Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10523 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10523 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME Pietro nato in Svizzera il 16/09/1961 Di Marta COGNOME nato a Grazzanise il 01/10/1963 NOME COGNOME nato in Albania il 09/11/2024 avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli in data 28/10/2024 preso atto che il procedimento è stato trattato con contraddittorio scritto udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME il quale ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 05/09/2024 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli applicava nei confronti di COGNOME COGNOME, COGNOME e COGNOME COGNOME la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione ai delitti
tentata estorsione ed incendio, entrambi aggravati dall’utilizzo del metodo mafioso ex art. 416 bis.1 cod. pen.
Avverso tale provvedimento proponevano istanza di riesame gli indagati, lamentando l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautela ri .
Il Tribunale di Napoli rigettava l’istanza di riesame proposta dagli indagati.
Ricorrono per cassazione COGNOME, COGNOME e COGNOME sollevando i seguenti motivi di gravame:
4.1.1. COGNOME NOME: violazione di legge e carenza di motivazione.
Il Tribunale avrebbe omesso di adempiere all’onere motivazionale limitandosi a richiamare la pag. 137 della ordinanza del Gip, senza fornire risposta ai rilievi difensivi con i quali si contestava la partecipazione del ricorrente all’estorsione;
4.1.2. violazione di legge, carenza e contraddittorietà della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della gravità indiziaria per i delitti contestat erroneamente fondata dal Tribunale su intercettazioni ambientali e telefoniche tra terzi, senza che fosse concretamente dimostrato un rapporto tra il ricorrente e COGNOME NOME, concorrente nel reato e capo del sodalizio criminoso di stampo camorristico, posto che le interlocuzioni con le persone offese erano neutre e prive di portata violenta, anche in forma allusiva;
4.1.3. violazione di legge e contraddittorietà della motivazione per la mancata derubricazione del reato di estorsione in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni alla luce di quanto statuito dalle Sezioni Unite COGNOME che hanno chiarito che la distinzione tra i due delitti risiede nell’elemento psicologico pe cui, a fronte di una condotta sorretta da una pretesa legittima di COGNOME, il Tribunale avrebbe qualificare il fatto ai sensi dell’art. 393 cod. pen.;
4.1.4. violazione di legge e contraddittorietà della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416 bis. 1 cod. pen., posto che il Tribunale, a fronte della inoffensività delle interlocuzioni e della mancata evocazione dell’appartenenza degli autori dell’episodio estorsivo alla compagine mafiosa e del fatto che le persone offese non hanno percepito il collegamento con soggetti appartenenti alla consorteria mafiosa, avrebbe dovuto escludere la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso.
4.2.1. Di NOME COGNOME nel suo ricorso ripercorre, sia pure con diversi accenti, le medesime censure difensive avanzate dal coindagato COGNOME.
In particolare lamenta carenza di motivazione e violazione del principio di autonoma valutazione in ordine alla ritenuta sussistenza della gravità indiziaria in relazione ai delitti contestati.
4.2.2. Deduce inoltre che il Tribunale avrebbe posto a fondamento del giudizio di gravità indiziaria frammenti di intercettazioni estrapolati dal contesto che, se letti nella loro interezza, non potevano dirsi dimostrativi dell’ipotesi di accusa, né tantomeno della circostanza aggravante del metodo mafioso, non risultando provato a livello indiziario il rapporto funzionale o associativo di COGNOME con i membri del sodalizio camorristico ed avendo egli rivolto alle persone offese, 1 richieste prive di contenuto minatorio, anche in forma allusiva.
4.2.3. Con un successivo motivo il ricorrente si duole della mancata derubricazione del reato di estorsione in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, alla luce di quanto statuito dalle Sezioni Unite Filardo.
4.2.4. Con il quarto motivo lamenta violazione di legge e contraddittorietà della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’utilizzo del metodo mafioso, stante la genericità e inoffensività delle interlocuzioni con le persone offese che non hanno collegato i fatti ad appartenenti ad associazioni camorristiche o avvertito il timore che le minacce potessero provenire da tali soggetti.
