Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 43745 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 43745 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME COGNOME nato a SAN CIPRIANO D’AVERSA il 21/02/1965 NOME COGNOME nato a SAN CIPRIANO D’AVERSA il 02/01/1963
avverso la sentenza del 15/03/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME che ha concluso chiedendo che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili;
udite le conclusioni della parte civile costituita, in persona dell’Avv. NOME COGNOME quale sostituto processuale dell’Avv. NOME COGNOME che ha concluso riportandosi alle proprio conclusioni scritte;
udite le conclusioni dei difensori dei ricorrenti
Avv. COGNOME e Avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME che hanno chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso con ogni conseguente statuizione;
Avv. NOME COGNOME quale sostituto processuale dell’Avv. NOME COGNOME per COGNOME AugustoCOGNOME che ha chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso con ogni conseguente statuizione.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Napoli con sentenza del 15/03/2024 ha solo parzialmente riformato la sentenza, pronunziata ad esito di rito abbreviato, dal Gip presso il Tribunale di Napoli in data 20/02/2019, riducendo la pena inflitta a NOME COGNOME e COGNOME Augusto per i delitti agli stessi ascritti rubrica (artt. 81, 110, 112 n.1, 61, n.6 e 7, 629 in relazione all’art. comma 3, n. 1 e 3, nonché 416-bis.1 cod.pen.).
Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione COGNOME e COGNOME COGNOME, per mezzo dei rispettivi difensori, proponendo motivi di ricorso, che qui si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp.att. cod.proc.pen.
3. Ricorso NOME COGNOME
3.1. GLYPH Violazione di legge e difetto della motivazione in relazione all’art. 192, comma 2 e 3, cod.proc.pen. per assenza della c.d. convergenza del molteplice; nella prospettazione difensiva la Corte di appello avrebbe espresso un ragionamento contrario ai principi legali in ordine alla condotta contestata di estorsione aggravata; mancano elementi di riscontro alle dichiarazioni ed al narrato dei collaboratori e le stesse ulteriori fonti di pr indicate non appaiono sufficienti a tal fine, con particolare riferimento al dichiarazioni della presunte persone offese e ai dati del gps installato sul vettura del NOME, che risulta essere un dato del tutto neutro; non risultan rispettati i canoni ermeneutici enucleati dalle Sez. U Aquilina. La difesa ha i tal senso enucleato una serie di elementi significativi al fine di escludere responsabilità del ricorrente: – la mancanza di contatti tra NOME e le person offese COGNOME, COGNOME e COGNOME; – il contrasto tra le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME e NOME; – la mancanza di riferimento al Diana da parte degli altri collaboratori di giustizia; marginalità della riscontrata presenza della vettura del Diana presso il polo calzaturiero. La mancata considerazione di tali elementi integra un vero e proprio vulnus motivazionale; nello stesso senso si è criticata la mancata valutazione della missiva allegata al verbale di udienza del 20/02/2019, con conclusioni limitative ed apodittiche sul punto.
3.2. GLYPH Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla circostanza aggravante delle più persone riunite; è mancata del tutto la prova diretta ed inequivoca della presenza di almeno due persone sul luogo e nel momento della realizzazione della condotta imputata, non apparendo
sufficiente a tal fine il riscontro dato dai gps satellitari in ordine alla presenza in contemporanea presso il polo imprenditoriale delle vetture del Diana e del De Luca, si tratterebbe infatti di un ragionamento del tutto presuntivo e non di una prova piena.
3.3. GLYPH Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 628, comma terzo, cod.pen.; la aggravante in questione è stata ritenuta sussistente senza considerare l’incensuratezza del ricorrente e la assenza di sentenze irrevocabili di condanna, con argomentare del tutto apodittico e in mancanza di qualsiasi elemento di prova in ordine all’essersi il ricorrente qualificato come partecipe ad un sodalizio criminale, nella specie il clan dei casalesi; la Corte di appello ritiene la ricorrenza della aggravante solo ed esclusivamente sulla base di argomentazioni logico-deduttive.
3.4. GLYPH Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla aggravante di cui all’art. 112, comma primo, n.1, cod.pen.; la Corte di appello non ha motivato in alcun modo, affermando che la doglianza difensiva si caratterizzava per genericità; tuttavia ciò che rileva è la totale assenza di elementi di prova per poter ritenere ricorrente la aggravante in questione, anche in considerazione dell’arco temporale di riferimento (2002-2010) e della posizione del Diana il cui intervento è circoscritto a due soli episodi in periodo limitato e precisamente in data 02/09/2010 e in data 11/10/2010.
3.5. Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’art. 628, comma terzo, n. 3, cod.pen., nonché in relazione all’art. 416-bis.1 cod. pen; la Corte di appello ha ritenuto in modo non condivisibile la ricorrenza di tali aggravanti, tenuto conto delle dichiarazioni delle persone offese che non hanno riferito di minacce e violenza, né tanto meno hanno fornito elementi per ritenere ricorrente una minaccia silente, o ancora non hanno riferito dell’utilizzo di un metodo mafioso.
3.6. GLYPH Violazione di legge in relazione all’art. 416-bis.1 cod.pen. e difetto di motivazione, oltre che violazione di legge per mancata valutazione dell’elemento oggettivo; l’agevolazione è stata giustificata in considerazione delle dichiarazioni di nove collaboratori secondo i quali la somma estorta confluiva nella c.d. cassa comune, mentre quanto al metodo è stata valorizzata la vicinanza e la fiducia che NOME COGNOME aveva nel Diana, mentre la Corte di appello non ha in alcun modo motivato quanto alle dichiarazioni di NOME e NOME, che evidenziavano come la somma fosse diretta alla loro famiglia e non venisse invece versata nella cassa comune. La sentenza omette di confrontarsi sul punto sia con il narrato delle persone offese, che con il ruolo del ricorrente, che non ha mai prospettato
una pretesa estorsiva, limitandosi a creare un contatto tra il presidente del consorzio e NOME NOME (tale argomento rileverebbe anche in considerazione della richiesta applicazione della disciplina di cui all’art. 114 cod.pen. non apparendo condivisibile l’argomentazione che ha svalutato la mancanza di partecipazione del Diana alla fase ideativa del delitto ascritto e non ha tenuto conto della assoluta fungibilità del ruolo dallo stesso svolto).
