Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 29453 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 29453 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 08/09/1982 avverso l’ordinanza del 18/02/2025 del Tribunale di Palermo visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; uditi i difensori del ricorrente, Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale del riesame di Palermo ha confermato l’ordinanza del 28 gennaio 2025 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo che, per quanto di interesse in questa sede, aveva applicato a NOME COGNOME la misura cautelare personale della custodia in carcere perché gravemente indiziato del reato di tentata estorsione aggravata contestato al capo 15).
In particolare a NOME COGNOME si contesta di avere, unitamente a NOME COGNOME avvalendosi del metodo mafioso ed allo scopo di agevolare la famiglia mafiosa di Uditore, con la minaccia rivolta ad NOME COGNOME di non rilasciare un appartamento che era stato concesso in locazione a NOME COGNOME e poi da questi occupato senza titolo e presentandosi quali emissari di NOME COGNOME, tentato di costringere il predetto COGNOME a pagare a COGNOME NOME la somma di almeno euro 178.925,34, importo pari al credito che NOME COGNOME sosteneva essere dovuta dal COGNOME alla RAGIONE_SOCIALE società in precedenza amministrata da NOME COGNOME e poi sottoposta in data 8 febbraio 2023 a sequestro di prevenzione, oppure, in alternativa, a trasferirgli, a tacitazione di detto credito, la proprietà di detto immobile.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo dei suoi difensori, chiedendone l’annullamento ed articolando cinque motivi.
2.1 Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., il travisamento per omissione delle sommarie informazioni testimoniali rese da NOME COGNOME in data 10 settembre 2024 cui è seguita la remissione della querela in precedenza sporta dalla persona offesa per il reato ipotizzato a carico di NOME COGNOME
Segnala NOME COGNOME che il verbale contenente le sommarie informazioni è stato depositato solo dopo la richiesta di riesame ed il Tribunale del riesame avrebbe dovuto valutarne la rilevanza che il ricorrente sostiene essere decisiva, sia in relazione ai gravi indizi di colpevolezza ed in particolare all’idoneità della minaccia, sia in ordine alle esigenze cautelari, avendo il COGNOME affermato di avere ottenuto il rilascio dell’immobile e che ogni condotta degli indagati era cessata.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 56, 110 e 629, primo e secondo comma, cod. pen. in relazione all’art. 628, terzo comma, n. 1, cod. pen., sostenendo che la minaccia era inidonea a costringere NOME COGNOME a soddisfare il suo debito nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, essendo questa stata sottoposta a sequestro di prevenzione, o a trasferire a NOME COGNOME la proprietà dell’immobile.
Sostiene che ricorre la fattispecie del reato impossibile prevista dall’art. 49 cod. pen. per inidoneità degli atti.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, non potendo affermarsi che sia stata prospettata alcuna minaccia, non essendo sufficiente a tal fine la mera evocazione della figura di NOME COGNOME detenuto per associazione di tipo mafioso, specie ove si consideri che NOME COGNOME non aveva ceduto alle
pretese minacce, incaricando un proprio legale per avviare le iniziative giudiziarie occorrenti per ottenere il rilascio dell’immobile.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta violazione di legge per difetto di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
La questione, segnala il ricorrente, assume spiccato rilievo poiché nella vicenda ricorrono due rapporti obbligatori a parti inverse.
NOME COGNOME era debitore per le opera da lui appaltate alla RAGIONE_SOCIALE, di cui NOME COGNOME era stato amministratore, mentre NOME COGNOME era creditore di NOME COGNOME per i canoni di locazione relativi all’immobile occupato dal 2009. Al termine del rapporto con la RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME aveva chiesto a NOME COGNOME il pagamento dei canoni ed il rilascio dell’immobile, ma questi aveva opposto, in via riconvenzionale, il pagamento della somma di circa euro 180.000,00 dovuto alla RAGIONE_SOCIALE debito che inizialmente NOME COGNOME aveva contestato e che successivamente aveva riconosciuto , pur sostenendo che l’importo richiesto fosse eccessivo rispetto alle opere realizzate.
La vicenda si era conclusa con la consegna delle chiavi, avvenuta dopo che NOME COGNOME aveva avviato la procedura di sfratto, ma prima della udienza di trattazione.
Il Giudice per le indagini preliminari aveva comunque ritenuto estorsiva la richiesta di NOME COGNOME poiché il credito da lui vantato era ormai prescritto e comunque era inesigibile, essendo la RAGIONE_SOCIALE stata sequestrata.