4.3. NOME COGNOME con un unico articolato motivo eccepisce la nullità dell’ordinanza impugnata per mancanza di autonoma valutazione in ordine ai rilievi difensivi con W quali si contestava la partecipazione del ricorrente all’estorsione consistita nell’incendio dell’autovettura delle persone offese, deducendo che la sua identificazione sarebbe avvenuta grazie ad un fotogramma che lo raffigurava presente in un bar distante alcuni chilometri da luogo dell’incendio, il giorno successivo al fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono basati su motivi, complessivamente, infondati e vanno rigettati.
E’ anzitutto necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte dei provvedimenti adottati dal tribunale, ai sensi degli artt. 309 o 310 cod. proc. pen. in tema di libertà personale. Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonché del tribunale del riesame. Il
contro
llo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo esam dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’att incensurabile in sede di legittimità: 1) – l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) – l’assenza di illogicità evidenti, ossia la GLYPH congruità GLYPH delle argomentazioni GLYPH rispetto al GLYPH fine GLYPH giustificativo GLYPH del provvedimento. (Sez. 6 n. 2146 del 25.05.1995, Rv. 201840; Sez. 2 n. 56 del 7/12/2011, Rv. 251760). Inoltre, il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilit delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti “prima facie” dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto. (Sez. 1 n. 1700 del 20.03.1998, Rv. 210566; Sez. 2, n. 56 del 07/12/2011, Rv. 251761).
3. Nel caso di specie il Tribunale del riesame di Napoli, in merito alla vicenda nruit, estorsiva consistita minacciare, al fine di ottenere il rilascio dell’immobile, COGNOME NOME e COGNOME NOME, conduttori dell’immobile di proprietà di COGNOME NOME, dapprima facendo intervenire COGNOME Pietro che gli intimava perentoriamente di andare via entro dieci giorni e poi incendiando l’autovettura delle vittime, ha ritenuto integrati i gravi indizi di colpevolezza del delitto di tentata estorsione e incendio, entrambi aggravati dal metodo mafioso, valorizzando, in primis, le dichiarazioni delle persone offese le quali avevano riferito delle interlocuzioni avute con COGNOME all’indomani dell’intervento di COGNOME, che dimostravano il suo diretto coinvolgimento nelle vicenda (pag. 3 dell’ordinanza impugnata).
Il Tribunale ha poi considerato, a riscontro del narrato, le intercettazioni delle conversazioni intercorse tra COGNOME e COGNOME che rendevano chiaro come questi fossero intervenuti su mandato di COGNOME e che, all’estorsione mediante incendio avesse partecipato, su incarico di COGNOME, anche COGNOME, identificato in base ai fotogrammi che lo raffiguravano insieme a COGNOME in occasione del sopralluogo
4 GLYPH
.5rA
prima dell’incendio ed alle conversazioni intercorse nei giorni successivi all’incendio che davano conto del pagamento del compenso da parte di COGNOME agli esecutori materiali dello stesso (pagg. 4 e segg. dell’ordinanza impugnata).
Privi di fondamento appaiono, dunque, i rilievi difensivi con cui i ricorrenti deducono l’omessa autonoma valutazione delle proprie argomentazioni, avendo il Tribunale ampiamente risposto in merito alle contestazioni, invero assai generiche, sollevate dalla difesa con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, dovendosi ribadire in relazione alla valenza indiziante del contenuto di intercettazioni tra terzi che il contenuto di intercettazioni telefoniche captate fra terzi, da cui emergano elementi di accusa nei confronti dell’indagato, può costituire fonte probatoria diretta della sua colpevolezza, senza necessità di riscontro ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., fatto salvo l’obbligo del giudice di valutare il significato delle conversazioni intercettate secondo criteri di linearità logica (Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, Rv. 268414; Sez. 3, n. 10683 del 07/11/2023, Rv. 286150; Sez. 5, n. 40061 del 12/07/2019, Rv. 278314).
Altrettanto infondate appaiono le censure che attengono alla qualificazione giuridica del fatto in termini di estorsione (tentata), sia per quanto riguarda la posizione di COGNOME sia per quanto riguarda quella degli altri due coindagati.
