Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 8057 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 8057 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/01/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
NOME n. a Catania il DATA_NASCITA
avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli in data 4/4/2023
dato atto che si è proceduto a trattazione con contraddittorio cartolare ai sensi dell’art. 23, comma 8, D.L. n. 137/2020 e succ. modif.;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
letta la requisitoria del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
letta la memoria di replica a firma del difensore dell’imputato
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’impugnata sentenza la Corte d’Appello di Napoli riformava limitatamente al trattamento sanzionatorio la decisione del Tribunale di S. NOME Capua Vetere che, in data 4/5/2018, aveva riconosciuto COGNOME NOME colpevole
di concorso nel delitto di estorsione aggravata, anche ai sensi dell’art. 416 bis.1 cod.pen., ai danni di COGNOME NOME, rideterminando la pena nella misura di anni cinque, mesi quattro di reclusione ed euro 1.100,00 di multa, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Ha proposto ricorso per RAGIONE_SOCIALEzione il difensore dell’imputato, AVV_NOTAIO, il quale ha dedotto:
2.1 la violazione degli artt. 604 e 522 cod.proc.pen., avendo la Corte di merito erroneamente disatteso l’eccezione relativa al difetto di correlazione tra il fatto contestato in imputazione e quello ritenuto in sentenza.
Il difensore assume che il fatto per cui è intervenuta condanna è diverso da quello descritto nell’incolpazione sia con riguardo ai ruoli contestati che alla ragione posta a base della condotta estorsiva, individuata in sede di merito, in contrasto con la prospettazione accusatoria, nella richiesta rivolta alla p.o. AVV_NOTAIO, materialmente effettuata da un non identificato “NOME” per conto di COGNOME NOME, referente del gruppo camorristico operante nella zona, di pagamento di un assegno rimasto insoluto, consegnato al COGNOME per una fornitura di materiale edile. La Corte territoriale ha ritenuto che, essendo rimasto invariato il nucleo essenziale della contestazione, consistente nell’avere il COGNOME in veste di mandante agito tramite terzi per la riscossione del credito con minacce, non si sarebbe verificato alcun pregiudizio per la difesa, sebbene la ricostruzione operata in sentenza introduca variazioni essenziali nei contenuti dell’addebito, in violazione dei principi dell’immutabilità dell’accusa e del contraddittorio;
2.2 la violazione degli artt. 238 bis e 192, comma 3, cod.proc.pen. per avere la Corte territoriale disatteso i criteri legali di valutazione delle sentenze irrevocab concernenti le posizioni di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, recependone acriticamente le conclusioni senza averne valutato i contenuti unitamente agli altri elementi di prova acquisiti. Secondo il difensore, infatti, anche a voler ritenere che gli elementi di prova posti a fondamento delle sentenze in giudicato cristallizzino la sussistenza del fatto di reato, dalle stesse non emerge che il COGNOME sia stato il mandante dell’estorsione e non si riviene in atti alcun elemento che colleghi l’imputato al COGNOME;
2.3 la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione alla valutazione delle fonti di prova.
Secondo il difensore la sentenza impugnata ha condiviso il giudizio di attendibilità della p.o. formulato dal primo giudice senza tener conto delle circostanze suscettibili di minarne la credibilità segnalate nell’atto di gravame. Infatti, i giudici territoriali hanno ignorato il fatto che lo COGNOME si era r alla RAGIONE_SOCIALE per il suo debito; che la deposizione testimoniale è stata costellata da contestazioni e nel corso della stessa la p.o. è incorsa in contraddizioni e
discrasie rispetto a quanto riferito in fase di indagini. In particolare, no consideravano che solo in dibattimento, per la prima volta, lo COGNOME asseriva la riconducibilità della richiesta estorsiva al COGNOME e che simile riferimento non emerge dalla deposizione di COGNOME NOME, venendo meno all’obbligo di stringente verifica dell’attendibilità della p.o. richiesta dalla giurisprudenza legittimità.