3.7. Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’art. 671 cod.proc.pen. per avere la Corte di appello omesso di riconoscere, così come richiesto dalla difesa, la continuazione tra i fatti oggetto di contestazione e la sentenza n. 886/2012 del Gup di Napoli, che aveva portato alla condanna dello stesso ai sensi dell’art.416-bis cod.pen. per aver preso parte al clan camorristico riconducibile allo COGNOME, anche in considerazione dell’epoca di contestazione; le condotte sono riferibili allo stesso contesto spaziale e temporale.
3.8. GLYPH Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’art. 62-bis cod.pen. ed omessa ed errata considerazione dei criteri di cui all’art. 133 cod.pen.; la Corte di appello ha motivato con mere formule di stile, non apparendo sufficiente negare la concessione solo ed esclusivamente in considerazione della gravità del fatto.
4. Ricorso COGNOME NOME.
4.1. GLYPH Violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. c) cod.proc.pen. in relazione agli artt. 178, comma 1, come richiamato dall’art. 179, comma 1, e art. 34, comma 2, cod.proc.pen. per violazione dell’art. 6, par.1, Conv.Edu, con richiesta in subordine di sollevare incidente di costituzionalità dell’art. 34, comma 2, cod.proc.pen. per violazione dell’art. 76 Cost. nella parte in cui non prevede alcuna sanzione in caso di incompatibilità del giudice, con conseguente contrasto con l’art. 6 della Conv. Edu . La sentenza è affetta da nullità assoluta perché emessa da giudice che aveva partecipato, in qualità di estensore, al giudizio avente ad oggetto l’appello dinnanzi al Tribunale del riesame proposto dal Pubblico Ministero anche nei confronti del COGNOME COGNOME, sebbene poi in seguito il Pubblico Ministero avesse rinunciato all’appello nei confronti del COGNOME. Il Giudice in questione, nel valutare la vicenda di cui al capo b) ed il coinvolgimento del COGNOME Salvatore, prendeva in considerazione anche una serie di elementi connotati da gravità indiziaria da riferire anche al De COGNOME, con conseguente pregiudizio nei suoi confronti. Risulta frustrata la funzione di garanzia di cui all’art. 34 cod.proc.pen. Il giudice non si era astenuto e non era stata proposta
nei suoi confronti istanza di ricusazione; nella prospettazione della difesa ricorre tuttavia la possibilità di dichiarare d’ufficio l’invalidità dell’atto fino formarsi del giudicato.
4.2. GLYPH Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli artt. 110, 629 e 379 cod.pen.; le censure mosse dalla difesa sono state solo apparentemente considerate; era stata omessa la considerazione di una serie di elementi di prova anche dalla Corte di appello, che rendevano evidente come il COGNOME Luca svolgesse il ruolo di mero esattore di somme di denaro per un brevissimo periodo di tempo. Venivano richiamate a tal fine le dichiarazioni di COGNOME NOME e della persona offesa COGNOME, così come le dichiarazioni del COGNOME, che sostanzialmente riscontravano quanto più volte evidenziato dalla difesa, ovvero la ricorrenza di investimenti da parte dello COGNOME nel polo imprenditoriale e commerciale in questione. La motivazione è carente e in violazione del principio dell’ogni oltre ragionevole dubbio, anche atteso che il De COGNOME non aveva preso parte ad alcuna altra vicenda che riguardava il clan in questione, in assenza di qualsiasi consapevolezza in ordine al carattere estorsivo della condotta posta in essere. La motivazione è contraddittoria e apparente in ordine alla mancata riqualificazione della condotta in questione ai sensi dell’art. 379 cod.pen.; la Corte di appello ha basato la affermazione di responsabilità su considerazioni e motivazioni del tutto apparenti, concentrate sul rapporto di fiducia intercorrente con lo COGNOME e riferite all’aver il De Luca portato il Chianese al cospetto dello COGNOME NOME durante la sua latitanza per gestire la corresponsione delle somme: il coinvolgimento del ricorrente doveva essere ritenuto del tutto occasionale e completamente svincolato dalla sua partecipazione alle vicende del clan, anche attesa la collocazione temporale, davvero esigua, nell’ambito della quale inserire la condotta imputata anche sulla base delle dichiarazioni dello COGNOME nell’interrogatorio del 30/12/2015. La contraddittorietà della sentenza emerge anche dalla riduzione della pena inflitta proprio in considerazione del ruolo non primario del COGNOME. La Corte di appello ha reso affermazioni apodittiche in ordine al dichiarato di NOME COGNOME che aveva affermato come la estorsione dopo l’arresto del padre veniva gestita da NOME COGNOME
4.3. Violazione di legge e difetto della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod.pen., manca qualsiasi esplicitazione in motivazione delle caratteristiche della condotta ai fini della sussistenza della aggravante in questione; il ricorrente infatti non aveva preso parte al momento genetico della condotta delittuosa, né aveva partecipato all’incontro che si era svolto tra il Chianese e lo Iovine, che
mantenevano contatti tra loro a mezzo bigliettini; né tanto meno è stato allegato alcun elemento dal quale desumere che la minaccia fosse stata percepita come proveniente da ambienti criminali mafiosi. Era stato ritenuto sufficiente il mero rapporto fiduciario intercorrente tra lo stesso e lo COGNOME, elemento questo da ritenere del tutto insufficiente attesa la natura soggettiva della circostanza aggravante in questione per come delineata dalle Sez. U COGNOME.
4.4. GLYPH Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 628, comma 3, n.1, cod.pen.; la aggravante delle più persone riunite è stata ritenuta esclusivamente sulla base del tracciamento satellitare del 02/09/2010 dal quale è emersa la presenza nello stesso luogo e nello stesso momento all’interno del polo calzaturiero della vettura del Diana e del De Luca; tale dato è neutro e ciò nonostante la Corte di appello lo ha ritenuto sufficiente a validare il racconto della persona offesa Chianese; tuttavia la mera presenza sul medesimo luogo non è sufficiente ad integrare l’aggravante in questione, occorrendo la diretta percezione di tale presenza da parte del soggetto passivo di una minaccia proveniente da più persone.
