Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1989 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1989 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME SPESA NOME NOME a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/02/2023 della Corte d’appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO, anche in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Milano, con la sentenza impugnata in questa sede, ha confermato la condanna alle pene di giustizia pronunciata nei confronti di RAGIONE_SOCIALE dal G.u.p. del Tribunale di Como in data 15 luglio 2021, in ordine al reato di estorsione aggravata in concorso. La vicenda aveva avuto origine dalle pretese avanzate da COGNOME NOME, separatamente giudicato, per le prestazioni di lavoro non retribuite dalla persona offesa, pretese che il ricorrente
aveva condiviso e sostenuto con modalità minacciose, richiedendo una somma del tutto sganciata dall’ipotetico credito del COGNOME.
2. Ha proposto ricorso nell’interesse dell’imputato l’AVV_NOTAIO deducendo, con il primo motivo, violazione di legge, in relazione all’art. 629 cod. pen., e vizio di motivazione; la Corte territoriale si era limitata confermare il giudizio espresso in primo grado, omettendo di valutare le evidenti contraddizioni ricostruttive (già presenti nel capo di imputazione, con errata individuazione del destinatario di frasi miNOMErie, in realtà rivolte al correo) desumibili dal raffronto tra le dichiarazioni della persona offesa e dei testimoni del fatto, peraltro a conoscenza questi ultimi delle vicende solo per averle apprese dalla stessa vittima; inoltre, era errata la valutazione riguardante l’assenza di interessi economici della persona offesa, risultando documentalmente che la vittima aveva conseguito il risarcimento dei danni lamentati nel separato giudizio instaurato nei confronti del concorrente nel medesimo reato.
2.1. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge, in relazione agli artt. 47, 393 e 629 cod. pen., nonché vizio di motivazione, in ordine alla qualificazione giuridica del fatto; pacifica la scaturigine della questione insorta tra le parti (ossia, le rivendicazioni retributive del concorrente COGNOME che aveva svolto attività di lavoro alle dipendenze della persona offesa), la Corte territoriale aveva omesso di considerare i dati fattuali indicati dall’appellante che conducevano a rappresentare il contributo del ricorrente al più quale concorso nel reato ex art. 393 cod. pen. (non risultando in atti elementi per dimostrare la consapevolezza dell’imputato circa il carattere spropositato delle richieste avanzate dal concorrente).
2.2. Con il terzo motivo si è dedotta la violazione di legge, in relazione agli artt. 63 e 99 cod. pen., e vizio della motivazione, con riguardo all’errata valutazione delle annotazioni del casellario giudiziale, dalle quali risultava l’estinzione degli effetti penali di alcune delle condanne considerate dalla sentenza impugnata quali indici della più accentuata pericolosità del ricorrente; si trattava di estinzione che, per effetto della ravvisata unicità del disegno criminoso in cui erano ricomprese non solo le condanne per cui era intervenuta la ricordata estinzione degli effetti penali, ma anche altre condanne considerate dalla Corte territoriale, determinava il venir meno del presupposto per l’affermata sussistenza delle condizioni per ravvisare lo status di recidivo.
3. Sono stati depositati in data 3 novembre 2023 motivi nuovi a firma dell’AVV_NOTAIO, diretti a confortare gli argomenti riguardanti l’errata applicazione della recidiva, in violazione del principio dell’estinzione del reato e degli effett
penali delle condanne per il positivo superamento dell’affidamento in prova, nonché l’effettività del contributo del ricorrente nel fatto contestato e la sua qualificazione giuridica; è stata, altresì, dedotta l’omessa applicazione della circostanza attenuante introdotta per effetto della pronuncia della Corte costituzionale del 15/6/2023 n. 120.
3.1. Sono stati depositati in data 8 novembre 2023 motivi nuovi a firma dell’AVV_NOTAIO con i quali è stata dedotta la mancata applicazione dell’articolo 629 cod. pen., come risultante dalla declaratoria di parziale illegittimità costituzionale pronunciata con la ricordata sentenza della Corte costituzionale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile
1.1. Il primo motivo di ricorso è generico e reiterativo.
L’errata individuazione del destinatario dell’invettiva riportata nel motivo di ricorso non costituisce elemento decisivo in grado di destrutturare la motivazione che si fonda su una pluralità di elementi dichiarativi ed alcune peculiarità della vicenda, ad iniziare dalla mancanza d’ iniziativa diretta della vittima nel denunciare l’accaduto, appreso dal fratello che aveva ritrovato impaurito e spaventato il congiunto, senza peraltro riuscire a convincerlo a denunciare i fatti avvenuti. A ciò si aggiungono gli accertamenti diretti della p.g., con visione dei messaggi miNOMEri (che il COGNOME provvedeva immediatamente a cancellare subito dopo averli inviati) e la successiva individuazione fotografica del ricorrente, descritto come il soggetto che aveva spalleggiato il COGNOME nei primi episodi.
