, in astratto, neppure con l’asserito allontanamento dai circuit della criminalità ‘ndranghetistica, allegato dal ricorrente.
Il decimo motivo non è consentito, in quanto postula valutazioni preliminari prettamente di merito, e, comunque, è manifestamente infondato sotto l’aspetto schiettamente giuridico.
La Corte di appello – pp. 12-13 – ribadisce correttamente come la vicenda non possa essere sussunta nella fattispecie di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, dal momento che l’imputato non aveva alcun effettivo titolo sull’immobile in relazione al quale, uti dominus, chiedeva denaro o esigeva il rilascio; le sue pretese erano dunque, con ogni evidenza, insuscettibili di essere tutelate in giudizio.
Le censure del ricorrente, d’altronde, infondate in iure, presuppongono un’alternativa interpretazione della piattaforma probatoria, dal momento che, a
fronte del congruo apparato argomentativo, si sottrae allo scrutinio di legittimità la conclusione dei giudici di merito per cui COGNOME agiva con un fine di profitto proprio, vantando diritti dominicali inesistenti, senza alcuna effettiva funzione di semplice intermediario e nella assoluta consapevolezza dell’illiceità delle proprie richieste.
12. Del pari, l’undicesimo motivo risulta non consentito e manifestamente infondato.
La sentenza impugnata, nella pienezza della giurisdizione di merito, individua gli elementi circostanziali ex art. 416-bis.1 cod. pen., idonei a fondare l’applicazione dell’aggravante, nella nota riferibilità di COGNOME all’omonima cosca operante sul territorio (zona ad alta densità mafiosa) e nell’esplicitazione da parte dell’imputato della propria caratura criminale, al fine di annichilire la volontà dell vittima, anche evocando espressamente l’organizzazione criminale.
Ferma la ricostruzione in punto di fatto, le argomentazioni dei giudici reggini sono conformi ai principi di diritto costantemente espressi da questa Corte regolatrice, secondo cui l’aggravante ha la funzione di reprimere il “metodo delinquenziale mafioso” ed è connessa non alla struttura e alla natura del delitto rispetto al quale la circostanza è contestata, quanto, piuttosto, alle modalità della condotta che evochino la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso (Sez. 5, n. 22554 del 09/03/2018, Marando, Rv. 273190-01); essa, pertanto, ricorre quando l’azione incriminata, posta in essere evocando la contiguità a un’associazione di tipo mafioso, sia funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune (Sez. 2, n. 39424 del 09/09/2019, COGNOME, Rv. 277222-01. Precisa, poi, ragionevolmente, Sez. 2, n. 34786 del 31/05/2023, Gabriele, Rv. 284950-01, che, ai fini della configurabilità della circostanza, è sufficiente, in u territorio in cui è radicata un’organizzazione mafiosa storica, che il soggetto agente si riferisca implicitamente al potere criminale della consorteria, in quanto tale potere è di per sé noto alla collettività).
13. È manifestamente infondato, infine, anche il dodicesimo motivo.
13.1. I giudici di appello, in primo luogo, ben evidenziano la nitida sequenza recidivante che lega le pregresse condanne (per omicidio, occultamento di cadavere, sequestro di persona, detenzione di armi, partecipazione apicale ad un’associazione di tipo mafioso) alle vicende che qui occupano, ravvisando una maggiore pericolosità sociale e una perdurante inclinazione al delitto, tali da influire, quale fattore criminogeno, sulla commissione del reato per cui si procede,
così da giustificare l’applicazione della recidiva (cfr. Sez. 2, n. 10988 del 07/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284425-01; Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, dep. 2017. COGNOME Chicca, Rv. 270419-01), nonché un elevato grado di colpevolezza, affatto incompatibile con la concessione delle attenuanti generiche (cfr. anche Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549-02; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, COGNOME, Rv. 259899-01, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle circostanze ex art. 62-bis cod. proc. pen., prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che fac riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione).
13.2. Del pari corretto, in ordine alla dosimetria della pena, il riferimento affatto assorbente rispetto ad altri elementi – alla gravità dei fatti e all’allarma personalità dell’imputato, come già ampiamente descritta.
La graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142-01), ciò che nel caso di specie, con ogni evidenza, non ricorre. Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata sarebbe necessaria soltanto se la pena fosse di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le espressioni de tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243-01; Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 24559601).
13.3. L’istruttoria, infine, ha dimostrato che, in più occasioni, le minacce furono proferite «in presenza di persone che lo accompagnavano per rafforzare le sue intimidazioni», poi nominativamente indicate. Non è revocabile in dubbio, a partire dalle considerazioni espresse proprio nel ricorso, che la persona offesa abbia chiaramente percepito la fisica presenza di tali terzi soggetti e si sia così realizzato l’effetto paventato dal legislatore di maggiore compressione della libertà morale della vittima (cfr. Sez. U, n. 21837 del 29/03/2012, Alberti, Rv. 25251801; Sez. 2, n. 40860 del 20/09/2022, Conton, Rv. 284041-01; Sez. 2, n. 21988 del 30/01/2019, COGNOME, Rv. 276116-01).
14. I motivi aggiunti restano travolti dalla inammissibilità dei motivi principal e sarebbero comunque non consentiti, in quanto diretti a sollecitare un’irrituale riconsiderazione del merito, e manifestamente infondati.
15. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condanNOME al pagamento delle spese processuali e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i profili di colpa emergenti dall’impugnazione (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo.
Consegue altresì la condanna dell’imputato alla rifusione delle spese di assistenza e rappresentanza sostenute dallet partk civill2 costituite’ nel presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, in relazione all’attività svolta.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME, che liquida in complessivi euro 3.686, oltre accessori di legge.
Così deciso il 25 settembre 2024
Il Consigliere estensore