Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 7097 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 7097 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
NOME nato in Ucraina il 16/04/1980
COGNOME NOMECOGNOME nato a Pesaro il 20/10/1967
avverso la sentenza del 16/11/2023 della Corte di appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo: per COGNOME, l’annullamento senza rinvio della sentenza, perché, esclusa l’aggravante, il reato è prescritto, ovvero, in subordine, il rigetto del suo ricorso; per COGNOME il rigetto del ricorso; lette le conclusioni del difensore di COGNOME, avv. NOME NOME COGNOME che ha ribadito i motivi di ricorso, insistendo per l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Bologna ha confermato la condanna di NOME COGNOME per il delitto di detenzione a fini di cessione a terzi
di 2.563 pasticche di sostanza stupefacente del tipo “mdma”, e di NOME COGNOME per quello di estorsione aggravata, per essere stata la minaccia commessa da più persone riunite.
Avverso di essa ricorrono entrambi, con separati atti dei rispettivi difensori.
NOME lamenta l’inesistenza di un’effettiva motivazione sulle doglianze da lui rassegnate con i motivi d’appello, ovvero: a) il difetto di dolo, essendosi egli solamente prospettato che il contenuto dello zaino da lui detenuto, ed affidatogli da terzi per il trasporto dietro compenso di ottocento euro, potesse essere illecito, non avendone tuttavia avuto cognizione; b) la riqualificazione del fatto come ipotesi lieve, a norma dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
La sentenza, infatti, si è limitata ad affermare, sul primo punto, che la tesi difensiva «appare poco plausibile», senza però spiegare per quale motivo; mentre, sul secondo, che «il quantitativo e la qualità dello stupefacente (…) non consentono di considerare l’ipotesi lieve», omettendo tuttavia di compiere l’analisi complessiva delle circostanze del fatto, imposta dalla “sentenza COGNOME” delle Sezioni unite di questa Corte del 2018, tanto più che il primo giudice, in ragione della scarsa qualità della sostanza, aveva escluso l’ipotizzata aggravante dell’art. 80, comma 2, d.P.R. cit..
La difesa di COGNOME rassegna quattro motivi di ricorso.
3.1. Il primo consiste nella violazione dell’art. 521, cod. proc. pen., e nella conseguente nullità di entrambe le sentenze di merito, per difetto di correlazione tra imputazione e sentenza relativamente all’aggravante delle più persone riunite: la quale – si sostiene – è stata contestata in relazione ad altri episodi originariamente oggetto d’imputazione, ma non all’unico per il quale è intervenuta condanna, ovvero quello che COGNOME avrebbe commesso unitamente a tal COGNOME, ai danni di NOME COGNOME nell’aprile del 2002. Evidenzia la difesa che detta fattispecie circostanziale non sarebbe contestata neppure in fatto e che il relativo vizio è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento.
3.2. Il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizi della motivazione in punto di consumazione del reato.
Il profitto conseguito dal COGNOME sarebbe consistito in alcune cambiali in lire, fatte da lui sottoscrivere alla vittima dietro minacce. Ciò sarebbe avvenuto, secondo la sentenza, ad aprile del 2002: ma, a prescindere dall’arbitrarietà di tale riferimento temporale (essendo certo solo il momento in cui le stesse sono state rinvenute nella disponibilità dell’imputato, e cioè nell’agosto successivo), ril difesa che, dal 1° gennaio di quell’anno, i titoli cambiari, a pena d’inval potevano essere espressi solo in lire, non avendo perciò egli realizzato al
profitto. Erra, dunque, la sentenza impugnata, allorché svaluta tale argomento rilevando che la lira aveva mantenuto corso legale anche dopo quella data.
3.3. Con il terzo motivo si contesta la configurabilità dell’aggravante delle persone riunite.
Essa consisterebbe in una fattispecie “di pericolo”, dovendo perciò essere intesa, in ossequio al principio di necessaria offensività delle norme incriminatrici, nel senso che, se il danno temuto non si verifica, la stessa non può trovare applicazione: e, nel caso specifico, dalla testimonianza resa dalla persona offesa, si evincerebbe chiaramente che la stessa non ha subìto una maggiore intimidazione per effetto della presenza anche del Maggi.