La Corte di merito ha totalmente omesso, secondo il difensore, di valutare la versione alternativa fornita dal ricorrente, trascurando sia i rilievi in ordine al fa che l’assegno consegnato dalla p.o. al COGNOME era stato presentato all’incasso e protestato, sicché non poteva essere in possesso di coloro che formularono le minacce; che non esistono elementi che provino il collegamento tra il non identificato “NOME” e la RAGIONE_SOCIALE, in particolare COGNOME NOME e COGNOME NOME; che il fratello della p.o. ha identificato “NOME” come un imbianchino che aveva lavorato alle dipendenze del suo stesso datore di lavoro; che il nome del COGNOME quale mandante non emerge in alcuna delle conversazioni intercettate né vi è prova di alcun collegamento tra il COGNOME e l’imputato; che non si può escludere che il “COGNOME” abbia solo millantato di agire per conto della RAGIONE_SOCIALE. La Corte ha argomentato in maniera illogica laddove ha ritenuto riferibile la richiesta estorsiva al mancato pagamento dell’assegno ed ha interpretato senza il necessario rigore l’intercettazione n. 463 del 27/8/2009, in conclusione fondando il coinvolgimento del ricorrente nella vicenda su mere congetture in violazione del criterio del ragionevole dubbio;
2.4 la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla mancata riqualificazione del delitto ex art. 629 nel reato di esercizio arbitrario delle propr ragioni.
Il difensore sostiene che la Corte territoriale ha disatteso la richiesta difensiva trascurando una serie di elementi utili ad un corretto inquadramento del fatto. In particolare i giudici di merito hanno asserito che la somma di euro duecento richiesta in esubero rispetto al credito originario fosse da imputare a interessi e non, invece, al ristoro delle spese di protesto e non vi è alcuna certezza che l’imputato avesse consapevolezza che il “COGNOME” avrebbe agito con violenza o minaccia. Nonostante il formale richiamo ai principi declinati dalla giurisprudenza di legittimità, la Corte di merito li ha disattesi, escludendo che il ricorrente abbi agito nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa e al fine di esercitare un proprio diritto;
2.5 la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento del concorso anomalo ex art. 116, comma 2, cod.pen. Il difensore lamenta che la Corte di merito ha disatteso la richiesta difensiva con motivazione illogica, ignorando l’assenza di prova circa la consapevolezza da parte del COGNOME
che il “NOME” intendesse agire con violenza, tenuto conto del difetto di caratura criminale del soggetto;
2.6 la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alla mancata esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416bis.1 cod.pen. sotto il profilo dell’agevolazione e del metodo, non avendo la sentenza impugnata chiarito con riferimento allo specifico fatto a giudizio gli elementi da cui ha tratto la sussistenza della circostanza. Aggiunge, inoltre, che la Corte non ha fornito risposta in ordine ai dubbi circa la compatibilità della particolare coartazione propria del metodo rispetto alla p.o., che si era rivolta alla RAGIONE_SOCIALE per risolvere il problema con il COGNOME;
2.7 la violazione di legge e il vizio della motivazione con riferimento al mancato riconoscimento della fattispecie tentata, avendo la Corte di merito omesso di fornire risposta al riguardo;
2.8 con il conclusivo motivo il difensore chiede il riconoscimento della lieve entità del fatto alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 120/2023.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo che denunzia la violazione del principio di correlazione ex art. 522 cod.proc.pen. risulta precluso dalla mancata, rituale, devoluzione in appello. Invero l’eccezione è stata formulata dal difensore solo in sede di motivi nuovi in difetto di collegamento funzionale con il gravame principale. Per costante avviso della giurisprudenza di legittimità i “motivi nuovi” a sostegno dell’impugnazione, previsti nella disposizione di ordine generale contenuta nell’art. 585, quarto comma, cod. proc. pen., devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell’originario atto di gravame (Sez. U, n. 4683 del 25/02/1998, Bono,Rv. 210259 – 01) con la conseguenza che sono ammissibili soltanto motivi aggiunti con i quali, a fondamento del “petitum” dei motivi principali, si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori, non anche motivi con i quali si intenda allargare l’ambito del predetto “petitum”, introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l’impugnazione (Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, dep. 2013, Rv. 254301 -01;Sez. 6, n. 36206 del 30/09/2020, Rv. 280294-01).