4.5. GLYPH Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 114 cod.pen.; la Corte di appello ha disatteso l’istanza della difesa sul punto sulla base di elementi non rispondenti alle risultanze probatorie, non apparendo a tal fine sufficiente la considerazione dell’aver il COGNOME partecipato a più segmenti della condotta estorsiva ed essendo stato valorizzato un dato in netto contrasto con le risultanze probatorie, ovvero l’aver il COGNOME costretto gli imprenditori riottosi a riprendere i pagamenti, atteso che lo stesso si è limitato in una sola occasione ad accompagnare il Chianese presso una abitazione nella quale si trovava lo COGNOME NOME, senza partecipare in alcun modo a tale incontro e senza conoscerne i contenuti; ancora la difesa ha evidenziato come sia stata omessa la oggettiva presenza del COGNOME in questa vicenda solo per un limitato periodo di tempo, diversi anni dopo la conclusione degli accordi tra imprenditori e COGNOME, con evidente minima importanza della sua condotta.
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili.
Le difese dei ricorrenti e la difesa della parte civile costituita hanno concluso come in epigrafe indicato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili perché proposti con motivi generici, non consentiti e manifestamente infondati.
Appare necessario premettere alla disamina dei singoli motivi, senza sacrificio di un esame specifico delle peculiarità di ciascuno, alcune questioni di diritto, inerenti a diversi motivi di ricorso proposti con argomentazioni sovrapponibili.
2.1. GLYPH In tal senso, si deve precisare come ci si trovi di fronte ad una affermazione conforme di responsabilità da parte dei due giudici di merito. La Corte di appello ha, dunque pienamente confermato la ricostruzione in fatto e le considerazioni in diritto operate dal Giudice dell’udienza preliminare, così giungendo a conclusioni analoghe, sulla scorta di una conforme ponderazione del compendio istruttorio, con motivazione del tutto immune da illogicità o omissioni sui temi devoluti.
I giudici di appello hanno infatti pienamente condiviso, con motivazione logica e persuasiva, la decisione di primo grado, ricostruendo analiticamente la posizione e le condotte direttamente imputabili ai ricorrenti.
È quindi opportuno ricordare che questa Corte ha ripetutamente chiarito che la sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, specie quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate e ampiamente chiarite nella pronuncia di primo grado (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191229-01; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252615-01; Sez. 6, n. 8309 del 14/01/2021, COGNOME). Pertanto, in presenza di una “doppia conforme” anche nell’iter motivazionale, il giudice di appello non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi. Ne consegue che, in tal caso, debbono considerarsi implicitamente disattese le argomentazioni che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 2,
n. 46261 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277593-01; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 260841-01; Sez. 3, n. 13266 del 19/02/2021, COGNOME). Neppure la mancata enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie, con riguardo all’accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all’imputazione, determina la nullità della sentenza d’appello per mancanza di motivazione, se tali prove non risultano decisive e se il vaglio sulla loro attendibilità possa, comunque, essere ricavato per relationem dalla lettura della motivazione (Sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018, dep. 2019, C., Rv. 275853-01): ciò è riscontrabile nella sentenza impugnata, che ha esaminato ed espressamente confutato le deduzioni difensive negli aspetti fondamentali. In sede di legittimità, quindi, non è censurabile la sentenza per il silenzio su una specifica doglianza prospettata con il gravame, quando questa risulti disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, essendo sufficiente escludere la ricorrenza del vizio previsto dall’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen., che essa evidenzi una ricostruzione dei fatti che implicitamente conduca alla reiezione della prospettazione difensiva, senza lasciare spazio a una valida alternativa (Sez. 2, n. 35817 del 10/07/2019, Sirica, Rv. 276741-01; Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275500-01; Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259643-01; Sez. 5, n. 607 del 14/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 256879-01).
2.2. COGNOME Può osservarsi, ancora in via preliminare, come numerosi motivi proposti dai ricorrenti si caratterizzino per l’avere, nella maggior parte della loro articolazione, reiterato argomenti già introdotti con l’atto di appello.
I ricorrenti, di fatto, hanno riproposto le proprie argomentazioni difensive al fine di giungere ad una lettura alternativa del merito, senza realmente confrontarsi con l’ampia, logica e persuasiva motivazione della Corte di appello, che ha analiticamente ricostruito le condotte poste a base della condanna degli stessi. Le difese hanno, di fatto, sollecitato una rilettura delle prove acquisite in dibattimento, in contrasto con il diritto vivente. Deve essere, in tal senso, sottolineato che è preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito attraverso una diversa ed alternativa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217-01, Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, COGNOME, Rv. 275100-01, Sez. 4, 1219 del 14/09/2017, COGNOME Rv. 271702-01, Sez. 5, n. 48050 del
02/07/2019, COGNOME, Rv. 277758-01, Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217-01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482-01; Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, Battaglia, Rv. 275100-01). Da ciò consegue l’inammissibilità di tutte le doglianze che criticano la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento, rappresentando tutto ciò una non ammissibile interferenza con la valutazione del fatto riservata al giudice del merito (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747-01, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965-01).
2.3. GLYPH Parimenti, l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge sono ritualmente dedotte allorché si contesti la riconducibilità del fatto, come ricostruito dai giudici di merito, alla fattispecie astratta delineata dalla norma incriminatrice, ma non possono essere dirette a revocare in dubbio l’idoneità delle emergenze processuali a fondare la condanna che poggia su tale ricostruzione, neppure lamentando la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), dello stesso codice, per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i suaccennati limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027-04).
2.4. Inoltre, alcune doglianze proposte si caratterizzano perché articolate in forma perplessa ed alternativa (evidenziando poi un c.d. “difetto” della motivazione in tutti i titoli dei singoli motivi, vizio non previsto nell’ambito del disposto dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod.proc.pen., o, ancora, evocando una erronea applicazione della legge penale e richiamando poi in concreto la violazione di norme processuali).
Sul punto, deve essere qui ribadito il dictum di questa Corte secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, la denunzia cumulativa, promiscua e perplessa della inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonché della mancanza, della contraddittorietà e della manifesta illogicità della motivazione rende i motivi aspecifici ed il ricorso inammissibile, ai sensi
degli artt. 581, comma 1, lett. c), e 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l’impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dai motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio (cfr., Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME in motivazione; precedentemente, Sez. 1, n. 39122 del 22/09/2015, Rugiano, Rv. 264535-01; Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, COGNOME, Rv. 263541-01; Sez. 2, n. 31811 del 08/05/2012, Sardo, Rv. 254328-01; Sez. 6, n. 800 del 06/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251528-01; Sez. 6, n. 32227 del 16/07/2010, T., Rv. 248037-01): costituisce, pertanto, onere del ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen. indicare espressamente – a pena di aspecificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso – su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria e in quali parti sia manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l’impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione. Invero, l’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. stabilisce la ricorribilità per «mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame»: ebbene, tale disposizione, se letta in combinazione con l’art. 581, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. (a norma del quale è onere del ricorrente «enunciare i motivi del ricorso, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta») evidenzia che non può ritenersi consentita l’enunciazione perplessa ed alternativa dei motivi di ricorso, essendo onere del ricorrente quello specificare con precisione se la deduzione del vizio di motivazione sia riferita alla mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero, se congiuntamente – ad una pluralità di tali vizi, in relazione a quali specifici punti della motivazione gli stessi vadano riferiti.