Il Tribunale del riesame non si è confrontato con le deduzioni contenute nella memoria difensiva e volte ad ottenere la riqualificazione del fatto come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, focalizzandosi solo sulla mancanza di documentazione a sostegno della pretesa di NOME COGNOME, sulla intervenuta prescrizione del credito e sulla sua inesigibilità per essere la RAGIONE_SOCIALE stata sottoposta a sequestro di prevenzione.
Sostiene il ricorrente che il Tribunale non ha considerato che, ai sensi dell’art. 2938 cod. civ., la prescrizione non è rilevabile d’ufficio ma deve essere eccepita dalla parte interessata.
Quanto all’intervenuto sequestro, il Tribunale del riesame non ha dato risposta ai rilievi difensivi che ponevano in evidenza che, in occasione dell’incontro tra NOME COGNOME ed NOME COGNOME avvenuto in data 12 marzo 2024, il primo aveva manifestato la volontà di far intervenire l’amministratore giudiziario della RAGIONE_SOCIALE per far valere il credito vantato.
Sulla base di tale manifestazione di volontà il reato andava riqualificato come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, atteso che NOME COGNOME aveva agito nella convinzione di far valere un proprio diritto di credito, essendo questo
maturato in un periodo in cui egli aveva rivestito la posizione di amministratore della società.
2.5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 416 -bis .1 cod. pen.
Il ricorrente segnala che l’aggravante è stata ritenuta sussistente in virtù del riferimento alla persona di NOME COGNOME e sostiene che tale motivazione determina una violazione di legge, essendo in contrasto con i più attuali principi affermati in materia da questa Corte di cassazione ed in particolare non potendo affermarsi che l’evocazione di NOME COGNOME abbia costituito una modalità funzionale ad una più pronta ed agevole commissione del reato.
Inoltre, denuncia che il Tribunale del riesame non ha in alcun modo motivato in ordine alla sussistenza dell’aggravante nella forma dell’agevolazione delle finalità della associazione mafiosa.
Sostiene che sussiste il suo interesse all’esclusione dell’aggravante perché dalla sua applicazione discende l’ operatività della presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
In data 20 giugno 2025 il difensore ha fatto pervenire il decreto della Corte di appello di Palermo del 23 aprile 2025, depositato il 7 maggio 2025 ed irrevocabile il 27 maggio 2025, che ha revocato la misura di prevenzione della confisca della RAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il Tribunale ha preso in considerazione il contenuto delle sommarie informazioni rese da NOME COGNOME in data 10 settembre 2024, atteso che nel provvedimento qui impugnato (a pag. 3) si dà atto che lo stesso aveva incaricato un avvocato per avviare l’azione giudiziaria volta ad ottenere il rilascio dell’immobile occupato senza titolo da NOME COGNOME e che la querela era stata rimessa a seguito del rilascio dell’immobile (a pag. 7).
Semmai il ricorrente si duole che il Tribunale del riesame non abbia tratto da tali circostanze le conseguenze da lui invocate, ma, sotto tale profilo, il motivo risulta inammissibile in quanto diretto ad invocare una non consentita rivalutazione della loro rilevanza.
Il secondo ed il terzo motivo, che possono essere trattati unitariamente, sono manifestamente infondati.
Nel provvedimento impugnato si afferma che, ai fini del carattere intimidatorio della condotta di NOME COGNOME, rilevano i toni esplicitamente minacciosi da lui adottati nei confronti del COGNOME e, in particolare, il riferimento a NOME COGNOME, detenuto per il reato di cui all’art. 416 -bis cod. pen., il quale -aveva affermato NOME COGNOME rivolgendosi al COGNOME -avrebbe dovuto essere informato dell’ingratitudine manifestata nei suoi confronti da quest’ultimo , che aveva osato richiedere il rilascio dell’immobile e rifiutare il pagamento della somma che gli era stata richiesta, nonostante NOME COGNOME l’avesse aiutato per quindici anni, lasciando in tal modo intendere che il COGNOME avrebbe dovuto essere punito per tale sgarbo. E in effetti, come viene dato atto nel provvedimento qui impugnato, NOME COGNOME ha percepito tale riferimento a NOME COGNOME come fortemente intimidatorio, secondo quanto dallo stesso riferito alla polizia giudiziaria.