L’inammissibilità originaria del motivo deve essere, dunque, rilevata in questa sede a norma dell’art. 591, comma 4, cod.proc.pen.
Il secondo motivo è manifestamente infondato in quanto dalle conformi pronunzie di merito consta che le sentenze irrevocabili acquisite in atti e, in particolare quella relativa alla condanna di COGNOME NOME per lo stesso addebito a giudizio, sono state correttamente valutate, avendo i giudici territoriali in proposito chiarito l’identità del corredo probatorio acquisito nei diversi processi e proceduto ad analitico vaglio (sent. Trib. pag. 6 e segg.) sia delle dichiarazioni
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della p.o. che delle intercettazioni, delle quali con il consenso delle parti è stat acquisita la trascrizione effettuata nel processo a carico di COGNOME NOME.
Risulta, dunque, insussistente la denunziata violazione di legge dal momento che i giudici di merito hanno fondato il giudizio di responsabilità sulla diretta valutazione della prova dichiarativa della p.o. riscontrata dalle intercettazioni, sicché le sentenze relative agli originari coimputati assumono nell’ambito del giudizio una mera valenza di corroborazione degli esiti processuali attinti, in linea con i limiti di utilizzabilità predicati dall’art. 238bis cod.proc.pen. (sul punto, tutte, Sez. 2, n. 52589 del 06/07/2018, Rv. 275517 – 01).
3.Ad esiti di inammissibilità per manifesta infondatezza deve pervenirsi anche in relazione alle censure formulate nel terzo motivo. Quanto all’attendibilità della p.o., la Corte di merito ha disatteso i rilievi difensivi in questa sede riproposti co motivazione ampia e priva di frizioni logiche, richiamando la genesi del procedimento, scaturito non dalla denunzia della vittima ma da accertamenti officiosi della P.g. in esito alle intercettazioni, evidenziando che lo COGNOMECOGNOME COGNOME in un contesto dichiarativo segnato da plurime contestazioni e connotato da un evidente intento di ridimensionare i fatti, ha confermato in contraddittorio le dichiarazioni predibattimentali.
I giudici territoriali hanno, altresì, evidenziato che non vale a revocare in dubbio la credibilità del dichiarante la circostanza che solo in dibattimento abbia riferito di aver da subito ricondotto la richiesta estorsiva formulata da NOME all’assegno consegnato al COGNOME. In proposito già il primo giudice (pag. 19) aveva reso un’esaustiva motivazione, sottolineando che il narrato della p.o. è rimasto costante nel tempo “non avendo subito sostanziali aggiustamenti, a parte il fisiologico arricchimento dovuto alla dialettica processuale”, precisando che l’unico aspetto su cui la p.o. è parsa reticente ” è stato quello relativo al coinvolgimento nella vicenda della RAGIONE_SOCIALE, trattandosi di accusare esponenti di spicco della criminalità organizzata RAGIONE_SOCIALE, a cui del resto lui stesso di era rivolto”. I giudici merito hanno, inoltre, concordemente sottolineato come le dichiarazioni dello COGNOME trovino riscontro e integrazione nelle conversazioni intercettate, soprattutto nella parte in cui COGNOME forniva all’interlocutore un dettagliat resoconto di quanto appreso nell’immediatezza della richiesta estorsiva dalla p.o.
3.1 Destituita di fondamento è la doglianza in ordine alla mancata considerazione della versione difensiva. La sentenza impugnata (pag. 17) ha dato conto che il COGNOME, pur negando l’addebito, ha confermato il rapporto commerciale con lo COGNOME su cui si innesta la vicenda a giudizio e ha ammesso che della stessa si interessò l’amico NOME COGNOME.