3. Ricorso NOME COGNOME.
3.1. COGNOME Il primo motivo di ricorso non è consentito perché totalmente reiterativo del motivo di appello, oltre che manifestamente infondato. Il
ricorrente lamenta violazione di legge e “difetto” della motivazione, sostenendo che il narrato dei collaboratori di giustizia sia stato considerato risolutivo in modo erroneo e sostanzialmente in violazione delle linee ermeneutiche sancite dalle Sez. U Aquilina.
Nel proporre tale motivo si reiterano, con argomentazioni del tutto sovrapponibili, le doglianze proposte con l’atto di appello ed ampiamente disattese dal giudice di secondo grado in modo del tutto conforme alla decisione di primo grado ad esito del rito abbreviato, con motivazione logica ed articolata, con la quale il ricorrente non si confronta effettivamente, limitandosi a proporre in questa sede una non consentita lettura alternativa del merito (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217-01, Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, COGNOME, Rv. 275100-01, Sez. 4, 1219 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271702-01, Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, COGNOME, Rv. 277758-01).
La Corte di appello che ha richiamato dati inequivoci in ordine alla responsabilità ascritta al ricorrente (pag. 15 e seg.) ricostruendo i plurimi elementi di prova allo stesso riferibili tutti convergenti e chiaramente e logicamente analizzati nella loro portata, con particolare riferimento alla pregnanza a risolutività delle dichiarazioni rese dal NOME NOMECOGNOME in considerazione del suo ruolo di vertice, confermate dal figlio NOME, riscontrate non solo dall’oggettiva portata dei luoghi identificati dal tracciamento satellitare, ma anche dalle dichiarazioni stesse rese dal ricorrente con il proprio scritto, prodotto dalla difesa.
Nel considerare tali plurimi elementi, la Corte di appello analizza puntualmente tutte le deduzioni difensive, qui reiterate, chiarendo specificamente il portato delle dichiarazioni di NOME e NOME, argomentando puntualmente in ordine alla sostenuta ricorrenza di discrasie e disattendendo con argomentazioni logiche e approfondite le argomentazioni difensive, anche precisando che il Diana era stato esplicitamente citato dallo COGNOME NOME già nell’interrogatorio del 17/05/2014, nell’ambito del quale era stata specificamente descritta la portata ed incisività della condotta dello stesso e la rilevanza del suo apporto, atteso che si trovava ad affrontare e a dover risolvere le problematiche sottese alla volontà di alcuni commercianti che volevano sottrarsi al pagamento della tangente, in quanto il polo calzaturiero era sotto il loro controllo. Nel considerare tali plurimi elementi di prova a carico del ricorrente, in modo logico ed argomentato, la Corte di appello ha analizzato anche la riscontrata credibilità dei collaboratori di giustizia in diversi contesti processuali, la assenza di elementi indicativi di una
volontà di calunniare il COGNOME, la presenza di inequivoci riscontri non solo specificamente riferiti al Diana e alla sua presenza sui luoghi ove si consumava l’estorsione, ma anche la chiara destinazione del provento dell’estorsione a sostegno della associazione per delinquere di stampo mafioso nell’ambito della quale si trovava a svolgere un ruolo di vertice lo COGNOME NOME (COGNOME Luigi, COGNOME NOME, COGNOME NOME).
La Corte di appello ha, quindi, in modo articolato e non censurabile in questa sede, affrontato le singole doglianze, anche chiarendo come le dichiarazioni degli ulteriori collaboratori di giustizia valevano a supportare tutti gli altri elementi di prova acquisiti, emergendo la ricostruzione del contesto nell’ambito del quale maturava l’estorsione oggetto di imputazione con chiara identificazione dei mandanti e inequivoca riferibilità alla consorteria mafiosa (in particolare allo COGNOME e allo COGNOME, con spiccato coinvolgimento di COGNOME NOME). La motivazione affronta anche esplicitamente il tema relativo alle dichiarazioni delle persone offese e chiarisce, in assenza di qualsiasi illogicità, come le parti offese avessero raccontato ripetutamente di non avere avuto contatti diretti con gli estorsori, essendosi limitati a consegnare le somme al Chianese, che poi le riversava agli estortori; proprio il Chianese richiamava il nome NOME al fine di identificare uno dei soggetti deputati alla riscossione del rateo imposto dal clan e la Corte ha motivatamente evidenziato che, pur non avendo il giudice di primo grado utilizzato tali dichiarazioni per ritenere la responsabilità del ricorrente, tuttavia tale dato rappresenta un elemento di oggettiva rilevanza, che certamente non smentisce la ricostruzione accusatoria, anche considerato che nessun altro degli indagati ha come nome quello riportato dal COGNOME quanto alla persona di riferimento dello COGNOMENOME), elemento questo che va a riscontrare a sua volta una serie di dati oggettivi complessivamente e ampiamente considerati. L’insieme di tali elementi, anche quanto alle precedenti condanne riportate dal NOME, sempre per estorsioni poste in essere nell’ambito della consorteria criminale capeggiata dallo COGNOME, sono stati puntualmente considerati dal giudice di secondo grado, in modo del tutto conforme al giudice di primo grado, così evidenziando anche il ruolo di spessore del COGNOME, quale persona di fiducia del capo consorteria criminale, sia prima che durante la sua latitanza.
Con tale motivazione, che si presenta rispettosa dei canoni ermeneutici enucleati dalle Sez. U Aquilina (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145-01, ed ancora prima Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, dep. 1993, Marino, Rv. 192465-01) il ricorrente non si confronta.