Le ulteriori censure sul giudizio di attendibilità della persona offesa non costituiscono altro che una differente lettura del dato probatorio, non consentita in sede di legittimità (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 – 01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 4, n. 35683 del 10/07/2007, COGNOME, Rv. 237652; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
Del tutto inconferente, infine, il dato del conseguito risarcimento dei danni operato dal coimputato COGNOME; al contrario, la scelta processuale della persona offesa conferma che nei confronti del ricorrente egli non nutriva alcuna ragione di malanimo o di astio, avendo omesso (pur potendone avere titolo) di formulare richieste dirette di risarcimento nei suoi confronti.
1.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato
La sproporzione evidentissima e documentata, anche attraverso le indagini svolte, tra le astratte rivendicazioni scaturenti dal rapporto di lavoro e la somma
pretesa, richiesta in più occasioni e senza alcun fondamento tecnico giuridico quanto alla variabile dell’ammontare preteso (continuamente mutato nel corso del tempo), dimostra senza dubbio alcuno come si trattasse di una pretesa che non corrispondeva in nulla al diritto al pagamento delle retribuzioni per il brevissimo lasso di tempo in cui il COGNOME aveva lavorato; di ciò non poteva essere all’oscuro il ricorrente che, al contrario, fu colui che si attivò in prima persona, nei primi due incontri, a perorare la pretesa del COGNOME, richiedendo alla persona offesa la documentazione del rapporto di lavoro, valutandone la portata, intimando il pagamento dell’esorbitante somma (19.000 euro) con toni minacciosi diretti a rafforzare il proposito criminoso del correo.
Va ricordato, a questo riguardo, che per potersi ravvisare l’ipotesi prevista dall’art. 393 cod. pen., «la pretesa arbitrariamente coltivata dall’agente deve (…) corrispondere esattamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, e non risultare in qualsiasi modo più ampia, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato, e l’agente deve, quindi, essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli possa competere giuridicamente» (Sez. unite, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 – 02; in precedenza, Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, COGNOME, Rv. 268362; Sez. 5, n. 2819 del 24/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263589).
1.3. La censura formulata con il terzo motivo di ricorso è aspecifica, nella misura in cui il ricorrente non ha allegato il provvedimento del Tribunale di sorveglianza che ha dichiarato l’estinzione della pena detentiva, come riportato nel certificato de casellario; nella prospettiva del ricorrente l’effetto estintiv dovrebbe estendersi anche a condanne per reati per i quali non è annotata l’estinzione del reato e delle pene correlative, in quanto essendo avvinti dal vincolo della continuazione, con le condanne oggetto del provvedimento di estinzione, dovrebbero intendersi anch’essi estinti. La mancata allegazione di quel provvedimento impedisce alla Corte di valutare la fondatezza della prospettazione del ricorrente; è stato affermato, infatti, che l’estinzione di ogni effetto penale (e, quindi, anche della rilevanza delle condanne eventualmente estinte ai fini del giudizio sulla recidiva), determinata dall’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale, può essere rilevata nel giudizio di legittimità a condizione che essa sia stata documentata dal ricorrente (Sez. 3, n. 41697 del 08/05/2018, G., Rv. 273941 – 01).
1.4. La rilevata inammissibilità dei motivi principali di ricorso su esaminati comporta, secondo il costante orientamento di legittimità, l’inammissibilità dei motivi nuovi (Sez. 3, n. 23929 del 25/02/2021, COGNOME, Rv. 282021 – 01; Sez.
5, n. 48044 del 02/07/2019, COGNOME, Rv. 277850 – 01; Sez. 6, n. 9837 del 21/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275158 – 01); in ogni caso, è evidente l’impossibilità di riconoscere al fatto contestato i caratteri del fatto lieve come indicato dalla Corte costituzionale (n. 120 del 15/6/2023), dovendosi applicare il principio espresso dalla Corte (Sez. 2, n. 46072 del 3/10/2023, Batakaj, n.m.) secondo il quale “la qualificazione lieve del fatto poggia (…), come anche per fattispecie consimili (art. 311, 630 cod. pen.), su due basi, una riferibile all’azione dell’uomo, l’altra agli effetti cagionati da quella stessa azione, dovendo tali vettori confluire nella complessiva “leggerezza” del fatto”.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 24/11/2023