La censura difensiva, tuttavia, poggia non su un’alternativa interpretazione dei fatti accreditata dal prevenuto ma su una serie di argomenti ( avvenuto
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protesto dell’assegno rilasciato dalla p.o., mancanza della prova circa il collegamento tra COGNOME e l’autore materiale della richiesta, assenza di evidenze sul ruolo di mandante del prevenuto) che tendono a revocare in dubbio la logicità e congruenza dell’apparato argomentativo della Corte, facendo leva su dati fattuali già valutati e privi di decisività. Infatti, il primo giudice (pag. 20) aveva dato at che, contrariamente a quanto assume la difesa, lo COGNOME già in sede di sommarie informazioni aveva riferito di aver compreso che l’assegno cui faceva riferimento il giovane a lui presentatosi come COGNOME era quello emesso in favore del COGNOME, convinzione ribadita in dibattimento allorquando la p.o., sollecitata dalle parti, precisava ulteriormente di aver avuto definitiva conferma del ruolo del prevenuto all’atto del versamento nelle sue mani dei residui mille euro giacché, a fronte delle rimostranze dello COGNOME circa l’intervento di terze persone, l’imputato aveva obiettato che in qualche modo doveva recuperare i soldi. La Corte di merito dal canto suo (pag. 8 e segg.) ha ben precisato le fonti che individuano il ricorrente quale mandante dell’azione estorsiva richiamando le informazioni del COGNOME captate in sede di intercettazioni, escludendo la millanteria da parte del NOME nello spendere il nome di “NOME” COGNOME e sottolineando la chiara indicazione di NOME “COGNOME” (soprannome dell’imputato) quale determinatore dell’intervento delittuoso.
4.Le censure in punto di qualificazione giuridica della condotta hanno carattere generico, reiterando rilievi adeguatamente scrutinati e motivatamente disattesi già in primo grado, avendo il Tribunale (pag. 21) correttamente escluso la possibilità di ricondurre i fatti nel paradigma dell’art. 393 cod.pen. in ragione del versamento da parte dello COGNOME di una somma a titolo di interessi usurari, così come impostogli dal COGNOME in sede di dilazione, e della formulazione delle minacce nei confronti di soggetti estranei al rapporto debitorio (in particolare la moglie, i fratello e figli della p.o.). La Corte d’Appello, a pag.10, ha condiviso siffatt valutazione, non incisa dalle assertive deduzioni difensive che sollecitano una rivalutazione del merito.
Anche le doglianze che concernono l’apparato circostanziale sono affette da genericità ed aspecificità in quanto ripropongono rilievi che la Corte di merito ha adeguatamente scrutinato e disatteso con corretti argomenti giuridici.
In particolare i giudici territoriali hanno escluso la possibilità di riconoscere l diminuente ex art. 116, comma 2, cod.pen. (pag. 11) per le intrinseche connotazioni del mandato, affidato a soggetti vicini ad ambienti della criminalità organizzata, manifestando per tal via il proposito che fosse realizzata una coazione violenta nei confronti del debitore al fine del recupero del credito, ricostruzione che collide con la configurabilità del c.d. concorso anomalo, assoggettato a due limiti negativi e cioè che l’evento diverso non sia stato voluto neppure sotto il profilo del
dolo alternativo od eventuale e che l’evento più grave, concretamente realizzato, non sia conseguenza di fattori eccezionali, sopravvenuti, meramente occasionali e non ricollegabili eziologicamente alla condotta criminosa di base ( Sez. 6, n. 6214 del 05/12/2011, dep. 2012, Rv. 252405 – 01;Sez. 1, n. 44579 del 11/09/2018, Rv. 273977 – 01). I giudici territoriali hanno, inoltre, disatteso con ampiezza di argomenti le censure relative alla sussistenza dell’aggravante ex art. 416bis.1 cod.pen. nella duplice declinazione del metodo e dell’agevolazione, rimarcando l’avvenuta evocazione da parte del NOME della figura di NOME COGNOME, referente camorristico della zona, condannato per il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa, per tal via ostentando che il gruppo criminale aveva fatto propria la richiesta del COGNOME, azionandola con l’esercizio della forza intimidatoria ben nota alla vittima in ragione della caratura criminale di “NOME” e del controllo esercitato dal territorio. L’intervento richiesto dalla vittima ad al esponenti camorristici per neutralizzare le minacce rivolte al suo indirizzo non vale, al contrario di quanto assume la difesa, a sterilizzare l’aggravante, integrata nei suoi estremi costitutivi, segnalando nel contempo che la vittima aveva pienamente inteso la provenienza e la portata dell’intimidazione patita.