È stata, difatti, verificata l’intrinseca attendibilità delle dichiarazioni, oltre alle caratteristiche del narrato, che la sentenza “COGNOME” proietta nella direzione individuata dall’esperienza giurisprudenziale, ossia verso lo scrutinio circa la precisione, la coerenza, la costanza, la spontaneità del racconto, elementi questi ampiamente valutati nel caso in esame per i diversi collaboratori, che sono stati presi in considerazione specificamente anche quanto alle diverse fasi di coinvolgimento nella organizzazione criminale, oltre che tenuto conto dello specifico ruolo o funzione svolta. Ma non solo. Infatti, è stata verificata l’intrinseca attendibilità delle dichiarazioni, nel senso della precisione, della coerenza, costanza e spontaneità del racconto. Con pieno rispetto di quanto ulteriormente esplicato dalle Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255145-01, che hanno affermato che, nella valutazione della chiamata in correità o in reità, il giudice, ancora prima di accertare l’esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale.
Infine, la Corte di appello ha proceduto ad una compiuta individuazione dei riscontri, i cui connotati erano stati già enucleati da Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, COGNOME, Rv. 226090-01, secondo cui la chiamata di correo dev’essere sorretta da “convergenti e individualizzanti riscontri esterni, in relazione al fatto che forma oggetto dell’accusa ed alla specifica condotta criminosa dell’incolpato”.
Tuttavia è bene rimarcare che, partendo da tale base ermeneutica, la Sez. U COGNOME ha evidenziato che ricorre un principio di c.d. libertà dei riscontri, nel senso che “questi, non essendo predeterminati nella specie e nella qualità, possono essere di qualsiasi tipo e natura, ricomprendere non soltanto le prove storiche dirette, ma ogni altro elemento probatorio, anche indiretto, legittimamente acquisito al processo ed idoneo, anche sul piano della mera consequenzialità logica, a corroborare, nell’ambito di una valutazione probatoria unitaria, il mezzo di prova ritenuto ex lege bisognoso di conferma”; fermo restando – hanno puntualizzato le Sezioni Unite – che dato certo, evincibile da un corretta interpretazione dell’art. 192, comma 3, cod.proc.pen., “è costituito dall’esigenza che i riscontri alle dichiarazioni ivi considerate devono essere caratterizzati dalla necessaria estraneità – nel
senso di provenienza ab extemo rispetto alle dichiarazioni medesime, sì da scongiurare una verifica tautologica, autoreferenziale ed affetta dal vizio della circolarità”, così confermando un indirizzo già accreditato nella giurisprudenza di legittimità (Sez. 4, n. 6343 del 31/03/1998, Avila, Rv. 211625-01, secondo cui i riscontri necessari ex art. 192, comma 3, cod. proc. pen. per superare il deficit probatorio intrinseco alla chiamata in correità possono consistere in elementi di qualsivoglia natura, che, pur dovendosi collegare ai fatti riferiti dal chiamante, devono tuttavia essere esterni ad essi, allo scopo di evitare che la verifica sia circolare, tautologica ed autoreferente e cioè che in definitiva la ricerca finisca per usare come sostegno dell’ipotesi probatoria che si trae dalla chiamata, la chiamata stessa e cioè lo stesso dato da riscontrare), così come avvenuto nel caso in esame, con particolare riferimento alla emersione di una serie di elementi del tutto univoci e non neutri (tracciamento satellitare in particolare tra i diversi elementi richiamati)
In tal senso si deve ribadire che le Sez. U “Aquilina” hanno affermato come non sia necessario che “il riscontro integri la prova del fatto, giacché, se così fosse, perderebbe la sua funzione “gregaria”, sarebbe da solo sufficiente a sostenere il convincimento del giudice e verrebbe meno la necessità di far leva anche sulla prova principale, ritenuta da sola non sufficiente”. In questa prospettiva, Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260607-01 ha sottolineato come non sia richiesto che i riscontri abbiano lo spessore di una prova “autosufficiente” perché, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correità (conf., Sez. 4, n. 5821 del 10/12/2004, dep. 2005, COGNOME, Rv. 231301-01); in altri termini, gli altri elementi di riscontro da valutare, ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod.proc.pen., unitamente alle dichiarazioni del chiamante, non devono avere necessariamente i requisiti richiesti per gli indizi a norma dell’art. 192, comma 2, cod.proc.pen., essendo sufficiente che essi siano precisi nella loro oggettiva consistenza e idonei a confermare, in un apprezzamento unitario, la prova dichiarativa dotata di propria autonomia rispetto a quella indiziaria (Sez. 1, n. 34712 del 02/02/2016, COGNOME, Rv. 267528-01), ossia che siano realmente rafforzativi della chiamata in quanto siano individualizzanti e, quindi, inequivocabilmente idonei ad istituire un collegamento diretto con i fatti per cui si procede e con il soggetto contro il quale si procede (Sez. 5, n. 31442 del 28/06/2006, COGNOME, Rv. 235212-01). La Corte di appello ha correttamente applicato tali criteri, ha specificamente richiamato in modo
logico ed argomentato il proprio percorso decisorio, con il quale il ricorrente non si confronta.
3.2. GLYPH Il secondo motivo di ricorso è generico e non consentito, attesa la sua natura totalmente reiterativa, in mancanza di confronto con la motivazione, oltre che manifestamente infondato. La Corte di appello ha correttamente evidenziato come i motivi di ricorso relativi alla esclusione delle circostanze aggravanti si caratterizzavano ab origine per genericità, elemento questo che potrebbe già di per sé portare alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso sul punto per carenza di interesse (Sez.2, n. 35949 del 20/06/2019, COGNOME, Rv. 276745-01; Sez. 4, n. 1982 del 15/12/1998, COGNOME, Rv. 213220-01). Il giudice di secondo grado ha comunque motivato sul tema richiamato in questa sede, considerando in modo adeguato e in assenza di illogicità il dato obiettivo della presenza sia del Diana che del COGNOME in data 02/09/2010 presso il polo calzaturiero proprio per ritirare la c.d. tangente, con modalità e minacce che sono state ricostruite, anche in primo grado, a carattere fortemente intimidatorio (pag. 18 e seg. dove si è anche valorizzata la analisi del racconto delle persone offese, del tutto condiviso, realizzato dal giudice di primo grado quanto alle dichiarazioni delle persone offese COGNOME e COGNOME), in assenza di qualsiasi allegazione o versione del ricorrente al fine di smentire la complessiva ricostruzione del suo ruolo nell’interesse dello COGNOME insieme al COGNOME presso il polo imprenditoriale in questione nella data indicata. Un elemento, dunque, a portata oggettiva, con il quale il ricorrente non si confronta, e che è stato preso in considerazione dalla Corte di appello nel pieno rispetto delle coordinate ermeneutiche evidenziate dalle Sez. U COGNOME. Difatti, la circostanza aggravante speciale delle più persone riunite richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia (Sez. U, n. 21837 del 29/03/2012, COGNOME, Rv. 252518-01; Sez. 2, n. 671 del 23/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 277817-01; Sez. 2, n. 27368 del 08/05/2024, COGNOME, non mass.), circostanza questa ricostruita dalla Corte di appello, in assenza di illogicità, sulla base di dati oggettivi nel caso in esame, essendo stata riscontrata la presenza in contemporanea di non meno di due persone nel luogo e nel momento della realizzazione della violenza o della minaccia, così verificandosi quegli effetti fisici e psichici di maggior pressione sulla vittima che ne riducono la forza di reazione e giustificano l’applicazione dell’aumento della pena.