In ogni caso, non è stata raggiunta la prova logica, e comunque la sentenza non si è data cura di spiegare razionalmente, che COGNOME, senza l’ausilio di qualcuno, non avrebbe egualmente tenuto la sua condotta illegale: diversamente, se cioè egli avrebbe commesso il reato anche da solo, dovrebbe concludersi per l’irrilevanza causale dell’apporto eventualmente offerto dal COGNOME alla sua condotta illecita, a prescindere, in tal caso, anche dall’eventuale intenzione collaborativa di quest’ultimo, qualora non tradottasi in una manifestazione tangibile. Anzi, l’ipotesi di una presenza semplicemente estemporanea del COGNOME, e dunque della ininfluenza di essa sulle determinazioni del COGNOME, rinviene conforto logico in plurime circostanze: l’assenza di un interesse personale del primo alla vicenda; Vestraneità degli agenti a contesti criminali organizzati; l’indole del COGNOME, incline a condotte violente; il suo personale interesse, essendo il titolare del credito azionato in quelle forme illegali; la sua dimostrata tendenza a compiere tali azioni anche da solo.
3.4. Da ultimo si lamenta un vizio della motivazione con cui sono state negate le circostanze attenuati generiche.
La sentenza sarebbe giunta a tale determinazione per la gravità delle condotte di cessione di stupefacenti e per la «arroganza dimostrata al momento delle richieste estorsive».
Ma – obietta il ricorso – rispetto alle cessioni di stupefacenti è intervenuta sentenza di prescrizione, mancandone, perciò, un compiuto accertamento e non potendosene, di conseguenza, tener conto. Quanto, poi, alla “arroganza”, la Corte d’appello finisce per dar rilievo, in questo modo, ad un tratto indefettibile della condotta estorsiva, in quanto inevitabilmente presente nelle condotte di violenza o minaccia, rispetto alle quali costituisce qualcosa di meno.
Invece, GLYPH quei GLYPH giudici GLYPH avrebbero trascurato GLYPH l’assenza GLYPH di GLYPH modalità particolarmente vessatorie della condotta tenuta dal COGNOME, gli oltre vent’anni trascorsi dai fatti e l’assenza di un danno grave, ove si consideri il rilascio di cambiali in valuta priva di corso legale.
Ha depositato requisitoria scritta il Procuratore generale, chiedendo, per COGNOME l’annullamento senza rinvio della sentenza, perché, esclusa l’aggravante, il reato è prescritto, ovvero, in subordine, il rigetto del suo ricorso; mentre, per COGNOME il rigetto del ricorso.
Ha depositato memoria scritta la difesa di NOMECOGNOME ribadendo i motivi di ricorso ed insistendo per l’accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i ricorsi sono privi di fondamento e debbono essere, perciò, respinti.
Quanto a COGNOME la motivazione della sentenza (pagg. 7 s. e 30) è obiettivamente asciutta, fondandosi essenzialmente sull’ammissione, da parte dello stesso imputato, della consapevolezza dell’illiceità dell’incarico ricevuto, dalla quale i giudici di merito hanno dedotto il dolo, anche soltanto eventuale, necessario per affermarne la colpevolezza.
Dal suo canto, però, il ricorso neppure adombra elementi specifici e muniti di una minima consistenza, tali da contrastare la deduzione compiuta dalla Corte d’appello: deduzione che, sulla base delle evidenze disponibili, si presenta senza meno lineare sul piano logico. È del tutto ragionevole ipotizzare, infatti, come hanno fatto quei giudici, che una persona allora poco più che ventenne, la quale, in piena stagione estiva (era il 30 di giugno), accetti di trasportare da Milano verso la riviera della Romagna, luogo di vacanze, notoriamente ad alta densità di locali notturni ed assai frequentato da giovani, un pacco non particolarmente voluminoso, quale può essere quello contenente circa 2.500 pasticche, per lo meno si rappresenti la probabilità che si tratti di droga e ne accetti il relativo rischi perciò agendo, se non altro, con dolo eventuale.
Analogo limite presenta l’obiezione riguardante l’esclusione dell’ipotesi lieve. Il ricorso, cioè, si duole della mancata valutazione complessiva degli indici tipizzati dai citato art. 73, comma 5, senza tuttavia individuarne nessuno eventualmente trascurato dai giudici d’appello e tale da rendere plausibile un giudizio di minima lesività della condotta, necessario per la configurabilità di tale fattispecie incriminatrice: rispetto alla quale, piuttosto, militano in senso contrario il contesto organizzato (poiché in grado di effettuare forniture anche in luoghi distanti e di reclutare manodopera avventizia ma ben remunerata) ed il dato quantitativo, comunque oggettivamente significativo.