Osserva infatti il collegio che, pur riconoscendo la “matrice civilistica” della richiesta di rilascio dell’immobile, pacificamente formulata su mandato di COGNOME, in progressione criminosa, dapprima con minaccia velata da parte di COGNOME e poi con modalità incendiarie da parte di COGNOME ( in concorso con COGNOME ed altri), il Tribunale non ha proceduto a derubricare il reato nei confronti di COGNOME, ai sensi dell’art. 393 cod. pen., poiché ha congruamente rimarcato che l’intervento di COGNOME Davide e degli altri autori materiali dell’estorsione, palesava ulteriori finalità: una di tipo economico per gli esecutori materiali e una di tipo camorristico dato che COGNOME, per attuare l’effetto intimidatorio, ha messo in campo un’azione dai tipici connotati mafiosi (pag. 7 dell’ordinanza impugnata).
Sul punto le Sezioni Unite NOME (sent. n. 29541 del 16/07/2020, Rv. 280027 ed in continuità Sez.2,n. 2331 del 17/11/2023, Rv. 285817), nell’affermare il principio di diritto secondo cui “Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione all’elemento psicologico da accertarsi secondo le ordinarie regole probatorie” hanno precisato che le modalità dell’azione non sono indifferenti ai fini della qualificazione giuridica del fatto poiché :”alla speciale veemenza del comportamento violento o minaccioso potrà, pertanto, riconoscersi valenza di
elemento sintomatico del dolo di estorsione. Questa Corte è, infatti, ferma nel ritenere, in generale, che la prova del dolo, in assenza di esplicite ammissioni da parte dell’imputato, ha natura indiretta, dovendo essere desunta da elementi esterni ed, in particolare, da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più idonei ad esprimere il fine perseguito dall’agente (Sez. 1, n. 39293 del 23/09/2008, COGNOME, Rv. 241339; Sez. 1, n. 35006 del 18/04/2013, COGNOME, Rv.257208; Sez. 1, n. 11928 del 29/11/2018, dep. 2019, Come/li, Rv. 275012); con specifico riferimento al tema in esame, si è inoltre osservato che «il dolo può essere tratto solo da dati esteriori, che ne indicano l’esistenza, e servono necessariamente a ricostruire anche il processo decisionale alla luce di elementi oggettivi, analizzati con un giudizio ex ante», e, di conseguenza, «le forme esteriori della condotta, e quindi la gravità della violenza e l’intensità dell’intimidazione veicolata con la minaccia, non sono momenti del tutto indifferenti nel qualificare il fatto in termini di estorsio piuttosto che di esercizio arbitrario ai sensi dell’art. 393 c.p.», ben potendo quindi costituire indici sintomatici di una volontà costrittiva, di sopraffazione piuttosto che di soddisfazione di un diritto effettivamente esistente ed azionabile (Sez. 2, n. 44476 del 03/07/2015, COGNOME, Rv. 265320) (così pagg. 23 e segg. della sentenza delle Sez. U. COGNOME).
Tanto premesso non appare un fuor d’opera il richiamo operato dal Tribunale, ai fini della qualificazione giuridica del fatto, alle modalità esecutive della condotta ed in particolare alla perentorietà della richiesta ed all’intervento di COGNOME, personaggio di spicco della criminalità organizzata che, insieme ai correi, su mandato di COGNOME, diede alle fiamme l’autovettura delle vittime, essendo tali modalità dimostrative della ulteriore finalità sottesa alla pretesa di rilascio e cioè dell’esigenza di riaffermare il pieno controllo e il predominio del gruppo criminale sul territorio (pag. 7 dell’ordinanza impugnata).
Allo stesso modo appare corretta la qualificazione giuridica del fatto con riferimento alle posizioni dei coindagati COGNOME e COGNOME.