3.3. GLYPH In tal senso, occorre considerare come la Corte di appello abbia compiutamente ricostruito, sulla base delle dichiarazioni delle persone
offese (e in particolare del Chianese), dei collaboratori di giustizia (COGNOME NOME), la persistente attività posta in essere nell’interesse della consorteria criminale di riferimento nel polo calzaturiero in questione, e l’attività in questione realizzata in diverse occasioni e nella quale sono risultati coinvolti il Diana e il COGNOME è risultata pienamente riscontrata, con argomentazioni immuni da qualsiasi illogicità o contraddittorietà, anche sulla base della ulteriore prova logica a supporto, da identificare nella contemporanea presenza dei due ricorrenti proprio nel luogo ove la condotta imputata si consumava, in orario non di apertura e in assenza di qualsiasi altra valida versione alternativa. Nel giungere a tale conclusione i giudici di merito hanno correttamente applicato il principio di diritto, che qui si intende ribadire, secondo il quale la localizzazione “da remoto” a mezzo di sistema di rilevamento satellitare (GPS) degli spostamenti di un soggetto rientra fra i mezzi atipici di ricerca della prova ed è utilizzabile nel processo senza limitazioni (Sez. 2, n. 23172 del 04/04/2019, M.,Rv. 276966-02; Sez. 4, n. 21856 del 21/04/2022, GLYPH COGNOME, GLYPH Rv. 283386 GLYPH – GLYPH 01; Sez. 6, Sentenza n. 15422 del 09/03/2023, COGNOME, Rv. 284582-01).
Non rappresenta, dunque, un dato neutro, ma un elemento estremamente significativo e rilevante al fine di ritenere la presenza del Diana e del COGNOME nel polo imprenditoriale in questione, insieme e nello stesso momento, per le finalità ampiamente ricostruite anche quanto alla aggravante delle persone riunite. In tal senso, si deve considerare che l’attività di indagine volta a seguire i movimenti di un soggetto ed a localizzarlo, controllando a distanza la sua presenza in un dato luogo in un determinato momento attraverso il sistema di rilevamento satellitare (cosiddetto GPS) costituisce una forma di “pedinamento” eseguita con strumenti tecnologici; in altri termini si tratta di un servizio di osservazione e controllo effettuato con strumenti tecnologici che non è regolata dal codice, ed è compreso pertanto tra i mezzi atipici di ricerca della prova a disposizione della polizia giudiziaria, che viene posto all’attenzione del giudice tra i vari elementi oggetto di valutazione e, nel caso in esame, anche a riscontro delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Con la motivazione, che non si presta a censure, il ricorrente non si confronta effettivamente, con ciò articolando un motivo anche generico.
3.4. GLYPH Il terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, relativi al riconoscimento delle aggravanti contestate, non sono consentiti in quanto totalmente reiterativi. La Corte di appello ha specificamente argomentato sul tema del pieno riconoscimento delle aggravanti contestate (pag. 18 e seg.),
anche richiamando la conforme decisione sul punto del giudice di primo grado. Devono essere ancora una volta evidenziati i principi ermeneutici applicabili in considerazione della ricorrenza di doppia decisione conforme; inoltre si deve rilevare come il ricorrente alleghi dati di fatto ambigui e non puntualmente riscontrati (come l’incensuratezza dello stesso, nonostante poi nel successivo motivo in tema di dosimetria della pena sia stata richiesta, in modo contraddittorio, la applicazione della disciplina del reato continuato con altra condanna di molto precedente rispetto all’odierno giudizio per il delitto di cui all’art. 416-bis cod.pen. relativo alla partecipazione al clan dei Casalesi dei quali lo COGNOME rappresentava, prima della sua collaborazione, uno dei vertici), del tutto generici ed aspecifici, a fronte di una chiara connotazione della condotta, pienamente integrante le caratteristiche delle aggravanti contestate in considerazione delle univoche e concordanti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e delle persone offese (ampiamente richiamate dalla Corte di appello).
Nella considerazione complessiva della condotta ascritta, sulla base di plurimi elementi di prova, la Corte di appello ha ricostruito la piena riferibilità dell’estorsione a persona inserita nella associazione per delinquere di riferimento, descrivendo puntualmente anche, quanto alla aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod.pen., la consapevolezza del Diana quanto alla portata agevolatrice di tale condotta (pag. 20 e seg. dove si è valorizzato il dato emerso in sentenze irrevocabili dove il Diana veniva descritto come uomo di assoluta fiducia dello NOME NOME, suo punto di riferimento anche durante la latitanza, con chiara consapevolezza della destinazione del denaro in questione alla consorteria criminale nel suo complesso considerata) oltre alla chiara ricostruzione della aggravante in questione dal punto di vista del metodo (pag. 19 dove sono state valorizzate in tal senso le dichiarazioni delle persone offese), così escludendo qualsiasi possibile riconoscimento della richiesta attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., atteso il ricostruito ruolo del ricorrente e la chiara efficacia causale, di rilevante portata, nel caso in esame).
