Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9619 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9619 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME nato a MILANO il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 05/04/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le richieste del PG NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Catania ha integralmente confermato la pronuncia di condanna emessa in data 14 luglio 2021 dal Tribunale di Catania nei confronti di NOME COGNOME, per il reato di cui agli artt. 110, 416-bis.1 e 629, secondo comma, cod. pen.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, formulando quattro motivi di impugnazione, che qui si riassumono nei termini di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si deduce la violazione di legge, in relazione agli artt. 628, comma 3, nn. 1 e 3, e 629 cod. pen., e la carenza di motivazione riguardo alla valutazione degli elementi di prova posti a sostegno della ribadita affermazione di responsabilità. I giudici di appello non avrebbero infatti tenuto conto, nonostante specifico gravame, della genericità delle dichiarazioni del collaboratore COGNOME (che ha saputo della vicenda quando questa era già conclusa, non cita mai direttamente COGNOME e non indica neppure il periodo cronologico in cui l’estorsione sarebbe stata consumata da NOME COGNOME e NOME COGNOME) e delle persone offese NOME COGNOME (che, come potrebbe desumersi da un’intercettazione, avrebbe subito pressioni da parte degli inquirenti e che ha riferito l’implausibile circostanza che la richiesta della somma di euro 200.000 gli sarebbe stata fatta pervenire tramite un suo dipendente, per conto della RAGIONE_SOCIALE, a cui è estraneo l’imputato) e NOME NOME (che ha parlato del ben diverso importo di euro 2.000).
2.2. Con il secondo motivo, la difesa censura – sotto il profilo del vizio di motivazione – la ritenuta sussistenza dell’aggravante mafiosa, dal momento che l’imputato risulta essere stato condannato per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. solo in relazione ad un periodo precedente rispetto all’estorsione per cui si procede e che il collaboratore di giustizia si riferisce a fatti successivi al 2015.
2.3. Con il terzo motivo, la difesa si duole della mancata concessione delle circostanze generiche, non sorretta da adeguata motivazione.
2.4. Con il quarto motivo, si contesta il difetto di motivazione sul motivo di appello in ordine all’eccessiva asprezza della pena.
Si è proceduto con trattazione scritta, ai sensi dell’art. 23, comma 8, decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile alle impugnazioni proposte sino al 15 gennaio 2024, in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dall’art. 17, decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel suo complesso, infondato.
L’affermazione di responsabilità, nel doppio conforme percorso argomentativo dei giudici di merito, riposa sulle fonti orali citate dal ricorrente su alcune significative conversazioni captate dagli inquirenti.
1.1. Ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre infatt cosiddetta “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda – come nel caso di specie – con quella di primo grado, sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima, sia adottando criteri omogenei nella
valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, NOME, Rv. 252615). D’altro canto, nella motivazione della sentenza, il giudice del gravame non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del proprio convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; debbono pertanto considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 34532 del 22/06/2021, COGNOME, Rv 281935).
1.2. Il compendio probatorio evidenzia un primo spunto di indagine costituito dalle rivelazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, riscontrato poi dalle dichiarazioni dei due COGNOME e soprattutto dalle conversazioni di costoro, ignari di essere ascoltati dagli inquirenti.
In primo luogo, il suddetto collaboratore – intraneo alla RAGIONE_SOCIALE e giudicato soggetto credibile, avuto riguardo anche alla sua storia collaborativa – ha riferito circostanze, del pari valutate come intrinsecamente attendibili, relative al sicuro collegamento tra l’attività estorsiva per cui si proc e la suddetta famiglia mafiosa. Egli ne venne infatti a conoscenza tramite NOME COGNOME, altro partecipe della medesima organizzazione, che gliene specificò anche le modalità rateali (due tranches annuali di euro 1.000, da versare in occasione delle festività natalizie e pasquali, con destinazione diretta delle somme a NOME COGNOME). Il taglieggiannento del ristorante è stato altresì puntualmente annotato nella cosiddetta «carta delle estorsioni», in cui il sodalizio annotava la propria contabilità criminale; di questo documento, COGNOME ebbe diretta disponibilità, in epoca successiva ai fatti oggetto del presente giudizio, e lo cedette poi ad NOME COGNOME, altro sodale, peraltro incaricato della materiale riscossione del denaro nel caso di specie (per questo reato, contestato in concorso anche con NOME COGNOME, COGNOME risulta infatti già condannato, all’esito di giudizio abbreviato).