Le doglianze relative al mancato riconoscimento della fattispecie tentata sono inammissibili per le ragioni già evidenziate sub 1), trattandosi di rilievi non articolati nell’atto d’appello ma solo in sede di motivi nuovi sicchè, stante la genetica inammissibilità del motivo, la Corte di merito non aveva alcun onere di motivazione in proposito.
La richiesta di annullamento al fine del riconoscimento dell’attenuante della lieve entità del fatto a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n.120/23 è manifestamente infondata. Con la richiamata decisione la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 629 cod. pen. – per violazion degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.- nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.
7.1 A detto esito il Giudice delle Leggi è pervenuto sulla base del rilievo che gli interventi di inasprimento sanzionatorio succedutisi nel tempo in relazione alla fattispecie non hanno previsto “una «valvola di sicurezza» che consenta al giudice di moderare la pena, onde adeguarla alla gravità concreta del fatto estorsivo”, evitando “l’irrogazione di una sanzione non proporzionata ogni qual volta il fatto medesimo si presenti totalmente immune dai profili di allarme sociale che hanno indotto il legislatore a stabilire per questo titolo di reato un minimo edittale d notevole asprezza”. Come già rilevato con la sent. 68 del 2012 in tema di sequestro estorsivo ex art. 630 cod.pen. “anche l’art. 629 cod.pen. è capace di includere nel
proprio ambito applicativo «episodi marcatamente dissimili, sul piano criminologico e del tasso di disvalore, rispetto a quelli avuti di mira dal legislatore dell’emergenza», in particolare «per la più o meno marcata “occasionalità” dell’iniziativa delittuosa», oltre che per la ridotta entità dell’offesa alla vittima e non elevata utilità pretesa”.
Per tal via risulta allo stato applicabile anche all’estorsione la diminuente della lieve entità del fatto, mutuata dall’art. 311 cod.pen. («quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità»), i cui indici va individuati sulla scorta dell’elaborazione giurisprudenzale nell’estemporaneità della condotta, nella modestia dell’offesa personale alla vittima, nell’esiguità delle somme estorte e nell’assenza di profili organizzativi.
Questa Corte ha già chiarito che l’attenuante prevista dall’art. 311 ha natura oggettiva (Sez. 1, n. 28468 del 23/04/2013, Rv. 256117 – 01) e la valutazione di di levità investe la condotta delittuosa nel suo complesso sicchè la stessa deve essere esclusa se il requisito della lieve entità manchi o in rapporto all’evento di per sé considerato; ovvero in rapporto a natura, specie, mezzi, modalità e circostanze della condotta; ovvero, ancora, in rapporto all’entità del danno o del pericolo conseguente al reato, avuto riguardo a tempi, luoghi e modalità del fatto ed all’ammontare delle somme estorte (Sez. 5, n. 18981 del 22/02/2017 Rv. 269933 – 01).
7.2 Alla luce delle richiamate coordinate ermeneutiche non appare nella specie predicabile l’applicabilità dell’attenuante in questione alla fattispecie a giudizio, ostandovi in particolare le modalità esecutive del fatto, oltre che l’entità del profitto, dovendo ribadirsi, come già affermato da questa Corte (Sez. 2, n. 32569 del 16/06/2023, Rv. 284980 – 01), l’ontologica incompatibilità tra la stessa e le fattispecie aggravate ex art. 416bis.1 cod.pen., costituendo il ricorso al metodo mafioso e la finalità d’agevolazione di gruppi criminali mafiosi elementi circostanziali che connotano il reato di un grado di offensività e di un tasso di disvalore che nega in radice la possibilità di qualificare il fatto in termini di liev entità.
8.Alla declaratoria d’inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria precisata in dispositivo, in ragione dei profili di colpa ravvisabili nella sua determinazione.
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P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma, 26 gennaio 2024
Il AVV_NOTAIO estensore
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