Con tale motivazione il ricorrente non si confronta, limitandosi a reiterare le argomentazioni proposte in sede di appello. La Corte di appello, nel ritenere la ricorrenza della aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod.pen., ha correttamente applicato i principi enunciati ormai in modo costante dalla giurisprudenza di questa Corte, richiamando la piena consapevolezza da parte del ricorrente quanto alla finalità agevolativa, atteso il chiaro ed inequivocabile riscontro in tal senso emerso dalla attività posta in essere sulla
base delle indicazioni dello COGNOME NOME, prendendo contatto con il presidente del polo imprenditoriale artigianale in questione, oltre che dalla esplicita emersione della destinazione dei proventi di tali attività alla consorteria criminale riferibile, nel ruolo di capi e c000rdinatori, allo COGNOME e allo COGNOME (pag. 20 in tal senso). L’azione illecita contestata si inscrive dunque tra le possibili utilità ricavabili da tale associazione per delinquere di stampo mafioso (Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278734-01; Sez. 6, n. 53691 del 17/10/2018, COGNOME, Rv. 274615-01; Sez. 6, n. 28212 del 12/10/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 273538-01; Sez. 6, n. 54481 del 6/11/2017, COGNOME, Rv. 271652-01; Sez. 6, n. 43890 del 21/6/2017, COGNOME, Rv. 271098-01; Sez. 6, n. 25510 del 19/4/2017, COGNOME, Rv. 270158-01, che hanno precisato che l’aggravante risulta applicabile non solo nei confronti di chi abbia agito con tale primaria finalità, ma anche nei confronti di chi l’abbia comunque condivisa e fatta propria, anche con riferimento ai reati-fine commessi dagli appartenenti al sodalizio criminoso, Sez. U, n. 10 del 28/03/2001, COGNOME, Rv. 218377-01; Sez. 6, n. 46007 del 06/07/2018, COGNOME, Rv. 274280-02; Sez. 2, n. 20935 del 07/04/2017, COGNOME, Rv. 26964-01).
3.5. GLYPH Il settimo motivo di ricorso, con il quale è stata contestata la mancata applicazione della disciplina della continuazione per come richiesta, non è consentito in quanto meramente reiterativo in assenza di confronto con la motivazione, oltre che manifestamente infondato. La Corte di appello ha adeguatamente motivato sul punto, in assenza di illogicità (pag. 21), richiamando, in modo incensurabile, rispetto alla richiesta di applicazione della continuazione con la sentenza n. 4482 del 2013, il consistente iato temporale tra le condotte oggetto di accertamento e quella oggetto della sentenza appena richiamata, con particolare riferimento alla consapevolezza di poter prendere parte ad una attività estorsiva iniziata nel 2002 da soggetti diversi rispetto a quelli con i quali si sarebbe in seguito correlato, evidenziando come non possa essere ritenuto elemento sufficiente la mera appartenenza ad un clan o la partecipazione ad una associazione per delinquere per poter riconoscere la continuazione, in mancanza di qualsiasi allegazione e elemento di prova in ordine alla volizione genetica unitaria, nel senso che al momento dell’adesione al clan ricorresse già la programmazione della estorsione delle vittime oggetto della contestazione elevata in questa sede.
La Corte di appello ha poi richiamato e valorizzato una serie di considerazioni specifiche in ordine alla estorsione posta in essere nel 2013 (con particolare riferimento alla genesi e cause della stessa) per escludere la
possibile applicazione del regime della continuazione, con le quali il ricorrente non si confronta affatto, proponendo così una censura aspecifica e generica. Il giudice di secondo grado ha correttamente applicato il principio di diritto, che qui si intende ribadire, secondo il quale in tema di continuazione, il decorso del tempo costituisce elemento decisivo sul quale fondare la valutazione ai fini del riconoscimento delle condizioni previste dall’art. 81 cod.pen., atteso che, in assenza di altri elementi, quanto più ampio è il lasso di tempo fra le violazioni, tanto più deve ritenersi improbabile l’esistenza di una programmazione unitaria predeterminata almeno nelle linee fondamentali (Sez.4, n. 34756 del 17/05/2012, Madonia, Rv. 253664-01).
3.6. GLYPH Parimenti non consentito, in quanto meramente reiterativo, oltre che manifestamente infondato, l’ottavo motivo di ricorso quanto alla asserita ricorrenza di violazione di legge e vizio della motivazione perché caratterizzata da mere formula di stile nel non avere concesso al Diana le circostanze attenuanti generiche. La Corte di appello ha specificamente motivato sul punto, in modo del tutto logico ed argomentato, in assenza di qualsiasi violazione di legge (pag. 20 dove si è valorizzata la gravità della condotta, la rilevanza del contributo fornito, in mancanza di qualsiasi forma di resipiscenza, considerando specificamente anche la portata della documentazione prodotta dalla difesa contenente dichiarazioni del ricorrente); il ricorrente non si confronta con tale motivazione, né allega elementi di illegalità ed irragionevolezza nella determinazione della pena, anche quanto alla omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche. In tal senso, si è ripetutamente affermato, con principio che qui si intende ribadire, che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente neanche il solo stato di incensuratezza dell’imputato. (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489-01; Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 28159001; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986-01; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 260610-01; Sez. 3, n. 20664 del 16/12/2022, dep. 2023, Ventimiglia, non mass.).
4. Ricorso COGNOME NOME.
4.1. GLYPH Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Premesso che è lo stesso ricorrente ad evidenziare di non avere proposto alcuna istanza di ricusazione nei confronti di uno dei componenti del collegio di appello, con ciò sostanzialmente mostrandosi inadempiente al proprio dovere di eccepire l’eventuale ricorrenza di causa di incompatibilità (con evidente tardività della doglianza articolata in questa sede), occorre considerare che è lo stesso COGNOME a chiarire come il giudizio cautelare in questione in sede di appello non si sia svolto nei suoi confronti, avendo il Pubblico Ministero rinunciato all’appello nei confronti dello stesso.
Il motivo proposto si caratterizza, quindi, anche per una insanabile genericità, atteso che non è stato puntualmente evidenziato, quali siano gli elementi di riscontro a portata oggettiva quanto alla inscindibilità del giudizio valutativo, anche considerato che il ricorrente richiama nel motivo il capo b) di imputazione, mentre nel presente giudizio il COGNOME è stato condannato dalla Corte di appello in relazione al capo a).
Il ricorrente ha proposto argomentazioni generiche ed aspecifiche e non ha neanche effettivamente allegato una comunanza di imputazione, una pluralità di condotte distintamente ascrivibili a ciascuno dei concorrenti, mentre dalla motivazione della sentenza emerge la presenza di autonome valutazioni, in alcun modo collegate alla richiamata posizione del Verde, evidentemente scindibili l’una dall’altra, in assenza dei presupposti legittimanti la ricusazione. In tal senso, occorre ricordare che la nozione di medesimo procedimento deve essere intesa in senso letterale, con esclusione di ogni interpretazione estensiva o analogica, attesa la natura eccezionale delle disposizioni in materia (Sez. 5, n. 2263 del 04/11/2022, COGNOME, Rv. 284328-01).