1.3. Quanto all’asserita contraddittorietà delle dichiarazioni di NOME e NOME COGNOME, il Collegio condivide la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui la valutazione della attendibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel
compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (ex plurimis, Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008, COGNOME, Rv. 240524; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, COGNOME, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, dep. 2005, COGNOME, Rv. 230899). Nella fattispecie, i giudici catanesi hanno ritenuto – con motivazione del tutto congrua e priva di vizi logico-giuridici – pienamente credibile il racconto dei due ristoratori, peraltro in presenza di molteplici riscontri oggettivi escludendo in ogni caso qualsivoglia intenzione calunniosa; l’iniziale e parziale reticenza, può ben essere giustificata, adeguatamente contestualizzati i fatti («ho figli, io» spiega ai familiari COGNOME senior, «e nel passato, quando avevo dieci, quindici, diciotto anni, queste cose le vedevo, gli uomini cadevano in terra, e io per chiudere la partita, perciò ho fatto questo regalo e basta»).
Talune discrasie, sottolineate dalla difesa, sono state logicamente chiarite. In particolare, si è evidenziato come il padre fosse intervenuto proprio per risolvere la questione personalmente, anche al fine di ottenere una consistente diminuzione del “pizzo”; dirimente per definire la questione fu poi l’intervento del suddetto COGNOME, che dichiarò espressamente di agire per conto di NOME COGNOME, ben consapevole dell’effetto prodotto evocando un personaggio di notevole caratura criminale e agli apici della RAGIONE_SOCIALE (sentenza di appello, pp. 2-4; sentenza di primo grado, pp. 12).
1.4. Sulla base di tale congrua motivazione in ordine alla sicura riferibilità dell’estorsione al RAGIONE_SOCIALE, lo specifico e consapevole apporto concorsuale da parte dell’odierno imputato è stato ritenuto dai giudici di merito, in primo luogo, sulla base delle suaccennate dichiarazioni di NOME COGNOME, relative alla criminale contemplati° domini esplicitata da COGNOME, spendendo espressamente il nome di NOME COGNOME, quale mandante.
Tale circostanza storica è riscontrata dalle conversazioni dei componenti della famiglia COGNOME oggetto di captazione, allorquando il padre di famiglia, subito dopo essere stato sentito dai Carabinieri, ha confermato, senza accenni a scollamenti da quanto realmente avvenuto, di avere riferito agli operanti il contenuto del suddetto dialogo con COGNOME e di avere fatto, siccome citato da quest’ultimo nei termini suddetti, anche il nome di NOME COGNOME. Non dubitabile è risultata anche la diretta conoscenza dell’odierno imputato da parte della persona offesa, che lo ha riconosciuto anche in effigie.
Affermano, quindi, i giudici di merito che le frasi proferite da COGNOME nei confronti di NOME COGNOME corrispondono a verità, e non possano essere ridotte a mera millanteria, sulla base di uno stringente argomento di ordine razionale: l’appartenenza di NOME COGNOME e NOME COGNOME al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE è un dato accertato giudizialmente in via definitiva e ulteriormente
confermato dalle propalazioni del collaboratore COGNOME, anche per quanto attiene all’estorsione in danno dei COGNOME (nonché circostanza ben conosciuta anche dalla persona offesa). Secondo consolidate massime di esperienza in tema di regole inviolabili da parte degli appartenenti a una famiglia di RAGIONE_SOCIALE, si deve assolutamente escludere che un associato possa spendere il nome di uno dei suoi capi, in un’attività che coinvolge direttamente e formalmente la consorteria, senza esserne stato autorizzato, con rilascio di specifico mandato a delinquere (sentenza di appello, pp. 3-4; sentenza di primo grado, pp. 13-14).