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Anche il ricorso di COGNOME, nel suo complesso, deve ritenersi infondato, sebbene alcune delle sue doglianze non siano neppure ammissibili.
2.1. Tanto dicasi, ad esempio, per la prima, con la quale si denuncia la violazione dell’art. 521, cod. proc. pen., perché la ritenuta aggravante delle più persone riunite non sarebbe stata contestata.
Effettivamente, nel capo d’imputazione non si rinviene un esplicito riferimento al ritenuto concorrente nel reato, tale COGNOME (il quale ha definito il processo “patteggiando” la pena, con il riconoscimento dell’aggravante in questione); ciò non di meno, la contestuale presenza di costui al momento del fatto è indiscussa (vds. pagg. 4 s., 25 s., sent.), al punto che lo stesso ricorso in esame ne fa oggetto di uno specifico motivo.
Tuttavia, si tratta di motivo nuovo, non proposto, cioè, con l’atto d’appello, e la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, laddove esistente, integra una nullità a regime intermedio: la quale, nel caso in esame, in quanto verificatasi nel corso dei primo grado di giudizio, si sarebbe potuta eccepire, a pena di decadenza, soltanto fino alla deliberazione della sentenza del grado successivo, non potendo perciò essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità (così, tra molte, Sez. 4, n. 19043 del 29/03/2017, Privitera, Rv. 269886). Di qui, dunque, la sua inammissibilità.
2,2. Anche il secondo motivo – in tema di non configurabilità del delitto di estorsione per inesistenza del profitto, in quanto costituito da cambiali in valuta non più in corso legale – sarebbe, a rigore, inammissibile, poiché – stando alla sintesi dei motivi d’appello contenuta in sentenza, ed a quanto finisce per ammettere anche lo stesso ricorso, che definisce «parzialmente differenti» quei motivi – si tratta di doglianza rassegnata per la prima volta con il presente ricorso.
Ciò nonostante, essendosi in presenza di una censura relativa alla corretta interpretazione della legge in ordine ad uno degli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice, qual è, appunto, il “profitto” del reato, ritiene la Corte d doversi soffermare sul punto, rilevando comunque l’infondatezza del motivo di ricorso.
Se è vero, infatti, che – a norma dell’art. 1, comma 3, dl. 25 settembre 2001, n. 350, conv. dalla legge 23 novembre 2001, n. 409 – «a decorrere dal 1° gennaio 2002 non possono essere emessi assegni e altri titoli di credito in lire e, se emessi, non valgono come titoli di credito», è tuttavia indiscusso, costituendo espressione di una giurisprudenza di legittimità da tempo consolidata, che il titolo cambiario invalido, o comunque privo dell’efficacia sua propria, può essere fatto valere in giudizio come ricognizione di debito o, comunque, come chirografo contenente una promessa unilaterale di pagamento, con il conseguente onere a carico del debitore
di provare l’inesistenza o l’invalidità del rapporto sottostante (così, tra altre, Cass. civ., Sez. 6, 19.7.2017, n. 17850). Ragione per cui, con l’imposizione mediante minacce della sottoscrizione di quei titoli, COGNOME aveva comunque conseguito un profitto, costituito dal relativo diritto di credito, azionabile in giudizio e, peraltr in una posizione di vantaggio rispetto alla controparte dell’eventuale lite giudiziaria, gravata del relativo onere probatorio contrario.
2.3. Il terzo motivo di ricorso, con cui si pone in discussione la ritenuta esistenza dell’aggravante delle più persone riunite, è inammissibile, sotto entrambi i profili dedotti.
2.3.1. In particolare, esso è manifestamente infondato nella parte in cui deduce che tale circostanza non possa ravvisarsi, in quanto la persona offesa non avrebbe ritratto una maggiore intimidazione per effetto della contestuale presenza al suo cospetto di COGNOME unitamente a COGNOME
È sufficiente osservare, in proposito, che – per giurisprudenza da tempo uniforme: per tutte, già Sez. 2, n. 36698 del 19/06/2012, COGNOME, Rv. 254048 – il carattere minaccioso della condotta e l’idoneità della stessa a coartare la volontà del soggetto passivo, ai fini dell’esistenza del delitto di estorsione, vanno valutate in relazione a concrete circostanze oggettive, non rendendosi necessario che si sia verificata l’effettiva intimidazione del soggetto stesso. Se, dunque, l’effettivo manifestarsi di tale riflesso psicologico sulla vittima non è necessario perché possa ravvisarsi il reato, a maggior ragione esso deve ritenersi del tutto irrilevante per la configurabilità della circostanza aggravante in discussione, la quale, peraltro, ha natura oggettiva.
