Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1702 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1702 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il 05/07/1974
avverso l’ordinanza del 13/06/2024 del TRIB. LIBERTA di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette/sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME
Il Proc. Gen. si riporta alla requisitoria già depositata e conclude per il rigetto
udito il difensore
L’avvocato COGNOME espone i motivi di gravame ed insiste nell’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME indagato per i delitti di promozione, direzione ed organizzazione di associazione di tipo mafioso (capo 1) e di estorsione aggravata anche ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen. (capo 5), e, per tali titoli, sottoposto alla misura cautelare coercitiva della custo carcere, tramite il difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza in dat 13 giugno 2024 del Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice del riesame delle misure cautelari personali, che, riqualificato il fatto contestato al capo 5) alla stregua del del estorsione aggravata tentata, ha rigettato la richiesta di riesame presentata nel suo interesse per l’effetto ha confermato l’ordinanza applicativa della misura emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria in data 10 maggio 2024.
L’impugnativa consta di due motivi, quivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto stabilito dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 629, 393 e 416-bis.1. cod. pen. e vizio di motivazione in riferimento alla fattispecie estorsiva come ritenuta e alla sussistenza de circostanza aggravante della finalità di agevolazione mafiosa.
Quanto al primo profilo, eccepisce che la fattispecie concreta dedotta in contestazione al capo 5) – ossia, che NOME COGNOME avrebbe determinato il proprio padre, NOME COGNOME – capo indiscusso della cosca ‘Ficara-COGNOME‘, nell’articolazione operante nella zona meridional della città di Reggio Calabria, segnatamente nel quartiere di Arangea -, a convocare presso di sé NOME COGNOME, titolare assieme alla moglie di un’attività di parrucchiere, alle cui dipenden era stato assunto NOME COGNOME COGNOME, rispettivamente loro figlio e nipote, per costringerlo, facendo valere la loro supremazia mafiosa, a regolarizzare la posizione lavorativa del detto dipendente, anche sotto l’aspetto retributivo – non sarebbe riconducibile allo schema della tentata estorsione in concorso ma a quello dell’esercizio arbitrario in concorso; questo perché diritto vivente, ha chiarito che il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con vio minaccia alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione all’elemen psicologico, da accertarsi secondo le ordinarie regole probatorie (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020). Elemento psicologico che, nel caso di specie, era stato ricostruito esclusivamente nei termini una minaccia, posta in essere dal padre e dal nonno del lavoratore, diretta ad ottenere dal datore di lavoro solo e soltanto l’adempimento di una prestazione dovuta, come in astratto giudizialmente esigibile, ossia la regolarizzazione lavorativa e retributiva, non una prestazio non dovuta, suscettibile di arrecare agli agenti un profitto ingiusto e alla vittima un danno ogni caso, quand’anche NOME COGNOME avesse inteso perseguire, con la condotta tenuta nei confronti di COGNOME, anche un’ulteriore finalità rispetto a quella della tutela delle ragi proprio nipote, vale a dire l’affermazione della supremazia della cosca nel territorio c imposizione di pesi e gabelle sulle attività imprenditoriali sedenti nel territorio di riferiment
vi era prova che tale finalità fosse stata condivisa dal ricorrente, che era stato animat esclusivamente dall’intento di ottenere quanto dovuto al proprio figlio: ciò, del resto, sempr secondo quanto statuito dal diritto vivente, per cui il concorso del terzo nel reato di eserci arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone è configurabile nei soli ca in cui questi si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore, senza perseguire alc diversa ed ulteriore finalità (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020).
Quanto al secondo profilo, eccepisce che il Tribunale, tramite un ragionamento circolare, avrebbe affermato la sussistenza della circostanza aggravante mafiosa in relazione alla condotta di cui al capo 5) esclusivamente sulla base della consapevolezza del ricorrente della supremazia nella zona in cui sedeva l’attività imprenditoriale della vittima dell’intimidazione e, non inve dando conto, tramite specifici elementi di fatto, che il reato (di tentata estorsione o di eserci arbitrario delle private ragioni, come prospettato dalla difesa) era stato commesso al fine specifico di favorire l’attività dell’associazione mafiosa e nella consapevolezza da parte d NOME COGNOME di prestare in tal modo un ausilio al sodalizio, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità in materia.
Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 273 cod. proc. pen. e 416-bis, comma 2, cod. pen. e il vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta gravità indiziaria delitto di promozione, direzione e organizzazione dell’associazione di tipo mafioso, nell’articolazione denominata ‘cosca FicaraRAGIONE_SOCIALE‘, operante nella zona meridionale della città di Reggio Calabria, segnatamente nel quartiere Arangea. E’ dedotto che sussiste un interesse concreto ed attuale all’impugnazione, la stessa non essendo diretta ad ottenere una riqualificazione del fatto ma piuttosto ad ottenere una verifica, al lume dei criteri interpret della giurisprudenza di legittimità, della stessa sussistenza degli elementi costitutivi de fattispecie come contestata. Elementi costitutivi dei quali il ricorrente eccepisce l’inesistenza le seguenti ragioni: 1) perché la funzione direttiva di NOME COGNOME non era stata riconosciuta come tale né all’interno né all’esterno del sodalizio di appartenenza, essendosi egli limitato svolgere un ruolo di collaborazione con il padre, NOME COGNOME, autentico capo del gruppo criminale; 2) perché i collaboratori di giustizia, COGNOME e COGNOME avevano reso dichiarazioni generiche ed assertive, non essendo stati in grado di indicare specifiche condotte tramite le quali NOME COGNOME aveva esplicitato concretamente l’attribuitogli ruolo d preminenza in senso al sodalizio.
Con requisitoria in data 30 settembre 2024, il Procuratore Generale presso questa Corte, in persona del Sostituto, Dottoressa NOME COGNOME ha chiesto che il ricorso si rigettato.
Si è proceduto alla trattazione orale del ricorso, avendone la difesa del ricorrente avanzato tempestiva richiesta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Merita prioritario esame il secondo motivo.
1.1. Va preliminarmente riconosciuto che il rilievo censorio in esso sviluppato, diretto all esclusione della configurazione in capo ad NOME COGNOME della fattispecie di direzione del sodalizio mafioso sedente in Reggio Calabria, nella zona di Arangea, non è assistita dal necessario interesse attuale e concreto, nei termini richiesti dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., com interpretato dal diritto vivente, ossia nel senso che:« L’interesse richiesto dall’art. 568, com 4, cod. proc. pen., quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente; pertanto, qualora il pubblico ministero denunci, al fine di ottenere l’esatta applicazione della legge, violazione di una norma di diritto formale, in tanto può ritenersi la sussistenza di un interes concreto che renda ammissibile la doglianza, in quanto da tale violazione sia derivata una lesione dei diritti che si intendono tutelare e nel nuovo giudizio possa ipoteticamente raggiungersi un risultato non solo teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole» (Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, Rv. 203093; Sez. U, n. 9616 del 24/03/1995, Rv. 202018).
Ne viene che, al di là dell’astratta e tautologica affermazione contenuta in ricorso, secondo cui:«i rilievi di censura prospettati in questa sede di legittimità» non sarebbero vol mettere in discussione «la qualificazione giuridica della condotta – primo o secondo comma della disposizione citata (art. 416-bis cod. pen.) – ma piuttosto l’integrazione della fattispec reato oggetto di contestazione» (cfr. pag. 24, ultimo capoverso, del ricorso), nulla è dat evincere dal tessuto argomentativo dei prospettati rilievi in ordine al risultato concretament favorevole avuto di mira dal ricorrente con il motivo di impugnazione: in particolare, non essendo state articolate censure in punto di sussistenza del fatto – integrativo sia della fattispec partecipazione che della fattispecie di direzione dell’associazione di tipo mafioso, come delineate nei primi due commi dell’art. 416-bis cod. pen. – di stabile e concreta messa a disposizione del ricorrente a favore del sodalizio di ‘ndrangheta retto dal padre, non è dato comprendere quale sarebbe il vantaggio, anche solo dal punto di vista dell’anticipata decorrenza dei termini d custodia cautelare, derivante dall’accoglimento del motivo. In tal senso, del resto, si è g espressa la giurisprudenza di questa Corte, laddove ha affermato che, in tema di procedimento cautelare, sussiste l’interesse concreto e attuale dell’indagato alla proposizione del riesame o del ricorso per cassazione quando l’impugnazione sia volta ad ottenere l’esclusione di un’aggravante ovvero una diversa qualificazione giuridica del fatto, nel solo caso in cui ciò incida sull'”an” o
“quomodo” della misura, di modo che non sussiste il suddetto interesse quando il ricorso sia finalizzato alla sola esclusione del ruolo apicale dell’indagato all’interno del sodalizio, tratta di elemento privo di riflessi sui presupposti della misura cautelare e sulla sua durata (Sez. 2, n 17366 del 21/12/2022, dep. 2023, Rv. 284489).