Nel caso concreto, dunque, il ricorrente non ha neanche allegato quale concreto profilo di inscindibilità si ritenesse sussistere tra le posizioni dei coimputati quanto a diverso capo di imputazione rispetto a quello oggetto di contestazione nel presente giudizio, né ha esplicato quali specifiche valutazioni avessero avuto “forza di prevenzione” tale da compromettere l’imparzialità del giudice. Le argomentazioni che precedono, la genericità delle allegazioni del ricorrente, evidenziano anche la manifesta infondatezza delle argomentazioni proposte e della assenza di qualsiasi violazione riferibile alla disciplina Costituzionale (con conseguente infondatezza della richiesta di sollevare incidente di costituzionalità quanto all’art. 34 Cost.) e della Conv. EDU .
4.2. GLYPH Il secondo motivo di ricorso non è consentito, in quanto meramente reiterativo e volto ad introdurre una lettura alternativa del merito non consentita in questa sede. Devono essere in tal senso ribaditi e richiamati i principi di cui ai § 2,3,4,5. Il ricorrente, difatti, reitera le stess argomentazioni proposte dinnanzi alla Corte di appello, rilevando la presenza di una motivazione apparente e contraddittoria quanto alla affermata ricorrenza di investimenti dello Iovine nel polo calzaturiero, alla inconsapevolezza del COGNOME, al suo ruolo di mero esattore in assenza di qualsiasi contatto con il clan, sicché al massimo i comportamenti contestati avrebbero dovuto essere riqualificati ai sensi dell’art. 379 cod pen.
Le plurime censure introdotte dalla difesa in appello sono state ampiamente considerate dalla Corte di appello, che con motivazione immune da illogicità, ha richiamato anche in questo caso elementi di prova significativi ed univoci a carico dello stesso (pag. 23 e seg. dove si valorizzano le dichiarazioni dello COGNOME NOMECOGNOME quanto al rapporto fiduciario di lunga data con il COGNOME, la presenza nel polo calzaturiero in data 2010, la descrizione di una condotta estremamente evocativa della consapevolezza dello stesso quanto alla gestione di tale polo da parte dello Iovine già dall’anno 2009 quando si occupava di condurre il Chianese al cospetto dello Iovane proprio per tale ragione, il riscontro rilevantissimo rappresentato dalla conoscenza del luogo di latitanza dello Iovine) ed ha affrontato ogni allegazione difensiva con argomenti logici e risolutivi (pag. 25 e seguenti con particolare riferimento alla assoluta non sostenibilità della tesi di investimenti nel polo da parte dello COGNOME NOME, anche tenuto conto delle dichiarazioni rese dallo stesso e dal Diana NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME in ordine alla tangente enorme, che nel caso in esame contribuiva a realizzare un introito fisso del clan, pag. 27 e seg.). A fronte, dunque, di un compendio probatorio rilevante (dichiarazioni dello COGNOME confermate ampiamente da quelle del Chianese, presenza accertata all’interno del polo per sei volte, intercettazioni ambientali, specifica considerazione della portata delle dichiarazioni di NOME pag. 28 e seg.) le reiterate doglianze della difesa si limitano a proporre nuovamente una versione ricostruttiva dei fatti in senso alternativo non consentita in questa sede. Né d’altra parte la difesa è riuscita a connotare con le proprie argomentazioni, anche in questa sede, una condotta di favoreggiamento reale, di fatto soltanto evocata, con motivo che si caratterizza per evidente aspecificità e genericità. Nel valutare la condotta del COGNOME è stato correttamente applicato il principio di diritto, che qui si intende ribadire, secondo il quale integra il reato di concorso in estorsione (e
non quello di favoreggiamento reale), la condotta di colui che garantisce la regolare percezione del pizzo mensile corrisposto dalla vittima dell’estorsione, considerato che la rateizzazione del pizzo dà luogo ad un reato a consumazione prolungata o progressiva e che, in costanza di reato, qualsivoglia aiuto fornito all’autore materiale è punibile a titolo di concorso, in quanto finalizzato a tradursi in sostegno per la protrazione della condotta criminosa (Sez. 5, n. 4919 del 05/11/2010, Calabrese Rv. 249249-01). Dunque, è stato correttamente ritenuto il concorso nel reato di estorsione, avendo il ricorrente posto in essere un contributo causale in termini, anche eventualmente ritenuti dalla difesa di minima portata (non così valutati tuttavia nella motivazione con la quale il ricorrente non si confronta), di facilitazione della condotta delittuosa a livello ideativo o esecutivo che può concretarsi anche in singoli atti o parziali attività volt a consolidare il risultato finale della estorsione. La decisione adottata dai giudici di appello è pienamente conforme alle previsione normativa in materia di concorso nel reato, in quanto non è dubitabile che, in costanza di esecuzione del reato, qualsivoglia aiuto fornito è punibile a titolo di concorso, in quanto finalizzato a tradursi in un sostegno per la protrazione della condotta criminosa. Tale aiuto è stato ampiamente ricostruito in motivazione, in modo del tutto immune da illogicità.
4.3 Anche il terzo, quarto e quinto motivo di ricorso sono non consentiti attesa la loro natura del tutto reiterativa, in mancanza di confronto con la motivazione che ha preso sui temi devoluti specificamente in considerazione tutte le doglianze difensive (pag. 29 e seg.), con particolare riferimento al regime circostanziale (presenza della vettura del Diana e del COGNOME insieme all’interno del polo calzaturiero in assenza di spiegazione alternativa, quali evidenti emissari dello COGNOME in relazione alla tangente quale introito fisso del clan, con modalità della condotta estremamente evocative in considerazione della data e dell’orario, con evidenti finalità agevolatrici della azione posta in essere, pag. 30 e seg. quanto al rapporto inequivoco di vicinanza ed affectio che legava il COGNOME allo COGNOME anche durante la sua latitanza, con conseguente impossibilità di considerare l’apporto dello stesso di minima rilevanza). Devono essere in tal caso ribaditi i principi già richiamati quanto alla posizione del NOME, con comprensione di ogni ulteriore istanza.
I ricorsi devono in conclusione essere dichiarati inammissibili con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende, oltre che alla rifusione in
solidi delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Licenza Luciano che devono essere liquidate in complessivi euro 3686/00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, gli imputati in solido alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Licenza NOME, che liquida in complessivi euro 3.686/00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 3 ottobre 2024.