Del resto, è principio giurisprudenziale consolidato che la minaccia costitutiva del delitto di estorsione oltre che essere esplicita, palese e determinata, può essere manifestata anche in maniera indiretta, ovvero implicita ed indeterminata, purché sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima ed alle condizioni ambientali in cui opera (vedi Sez. 6, n. 40899 del 14/06/2018, C., Rv. 274149 – 01).
Si consideri che NOME COGNOME è uno storico ed influente componente della famiglia mafiosa di Uditore, già definitivamente condannato per il reato di cui all’art. 416 -bis cod. pen.
Né rileva, ai fini dell’idoneità degli atti, la circostanza che la RAGIONE_SOCIALE fosse stata sequestrata e che NOME COGNOME non potesse esigere il pagamento di un credito spettante alla società, essendo in sua vece stato nominato un amministratore giudiziario, atteso che in realtà, sulla base della ricostruzione fattuale operata dal Giudice per le indagini preliminari e poi dal Tribunale del riesame, NOME COGNOME non mirava a che il pagamento fosse effettuato dal COGNOME in favore dell’amministratore giudiziario, ma voleva costringere la vittima a saldare il debito mediante pagamento a proprio favore o a favore del padre.
4. Manifestamente infondato risulta anche il quarto motivo di ricorso.
Integra il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l’azione violenta o minacciosa che, indipendentemente dall’intensità e dalla gravità della violenza o della minaccia, abbia di mira l’attuazione di una pretesa non tutelabile davanti all’autorità giudiziaria (Sez. 2, n. 24478 del 08/05/2017, Salute, Rv. 269967 – 02).
Per la sussistenza del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (sia con violenza alle cose che con violenza alle persone) occorre che l’autore agisca nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa ovvero ad autotutela di un suo diritto suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale, anche se detto diritto non sia realmente esistente. La pretesa arbitrariamente attuata dall’agente deve corrispondere perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico e non mirare ad ottenere un qualsiasi quid pluris , atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato.
Il Tribunale del riesame ha, quindi, adeguatamente motivato in ordine alle ragioni per cui non è possibile qualificare giuridicamente il fatto come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, evidenziando che, come si è già detto sopra, la pretesa era palesemente ingiusta, atteso che NOME COGNOME non pretendeva che il pagamento avvenisse in favore della RAGIONE_SOCIALE ma in favore di se stesso o mediante pagamento della somma richiesta o mediante trasferimento in suo favore dell’immobile che egli già occupava senza titolo.
Peraltro, secondo quanto affermato nel provvedimento qui impugnato, avendo egli ricoperto il ruolo di amministratore della predetta società ed avendo subito la perdita del potere di amministrarla, trasferito all’amministratore giudiziario, egli ben sapeva che non avrebbe potuto azionare in giudizio la sua pretesa e tanto basta, unitamente alla ingiustizia di questa, per escludere la possibilità di qualificare la condotta come esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Ai fini della distinzione tra i reati di cui agli artt. 393 e 629 cod. pen. assume, pertanto, decisivo rilievo l’esistenza o meno di una pretesa in astratto ragionevolmente suscettibile di essere giudizialmente tutelata: nel primo, il soggetto agisce con la coscienza e la volontà di attuare un proprio diritto, a nulla rilevando che il diritto stesso sussista o non sussista, purché l’agente, in buona fede e ragionevolmente, ritenga di poterlo legittimamente realizzare; nell’estorsione, invece, l’agente non si rappresenta, quale impulso del suo operare, alcuna facoltà di agire in astratto legittima, ma tende all’ottenimento dell’evento di profitto mosso dal solo fine di compiere un atto che sa essere contra ius , perché privo di giuridica legittimazione, per conseguire un profitto che sa non spettargli (vedi Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 -02).
5. Infondato è il quinto motivo di ricorso.
Ricorre la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, di cui
all’art. 416bis .1 cod. pen., quando l’azione incriminata, posta in essere evocando la contiguità ad una associazione mafiosa, sia funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune (Sez. 5, n. 14867 del 26/01/2021, COGNOME, Rv. 281027 – 01).
Nel caso di specie, come sopra già esposto, l’estorsione è stata attuata anche facendo riferimento a NOME COGNOME e quindi evocando la capacità criminale dell’associazione mafiosa.
Laddove il ricorrente sostiene che i toni non erano minacciosi e che il riferimento a NOME COGNOME non ha valenza intimidatoria, egli solleva censure di merito non consentite in questa sede di legittimità.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda la cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 15/07/2025.