1.2. Ciò posto, deve, comunque, riconoscersi che la tecnica utilizzata dalla difesa del ricorrente per mettere in discussione il risultato del giudizio formulato dal Tribunale del Riesam in ordine alla gravità indiziaria ravvisata a carico di NOME COGNOME per il delitto di cui al 1) non coincide con quella ammessa per il ricorso per cassazione avverso provvedimenti in materia di cautela personale, posto che la stessa, per essere rispondente ai requisiti dell’impugnazione di legittimità, deve limitarsi a lumeggiare le ragioni atte a dar conto del violazione di specifiche norme di legge ovvero della mancanza o manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Rv. 276976; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, Rv. 261400), non essendo, invece, consentite quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito.
Questo perché, secondo il diritto vivente, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Cort suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legitti e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento del risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Rv. 215828).
Ed invero, quanto alla gravità indiziaria per il delitto di partecipazione del ricorre all’associazione di tipo mafioso ‘COGNOME‘, nell’articolazione sedente in Arangea, con u ruolo apicale, plurimi sono gli elementi di fatto – desunti dalle intercettazioni di colloqui inte non solo tra NOME COGNOME e il padre NOME COGNOME, capo storico e temuto del gruppo ‘ndranghetista di Arangea, ma anche di soggetti non facenti parte della predetta articolazione (NOME COGNOME e NOME COGNOME, colloquianti nel dialogo intercettato in data 5 marzo 2019, richiamato alla pagina 41, secondo capoverso, dell’ordinanza impugnata), nonché dalle convergenti dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia, COGNOME e COGNOME per la dimostrazione – nei limiti di quanto richiesto per il giudizio cautelare, tenden all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza del concreto esercizio da parte del ricorrente dei poteri connessi alla posizione dirigenzial ascrittagli, avendo egli fatto le veci del padre, durante la sua carcerazione, ed avendo continuato,
dopo la remissione in libertà di questi, a svolgere un ruolo preminente ed intrinsecamente funzionale al mantenimento e all’affermazione della supremazia gerarchica del genitore in seno al sodalizio e alla manifestazione del connesso potere all’esterno, come comprovato dalla sua conoscenza delle dinamiche ‘ndranghetiste su tutto il territorio di Reggio Calabria, dalle cautele assunte rispetto a possibili attività investigative in corso, nonché dal suo coinvolgimento i attività estorsive in danno delle attività imprenditoriali sedenti nel territorio di riferimen suo gruppo criminale, protese ad accrescere il controllo di questo sull’economia locale.
2. Il primo motivo di ricorso è generico e manifestamente infondato.
Decisivo è, in primo luogo, il rilievo d’inammissibilità della doglianza in punto sussistenza della contestata aggravante mafiosa, ritenuta nell’ordinanza nella duplice forma sia dell’utilizzazione del metodo mafioso che dell’agevolazione dell’associazione mafiosa (cfr. pag. 21, penultimo capoverso, dell’ordinanza impugnata).
La mancata aggressione con la sviluppata censura della prima ed autonoma ratio decidendi della statuizione relativa al riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., ossia l’impiego del metodo mafioso, estrinsecatosi, nel caso di specie, nelle «modalità di realizzazione della condotta» estorsiva ascritta ad NOME COGNOME al capo 5) della provvisoria imputazione, «implicante la minaccia da parte di soggetti di vertice dell cosca, di impedire il sereno svolgimento dell’attività nei confronti di un’impresa insistente s territorio di dominio ‘ndranghetista» priva di effettiva valenza censoria le deduzioni difensi sviluppate in ordine alla sussistenza dell’agevolazione mafiosa.