È opportuno precisare come le massime di esperienza siano giudizi ipotetici a contenuto generale, indipendenti dal caso concreto, fondati su ripetute esperienze ma autonomi da esse, e valevoli per nuovi casi, e vadano nettamente distinte dalle congetture, cioè ipotesi non fondate sull’id quod plerumque accidit e, quindi, insuscettibili di verifica empirica (Sez. 5, n. 25616 del 24/05/2019, Devona, Rv. 277312); pertanto, anche ai fini della valutazione dei fatti di criminalità di tipo mafioso, il giudice ne deve tener conto, con prudente apprezzamento e rigida osservanza del dovere di motivazione, quali utili strumenti di interpretazione dei risultati probatori, dopo averne vagliato, caso per caso, l’effettiva attendibilità (Sez. 5, n. 47574 del 07/10/2016, Falco, Rv. 268403). Il controllo della Corte di cassazione sui vizi di motivazione della sentenza impugnata, non può estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza, potendosi solo verificare se la decisione – ciò che non ricorre nel caso di specie – abbia fatto ricorso a mere congetture o anche ad una pretesa regola generale che risulta tuttavia priva di una pur minima plausibilità (Sez. 1, n. 16523 del 04/12/2020, dep. 2021, Romano, Rv. 281385).
Questo congruo percorso giustificativo dei giudici di merito, che fa leva sulla indubitabile massima di esperienza per cui l’associazione di stampo mafioso denominata RAGIONE_SOCIALE si caratterizza per il rigido rispetto delle regole interne di comportamento da parte dei suoi membri, è coerente con i principi di diritto espressi da questa Corte regolatrice, non presenta indici di implausibilità e non è stato, peraltro, neppure oggetto di specifica contestazione da parte della difesa. Resta, d’altronde, del tutto indimostrata qualunque attività di indebita pressione da parte degli inquirenti perché fosse fatto calunniosamente il nome di COGNOME.
Il motivo è dunque infondato.
La Corte territoriale chiarisce poi come l’agevolazione mafiosa risulti indubitabile, alla luce della ricostruzione dei fatti, come sopra brevemente riassunta (cfr., in particolare, il paragrafo 1.2). L’estorsione rientrava invero tra l illecite attività gestite collettivamente dalla famiglia mafiosa COGNOME, con scrupolosa registrazione degli incassi nella contabilità della RAGIONE_SOCIALE, e con espresso
l
avviso alle persone offese che la richiesta era destinata al mantenimento delle famiglie dei detenuti (sentenza di appello, pp. 4-5).
Lo stringato e generico motivo di ricorso sul punto non tiene minimamente conto di questa congrua motivazione ed è, pertanto, inciso da insuperabile aspecificità e risulta comunque manifestamente infondato.
Contrariamente a quanto prospettato dal ricorrente, la sentenza impugnata illustra chiaramente che l’art. 62-bis cod. pen. non è stato applicato, ostandovi la gravità e le modalità esecutive dell’estorsione e il più che significativo corredo penale dell’imputato.
Il rigetto della specifica deduzione relativa alla dosimetria della pena, prospettata con il gravame ed espressamente presa in carico dalla Corte etnea (p. 3), risulta poi – implicitamente ma chiaramente – illustrato dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza e in particolare dalla ricostruzione della vicenda, anche in quanto espressione di criminalità mafiosa, e, soprattutto, dalle considerazioni in tema di attenuanti generiche (cfr. Sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284096; Sez. 1, n. 12624 del 12/02/2019, Dulan, Rv. 275057).
Non sussiste dunque alcun difetto di motivazione su tali punti. Il terzo e il quarto motivo sono, pertanto, manifestamente infondati.
Il ricorso, in conclusione, deve essere rigettato.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso 1’8 febbraio 2024
Il Consigliere estensore