2.3.2. Riguardo, poi, alla tematica delromnimodo facturus” dell’irrilevanza, cioè, della condotta del concorrente, qualora il correo, pur in assenza dell’apporto del primo, avrebbe comunque commesso il reato e con le medesime modalità – va anzitutto rilevato che anche tale deduzione, quanto meno con la necessaria compiutezza, è stata proposta per la prima volta soltanto con il ricorso in rassegna e non con l’atto d’appello, risultando già solo per questo inammissibile (art. 606, comma 3, cod. proc. pen.).
A tanto aggiungasi che essa si fonda sull’allegazione di circostanze di fatto non accertate da giudici di merito, tutte, quindi, semplicemente allegate e nessuna, comunque, relativa alla specifica condotta del COGNOME: la quale, anzi, stando alla descrizione contenutane in sentenza, è stata tutt’altro che inerte ed ininfluente, non essendosi egli limitato ad accompagnare COGNOME in auto in occasione dell’incontro con la vittima e delle minacce alla stessa, ma avendo altresì preso posto sull’automobile di quest’ultima, nel tragitto per giungere nel luogo indicato da COGNOME, dove le minacce sono proseguite e sono state sottoscritte le
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cambiali. Le osservazioni in tal senso rassegnate dai giudici d’appello si presentano, dunque, logiche e pertinenti (pagg. 4, 25, sent.).
Ma, soprattutto, un simile argomento avrebbe potuto avere una sua rilevanza qualora il tema in discussione fosse stato quello della colpevolezza del soggetto “inerte”, non già con riferimento alla configurabilità o meno dell’aggravante in esame, ove si considerino – come poco sopra s’è detto – la natura oggettiva della stessa e l’irrilevanza, ai fini della sussistenza del reato, delle concrete ricadute psicologiche sulla vittima della condotta, là dove quest’ultima sia dotata di oggettiva connotazione minatoria.
2.4. Non sussiste, infine, il lamentato vizio di motivazione in punto di diniego delle attenuanti generiche.
La “arroganza” non può ritenersi una componente essenziale ed indefettibile della minaccia integrante il delitto di estorsione. Essa si riferisce, infatti, all modalità della condotta o, eventualmente, anche agli antecedenti causali, mentre la minaccia estorsiva può estrinsecarsi anche in forme non esplicite, larvate, finanche attraverso l’apparente blandizie o la suggestiva persuasione. Nello specifico, poi, la sentenza non si è limitata a valorizzare quel tratto della condotta dell’imputato, avendo dato rilievo anche al suo «corposo curriculum criminale» ed al particolare rapporto personale tra lui e la vittima.
Né, sotto quest’ultimo profilo, può escludersi la rilevanza degli antecedenti causali dell’estorsione, costituiti dalle forniture di stupefacente non pagate dalla vittima, perché – deduce la difesa – le relative condotte non sarebbero state accertate, essendo intervenuta, in relazione ad esse, sentenza d’improcedibilità per prescrizione.
Va, infatti, osservato, per un verso, che la prescrizione impinge l’affermazione di colpevolezza, ma non la possibilità di ritenere incidentalmente l’esistenza delle relative condotte illecite e, quindi, di tenerle in considerazione ad altri effett penali, come ad esempio quelli attinenti alla commisurazione della pena; e, per l’altro, che, semmai tali pretese economiche, cruente ed insistenti, non fossero state causalmente legate all’esazione di un credito di droga ma ad una ragione ancor più grave o, in ipotesi, non fossero state sorrette da alcun motivo (non essendo stata addotta dall’imputato nessuna giustificazione lecita della propria condotta), la vicenda finirebbe per assumere connotazione ancor più negativa per lui, vieppiù giustificando il dinego delle invocate attenuanti.
:3. A! rigetto dei loro ricorsi segue obbligatoriamente, per entrambi gli imputati, la condanna al pagamento delle spese del giudizio (art. 616, cod, proc. pen.).
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 12/12/2024.