Ciò posto, avuto riguardo, per un verso, alle valorizzate modalità della condotta posta in essere dai COGNOME nei confronti dei COGNOME, come rese manifeste nella conversazione intercorsa tra NOME e NOME COGNOME, intercettata in data 21 agosto 2021, in cui il primo evidenziava al secondo la necessità di tenere sempre sotto pressione gli imprenditori con il seguente modus operandi:«Se vai fuori e gli butti una cosa, un bicchiere, guarda come si cacano! Tirano 500 Euro al mese» (cfr. pag. 16 e pag. 22 dell’ordinanza impugnata); per altro verso, al contesto in cui era maturata la richiesta di regolarizzazione di NOME COGNOME, avanzata dal padre e dal nonno al suo datore di lavoro, COGNOME, ossia la perdurante situazione di sottomissione di questi rispetto alla cosca ‘Ficara – Latella’, cui aveva dovuto chiedere ‘l’autorizzazione’ (trami NOME COGNOME) per l’avvio dell’attività di parrucchiere ed alla cui prevaricazione aveva dovuto sottostare cedendo alle richieste dei COGNOME, maggiorenti della cosca, di assumere alle proprie dipendenze i loro nipoti e figli, ancorché volesse gestire in famiglia – con la moglie NOME COGNOME – la propria impresa con relativo risparmio di spesa (cfr. pagg. 18-21 della sentenza impugnata), è di tutta evidenza come il Tribunale del Riesame, nel respingere la richiesta di riqualificazione del fatto ascritto ad NOME COGNOME al capo 5) nei termini del delitto esercizio arbitrario delle provate ragioni con minaccia alla persona, si sia attenut
all’insegnamento impartito dal diritto vivente, che, infatti, ha sottolineato come «ai f dell’integrazione del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la pretesa arbitrariam coltivata dall’agente deve corrispondere esattamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, e non risultare in qualsiasi modo più ampia, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento d tutela pubblico con quello privato, e l’agente deve, quindi, essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli possa competere giuridicamente» (cfr. pag. 21, punto 10.5.1. sentenza Sez. U n. 29541/2020, COGNOME).
In effetti, secondo la non implausibile ricostruzione del fatto operata dal giudice dell cautela, la richiesta rivolta dai congiunti COGNOME all’imprenditore COGNOME non era volta soltant ad ottenere la regolarizzazione lavorativa del loro discendente (pretesa di per sé legittima ed azionabile nelle sedi giurisdizionali) ma ad imporgli di far fronte alle conseguenze d un’assunzione di un lavoratore dipendente non voluta, perché ritenuta non in linea con una strategia aziendale improntata ad una gestione familiare: assunzione, dunque, subita dal COGNOME e dalla moglie, con il pregiudizio economico che ne sarebbe derivato (per il pagamento della retribuzione al giovane NOME COGNOME e delle ‘tasse’ di sua regolarizzazione), per il timore di subire le ritorsioni della cosca ‘Ficara-Latella’, in senso alla quale NOME ed NOME COGNOME figuravano come capi.
Donde, nel caso di specie, il riconosciuto impiego del metodo mafioso, comportante l’estrema invasività della forza intimidatoria esercitata, è tale da costituire indice del fine, a di mira da NOME COGNOME e dal padre, di procurarsi un profitto ingiusto, esorbitante rispetto al fine di soddisfazione di una legittima pretesa. Detto altrimenti: siffatto oggettivo atteggi della condotta dell’indagato ricorrente risulta sintomatica del dolo di estorsione, non essendosi egli rappresentato, quale impulso del suo operare, una facoltà di agire in astratto legittima, ma avendo, piuttosto, compiuto un atto con la consapevolezza del suo essere «contra ius, perché privo di giuridica legittimazione, per conseguire un profitto che sapeva non spettargli» (così cfr. pag. 23, punto 10.5.3. sentenza Sez. U n. 29541/2020, COGNOME).
La riconosciuta militanza di NOME COGNOME in seno alla ‘cosca Ficara-Latella’ con un ruolo di preminenza, lo stretto rapporto personale ed operativo da lui intrattenuto con il padre, NOME COGNOME, riconosciuto capo della cosca indicata, la dimostrata sua consapevolezza e condivisione dei metodi utilizzati dagli affiliati per indurre alla sottomissione gli imprenditori zona d’influenza del sodalizio (cfr. la già richiamata conversazione intercorsa tra NOME e NOME COGNOME, intercettata in data 21 agosto 2021, in cui il primo evidenziava al secondo la necessità di tenere sempre sotto pressione gli imprenditori con il seguente modus operandi:«Se vai fuori e gli butti una cosa, un bicchiere, guarda come si cacano! Tirano 500
6
Euro al mese», riportata a pag. 16 e pag. 22 dell’ordinanza impugnata) rendono generiche, perché astratte, le deduzioni difensive in tema di concorso del ricorrente nel reato contestato.
S’impone, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Poiché dalla presente sentenza non consegue la liberazione del ricorrente, ai sensi dell’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen., va dato mandato alla Cancelleria di trasmetterne copia al Direttore dell’istituto penitenziario in cui egli trovasi detenuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso il 25/10/2024.