Le Sezioni Unite NOME a proposito dell’intervento di terzi a tutela di un diritt altrui, hanno ribadito il principio, tradizionalmente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui per la configurabilità del delitto di ragion fatta “occorre che il terzo abbia commesso il fatto al solo fine di esercitare il preteso diritto per conto del suo effettivo titolare, dal quale abbia ricevuto incarico d attivarsi, e non perché spinto anche da un fine di profitto proprio, ravvisabile ad esempio nella promessa o nel conseguimento di un compenso per sé, anche se di
natura non patrimoniale (Sez. 2, n. 11282 del 2/10/1985, Rv. 171209); qualora il terzo agente – seppure inizialmente inserito in un rapporto inquadrabile ex art. 110 cod. pen. nella previsione dell’art. 393 stesso codice – inizi ad agire in piena autonomia per il perseguimento dei propri interessi, deve ritenersi che tale condotta integri gli estremi del concorso nel reato di estorsione ex artt. 110 e 629 cod. pen. (Sez. 2, n. 8836 del 05/02/1991, COGNOME, Rv. 188123; Sez. 2, n. 4681 del 21/03/1997, Russo, Rv. 207595; Sez. 5, n. 29015 del 12/07/2002, COGNOME, Rv. 222292; Sez. 5, n. 22003 del 07/03/2013, COGNOME, Rv. 255651)”. infatti statuito che “il concorso del terzo nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone è configurabile nei soli casi in cui questi si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore, senz perseguire alcuna diversa ed ulteriore finalità”.
Tanto premesso, nel caso esaminato, dalle intercettazioni e dai fotogrammi che ritraggono COGNOME in compagnia di COGNOME e di Natale in occasione del sopralluogo prima dell’incendio (pagg. 3 e 6 dell’ordinanza impugnata) e successivamente con COGNOME in occasione della ripartizione del compenso, emerge che i predetti COGNOME e COGNOME agirono su incarico di COGNOME i ottenendo anche un profitto proprio sicchè, correttamente, il Tribunale ha escluso di poter riqualificare il fatto ai sensi dell’art. 393 cod. pen.
In relazione, poi, alla circostanza aggravante del metodo mafioso, la motivazione, per quanto succinta, è congrua e adeguata.
Va anzitutto ricordato che ai fini della configurabilità dell’aggravante dell’utilizzazione del metodo mafioso, non occorre che sia dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione per delinquere, essendo necessario solo che la violenza o la minaccia assumano la veste propria della violenza o della minaccia mafiosa, ossia di quella ben più penetrante, energica ed efficace che deriva dalla prospettazione della sua provenienza da un tipo di sodalizio criminoso dedito a molteplici ed efferati delitti, sicché, una volta accertato l’utilizzo del metodo mafioso, l’aggravante, avente natura oggettiva, si applica a tutti i concorrenti nel reato, ancorché le azioni di intimidazione e minaccia siano state materialmente commesse solo da alcuni di essi (Sez. 2, n. 32564 del 12/04/2023, Rv. 285018; Sez. 2, n. 2204 del 31/03/1998, Rv. 211178).
Inoltre, secondo il costante orientamento di questa Corte da ultimo ribadito da Sez. 2, n. 34786 del 31/05/2023, Rv. 284950, “ai fini della configurabilità dell’aggravante del “metodo mafioso”, di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., è sufficiente, in un territorio in cui è radicata un’organizzazione mafiosa storica,
che il soggetto agente si riferisca implicitamente al potere criminale della consorteria, in quanto tale potere è di per sé noto alla collettività”.
Anche Sez. 2, n. 34786 del 31/05/2023, Rv. 284950 nell’affermare il principio secondo cui ” In tema di rapina, l’agire professionale, violento e organizzato non è sufficiente “ex se” per la configurabffità dell’aggravante dell’utilizzo de “metodo mafioso”, di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., essendo necessaria la ragionevole percezione, anche solo ipotetica, da parte della persona offesa della provenienza dell’attività delittuosa da un contesto di criminalità organizzata di tipo mafioso” ha spiegato che la maggior soggezione generata dalla parvenza di un agire mafioso, può essere determinata dalla consapevolezza della presenza, nel territorio di riferimento, di sodalizi criminali, dagli espliciti ric all’appartenenza o alla vicinanza a tali sodalizi e dalle concrete modalità di coercizione poste in essere.
Alla luce di quanto esposto non residuano dubbi circa la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso in quanto la pretesa, nel caso esaminato, è stata avanzata da COGNOME non personalmente, ma tramite soggetti legati al sodalizio camorristico con un modus operandi che, nel contesto ambientale di riferimento, rendeva esplicita la forza del vincolo associativo, suscitando un indiscusso maggior effetto intimidatorio nei confronti dei destinatari del messaggio.
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali Così deciso, il 04/02/2025